Atom – Spectra

Rispetto ad altri progetti di stampo simile, Atom mantiene ben salde le radici nel black metal, genere che viene sviscerato un po’ in tutte le sue sfumature

Per la one man band Atom, l’ep Spectra arriva due anni dopo Horizons, un buon full length del quale avevo avuto l’occasione di parlare su IYE.

Rispetto a quel lavoro le coordinate stilistiche non cambiamo ma, semmai, vedono una valorizzazione dei loro aspetti migliori: il black metal atmosferico proposto da Fabio, musicista cesenate che è dietro il monicker Atom, è piuttosti diretto non perché banale, ma in quanto raggiunge lo scopo senza indulgere in tentazioni avanguardistiche o sperimentali.
Sia nelle parti più aspre, con le consuete accelerazioni ritmiche, sia in quelle più riflessive, il filo conduttore melodico è sempre in primo piano, rendendo questa mezz’ora scarsa di musica un’altra buona dimostrazione di capacità compositive.
Rispetto ad altri progetti di stampo simile, Atom mantiene comunque ben salde le radici nel black metal, genere che viene sviscerato un po’ in tutte le sue sfumature, operazione che avviene in maniera efficace in Night Sleeper, dove in un lasso di temo relativamente breve scorrono pulsioni depressive, postblack, epic e vocals che spaziano da evocative parti corali a stentorei passaggi pulite per arrivare, poi, al consueto screaming.
Proprio questo, come nel precedente lavoro, continua ad essere un aspetto dolente, rivelandosi di qualità inferiore al contesto strumentale nel quale viene inserito: talvolta viene esasperato in stile DSBM (Spectra), in altri momenti diviene più canonico ma stranamente risulta un po’ troppo effettato e relegato sullo sfondo a livello di produzione (Dasein).
Come in Horizons si rivela molto efficace il lavoro chitarristico nelle sue diverse sembianze, il che impreziosisce un album che denota un ulteriore passo avanti per un progetto in possesso di tutti i crismi per ritagliarsi un minimo di spazio vitale in un settore congestionato come non mai e nel quale, nonostante molti la pensino diversamente, il livello medio si sta decisamente alzando.

Tracklist:
1. Spectra
2. Night Sleeper
3. Dasein

Line-up:
Fabio – Vocals, Guitars, Drum programming

ATOM – Facebook

Seputus – Man Does Not Give

Per chi ha voglia di spingersi oltre la brutalità di facciata di certo metal estremo.

Primo album per gli statunitensi Seputus, la cui line-up è composta da tre quarti dei Pyrrhon, band piuttosto quotata e dedita ad un notevole technical death.

Con i Seputus, Stephen Schwegler, Doug Moore ed Erik Malave accentuano ancor più il lato estremo della loro proposta, finendo per offrire una mix frutto della sanguinolenta macinatura di death, grind, black e hardcore: l’esito finale non può che essere una devastante mattanza, che si regge saldamente in piedi grazie alla perizia dei musicisti ed un approccio alla materia che, se si va a guardare oltre alle apparenze, è tutt’altro che scontato.
L’alternanza in stile Brutal Truth di un growl catacombale e di uno screaming acido, morbosi rallentamenti che si avvicendano ad accelerazioni furibonde, il tutto attraversato e disturbato da dissonanze che rendono sicuramente più complessa ma altrettanto interessante la fruizione dei brani, è ciò che viene offerto dai quaranta minuti scarsi di Man Does Not Give, album che non riscrive la storia del metal estremo ma ne offre senza dubbio una visione brutalmente distorta e mai banale.
E’ evidente che tali sfumature sono percepibili e conseguentemente apprezzabili da chi frequenta abitualmente tali territori musicali, perché già per gli adepti del death classico la ricetta dei Seputus potrebbe risultare indigesta. Per quanto mi riguarda, ritengo che l’operato del trio newyorchese sia di assoluto valore e meritevole d’esser tenuto in considerazione da chi ha voglia di spingersi oltre la brutalità di facciata di certo metal estremo.

Tracklist:
1.The Fist That Makes Flesh
2.Downhill Battle
3.Soft Palates Rasp
4.Desperate Reach
5.Top Of The Food Chain
6.Two Great Pale Zeroes
7.Vestigial Tail
8.Attrition Tactics
9.Haruspex Retirement Speech
10.A erfect Gentleman
11.Wetwork Hangover
12.No Mind Will Enshrine Your Name

Line-up:
Stephen Schwegler – Guitars/Drums/Programming
Doug Moore – Lyrics/Vocals
Erik Malave – Bass

SEPUTUS – Facebook

Simulacro – Echi Dall’Abisso

Gli otto Echi vanno ascoltati come un flusso costante di suoni e parole che, alla fine, non può lasciare indifferenti

Ennesimo parto di una scena underground sarda afferente al black metal più misantropico ed introspettivo, i Simulacro costituiscono una parziale novità a livello di modus operandi, in quanto trattasi di una band vera e propria e non di un progetto solista come nella maggior parte dei casi trattati nel recente passato.

Echi Dall’Abisso è il loro secondo lavoro su lunga distanza ed è il primo interamente cantato in lingua italiana: un’ottima scelta, anche perché qui i testi rivestono un ruolo fondamentale nella comprensione dell’opera nel suo insieme.
La ricerca di sé stessi, tramite un travagliato percorso interiore, è l’argomento che viene trattato con un approccio lirico di grande spessore (ne è autore Thaniey, uno dei fondatori della band, che ora riveste un ruolo comunque fondamentale pur occupandosi solo dei testi); l’abisso in cui l’ascoltatore viene catapultato è reso tangibile da un sound costantemente pervaso da una spessa coltre di tensione emotiva, ben assecondata dalle vocals, aspre ma perfettamente intelligibili, di Xul.
Il black dei Simulacro è peculiare, intenso ed essenziale, privo come è di infiocchettature atmosferico-tastieristiche, e questo in fondo costituisce un altro dei punti di forza di un lavoro che avvince ed avvolge, con una negatività di fondo che lascia però aperto più di uno spiraglio di speranza, riferito alla possibilità di approdare alla meta dopo un lungo e tormentato tragitto introspettivo.
Gli otto Echi vanno ascoltati come un flusso costante di suoni e parole che, alla fine, non può lasciare indifferenti: se l’album è ricco di contenuti e di spunti di riflessioni dal punto vista lirico, si manifesta nella sua ruvida bellezza musicale in più di una traccia, tra le quali Eco IV e Eco VII (dove l’inserimento in un simile contesto della voce dell’ospite Gionata “Thorns “ Potenti fa balenare tracce dei mai dimenticati Cultus Sanguine) contengono gli spunti melodici che meglio si imprimono nella mente, mentre Echo VI, scelta come trama sonora per un video di prossima uscita, si avvale di una maggiore complessità e completezza compositiva.
I Simulacro sono l’ennesima testimonianza di un approccio differente alla materia black che, nel nostro paese, sta fornendo con grande continuità frutti prelibati quanto inusuali.

Tracklist:
1.Eco I
2.Eco II
3.Eco III
4.Eco IV
5.Eco V
6.Eco VI
7.Eco VII
8.Eco VIII

Line-up:
Xul – Lead Vocals, Guitars, Programming
Ombra – Bass
Anamnesi – Drums, Backing Vocals

Guests:
Thorns – Lead Vocals on “Eco VII”
Satya Lux Aeterna – Female Choirs

SIMULACRO – Facebook

Recitations – The First Of The Listeners

Partendo da un death black metal molto scandinavo, si dilatano i tempi e la composizione acquisisce un ampio respiro, fondendosi con l’elettronica più malata, fatta di neri droni e di oscuri loop.

The First Of The Listeners è un disco di sperimentazione metallica e non solo. Partendo da un death black metal molto scandinavo, si dilatano i tempi e la composizione acquisisce un ampio respiro, fondendosi con l’elettronica più malata, fatta di neri droni e di oscuri loop.

Pensate al seminale Perdition City degli Ulver, un disco davvero innovatore che ha rotto diversi muri, ecco, siamo in quella direzione, ma con molta più pazzia ed attitudine black metal. Il suono è malato e completo, possente e paranoico, con un’ottima produzione. Questo disco è la dimostrazione che l’elettronica può implementare molto il metal, diventando un altro codice per gridare il disagio. Quattro pezzi sono una giusta durata per questo disco sperimentale che porta il death black ad un altro livello. I componenti di questo gruppo sono tutti noti cospiratori della scena death black underground, che hanno voluto riunirsi in questo progetto per mette a fuoco territori musicali parzialmente inesplorati. Un grande lavoro è dietro questo disco, che è composto molto bene, con una scelta di strumentazione assai adeguata, e conferma che molti musicisti estremi hanno una capacità compositiva eccezionale. A suo modo questo disco è un rito moderno per richiamare antiche divinità, perché vi è un qualcosa di tribale qui dentro, ed questa è la sua essenza più vera. Un gran bel disco di avanguardia.

TRACKLIST
01 The First of the Listeners
02 Tongueskull Sacrament
03 Godspeak Halilu Lija
04 To Voice the Unutterable

SIGNAL REX – Facebook

Darkthrone – Arctic Thunder

Arctic Thunder è un riportare le cose a a casa, in maniera molto divertente e metallica, con tante sorprese sonore.

Recensire un disco dei Darkthrone è poco più di esprimere un’opinione.

Ognuno ha già la sua idea di musica, e poi in particolare ogni metallaro ha la sua idea sui Darktrhone. Io personalmente li amo, anche perché in questi anni seguendo sulla rete Fenriz ho potuto vedere e sentire la sua concezione di metal, e se volete del vero metal rivolgetevi a lui. E’ fondamentale, anche per capire questo ultimo disco dei Darkthrone, la parabola fenriziana in rete. Partendo dal presupposto che Fenriz è il deus ex machina del gruppo, ascoltando Arctic Thunder si possono sentire le influenze di Fenriz e le sue passioni metallare, che poi riconducono alla vera attitudine punk metal, in seguito diventata in una sua accezione il black metal. Qui troviamo pure il black metal, ma non solo. Arctic Thunder è anche speed metal, parti di post metal qui e là, ma soprattutto tonnellate di metal, senza tante menate, solo voglia di ubriacarsi, sentire musica ad alto volume e muovere la testa su è giù. Sicuramente questo ultimo disco è migliore del precedente, che personalmente considero il peggiore della loro discografia, ovvero Underground Resistance. Si può trovare un po’ di tutto, e spesso in trenta secondi si vira dal black metal allo speed metal anni ottanta, ed è tutto molto bello, alla maniera di Fenriz che è forse il più attento e devoto ascoltatore del metal nel mondo. Seguite anche la sua pagina su soundcloud, e ne avrete molte gioie. In definitiva Arctic Thunder è un riportare le cose a a casa, in maniera molto divertente e metallica, con tante sorprese sonore. Ascoltatelo, poi ognuno la pensi come vuole, ma per favore non fate i black metallers duri e puri, che Satana vi prenderebbe a calci in culo.

TRACKLIST
1.Tundra Leach
2.Burial Bliss
3.Boreal Fiends
4.Inbred Vermin
5.Arctic Thunder
6.Throw Me Through The Marshes
7.Deep Lake Tresspass
8.The Wyoming Distance

LINE-UP
Gylve Fenriz Nagell
Ted Skjellum

DARKTHRONE – Facebook

In Aeternum – The Blasphemy Returns

Un buon ep che lascia la speranza su un sospirato ritorno sulla lunga distanza

In bilico (a livello di popolarità) tra l’underground e uno status più consono al livello della propria proposta, gli svedesi In Aeternum hanno da sempre tenuto alta la bandiera del black metal svedese, con quella componente di thrash e melodia che hanno fatto di questo sound uno dei migliori e più conosciuti modi di suonare metal estremo.

Attivo dalla prima metà degli anni novanta, il gruppo di Sandviken ha licenziato solo quattro album, colmando la sua discografia di ep e split, ma la qualità delle uscite è sempre rimasta a mio parere molto alta, come confermato da questo nuovo ep che riprende nel titolo il primo bellissimo album targato 1999, Forever Blasphemy.
The Blasphemy Returns, licenziato per la Pulverised Records infatti riprende nel titolo il primo e famoso album del gruppo, è composto da quattro brani: due tracce inedite, più la nuova versione di Majesty of Fire, brano che apriva quel lavoro e la cover di I Am Elite dei conterranei War.
Siamo scaraventati ancora una volta nel suono che fece fuoco e fiamme nel nord Europa dai primi anni del decennio novantiano, e non poteva essere altrimenti, le quattro songs sono sparate a velocità della luce, premendo il pedale a tavoletta tra attitudine black e partiture thrash come da copione, ed il tutto funziona ancora molto bene.
Le due tracce inedite (Wolfpack e Stench of Victory) non mancano di far danni, devastanti, potenti e dal forte sentore di anticristianità, con la puzza di zolfo che esce copiosa dagli altoparlanti.
Il suono è quello storico, portato alla luce dai Dissection e personalizzato dal gruppo con iniezioni letali di thrash metal slayerano e robuste scudisciate alla Angelcorpse; d’altronde stiamo parlando di un gruppo che il genere lo sa suonare al meglio, confermando che dalle loro parti la fiamma nera è più accesa che mai.
Un buon ep che lascia la speranza su un sospirato ritorno sulla lunga distanza (l’ultimo Dawn of a New Aeon è ormai di undici anni fa).

TRACKLIST
1. Wolfpack
2. Stench of Victory
3. Majesty of Fire (2016 Version)
4. I Am Elite (War cover)

LINE-UP
David “Impious” Larsson – Guitars, Vocals
Perra Karlsson – Drums
Claes “Clabbe”- Ramberg Bass
Joel Lindholm – Guitars (lead)

IN AETERNUM – Facebook

True Werewolf – Death Music

Il black metal è una musica che deve dare fastidio, potendo e dovendo esprimere senza essere costretto o limitato da nulla.

True Werewolf è il progetto solista di black metal marcio di Graf Werewolf, la mente dietro Satanic Warmaster, che qui può dare liberamente sfogo al suo black metal più marcio, satanicamente acido.

Questo disco è uscito originariamente nel 2012, in un momento di pausa del progetto Satanic Warmaster che durante questi anni ha patito qualche problema. Quanto a volte Satanic Warmaster è ortodossia e pulizia, True Werewolf è medioevale marcescenza, come i canali di scolo oche passavano lungo e sopra le strade nelle epoche antiche. Questo disco è una raccolta di tracce originariamente uscite su sette pollici, dieci pollici e raccolte. Possiamo sentirci molto degli anni novanta, soprattutto per quel senso di velocità ed urgenza che ora è difficile trovare suonato in maniera spontanea. Death Music è un documento importante di un certo momento del black metal, del quale ora di solito si trova una mera riproposizione lo fi, che è notevole in ben pochi esemplari. Qui invece il marcio esce spontaneamente come il pus da una ferita, e stride facendo male. In certi momenti è quasi urtante questo black metal, ma è così che deve essere, deve essere fastidioso e malvagio, contro le pose, le mode e la commercializzazione, perché il black metal è questo, una musica che deve dare fastidio, potendo e dovendo esprimere senza essere costretto o limitato da nulla. Come Death Music il black metal deve essere ciò che è, senza mediazioni o giudizi. Qui c’è disagio e dolore, voi cosa cercavate ?

TRACKLIST
1.Vampyric Magick
2.Malevolent Ascension
3.Kreaturen der Nacht
4.Arkut
5.My Journeys Under the Battlemoon
6.The Grandeur of Death’s Palace
7.Bats Crawl from My Tower
8.Buried, Yet Mourning
9.Weeping Lord of the Majestic Plagues
10.In a Dark Dream

TRUE WEREWOLF – Facebook

Usurpress – The Regal Tribe

Una quarantina di minuti a prova di tedio con il suo frullato di death, thrash, black, doom e progressive che si rivela senz’altro appetitoso.

Terza prova su lunga distanza per gli svedesi Usurpress, band sulla scena dall’inizio del decennio con il suo sound che, poggiando su una base death, spazia con una certa disinvoltura lungo tutti i generi del metal estremo.

The Regal Tribe si pone come una prova di grande sostanza in cui gli ammiccamenti melodici sono solo sporadici e, di fatto, resi superflui da una prova di ottimo livello da parte della band di Uppsala.
Proprio questo rende l’operato degli Usurpress tutt’altro che un becero ricorso a tutti i luoghi comuni del metal estremo: i nostri optano per una forma musicale senz’altro poco immediata e con più di un passaggio ricercato (vedi gli strumentali The Halls of Extinction e On a Bed of Straw, tanto per citare due esempi), senza rendere il sound troppo frammentario.
Se un umore fondamentalmente più cupo pare pervadere l’intero album, probabilmente ciò è dovuto anche ai problemi di salute che hanno toccato da vicino membri della band nell’ultimo periodo, portando ad affrontare a livello lirico tematiche di un certo peso specifico e mai banali.
Così il quartetto svedese convince sia quando viaggia ad alta velocità, sia quando rallenta immergendosi con qualcosa più di un piede nel doom (The Mortal Tribes), riuscendo a comunicare efficacemente i contenuti tipici della scuola svedese senza esibirne in maniera didascalica gli standard.
Di sicuro la competenza riguardo al genere non può mancare all’interno di una band che annovera al basso Daniel Ekeroth, valente musicista ma soprattutto autore di diversi libri tra i quali Swedish Death Metal, opera fondamentale per capire l’importanza di tale movimento musicale.
Ma la di là di questa, che resta una mera curiosità, The Regal Tribe si rivela un buonissimo lavoro, grazie ad una quarantina di minuti a prova di tedio con il suo frullato di death, thrash, black, doom e progressive che si rivela senz’altro appetitoso.
Gli Usurpress alla fine sono la classica band che potrebbe reperire estimatori dal background piuttosto differente tra loro, un sinonimo chiaro di versatilità e dono della sintesi.

Tracklist:
1. Beneath the Starless Skies
2. The One They Call the Usurpress
3. Across the Dying Plains
4. The Mortal Tribes
5. The Halls of Extinction
6. Throwing the Gift Away
7. Behold the Forsaken
8. On a Bed of Straw
9. The Sin That Is Mine
10. In the Shadow of the New Gods

Line-up:
Stefan Pettersson – Vocals
Påhl Sundström – Guitars
Daniel Ekeroth – Bass
Calle Andersson – Drums

USURPRESS – Facebook

Satanic Warmaster – Black Metal Kommando / Gas Chamber

Pur essendo esecrabile, Satanic Warmaster è uno dei pochi del giro black metal a non essersi mai compromesso, nemmeno con sé stesso, continuando a rimanere credibile, e questo disco è l’inizio della sua avventura.

Ristampa da parte della finlandese Werewolf Recrods in combutta con la Hellsheadbangers Records.

Questa compilation fu originariamente pubblicata nel 2005, e contiene quello che sarebbe dovuto essere il primo disco del gruppo, Black Metal Kommando, mentre invece la sua prima uscita fu Strenght and Honour. In questi sei tracce si può sentire la dedizione totale di Satanic Warmaster al credo black metal. Questo è puro black metal, non è musica, né lo si deve intendere come tale. Il finlandese non rincorre le mode, le ammazza piuttosto, ed il suo suono è totalmente nero e misantropico. Pur essendo assai controverso, Satanic Warmaster è uno dei pilastri del black metal mondiale, con il suo suono grezzo e particolare, al di fuori della media del genere. Innanzitutto la produzione è abbastanza buona e i suoni son distanziati fra loro in sede di missaggio, e ciò porta la voce leggermente in primo piano, fatto non usuale per un gruppo black metal classico. In più il ritmo non è quasi mai ai mille all’ora, si predilige la narrazione sonora, pur essendo fedele l’esecuzione ai dettami del black. Il disagio e la misantropia satanica la fanno da padrone, radendo al suolo, ma proprio tutto, in nome di un nichilismo che resiste alla furia del tempo e anche a se stesso. Il black metal di Satanic Warmaster non ha età, è il tentativo di resistere al cambiamento intorno, sfornando un black metal intenso e genuinamente arrabbiato. Pur essendo esecrabile, Satanic Warmaster è uno dei pochi del giro black metal a non essersi mai compromesso, nemmeno con sé stesso, continuando a rimanere credibile, e questo disco è l’inizio della sua avventura. Black Metal Kommando si discosta leggermente da quello che poi troveremo in Strenght and Honour, e personalmente lo trovo migliore. I tre pezzi di Gas Chamber fotografano Satanic Warmaster con un taglio maggiormente noise e sperimentale. In questo ep l’inedito è solo uno, mentre gli altri due pezzi sono dei Beherit, gruppo che ha influenzato molto Satanic Warmaster.

TRACKLIST
1.Intro (2005 Remix)
2.Distant Blazing Eye
3.The Burning Eyes of the Werewolf
4.Black Metal Kommando
5.Wolves of Blood and Iron
6.Raging Winter
7.Macht & Ehre
8.The Blood of Our Fathers
9.D.S.O. 2000
10.Fish (Beherit cover)
11.Paradise (Part II) (Beherit cover)
12.The Seventh Oath of Demonomancy

SATANIC WARMASTER – Facebook

Enoid – Exilé aux confins des tourments

Molto interessante il progetto in questione con un album che risulta uno dei più riusciti nel genere quest’anno

Tra i monti innevati della vicina Svizzera non manca certo la voglia di suonare metal, d’altronde non sono pochi i gruppi che hanno dato il loro contributo alla causa metallica e che sono ormai considerati storici (due su tutti Celtic Frost e Samael) specialmente per quanto riguarda le sonorità estreme.

Così non mi meraviglia trovarmi al cospetto di un lavoro molto interessante e ben fatto ad opera di questa one man band chiamata Enoid, entità estrema del polistrumentista Ormenos, attivo con molte band della scena e dal 2005 portatore di morte con una serie di album giunti al cospicuo numero di sei con quest’ultima opera intitolata Exilé aux confins des tourments.
L’album si sviluppa su otto brani di black metal che deve molto alla scena norvegese degli anni novanta, ma un’ottima produzione gli conferisce un mood al passo coi tempi, esempio lampante di come si possa produrre musica vecchia scuola senza risultare per forza obsoleti ed alla lunga inascoltabili.
E’ così che l’album riscopre quelle atmosfere diaboliche e glaciali delle produzioni passate, valorizzandole con un buon songwriting ed un ottimo lavoro in sala.
Il polistrumentista svizzero accende la fiamma nera che risplende in questa raccolta di brani, agguerriti, e devastanti, le ritmiche per lunghi tratti con il pedale dell’acceleratore a tavoletta frenano su ottimi cambi di tempo che infondono alle tracce un’aura oscura.
Lo scream è perfetto, terribile e misantropico, da vero demone delle montagne, mentre l’atmosfera da armageddon della terrificante La lumière disparaît (con tanto di urla di pura disperazione di qualche anima dannata) insieme alla dannazione eterna in musica del piccolo capolavoro Ode à la haine, formano una coppia di brani che vanno a concludere l’album con il botto.
L’album risulta uno dei più riusciti nel genere in questo anno, perciò l’invito ai blacksters a non farselo sfuggire è d’obbligo.

TRACKLIST
1. Je t’arracherai les cieux
2. Ces cicatrices dans mon âme
3. Mangez ma chair, prenez ma douleur
4. La Croix de mon existence
5. Nouveau cycle destructeur
6. Sourire éternel sur mes lèvres
7. La lumière disparaît
8. Ode à la haine

LINE-UP
Ormenos – Drums, Guitars, Vocals

ENOID – Facebook

Kashgar – Kashgar

I Kashgar sono una bella sorpresa e seguire le loro mosse future non sarà affatto tempo sprecato.

Parrà strano, ma non si può dire che parlare di una band del Kirghizistan sia una primizia, perché chiunque sia in possesso di un minimo di curiosità e di cultura musicale non può non conoscere i grandi Darkestrah, che proprio dalla capitale Bishek mossero i primi passi prima di mettere le radici in pianta stabile in Germania, nazione certamente più funzionale per chi vuole fare musica ad un certo livello.

Così, il vessillo del metal estremo nel lontano paese asiatico è tenuto alto in  loco praticamente dai soli Kashgar, i quali, nonostante l’oggettivo rischio di isolamento musicale, si stanno dando un gran daffare per farsi conoscere, soprattuto in Europa.
Questi tre ragazzi meritano effettivamente di trovare uno spazio, perché il contenuto del loro album omonimo tracima urgenza compositiva e se ogni tanto qualcosa viene sacrificato a livello tecnico, l’intensità sprigionata arriva a compensare abbondantemente il tutto.
In fondo, in questa quarantina di minuti scarsi, i Kashgar riversano in maniera compulsiva un background musicale fatto da metal estremo, classico e persino dal progressive, tutti elementi che, ascoltando con attenzione, sono sicuramente rinvenibili all’interno dei singoli brani .
Se Half a Devil è una sorta di summa strumentale a livello di intenti, non c’è dubbio che la pietra miliare dei Kashgar sia Tyan-Shan / Batyr, brano spettacolare di oltre 11 minuti di durata in cui i nostri immettono tutti i loro spunti compositivi, anche quando apparentemente sembrerebbe non essercene lo spazio: una sfuriata black, all’inizio, viene seguita da umori tooliani/crimsoniani, ed un mood che riporta alle migliori band elleniche tanto amate dalla band kirghisa (non a caso la masterizzazione è stata affidata ad Achilleas Kalantzis dei Varathron) viene disturbato da un’inquietante cantilena.
Se Scent of Your Blood è un condensato di furia distruttiva, con una chitarra dai tratti lancinanti , Erlik rallenta la corsa fino a spingersi ai confini del doom, e Albarsty è pregna di dissonanze compensate da un finale thrash d’annata. La chiusura è affidata a Come Down, in cui emerge una componente più riflessiva che, in qualche modo, va ad attingere alla spiritualità ispirata da una natura che, in un paese come quello asiatico, esibisce ancora intonsa la propria selvaggia maestosità.
Kashgar è un lavoro intrigante quanto perfettibile in qualche sua parte, e sicuramente sono gli aspetti positivi a prevalere, a livello di consuntivo: considerando l’inesistenza di una scena meta nel paese, le possibilità che fossero seguite pedissequamente le tracce dei Darkestrah erano alte, eppure Ars, Warg e Blauth scelgono un strada espressiva differente e, tutto sommato, anche personale. La voglia di inserire più elementi possibili in un album di durata relativamente breve è comprensibile ma, talvolta, va a discapito della fluidità compositiva: resta il fatto che questo lavoro risulta attraente proprio per la bontà dei contenuti, tralasciando l’ovvia curiosità derivante da una provenienza geografica desueta.
Per quanto mi riguarda, i Kashgar sono una bella sorpresa e seguire le loro mosse future non sarà affatto tempo sprecato.

Tracklist:
1. Half a Devil
2. Tyan-Shan / Batyr
3. Scent of Your Blood
4. Erlik
5. Albarsty
6. Come Down

Line-up:
Blauth – vocals, drums
Ars – guitars
Warg – bass

KASHGAR – Facebook

Demoncy – Faustian Dawn

Il suono è grezzo, le chitarre distorte in maniera quasi pacchiana, la batteria sembra un osso che viene percosso sul cranio di un cadavere, la voce è un continuo growl di diversi elementi, la sensazione è di un diabolico dimenarsi, e tutto ciò è meraviglioso.

Ristampa definitiva da parte della Nuclear War Now per questo grande classico del black metal americano.

Originariamente uscito nel 1993 questo disco è stato una delle opere seminali del verbo del nero metallo nel nuovo mondo. Insieme a Profanatica, Grand Belial’s Key e Black Funeral, i Demoncy sono stati i padri putativi del black metal americano, che è una costola davvero interessante del movimento black mondiale. Come si può ascoltare in nuce in questo fondamentale disco, gli americani il black metal lo fanno maniera differente, più ampia dal punto dal punto di vista musicale, con molti elementi differenti rispetto al black metal europeo, e diversamente rispetto al black sudamericano. Col passare degli anni il movimento black è progredito, ma questo disco rimane un vera chicca. Il suono è grezzo, le chitarre distorte in maniera quasi pacchiana, la batteria sembra un osso che viene percosso sul cranio di un cadavere, la voce è un continuo growl di diversi elementi, la sensazione è di un diabolico dimenarsi, e tutto ciò è meraviglioso. In Faustian Dawn c’è tutto quello che vi fa amare il black, ed è anche il motivo per cui questo disco è stato ristampato molte volte, ma questa è la ristampa definitiva, poiché Ixithra stesso ne ha curato la rimasterizzazione e Chris Moyen, che aveva disegnato la copertina originale, ha fatto un dipinto fantastico per l’occasione. Ma la storia non finisce qui : questa è una ristampa, mentre presto uscirà il nuovo disco del gruppo, il primo da molti anni.
Il demone continua a dibattersi per la nostra lussuriosa soddisfazione.

TRACKLIST
1.Whispers of Undesired Destinies
2.Winter Bliss
3.Satanic Psalms
4.Descending Clouds of Immortality
5.Denial of the Holy Paradise
6.Enchanted Woods of Forgotten Lore
7.Hidden Path to the Forest Beyond
8.Chill Winds of Time
9.Full Moon Twilight
10.Departure of the Dismal

LINE-UP
Ixithra – Vocals
Necreon – Bass
Vorthrus – Drums

DEMONCY – Facebook

In The Woods… – Pure

Gli In The Woods… sono nuovamente tra noi, differenti forse, ma sempre capaci di esprimersi ad un livello qualitativo sconosciuto ai più.

A metà degli anni ’90, nel pieno dell’ondata black che arrivò a stravolgere buone e cattive abitudini del metal estremo, apparvero più o meno dal nulla gli In The Woods…, band che dal genere prendeva certamente le mosse per spingersi senza porsi troppi limiti verso orizzonti psichedelico progressivi che, solo in seguito, troveranno un certo successo grazie a nomi quali Arcturus, Ulver e Solefald.

Heart Of The Ages (1995) e il successivo Omnio (1997) furono dei veri fulmini a ciel sereno che arrivavano a dimostrare quanto quella genia di musicisti non fosse in grado di farsi notare solo per un’urgenza espressiva selvaggia, che spesso trovava sfogo anche al di fuori del campo artistico, ma avesse in nuce le stimmate di un talento e di un potenziale innovativo che sarebbe emerso negli anni a venire.
Un meno brillante Strange in Stereo, nel 1999, pareva aver segnato la fine di usa storia trascinatasi fino all’uscita del live del 2003, andando a collocare gli In The Woods… nell’affollato novero delle band di culto, quelle capaci di restare impresse nell’immaginario degli ascoltatori pur avendo dato il meglio in una manciata di dischi racchiusa in un breve spazio temporale.
E invece, neppure gli In The Woods… si sottraggono alla tentazione della reunion, che vede alle prese tutti e tre i fondatori (i fratelli Botteri e Anders Kobro) raggiunti dal muscista inglese James Fogarty alias Mr.Fog.
Veniamo al dunque, quindi, parlando del nuovo album intitolato Pure: l’ispirazione pare non essere stata annacquata dal trascorrere del tempo, ma appare evidente quanto questo lavoro sia in qualche modo più fruibile rispetto ai capolavori di metà anni ’90, pur mantenendo intatta l’attitudine avanguardista della band norvegese.
Non che questo sia un male, chiariamolo: Pure è davvero un bellissimo disco, che in oltre un’ora di durata va a lambire tutte le sfumature sonore alle quali i nostri ci avevano abituato ma, tenendo conto dell’evaporazione dell’effetto sorpresa che esaltava i contenuti di Heart Of The Ages ed Omnio, va letto in un’ottica diversa rispetto al passato.
L’errore più grande che può commettere chi ha amato quei lavori è attendersi da questa nuova uscita, targata Debemur Morti, qualcosa di simile per freschezza e potenziale innovativo: gli In The Woods…, contrariamente alle attese, vanno molto più diretti alla ricerca dell’obiettivo, raggiungendolo tramite brani intrisi di splendide melodie, alternate a qualche robusta accelerazione che non va però ad incrinare un substrato fondamentalmente progressive, al quale il retaggio black dona quel velo di oscurità e malinconia che rende magnifica più di una traccia.
Emblematica sicuramente la trascinante title track, posta in apertura, che trova subito un suo possibile contraltare nella cupezza della successiva Blue Oceans Rise; i rallentamenti ai confini del doom di The Recalcitrant Protagonist e l’intensità di Cult Of Shining Stars sono anch’essi segni indelebili di una classe che non è andata perduta ma, se persistessero ancora dei dubbi, i venticinque minuti conclusivi rimarcano quanto questa band alla fin fine ci sia mancata, perché le splendide e suadenti atmosfere del lungo strumentale Transmission KRS ed il crescendo evocativo di This Dark Dream e Mystery Of The Constellations non sono un qualcosa che possa uscire dalla penna di musicisti appena nella media.
Siamo nel 2016, gli In The Woods… sono nuovamente tra noi, differenti forse, ma sempre capaci di esprimersi ad un livello qualitativo sconosciuto ai più. Bentornati.

Tracklist:
1.Pure
2.Blue Oceans Rise (Like A War)
3.Devil’s At The Door
4.The Recalcitrant Protagonist
5.The Cave Of Dreams
6.Cult Of Shining Stars
7.Towards The Black Surreal
8.Transmission KRS
9.This Dark Dream
10.Mystery Of The Constellations

Line-up:
James Fogarty – Vocals, Guitars and Keys
X-Botteri – Guitars
C:M Botteri – Bass
Anders Kobro – Drums

IN THE WOODS… – Facebook

Szarlem / Drengskapur – Ritual

Un 7″ per per fans accaniti, un modo per conoscere due realtà dalla forte impronta underground in un genere che solo nel sottobosco ritrova la sua vera natura.

La Folte Records ci presenta questo split che vede in azione due black metal band tedesche: la one man band Szarlem e il duo berlinese Drengskapur.

Un brano a testa per questo 7″ dall’attitudine che definire underground è un eufemismo: il primo, In the Glare of Fire, vede protagonista Avenger, polistrumentista attivo sotto il monicker Szarlem da una decina d’anni ed una discografia che, oltre ad una manciata di lavori minori, vede il nostro alle prese con due full length: Night of Blood uscito nel 2008 e Black Medieval Battle Hymns licenziato tre anni orsono.
Black metal oscuro e dalla forte connotazione occulta, un mid tempo atmosfericamente freddo ed uno scream disperato rendono il brano pregno di sfumature estreme e misantropiche, Avenger ci prende per mano e ci accompagna nel suo mondo dove la luce è solo un ricordo e l’oscurità domina.
Davvero inquietante lo scream, pura disperazione di un’anima tormentata dai demoni, mentre il sound non si discosta da un mid tempo raggelante, nel complesso una song affascinante.
Mitternachtsstund è il brano proposto dal duo berlinese Drengskapur, attivo dai primi anni del nuovo millennio e con tre album alle spalle incisi nell’arco di sette anni tra il 2006 ed il 2013 ( Geist der Wälder, Von Nebel umschlungen e Der Urgewalten Werk).
Formato da Wintergrimm (voce e chitarra) e Hiverfroid alle pelli, il combo produce un sound raw black metal ispirato alla natura e al paganesimo, sicuramente dalla forte attitudine ma estremamente consolidato nei cliché del genere evil per antonomasia.
Un 7″ per per fans accaniti, un modo per conoscere due realtà dalla forte impronta underground in un genere che solo nel sottobosco ritrova la sua vera natura.

TRACKLIST
Side A
1. Szarlem – In the Glare of Fire
Side B
2. Drengskapur – Mitternachtsstund’

LINE-UP
Szarlem
Avenger – All instruments, Vocals

Drengskapur
Wintergrimm – Vocals, Guitars
Hiverfroid – Drums

http://www.facebook.com/Drengskapur.de?fref=ts

Rudra – Enemy Of Duality

Un lavoro dallo spessore qualitativo monumentale che dovrebbe indurre ogni appassionato a guardare con occhio molto più attento, e sicuramente meno scettico, verso il metal proveniente dai paesi del sudest asiatico.

Grazie al lavoro dell’instancabile Kunal Choksi e della sua Transcending Obscurity, in questi ultimi anni si è squarciato il velo che teneva in qualche modo nascosto il movimento metal del sudest asiatico, rivelando al mondo l’esistenza di band che dimostrano un’urgenza compositiva ed una freschezza spesso sconosciuta a quelle provenienti dai continenti ove, tradizionalmente, il genere ha sempre avuto la sua dimora.

Quindi può capitare persino che una band come i singaporiani Rudra appaia come una sorta di novità quando, in realtà, la sua genesi risale a circa un ventennio fa e la sua discografia è costellata di una serie di album di livello eccezionale.
Enemy Of Duality è addirittura l’ottavo full length (ma il primo per la label indiana) del gruppo che prende il suo nome dal pantheon vedico: è curioso, ma non del tutto sorprendente, il fatto che nella stessa scuderia stia chi avversa la religione (soprattutto quella induista) in ogni sua forma (Heathen Beast) e chi, al contrario, erge il proprio Vedic Metal come vessillo (Rudra).
Ma in fondo, a ben vedere, trattasi solo di facce diverse della stessa medaglia, in quanto entrambe le band utilizzano una forma di metal estremo, resa in maniera entusiasmante e contaminata fortemente dalla musica tradizionale della loro area geografica, per veicolare la propria personale visione sociale e filosofica.
Parlando dei Rudra, si capisce subito d’essere al cospetto di un combo composto da musicisti esperti e dotati di una tecnica ben superiore alla media, il che consente loro di districarsi mirabilmente tra sfuriate di stampo black death e sonorità etniche, per lo più inserite all’interno delle intricate partiture estreme e non un corpo estraneo ad esse .
Un tentacolare Shiva alla batteria (sopraffino quando maneggia le percussioni etniche) è l’autentico motore che rende inarrestabile la marcia dei Rudra: otto brani in cui l’intensità pare non calare mai, anzi semmai la sensazione è quella di un costante crescendo visto che la traccia migliore, a mio avviso, è addirittura quella conclusiva, una Ancient Fourth che si rivela quale ideale chiave di lettura del modus operandi perseguito in Enemy Of Duality.
Un lavoro dallo spessore qualitativo monumentale che dovrebbe indurre ogni appassionato a guardare con occhio molto più attento, e sicuramente meno scettico, verso il metal proveniente dall’India e dai paesi del sudest asiatico.

Tracklist:
1. Abating the Firebrand
2. Slay the Demons of Duality
3. Perception Apparent
4. Acosmic Self
5. Root of Misapprehension
6. Seer of All
7. Hermit in Nididhyasana
8. Ancient Fourth

Line-up:
Shiva – Drums
Kathir – Vocals, Bass
Vinod – Guitars
Simon – Guitars

RUDRA – Facebook

Styxian Industries – Zero.Void.Nullified {Of Apathy and Armageddon}

Zero.Void.Nullified è un lavoro valido, ma il potenziale della band sembra superiore al risultato ottenuto sul campo: una serie di riff azzeccati uniti ad una prestazione tecnicamente valida non valgono per ora qualcosa in più di un’abbondante sufficienza.

L’esordio su lunga distanza per gli olandesi Styxian Industries arriva finalmente sotto l’egida della tentacolare Satanath Records, dopo diversi anni ed una serie di lavori di minutaggio ridotto.

Zero.Void.Nullified è un’opera devota al black di matrice industrial, una materia che viene trattata in maniera piuttosto efficace dal trio dei Paesi Bassi, anche se la tendenza oscilla tra un’adesione alle sfuriate canoniche del genere e l’approdo a ritmiche elettroniche, senza che si vada quasi mai a sconfinare nella danzabilità dei primi The Kovenant.
Il disco si dipana in maniera interessante, anche se talvolta affiora nei nostri un’indole un po’ troppo ondivaga, poiché nel complesso viene a mancare per continuità sia la martellante pesantezza dell’industrial sia la ferocia nichilista del black: il risultato è un compromesso tra queste due componenti che offre buoni risultati, come la notevole We Took the World, la cangiante Zero Void Nullified e la parossistica Salvation (con clean vocals rivedibili, però) accompagnati ad una serie di brani che, alla lunga, lasciano un po’ di stanchezza, essendo ricchi di potenziale corrosivo ma poveri di riff e spunti capaci di imprimersi a lungo nella mente.
L’operato dei Styxian Industries è tutt’altro che riprovevole, ma la sensazione è che, allo scopo di mantenere un certo equilibrio tra le due componenti, si scelga una via di mezzo che frena uno sviluppo più deciso, e probabilmente costruttivo, in un senso o nell’altro.
Zero.Void.Nullified è un lavoro valido, ma il potenziale della band orange mi sembra superiore al risultato ottenuto sul campo: l’impalcatura è solida, ma i contenuti sono senz’altro migliorabili, e una serie di riff azzeccati uniti ad una prestazione tecnicamente valida non valgono per ora qualcosa in più di un’abbondante sufficienza.

Tracklist:
1. Feed Us
2. You
3. Salvation
4. Revelation
5. Whiskey Vodka Blood
6. Zero Void Nullified
7. Bastard God
8. Wasted World
9. We Took the World
10. Execute Planet Earth

Line-up:
Ms. M – Guitars
Mr F. – Percussion, Drums
Ir T. – Vocals

STYXIAN INDUSTRIES – Facebook

Endalok – Englaryk

Il black metal è soltanto il punto di partenza per questo gruppo, che fa un genere a se stante, con molti riverberi ed ombre, quasi da indurre nell’ascoltatore una vertigine.

Demo in cassetta per questo gruppo black provieniente dalla fertile Islanda, che ultimamente è molto incline al black metal, ed ovviamente, come tutte le cose che vengono da quell’isola è di ottima qualità.

Il black metal è soltanto il punto di partenza per questo gruppo, che fa un genere a sé stante, con molti riverberi ed ombre, quasi da indurre nell’ascoltatore una vertigine, come se si staccassero ombre dagli strumenti per invadere i nostri incubi. La loro musica sembra provenire da un ‘altra dimensione, la stessa nella quale stanno i demoni e coloro che sono morti invano. Gli strumenti sembrano ognuno andare per conto loro, ma in questa apparente dodecafonia il senso è chiaro: non c’è senso, e saremmo pazzi a cercarlo. Bisogna abbandonarsi a questo flusso di musica pesante ed ombre. Gli Endalok come detto prima, giocano in un campo tutto loro, con una proposta davvero particolare e molto interessante. Questa cassetta è soltanto la prima uscita per loro, poiché poi seguirà il disco su lunga distanza, sempre per la portoghese Signal Rex, che non sbaglia un gruppo. Questa è musica che funziona da porta dimensionale, si passa per andare oltre, seguendo il nostro destino. E’ davvero notevole il percorso che sta facendo il black metal, che grazie a dischi come questo entra in territori inesplorati e fertili, andando in mille direzioni con una velocità impressionante, in continua evoluzione.
Cassetta di un’altra dimensione.

TRACKLIST
1.Hræ Guðs Fargað
2.Óhugnaðurinn
3.Englaryk
4.Formlaust

ENDALOK – Facebook

Solitvdo – Hierarkhes

DM possiede la capacità di ammantare ogni brano di un’aura solenne e al contempo malinconica

Dopo l’ottimo esordio su lunga distanza con Immerso in Un Bosco di Querce, del 2014, il musicista sardo DM si ripresenta con un nuovo lavoro targato Solitvdo.

Hierarkhes, questo è il titolo, segna un ulteriore passo in avanti nel percorso musicale di questo progetto che prende le mosse dal black per contaminarlo con sonorità epiche e magniloquenti.
Rispetto al suo predecessore cambiano le tematiche trattate, sicché la poetica elegiaca di cui erano intrise le varie tracce di quel lavoro viene sacrificata a favore di testi inneggianti al valore e all’eroismo, con ampi riferimenti alla storia dell’antica Roma (anche se i testi, nonostante i titoli dei brani, sono integralmente in italiano).
Devo ammettere che per indole non sono un grande estimatore di questo tipo di scelte liriche, ma se il tutto viene inserito in un’opera dello spessore musicale di Hierarkhes, questo diviene un mero dettaglio: DM possiede la capacità di ammantare ogni brano di un’aura solenne e al contempo malinconica, senza far ricorso a particolari virtuosismi, ma lasciando che soprattutto le tastiere si assumano l’onere di condurre il suono laddove egli predilige.
E’ anche vero che le tematiche spesso corrispondono all’umore dei brani, per cui Hierarkhes, Aristokratia e la notevole Fides, Pietas, Gravitas, Virtus spiccano appunto per la lor solennità, mentre il lato più meditabondo ed introspettivo trova il suo naturale sfogo nello strumentale Devotio – Marco Curzio e nella conclusiva Il Silenzio, che riporta i testi su un piano più filosofico-esistenziale, del tutto in sintonia con l’afflato melodico di una traccia invero magnifica.
Hierarkhes consolida così lo status del nome Solitvdo quale ennesima espressione di una scena black atmosferica che nel nostro paese sta offrendo diversi frutti prelibati.
L’album è disponibile sia in cd (Naturmacht Productions) che in musicassetta (Eremita Produzioni).

Tracklist:
1. Hierarkhes
2. Aristokratia
3. Devotio – Marco Curzio
4. Fides, pietas, gravitas, virtus
5. Il silenzio

Line-up:
DM All instruments, Vocals

SOLITVDO – Facebook

Moon – Render the Veils

Miasmi , vortici, uragani e vertigini possono sostenere a malapena un’isteria immaginifica in cui ottanta minuti vengono sostenuti a malapena.

Dopo la catastrofe rimane solo l’eco impronunciabile del dramma. Miasmyr Moon conferma il suo status, devoto al manifesto intitolato “Caduceus Chalice” firmato nel 2010 in Australia, terra nativa di credenze, rituali e fantasie bizzarre.

“Apparitions ” e “Blood”, in quanto ep, sono stati dei validi tentativi per creare le basi di un pavimento marcio e lercio, aggettivi che suonano bene come chiasmo per definire lo stile unico e riconoscibile !
Non ci sono paragoni che possano competere come esempi e per questo è ancora più godibile l’ascolto che ci riporta in un ossario, probabilmente, dopo un alluvione o uno smottamento. Render the Veils ha lo stesso schema del precedente disco,  unico nel suo genere e nella futura cronologia, ma con un’attenzione maggiore nel suono. A malapena si distingue cosa venga suonato (gli Abruptum nel 90 avevano suoni ben più definiti) e la lontananza sonora crea un effetto cosmico e interstellare riconducibile solo ad un viaggio catartico che l’anima compie al momento del decesso. Miasmi , vortici, uragani e vertigini possono sostenere a malapena un’isteria immaginifica in cui ottanta minuti vengono sostenuti a malapena. E non di certo perché sia mal suonato. Neptune Towers risulta addirittura più ostico, per cui i fan di Moon possono solo essere contenti del nuovo prodotto; i neofiti come me possono invece rimanere sbalorditi con una nuova scia da seguire per strade buie e desolate come pomeriggi soleggiati a 35° all’ombra. Undici tracce compatte, escatologiche e rinunciatarie possono fare da sottofondo per qualsiasi situazione, sembra cinico dire che in solitudine o in compagnia l’effetto è travolgente: non c’è bisogno di alcuna alterazione artificiale per sentire calare la notte o il giorno. Dipende da quale sia l’emisfero (o pianeta) in cui ci troviamo.

TRACKLIST
1. Immolation Euphoria
2. Modraniht
3. Oration as Vessel of the Void
4. Casting the Shadow
5. As Stars Merge with Ice
6. Souls Secreted in Transparent Cells
7. Tunnels of Lost Thoughts
8. Hanged at the Gates
9. Mirror of Black Souls
10. Corrosion Delirium
11. Cold Delusions

LINE-UP
Miasmyr Moon

MOON – Facebook