The Replicate – The Selfish Dream

Questo lavoro merita un minimo di interesse, ma per la prossima volta speriamo in qualche ragguaglio in più per conoscere meglio i protagonisti di cotanto dolore musicale.

Capita spesso che arrivino album di band che probabilmente giocano con il mistero, oppure sono solo composte da sadici musicisti che si divertono a mettere in difficoltà chi cerca di supportarli, anche a costo di perdere pomeriggi interi per trovare anche la più semplice delle informazioni, come per esempio la line up o addirittura la tracklist.

Sembra una stupiggine, ma per chi cerca di fare le cose per benino, dando in pasto ai lettori un articolo il più completo possibile, diventa un’avventura nei meandri del web, soprattutto quando non si trova alcunché neppure sulla pagina Facebook del gruppo alla voce informazioni.
Un peccat,o perché poi ci si trova al cospetto di lavori che meritano un accurato approfondimento come questo ep di quattro tracce opera della band proveniente dalla California ma guidata dal musicista indiano Sandesh Nagaraj, aiutato da un manipolo di colleghi della scena estrema e protagonista di questi dieci minuti di death metal estremo, paranoico e totalmente libero da vincoli, che rispecchia l’attitudine morbosa dei Morbid Angel, avvicinandosi terribilmente agli Obituary del fratelli Tardy, ma riveduto con una personalità ed un impatto sopra le righe.
Sono solo dieci minuti certo, ma l’atmosfera che si respira è soffocante e pregna di pazzia, i brani sono attraversati da una vena che dal death metal passa al doom, tra accelerazioni e rallentamenti in un clima di annichilente tortura mentale.
Cercatevi questo lavoro perché merita un certo di interesse, ma per la prossima volta speriamo in qualche ragguaglio in più per conoscere meglio i protagonisti di cotanto dolore musicale.

TRACKLIST
1.Chainsaw Of God
2.Eugenicide
9.The Saline
4.A Selfish Dream

LINE-UP
Sandesh Nagaraj – Guitar and Bass
Kaitie Sly – Bass on Eugenicide
Ray Rojo – Drums
Morgan Wells – Vocals/Lyrics on Chainsaw Of God
Jordan Nalley – Vocals/Lyrics on Eugenicide
Arun Natrajan – Vocals/Lyrics on The Saline
William Von Arx – Guitar Solo on Chainsaw Of God

THE REPLICATE – Facebook

Mors Principium Est – Embers Of A Dying World

Magniloquente, aggressivo, malinconico, duro come una spada forgiata e poi lasciata raffreddare tra i ghiacci, affascinante ed atmosferico, questo lavoro mette in guardia tutti sulle frecce che ancora ha nel proprio arco il death melodico.

In Finlandia si continua a creare grande musica estrema, meravigliosamente melodica, oscura e misteriosa, perfettamente in grado di soddisfare gli amanti traditi dalle band che in Svezia questo suono l’hanno inventato.

Torna sul mercato un terzo della triade melodic death che tanti ascoltatori ha fatto innamorare in questi anni, forse la più sfortunata visto i continui cambi in line up, ma sicuramente degna di rappresentare al meglio il fronte melodico estremo scandinavo in questo momento, i Mors Principium Est, insieme ad Insomnium ed Omnium Gatherum alfieri del genere nella terra dei mille laghi.
Nata a cavallo tra il secolo scorso ed il nuovo millennio, la band arriva tramite AFM al sesto full length di una carriera segnata come scritto dai continui cambi di line up, che ne hanno minato l’eccellenza in qualche occasiuone ma che, con Embers Of A Dying World torna a risplendere all’insegna di un melodic death metal scandinavo orchestrato a meraviglia.
Magniloquente, aggressivo, malinconico, duro come una spada forgiata e poi lasciata raffreddare tra i ghiacci, affascinante ed atmosferico, questo lavoro mette in guardia tutti sulle frecce che ancora ha nel proprio arco il genere, e conferma il talento compositivo di questi musicisti cresciuti tra il silenzio delle pianure innevate.
Pura magia estrema, un’epicità che non è quella ignorante dei gruppi alla Manowar, ma si nasconde tra le sfumature di una musica che non ha età, tra tappeti di note orchestrate e metallo fiero, estremo e melodico.
Embers Of A Dying World risulta così uno scrigno di musica estrema sublime, in cui le emozioni sono un abisso dove l’ascoltatore viene spinto per cinquanta minuti, ed in caduta libera sopraffatto da solos che entrano nell’anima, armonie tastieristiche che sfiorando la pelle alzano brividi e fanno lacrimare sangue nero mentre, a tratti, rabbia, frustrazione e metallica ribellione si scrollano di dosso emozioni malinconiche per tornare a far male con ripartenze death metal di matrice svedese.
Death Is The Beginning e The Ghost sono i capolavori ed il cuore dell’opera, bellissime tracce che raccolgono ed accentuano tutte le emozioni che vengono regalate tramite un songwriting ispirato, tra voci femminili, stupende ma mai invadenti, orchestrazioni e la regale furia del death metal.
Embers Of A Dying World è un album intenso e bellissimo, arte scandinava come nella migliore tradizione, impossibile farne a meno.

TRACKLIST
1.Genesis
2.Reclaim the Sun
3.Masquerade
4.Into the dark
5.The Drowning
6.Death Is the Beginning
7.The Ghost
8.In Torment
9.Agnus Dei
10.The Colours Of The Cosmos
11.Apprentice Of Death

LINE-UP
Ville Viljanen – Vocals
Andy Gillion – Guitars
Teemu Heinola – Bass
Mikko Sipola – Drums

http://www.facebook.com/MPEofficial

Mechina – As Embers Turn To Dust

La title track posta in chiusura è un outro atmosferica atta a descrive il nulla che segue alla distruzione totale, mentre il dito si avvicina al tasto play per ripetere questa straordinaria sequela di emozioni che ancora una volta i Mechina ci hanno saputo donare

Puntuale con l’inizio del nuovo anno, Joe Tiberi ci porta con sé sull’astronave Mechina, e ci consegna un altro capolavoro di metallo industriale, fantascientifico ed orchestrale.

Ormai non è più una sorpresa, siamo arrivati al settimo album con As Embers Turn To Dust che segue una trilogia di opere straordinarie (Xenon, Acheron e Progenitor) convogliando ancora una volta tutto il meglio del metallo estremo moderno in un unico sound, che dalle orchestrazioni prende la propria forza e dal death la cattiveria ed il senso di terrore profondo che l’ignoto causa nell’essere umano.
Splendidamente attraversato dall’orientaleggiante ed evocativa voce di Mel Rose, molto più protagonista che sul precedente Progenitor, la nuova opera fantascientifica dei Mechina si sviluppa immaginando la morte del pianeta in una terribile sequenza di catastrofi ed attacchi alieni, mentre il genere umano si estingue e tutto brucia in un paesaggio di morte e desolazione.
L’opener Godspeed Vanguards segue il sound di Progenitor, la voce pulita riempie di impulsi new wave la musica di Tiberi, ma l’entrata in scena della Rose a duettare con il growl di Holch torna a far scorrere brividi di gelido terrore con Creation Level Event e, soprattutto, con la magnifica Impact Proxy.
Le orchestrazioni tornano a dominare la scena come sul mastodontico Acheron, una fantastica e magniloquente colonna sonora di un disfacimento, una biblica punizione a cui il pianeta non può sottrarsi.
Da una supernova arrivano le note pianistiche di Aetherion Rain, che col tempo si trasforma nella sublime The Synesthesia Signal, alimentata dalla stupenda interpretazione della Rose e dai tasti d’avorio che, in sottofondo, continuano a mandare nello spazio note, ultimi esempi di un mondo annientato dalle nefaste conseguenze espresse dalla violentissima Unearthing The Daedal.
Joe Tiberi conferma di essere al sound del precedente album con la devastante The Tellurian Pathos, mentre le tastiere si riprendono la scena nella galassia martoriata con le armonie di Thus Always To Tyrants.
La title track posta in chiusura è un outro atmosferica atta a descrive il nulla che segue alla distruzione totale, mentre il dito si avvicina al tasto play per ripetere questa straordinaria sequela di emozioni che ancora una volta i Mechina ci hanno saputo donare, in un genere che di per se è freddo come lo spazio profondo.
Pensavo fossero umani, invece niente, anche il 2017 lo chiudiamo in anticipo, almeno per quanto riguarda il sound proposto dal gruppo americano … ennesimo capolavoro.

TRACKLIST
01. Godspeed, Vanguards
02. Creation Level Event
03. Impact Proxy
04. Aetherion Rain
05. The Synesthesia Signal
06. Unearthing the Daedalian Ancient
07. The Tellurian Pathos
08. Thus Always to Tyrants
09. Division Through Distance
10. As Embers Turn to Dust

LINE-UP
Mel Rose – Vocals
David Holch – Vocals
Joe Tiberi – Guitars, Programming

MECHINA – Facebook

Krepitus – Eyes of the Soulless

Eyes of the Soulless è classico il disco che ti dà la giusta carica al risveglio e spazza via le tensioni e le frustrazioni al termine di una giornata di lavoro: una terapia di rara efficacia e priva di effetti collaterali.

Subito un full length di assoluto valore per i canadesi Krepitus, i quali danno seguito al demo fatto uscire nel 2014.

La band proveniente dall’olimpica Calgary riesce nel non facile intento di dare alla luce un lavoro a tratti entusiasmante, pur andando ad attingere dall’inesauribile pozzo rappresentato dal metal estremo di matrice novantiana: un’ideale sintesi del sound contenuto in Eyes of the Soulless potrebbe citare i Carcass, con un minore carico morboso ed una maggiore propensione al thrash e al death melodico, oppure i migliori Iced Earth lanciati verso sonorità più estreme: da questo notevole ed ipotetico incontro di stili scaturisce un album capace di smuovere anche le membra più inerti, in virtù di reiterate cavalcate che partono da The Decree of Theodoseus ed arrivano fino all’ultima nota di My Desdemona senza perdersi in fronzoli, ricami o attimi meditabondi. La voce di Teran Wyer è un ringhio di rara efficacia che neppure per un attimo lascia spazio a tonalità pulire mentre il resto della band rovescia la sua incalzante gragnuola di colpi ricca di groove ed impreziosita con regolarità da magnifici assoli di matrice heavy.
Difficile estrapolare i brani migliori da questa tempesta perfetta: obbligato a scegliere mi prendo Exile e Eyes of the Soulless, dove i Krepitus riversano ancor più un gusto melodico a tratti sorprendente per qualità.
Non fatico ad immaginare quale possa essere la resa sonora dal vivo del quartetto canadese con un sound ed un approccio di questo tipo, peccato solo che le probabilità di vederli dalle nostre parti non siano molte (ma non si sa mai).
Eyes of the Soulless è classico il disco che ti dà la giusta carica al risveglio e spazza via le tensioni e le frustrazioni al termine di una giornata di lavoro: una terapia di rara efficacia e priva di effetti collaterali, se non gli inevitabili rischi per le vertebre cervicali, causa headbanging ininterrotto.

Tracklist:
1.The Decree of Theodoseus
2.Apex Predator
3.Exile
4.Sharpen the Blade
5.Eyes of the Soulless
6.Desolate Isolation
7.Erroneous
8.My Desdemona

Line up:
Curtis Beardy – Bass
Teran Wyer – Guitars/Vocals
Harley “Rage” D’orazio – Drums
Matt Van Wezel – Guitars

KREPITUS – Facebook

Symmetric Organ – States Of Decay

Il death metal del gruppo di Dortmund è più di quanto essenziale e violento si possa trovare in giro, per un sound ai nostri giorni neanche troppo scontato, in anni di orchestrazioni e soluzioni progressive.

Old school death metal, brutale e senza compromessi, dall’immagine di copertina che lo fa annoverare nell’ala politico/sociale del metal estremo, capitanata dagli storici Napalm Death, ispiratori dei Symmetric Organ molto più a livello concettuale che di sound.

Il quartetto tedesco è al debutto discografico con questo ottimo lavoro che alterna death metal old school e devastanti accelerazioni grindcore, un manifesto di musica estrema ben congegnata ed appagante, sia a livello esecutivo (la sezione ritmica è un portento) che per il sound, valorizzato da momenti in cui la forma canzone è protagonista tra le bordate death/grind.
Il death metal del gruppo di Dortmund è più di quanto essenziale e violento si possa trovare in giro, per un sound ai nostri giorni neanche troppo scontato, in anni di orchestrazioni e soluzioni progressive, oscuro e senza speranza, brutale nello stigmatizzare le storture dell’umanità contemporanea.
Napalm Death, Terrorizer (con tutti i gruppi impegnati nella denuncia di una società da anni marcia ed ormai putrefatta), Obituary, Monstrosity e Dying Fetus in particolare, sono le band che più si avvicinano a livello di sound alla morbosa e viscerale proposta del gruppo.
Un sound che nasce negli anni novanta e che, parzialmente sopito, si risveglia in questi drammatici tempi a colpi delle efferate States Of Decay, Palace Revolution, P.R.O.G.R.E.S.S. e Maximum Apocalypse.
Album durissimo e bellissimo, ideale per i deathsters duri e puri.

TRACKLIST
1.Truth Be Told
2.Swarm Stupidity
3.States of Decay
4.Palace Revolution
5.Reboot
6.Basics in Brutality
7.P.R.O.G.R.E.S.S.
8.We Are the End
9.Maximum Apocalypse
10.Blessed Be the Blind

LINE-UP
Philip – Bass, Vocals
Andreas – Drums
Ivar – Guitars
Karsten – Guitars

SYMMETRIC ORGAN – Facebook

Zombieslut – Massive Lethal Flesh Recovery

Non male nel suo insieme, grazie a brani come Return Of The Zombie, Lycantrophic Funeral, bordate estreme di grande impatto, e ai rallentamenti ben inseriti nel vortice di suoni estremi, Massive Lethal Flesh Recovery mostra un sound vario quel tanto che basta per non risultare monotono

Death metal feroce violento e devastante come un’apocalisse zombie.

Parliamo del mini album dei tedeschi Zombieslut, band old school death metal con chiare ispirazioni brutal di matrice statunitense e concept che, dal primo full length Braineater, passando per il precedente Undead Commando, esplora il mondo macabro, cannibale e putrido dei non morti.
Il gruppo, in attesa di pubblicare il nuovo lavoro sulla lunga distanza, regala offre agli apapssionati questo ep di sei brani, di cui un paio inedite, mentre il resto sono tracce ri-registrate appartenenti all’album d’esordio.
Massive Lethal Flesh Recovery, come da tradizione del gruppo tedesco ci invita in un mondo dominato dagli zombie, quindi scene di cannibalismo, sventramenti ed efferata violenza sono supportate dal sound senza compromessi della band: blast beat e velocità al limite, mid tempo potentissimi ed un growl di stampo brutal, perfetto per raccontare la mattanza perpetuata dai famelici zombie.
Non male nel suo insieme, grazie a brani come Return Of The Zombie, Lycantrophic Funeral, bordate estreme di grande impatto, e ai rallentamenti ben inseriti nel vortice di suoni estremi, Massive Lethal Flesh Recovery mostra un sound vario quel tanto che basta per non risultare monotono, e l’ascolto se ne giova.
Se non conoscete i Zombieslut e amate il death metal old school più brutale, Massive Lethal Flesh Recovery potrebbe essere l’ascolto ideale per approcciarne le sonorità, in attesa di un prossimo full length.

TRACKLIST
1. Return of the Zombie
2. Lycantrophic Funeral
3. Lord of Eternal Pain
4. Braineater
5.Theater of Beautiful Deaths
6. Victims of the Lie

LINE-UP
Frank von Boldt – Guitar,Vocals
Joe Azazel – Guitar
Hamdi Avci – Drums
Mojo Kallus – Bass

ZOMBIESLUT – Facebook

Perfidious – Malevolent Martyrdom

Un lavoro imperdibile per gli amanti dei gruppi che fecero la storia del death aldilà dell’oceano negli anni novanta.

Attivi dal 2014 con questo monicker e divisi tra Novara e Milano arrivano al debutto sulla lunga distanza i nostrani Perfidious, creatura estrema che del death metal old school di matrice statunitense distilla perle di maligna distruzione.

Dal concept misantropo e fortemente anticristiano, il gruppo non lascia trasparire un raggio di luce dal suo sound;
accompagnato da una copertina grigia e che rappresenta molto bene il fallimento del cristianesimo, con il Golgotha, unica collina rimasta in piedi dopo la devastazione che l’uomo ha perpetrato per millenni sotto l’influsso del male, Malevolent Martyrdom risulta un’opera vecchia maniera, senza tanti indugi la band tira dritta al sodo, ed il sound esce urgente, estremo e devastante come deve essere un lavoro di death metal classico.
Negli anni novanta il re dei generi estremi era diviso tra i colpi inferti dai gruppi dell’epoca nella calda Bay Area e la furia dei più melodici colleghi scandinavi: i Perfidious seguono con cura maniacale i sentieri che portano al male tracciati dai gruppi statunitensi e l’ album convince non soffrendo assolutamente in personalità.
I Belong To Sickness esplode dopo l’intro e i Perfidious si dimostrano subito maestri nelle ritmiche serrate, mentre senza cedimenti il muro sonoro continua a sfondare teste in headbanging sfrenati, sotto le macerie che rimangono al passaggio delle distruttive e maligne Human Conceit e Preachers of Hypocrisy.
Il growl demoniaco e brutale non fa prigionieri e si arriva alla notevole Perfidious, traccia che mette in evidenza la bravura di una sezione ritmica pesante e distruttiva, ma che sa essere spettacolare nei cambi repentini di ritmo, tra ripartenze e cavalcate in blast beat.
Nell’underground più oscuro, dove le realtà estreme crescono nell’ombra, un altro gruppo si accinge a conquistare i deathsters dai gusti old school: un lavoro imperdibile per gli amanti dei gruppi che fecero la storia del death aldilà dell’oceano negli anni novanta.

TRACKLIST
1.Infected by Malignancy (Intro)
2.I Belong to Sickness
3.Human Conceit
4.Ancient Voices of the Past
5.Preachers of Hypocrisy
6.Breath of Beast
7.Realm of the Moribunds
8.Trapped by Insanity
9.Perfidious
10.I Kill You (Outro)

LINE-UP
Vanny Hate – Drums
Dydacus – Vocals
Michele – Bass
Andrea – Guitar

PERFIDIOUS – Facebook

Henry Kane – Den Förstörda Människans Rike

L’album nel suo insieme è un riuscito tentativo di far convivere il grind ed il death metal scandinavo, con l’aiutino di qualche spunto hardcore.

Una bomba sonora devastante, un inferno sulla terra dove la colonna sonora non può che essere death metal scandinavo con dosi massicce di grind/crust.

Henry Kane, alias Jonny Pettersson, vocalist di Ashcloud, Just Before Dawn e Wombbath, qui in veste di polistrumentista, non lascia scampo e ci investe con un devastante death/grind senza compromessi, dove la provenienza scandinava si sente eccome, ma viene messa in ombra da una malsana voglia distruttiva; il tutto viene licenziato dalla Transcending Obscurity, con la quale Pettersson ha firmato col sangue delle sue vittime il contratto che permette di portare alla luce questo pezzo di inferno in musica.
Bruciano l’atmosfera e gli strumenti in Den Förstörda Människans Rike, titolo e testi in lingua madre ed una raccolta di brani che non superano i due minuti di durata, a parte l’apocalittica title track e Det Var Inte Ditt Fel, un massacro tra demoni, un esempio di male in musica che ridicolizza molti gruppi black metal.
L’album nel suo insieme è un riuscito tentativo (almeno nelle intenzioni alquanto bellicose) di far convivere il grind ed il death metal scandinavo, con l’aiutino di qualche spunto hardcore, dunque vi lascio immaginare quanta violenza sprigioni il sound proposto da Henry Kane.
Un album estremo come pochi, difficile da digerire se non si è amanti dei generi descritti, ma che con un po’ attenzione rivela più di una brillante intuizione sicuramente da sviluppare in futuro.

TRACKLIST
1.En själ till salu
2.Svarta tankar
3.Skuld och begär 01:42
4.En grav av ångest
5.Är din botten nådd
6.Dragen i skiten
7.En längtan
8.Den förstörda människans rike
9.Flaskan var din sista vän
10.Bön för bön
11.Kära bror
12.Bara hat
13.Lögnens svarta ögon
14.Det var inte ditt fel
15.Vinst eller fölust

LINE-UP
Jonny Pettersson – All instruments

HENRY KANE – Facebook

Kratornas – Devoured By Damnation

Devoured By Damnation si rivela un’apprezzabile prova di death genuino e virulento quanto basta per riuscire a catturare la giusta dose di attenzione.

I Kratornas distruggono i timpani dei malcapitati ascoltatori da oltre un ventennio, ma il primo organico parto su lunga distanza risale al 2007, quando la band aveva le proprie basi ancora nelle natie Filippine.

Devoured By Damnation è il terzo della serie ed è il primo composto in terra canadese, luogo dove Zachariah si è stabilito nel nuovo decennio; ingaggiato il batterista GB Guzzarin (canadese nonostante il nickname possa richiamare alla memoria quello di un un oste trevigiano …), il vocalist e chitarrista scaglia sul pubblico quest’incandescente meteorite che, sebbene veda i Kratornas accreditati di un sound grind/black, è in realta fortemente debitore del più furioso death novantiano di matrice statunitense.
Ma i paragoni, specialmente in un genere dove spesso le differenze sono costituite da sfumature infinitesimali per chi non ne è un fruitore abituale, sono del tutto superflui: ciò che conta è la distruttiva e genuina urgenza che trova sfogo in un album composto, registrato e pubblicato su un suolo sicuramente più ricettivo ed accogliente per il metal estremo.
Nonostante il suo retaggio sia riconducibile ad un epoca lontana, il sound dei Kratornas si appropria in maniera più che lecita di certe sonorità, semmai ci fosse bisogno di puntualizzarlo, stante il suo status di band già attiva nel bel mezzo degli anni novanta: la freschezza e la virulenza non risentono dell’anagrafe, e Devoured By Damnation si rivela così un’apprezzabile prova di death genuino e virulento quanto basta per riuscire a catturare la giusta dose di attenzione.

Tracklist:
1. Spit On God
2. Dead Burning Christ
3. Archangels of Destruction
4. Deluge – After Massacre
5. Blood of The Devil
6. Evil Is Reborn
7. Devoured By Damnation
8. Cadavers of Gods
9. Huios Diabolus
10. World Within Demons

Line up:
Zachariah – guitars
Guzzarin – drums

KRATORNAS – Facebook

The Ritual Aura – Tæther

Tæther va seguito in tutto il suo percorso anche perché i brani sono uniti tra loro da un filo sottilissimo, come i capitoli di un film fantascientifico e spettacolare.

Era il 2015 quando sulle pagine virtuali di Iyezine comparve nella sezione metal la recensione del primo full length di questo fenomenale gruppo australiano.

Laniakea seguiva a ruota i due singoli di questa nuova band, The Ritual Aura, nata dalle ceneri degli Obscenium e freschi di firma per la Lacerated Enemy Records.
Il primo lavoro strappò i complimenti del sottoscritto, immancabili dopo aver ascoltato il metal estremo suonato dalla band, un brutale esempio di death metal tecnico e progressivo che seguiva la strada tracciata a suo tempo dai Cynic.
I The Ritual Aura tornano dopo un anno a sconvolgere le certezze musicali di non pochi detrattori del metal con un mastodontico album dal titolo Tæther, più di un’ora tra brutal death metal, progressive e svariate forme musicali (dalla fusion, al jazz) momenti di musica destabilizzante e spettacolari fughe metalliche tra blast beat ed infuocati manici delle sei corde strapazzate e torturate, e solo a tratti fatte riposare, per lasciare a synth e tasti d’avorio il compito di portare l’ascoltatore in un mondo parallelo, dove il confine tra i generi è abbattuto a colpi di musica globale.
La band di Perth se ne esce dunque con un album di straordinaria musica estrema, dove il classico technical death metal viene nobilitato da un songwriting eccellente ed una predisposizione naturale per il progressive rock, che stupisce e nobilita un’opera che come il primo album è colma di atmosfere sci-fi, ma si allontana dal sound dei Cynic per abbracciare un più ampio specchio di generi ed ispirazione.
Quando Levi Dale e soci decidono di brutalizzare l’atmosfera, i brani sono furiose e violente cavalcate estreme, per passare poi a passaggi elaborati ed un attimo dopo sconvolgere l’andamento del brano con combinazioni di musica totale in un turbinio di note progressive.
Tæther va seguito in tutto il suo percorso, anche perché i brani sono uniti tra loro da un filo sottilissimo, come i capitoli di un film fantascientifico e spettacolare e quindi richiede il tempo necessario per seguire gli sviluppi musicali di questi signori degli strumenti in arrivo dalla terra dei canguri.
Ogni nota è dove deve stare, ogni passaggio risulta una sorpresa e stupisce, folgora, annichilisce … se siete amanti del genere dovete ascoltare la musica dei The Ritual Aura, assolutamente.

TRACKLIST
1. Tæthered Betwixt / Hearthless
2. Ghostgate
3. Until Absence Confides Eternal
4. Te-no-me
5. Hitodama / Like Fiery Lanterns
6. I Am No Longer I?
7. (i) That I May Cease to Be
8. Mononoke • 一 • A Grievous Betrayal
9. Mononoke • 二 • On Wax Wings Ablaze
10. Mononoke • 三 • The Burden of Worlds
11. Mononoke • 四 • Dirge of Impermanence
12. Kage no Yamai / Shadow-Sickness
13. Kitsune / The Fox Fires
14. (ii) Earth Their Bones Left Hallowed
15. In Our Hearts
16. Yūrei no Umi / A Sea of Ghosts
17. A Farewell to Being

LINE-UP
Darren Joy – Bass
Adam Giangiordano – Drums
Levi Dale – Guitars
Matthew Gedling – Guitars
Jamie Kay – Vocals

THE RITUAL AURA – Facebook

Teramobil – Magnitude Of Thoughts

Una cascata arrembante di note su note, a tratti progressive o vicine al death, molte a sezionare rock per riproporlo in maniera dissonante, sempre con la velocità esecutiva che non scende praticamente mai dai limiti consentiti, ed una voglia di stupire che è pregio e difetto del gruppo canadese.

Difficile, quasi impossibile seguire gli intrecci musicali di questo trio canadese se non si è amanti del metal estremo ipertecnico e strumentale.

Già, perché i Teramobil suonano un metal estremo che definire death risulta superficiale, il loro sound a tratti destabilizzante vive di decine di varianti, di cui le più ordinarie sono quelle progressive, shred, rock, hard rock e groove, passando da sfumature moderne e jazzy ad altre, come nella title track che si avvicina al periodo settantiano, con tanto di organo sopra un tappeto di suoni tra i più disparati.
La band nasce nel 2010 e tre anni dopo licenzia l’esordio in formato ep (Multispectral Supercontinuum), ancora altri tre anni passano prima che Magnitude Of Thoughs arrivi negli stereo degli appassionati e, credetemi, per certi versi, questo lavoro è quanto di più estremo si possa trovare in circolazione.
Tale termine si usa non solo per descrivere la violenza tout court, ma pure per un modo di porsi fuori dagli schemi ed assolutamente per pochi: e di estremo in questo lavoro, partendo dall’opener Terahertz, non manca nulla: una cascata arrembante di note su note, a tratti progressive o vicine al death, molte a sezionare rock per riproporlo in maniera dissonante, sempre con la velocità esecutiva che non scende praticamente mai dai limiti consentiti, ed una voglia di stupire che è pregio e difetto del gruppo canadese.
A tratti, infatti, manca la forma canzone e per chi si pone in maniera superficiale all’ascolto molti passaggi rasentano la cacofonia, anche se per molti sarà follia compositiva alla John Zorn, tanto per fare un esempio su chi più deve aver influenzato i Teramobil.
Certo è che Mathieu Bérubé (chitarra), Dominic”Forest”Lapointe (basso) e Alexandre Dupras (batteria) sanno il fatto loro e viaggiano sullo spartito con una facilità di esecuzione straordinaria.
Album dal difficile ascolto se non si è amanti del metal estremo tecnico e strumentale.

TRACKLIST
1.Terahertz
2.Magnitude Of Thoughts
3.Thanatonaut
4.Deconstruct Metabolism
5.Synchrotron
6.Exoteric
7.The Armada

LINE-UP
Mathieu Bérubé – Guitar
Dominic”Forest”Lapointe – Bass
Alexandre Dupras – Drums

TERAMOBIL – Facebook

Morta Skuld – Wounds Deeper Than Time

La devastante e morbosa atmosfera di malignità e potenza, l’assoluta forza di questa raccolta di tracce, old school nell’animo ma fresche nel songwriting, non fanno che confermare la nomea dei Morta Skuld

Sembra davvero di essere tornati ai primi anni novanta, con una band storica come i Morta Skuld ed una label leggendaria come la Peaceville di nuovo insieme per regalarci ancora grande death metal old school.

Attiva dal 1990, la band proveniente dal Wisconsin fu molto attiva negli anni d’oro del death metal e, tra il 1993 (anno di uscita del primo full length Dying Remains) ed il 1997, furono quattro gli album di una carriera brillante, almeno nella scena estrema dell’epoca.
Poi, dopo l’uscita di Surface, il lungo silenzio durato quasi vent’anni ed interrotto dall’ep Serving Two Masters del 2014, antipasto di questo nuovo album che arriva come un treno in corsa ed impatta contro i crani dei deathsters mondiali.
Wounds Deeper Than Time è stato registrato ai Mercenary Studios da Scott Creekmore (Putrid Pile, Broken Hope, No Zodiac, Waco Jesus, Bloodline, Lividity), mentre la produzione è farina del sacco del gruppo di David Gregor chitarrista, cantante nonché fondatore dei Morta Skuld, oggi assieme aa Scott Willecke (chitarra), AJ Lewandowski (basso) ed Eric House (batteria).
Morta Skuld e Peaceville risultarono all’epoca una coppia vincente e il nuovo album, a distanza di così tanti anni, conferma questa brillante collaborazione.
Wounds Deeper Than Time è un album death metal come lo si faceva negli States negli anni novanta, ma con una verve ed un impatto che lo inseriscono senza problemi nella musica estrema di questo nuovo millennio.
La devastante e morbosa atmosfera di malignità e potenza, l’assoluta forza di questa raccolta di tracce, old school nell’animo ma fresche nel songwriting, non fanno che confermare la nomea dei Morta Skuld e del loro sound che, se non cambia di una virgola rispetto alle storiche opere, insegna death metal alle nuove generazioni.
Soffocante, potente e oscuro, il sound di brani come Breathe In The Black, Against The Origin e la title track fa parte della storia del metal estremo, seguendo i passi di Morbid Angel, Obituary e della splendida scena di quei gloriosi anni.

TRACKLIST
1.Breathe in the Black
2.Hating Life
3.My Weakness
4.Against the Origin
5.In Judgment
6.Wounds Deeper than Time
7.Scars Within
8.Devour the Chaos
9.Becoming One Flesh

LINE-UP
Scott Willecke – Guitars
Dave Gregor – Guitars, Vocals
Eric House – Drums
AJ – Bass

MORTA SKULD – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=aBsvNAs6ai4

Cremation – Retaliation

Per gli amanti del death metal che vogliano riscoprire piccoli gioielli dimenticati nel tempo, Retaliation risulta un lavoro di assoluto interesse, peccato solo per il fatto che quel lavoro resta l’ultima testimonianza dei Cremation.

In questi anni in cui le uscite quotidiane in ambito metallico sono pari alla quantità di persone che alle sette del mattino si riversano nelle strade per andare al lavoro, un’iniziativa come quella della Vic Records, cioè ristampare i lavori di quei gruppi che negli anni storici del metal estremo non trovarono grossa fortuna, sembrerebbe avventata, eppure per chi ama il death metal, la label olandese sta rispolverando degli autentici gioiellini come questo bellissimo primo ed unico album dei deathsters Cremation.

Il gruppo olandese si formò nel 1993 e per tutto il decennio sfornò opere minori in formato demo e split fino al 2002, anno in cui uscì Retaliation, un ottimo esempio di death metal tra tradizione europea e statunitense, impreziosito da una tecnica sopraffina, un esaltante lavoro ritmico e, scusate se è poco, ottime canzoni.
Nella nuova riedizione troviamo, oltre all’album, delle bonus track prese dai primi demo del gruppo ,quindi un lavoro completo e perfetto per fare una buona conoscenza del quartetto di Utrecht.
Capitanati da Paul Baayens, chitarrista e cantante con un passato in gruppi cardine della scena di quegli anni (Asphyx, Hail of Bullets, Thanatos) i Cremation con questo primo album uscito quasi dieci anni dopo la loro nascita si rifecero del tempo perduto: il lotto di brani raccolti in Retaliation non lascia scampo con un sound che ai Death si ispirava tecnicamente, ma non mancava di rimarcare la loro appartenenza alla scuola europea di quel periodo.
Retaliation risulta così un ottimo album, un macigno di oscuro death metal old school suonato benissimo ed ispirato in fase di songwriting; i brani vomitati dalle casse travolgono l’ascoltatore senza soluzione di continuità, un massacro che mantiene in evidenza l’ottima tecnica dei musicisti coinvolti.
Per gli amanti del death metal che vogliano riscoprire piccoli gioielli dimenticati nel tempo, Retaliation è un lavoro di assoluto interesse, peccato solo per il fatto che quel lavoro resta l’ultima testimonianza dei Cremation.

TRACKLIST
1.Vanished into Oblivion
2.The Void
3.Sempiternal Hatred
4.Intangible Malignancy
5.Veil of Secrecies
6.Futile Existence
7.Stain of Purity
8.The Prohibition of Light
9.Deceptive Felicity
10.Beyond the Edge of Insanity
11.Suffer in Obedience
12.Waiting for the Sun
13.Unjustified Judgements
14.Echeos of Mayhem
15.Valediction
16.Deceptive Felicity
17.Futile Existence

LINE-UP
Paul Baayens – Vocals, Guitars
Joost de Boer – Guitars
Michiel Stoop – Bass
Benito ‘Bono’ Grotenberg – Drums

Daemoniac – Spawn Of The Fallen

Fresco, estremo, cattivo e brutale, Spawn Of The Fallen è un’opera vecchia scuola con tutti i crismi per entrare nei cuori dei deathsters dai gusti classici.

Qui si fa death metal old school di matrice scandinava e lo si fa alla grandissima!

Licenziato dalla Xtreem Music, una potenza nell’underground estremo, arriva come un tornado a scoperchiare tombe in un cimitero il primo full length dei Daemoniac, trio milanese composto da vecchie conoscenze della scena estrema come Max (basso e voce, ex Horrid) e Dave (già con i Funest alle pelli), più il giovane chitarrista Nicko proveniente dagli Ekpyrosis.
Registrato in Svezia da Tomas Skogsberg negli storici Sunlight, Spawn Of The Fallen conferma l’ottimo momento per il death metal old school, con un gruppo italiano a spezzare schiene con una serie di brani violentissimi, dal songwriting di altissimo livello ed una predisposizione per il genere di un’altra categoria.
L’odore di morte proveniente dai cadaveri saltati fuori dai loculi è intenso e sembra arrivare davvero dalla terra scandinava dei primi anni novanta, le ritmiche forsennate attraversate da cambi repentini di tempo mantengono potenza e cattiveria, con il batterista che illumina la scena con un drumming da apocalisse zombie.
Il sound risulta fresco e la band ha personalità da vendere, mentre il growl di Max si avvicina terribilmente al brutal, e la valanga di riff che la sei corde di Nicko ci vomita addosso parla perfettamente la lingua musicale di primi Entombed, Dismember e Grave.
Il trio lombardo è una macchina da guerra estrema: senza nessuna concessione a facili melodie, Spawn Of The Fallen è composto da otto brani mediamente lunghi, e la bravura del gruppo sta anche nel non risultare prolisso, mantenendo un perfetto equilibrio nella la propria devastante proposta.
Fresco, estremo, cattivo e brutale, Spawn Of The Fallen è un’opera vecchia scuola con tutti i crismi per entrare nei cuori dei deathsters dai gusti classici.

TRACKLIST
01. Intro/Macabre Eucharist
02. Regurgitated From Hell
03. From Depths Of Hideous Chasms
04. Spawn Of The Fallen
05. Intro/Procreation Of Hatred
06. Cursed Hecatomb
07. Upon Golgotha
08. Cremation (Macrodex Cover)

LINE-UP
Max – voce, basso
Nicko – chitarra
Dave – batteria

DAEMONIAC – Facebook

Demonic Resurrection – Dashavatar

I Demonic Resurrection non sono solo una delle migliori band provenienti dal continente asiatico, ma possono tranquillamente posizionarsi vicino alle più blasonate realtà occidentali.

In campo estremo, il nuovo lavoro della storica band indiana Demonic Resurrection rischia di diventare uno dei migliori album di questo 2017 appena iniziato.

Il gruppo di Mumbai ha creato un’opera estrema completa ed ambiziosa, un concept sui dieci avatar di Vishnu, dio della conservazione secondo la mitologia Indù, raccontati in ognuna delle dieci tracce che compongono Dashavatar.
Che i Demonic Resurrection non fossero un gruppo come tanti lo si era già capito dopo il precedente lavoro, The Demon King, album che aveva letteralmente folgorato il sottoscritto, grazie al loro death metal sinfonico che sfociava nel mare in tempesta del black metal capitanato dai norvegesi Dimmu Borgir.
Un gruppo capace di cambiare pelle da un album all’altro, rimanendo nei confini della musica estrema già dai primi lavori (il primo lavoro Demonstealer è targato 2000, mentre il successore A Darkness Descends uscì cinque anni dopo).
Ancora The Return To Darkness del 2010 ed appunto The Demon King confermarono il valore di questa splendida e devastante realtà asiatica che, con questo nuovo album, va oltre le più rosee aspettative, non solo per l’ambizioso concept ma per un songwriting che aggiunge al death/black sinfonico spettacolari ed intuitive parti progressive, in un tempestoso sound valorizzato dal voci pulite, interventi di muse dalla voce ipnotica , l’uso di strumenti e sfumature tradizionali e, come gli uragani che nella stagione delle piogge si abbattono sul loro paese, sfuriate di metal estremo spettacolare.
Accompagnato da una bellissima copertina raffigurante la divinità e le sue dieci diversificazioni, Dashavatar esplode in tutta la sua magniloquenza già dall’opener Matsya-The Fish, per poi non scendere più sotto l’eccellenza con una serie di piccole opere dove atmosfere prog, sfumature folk e magnifiche orchestrazioni si fondono in un sound unico (Kurma-The Tortoise), con la sensazione da parte di chi ascolta di essere al cospetto non solo di una bellissima opera estrema ma soprattutto di pura arte pregna di magia.
Vamana-The Dwarf, Rama-The Prince, l’ipnotizzante Buddha-The Teacher sono i brani che hanno maggiormente colpito l’anima del sottoscritto, ma sono sicuro che al prossimo ascolto saranno altri quelli che illumineranno la stanza, mentre Vishnu ed i suoi avatar sono magnificati dalla musica di questo straordinario gruppo asiatico.
Lo avevamo scritto in precedenza e lo ribadiamo, i Demonic Resurrection non sono solo una delle migliori band provenienti dal continente asiatico, ma possono tranquillamente posizionarsi vicino alle più blasonate realtà occidentali.

TRACKLIST
1.Matsya – The Fish
2.Kurma – The Tortoise
3.Varaha – The Boar
4.Vamana – The Dwarf
5.Narasimha – The Man-Lion
6.Parashurama – The Axe Wielder
7.Rama – The Prince
8.Krishna – The Cowherd
9.Buddha – The Teacher
10.Kalki – The Destroyer of Filth

LINE-UP
Demonstealer – Vocals, Guitars & Keys
Nishith Hegde – Lead Guitars
Ashwin Shriyan – Bass
Virendra Kaith – Drums

DEMONIC RESURRECTION – Facebook

Ekpyrosis – Asphyxiating Devotion

Gli Ekpyrosis sono un gruppo incredibile, hanno un suono ed una sicurezza che li fa sembrare posseduti, ma fortunatamente no, sono solo dei ragazzi con voglia e gran cultura metal che hanno sfornato un capolavoro.

Ad un certo punto arrivano dei ragazzini e pubblicano uno dei migliori dischi di death metal degli ultimi cinque anni più o meno.

Questo debutto vi lascerà senza fiato, perché se chiudete gli occhi, magari non per sempre, vi troverete a cavalcare nel death americano anni novanta, ma anche meglio. Asphyxiating Devotion è un continuum di death metal marcio e cattivo, suonato con potenza e freschezza che non deriva solo dalla giovane età ma soprattutto dalla precisione della visione musicale degli Ekpyrosis. Provenienti dalla Brianza, questi ragazzi annullano con un disco solo molti nomi ben più celebri ed idolatrati: ascoltandolo si viene folgorati dal loro suono, ed è una scintilla come quando ascoltavate certi dischi death che ti scavavano dentro, perché il death migliore genera un sentire difficilmente descrivibile a chi non ami il genere. Gli Ekpyrosis sono un gruppo incredibile, hanno un suono ed una sicurezza che li fa sembrare posseduti, ma fortunatamente no, sono dei ragazzi con voglia e gran cultura metal che hanno sfornato un capolavoro. La particolarità del disco è quella di avere un groove notevole, e tutte le tracce filano perfettamente. Avrei voluto vedere le facce alla Memento Mori quando hanno ascoltato il demo degli Ekpyrosis, perché si sono ritrovati tra le mani un gruppo eccezionale. E’ una gioia immensa ascoltare dei giovani fare un death così bello e potente, perché ovviamente hanno un grandissimo futuro davanti. Personalmente il disco l’ho conosciuto attraverso dei blog metal in rete, dove aveva creato un certo fermento con commenti entusiastici. Me ne sono interessato, poiché nell’underground in rete, quando alcune persone davvero competenti ne parlano, difficilmente sbagliano ed infatti… Ossa che saltano, gente che vola all’inferno.

TRACKLIST
1.Profound Death
2.Obsessive Christendom
3.God Grotesque
4.Immolate the Denied
5.Incarnation of Morbidity
6.Morticians of God
7.Depths of Tribulation
8.Blasphemous Doom
9.Unearthly Blindness

LINE-UP
Marco Teodoro – Vocals, Guitar
Nicolò Brambilla – Vocals, Guitar
Ilaria Casiraghi – Drums
Marco Cazzaniga – Bass

EKPYROSIS – Facebook

Gurthang – Shattered Echoes

Shattered Echoes si rivela un album in grado di soddisfare ampiamente chi già apprezza le sonorità espresse dalla fertile scena estrema polacca.

I polacchi Gurthang, nonostante si siano formati all’inizio del decennio, hanno all’attivo più di venti uscite disseminate tra singoli, ep, split compilation e full length.

Di questi ultimi, Shattered Echoes è il quarto della serie, e ci presenta una band di buono spessore e sicuramente capace di maneggiare con competenza il genere proposto.
Il black doom del gruppo di Lublino è piuttosto tetragono nel suo incedere, affidando ad avvolgenti parti rallentate le variazioni su un tema scritto buttando sovente un occhio ai Behemoth, ma badando appunto ad inserire una componente doom con l’intento di rompere in parte il canovaccio consueto.
Un parziale elemento di discontinuità sono anche le clean vocals, non sempre a fuoco ma sufficientemente funzionali, e il tutto va così a comporre un quadro convincente, pur senza far sobbalzare sulla sedia chi ascolta.
Alla fine i brani migliori sono quelli che mantengono un’aura minacciosa senza premere eccessivamente sull’acceleratore, il cui emblema è la notevole accoppiata centrale My Salvation / Departed: in particolare la prima delle due si rivela il fulcro dell’album grazie al suo andamento relativamente catchy, che ne rende ben memorizzabili i passaggi salienti.
Per il resto i Gurthang svolgono al meglio il loro compito, grazie a un lavoro d’insieme pregevole che si attesta su un livello medio per quanto concerne il resto della tracklist.
Shattered Echoes si rivela, così, un album in grado di soddisfare ampiamente chi già apprezza le sonorità espresse dalla fertile scena estrema polacca.

Tracklist:
1.Closure
2.Denial
3.Advance the Disease
4.Paragon of Virtue
5.My Salvation
6.Departed
7.Inheritance – The Distress
8.Rebirth
9.Ignite
10.Pylon of Blaze
11.Inheritance II: Red Mourning

Line up:
A.Z.V. – throat, whispers, clean & distorted guitars, all music, lyrics
Stormalv – bass guitars
G.H. – ambience, effects
Vojfrost – keys, effects
Turenn – drums, percussion

GURTHANG – Facebook

Altar Of Betelgeuze – Among The Ruins

Doom metal classico, death metal e stoner rock, uniti per regalare emozioni che vanno aldilà del semplice ascolto.

Capita, fortunatamente più spesso di quanto crediate, che una proposta musicale, sconosciuta fino all’attimo prima di aver schiacciato il tasto play, si riveli un’autentica sorpresa.

Così ecco che, stordito ed ipnotizzato dalle pesanti e messianiche note che compongono l’opera, vi lascio il mio parere  (specialmente se siete amanti di queste sonorità) sul secondo lavoro di questo quartetto proveniente dalla Finlandia.
La band in questione si chiama Altar Of Betelgeuze, è stata fondata da Matias Nastolin (Decaying), Olli Suurmunne (Stream Of Sorrow, ex-Decaying) e Juho Kareoja nel 2010 ed è del 2014 l’esordio sulla lunga distanza Darkness Sustains the Silence.
Among The Ruins continua il percorso iniziato dal primo lavoro, un inesorabile e lento viaggio messianico tra death/doom e stoner, a comporre un affascinante e perfetto riassunto di questi tre generi assemblati in un unico mastodontico sound.
Doom metal classico, death metal e stoner rock si uniscono per regalare emozioni che vanno aldilà del semplice ascolto, in un’esperienza onirica tra i misteri di quelle terre indomite: i brani sono tutti splendidi ma sono No Return e la conclusiva title track a lasciare le impressioni migliori, le voci si danno il cambio tra cleans evocative e gorgoglianti parti doom/death, tradizione del metal estremo di queste terre già dai primi anni novanta; Among The Ruins ne esce come figlio legittimo di quel sound, con la parte stoner che rende l’atmosfera ancor più ipnotica e fumosa.
Se siete amanti di questi generi perdervi un album del genere sarebbe davvero un peccato, perché Among The Ruins è un lavoro di cui non farete più a meno.

TRACKLIST
1.The Offering
2.Sledge of Stones
3.No Return
4.New Dawn
5.Absence of Light
6.Advocates of Deception
7.Among the Ruins

LINE-UP
Juho Kareoja – Guitars
Matias Nastolin – Bass, Vocals (growling and spoken word)
Olli “Otu” Suurmunne – Guitars, Vocals (clean and throat singing)
Aleksi Olkkola – Drums

ALTAR OF BETELGEUZE – Facebook

Vomit Angel – Sadomatic Evil 12″

Dodici pollici di debutto per questo duo danese di furioso death metal primitivo, con attitudine black.

Dodici pollici di debutto per questo duo danese di furioso death metal primitivo, con attitudine black.

Alcol e metal degenerante sono una delle poche cose che riescono a rendere felici i Vomit Angel e noi con loro, deliziati da questo assalto sonoro di 8 pezzi in diciannove minuti. Il suono del duo è fortemente debitore della vecchia scuola sudamericana del black death, dove il suono grezzo e la voce tagliente e gorgogliante diventano un pregio importante. Per gli amanti delle cronache metal i due che rispondono al nome Vomit Angel sono stati membri fondatori dei Sadogoat, per poi confluire nei Sadomator, i quali hanno pubblicato tre importanti album proprio su Iron Bonehead, una delle etichette principali per il metal potente, distorto e degenere. Chi ama il genere rimarrà folgorato da questo dodici pollici, che risponde a tutti i crismi del genere. Ci sono più cose in questi diciannove minuti che in certi dischi da due ore. Riffoni, conversazioni in growl e batteria scalciante, questi sono i Vomit Angel e va benissimo così.

TRACKLIST
1. Sadomator
2. Time Travel
3. Cotard
4. Voices in the Wind
5. Host of Darkness
6. Time of the Moon
7. Blasting Black Goat Attack
8. Female Goat Perversion

LINE UP
Lord Titan – Drums, Vocals (backing)
Necrodevil – Guitars, Vocals

IRON BONEHEAD PRODUCTIONS – Facebook

Siege – Spirit of Agony Pt. 1: Nailed Torment

La band, quando trasforma l’agonia in musica, tocca territori brutali destabilizzanti e la violenza sprigionata è sempre supportata da un sound mai scontato

Brutal death metal, tecnico e progressivo che alterna momenti estremi velocissimi e devastanti ad altri più ragionati, quasi intimisti, come se la lunga agonia prima della morte lasciasse attimi in cui il dolore si attenua e faccia sembrare terminate le soferenze.

Queste sono le atmosfere racchiuse in Spirit of Agony Pt. 1: Nailed Torment, secondo full length dei Siege, band estrema lombarda:  trattasi della prima parte del concept composto da Rob (chitarra e voce), Angel (batteria) e Jesus (basso), con il secondo capitolo già preventivato per la seconda metà del nuovo anno, e l’argomento non può che essere incentrato sul dolore e l’agonia, descritti per mezzo di un death metal feroce e distruttivo, tecnicamente ineccepibile, progressivo nel suo andamento e assolutamente mai scontato, specialmente nelle ritmiche sempre in continua evoluzione.
La band quando trasforma l’agonia in musica tocca territori brutali destabilizzanti, la violenza sprigionata è sempre supportata da un sound mai scontato, così che la mezzora di death metal che ci propone non lascia dubbi sul valore del proprio songwriting.
Un album che va ascoltato come se fosse un lungo brano estremo ma che ha in Gone, Spirit Of Agony e la conclusiva The Neb i momenti più alti sia a livello musicale che di atmosfere.
Se volete dei riferimenti direi che il death metal americano è il genere più accreditato per spiegare la musica dei Siege, con i Death come ispiratori delle atmosfere progressive ed il brutal in generale nel saper descrivere il dolore e la sofferenza.
Non ci rimane che aspettare il secondo capitolo e fare i complimenti al trio nostrano.

TRACKLIST
1.Prelude To Agony
2.Evil Ride
3.Mr. Skortikon
4.Black Horizon
5.Gone
6.Spirit Of agony
7.As The Knife penetrated brain
8.The Neb

LINE-UP
Rob – Guitars & Vocals
Angel – Drums
Jesus – Bass

SIEGE – Facebook