When Nothing Remains – As All Torn Asunder

La band riesce a mantenere sempre un eccellente equilibrio, evitando da una parte di cadere nel’immobilismo di certo funeral e dall’altra di farsi attrarre irrimediabilmente dalla faciloneria di molte proposte gothic-doom.

I When Nothing Remains sono l’ennesima ottima espressione del doom scandinavo estratta dal magico cilindro della Solitude.

La band svedese è di recente formazione anche se i due musicisti coinvolti, Peter Laustsen e Jon Sallander, non sono certo alle prime armi; in particolare il primo è stato fino allo scorso anno una colonna portante dei validi gothic-doomsters Nox Aurea.
Come spesso mi trovo a sostenere in queste occasioni, il fatto che la proposta musicale non presenti particolari variazioni sul tema, non esclude a priori la possibilità di ascoltare un lavoro di qualità rilevante.
E’ questo il caso di All Torn Asunder, disco che attinge certamente a piene mani da quanto già prodotto dalle band che hanno fatto la storia del death-doom, ma con un gusto e una sensibilità compositiva davvero encomiabile.
In effetti, il sound dei nostri si presenta da subito come un riuscito mix tra Swallow The Sun e My Dying Bride (inevitabili quando si parla di death-doom), con un certo sbilanciamento però a favore dei primi.
Infatti, molti brani riportano alla mente le prime uscite della band finlandese, con l’uso di sonorità malinconiche contrappuntate da uno splendido lavoro di tastiera e dall’uso di un growl molto efficace; alcuni spunti melodici si rifanno alla migliore produzione dei Draconian, e forse non è un caso che Johan Ericson, che di questi ultimi è chitarrista e compositore, sia stato chiamato a produrre l’album e a prestare le proprie clean vocals.
Il disco, pur nella sua lunghezza che supera abbondantemente l’ora complessiva di durata, mantiene sempre viva l’attenzione dell’ascoltatore, anche perché , pur mantenendo il mood malinconico che è il marchio di fabbrica del genere, ogni brano denota una certa varietà presentando break melodici con clean vocals, come nella coda dell’opener Embrace Her Pain, oppure ricorrendo ad riff granitici quanto efficaci (esemplare in questo senso la splendida The Sorrow Within); nel complesso si può tranquillamente affermare che la band riesce a mantenere sempre un eccellente equilibrio, evitando da una parte di cadere nel’immobilismo di certo funeral e dall’altra di farsi attrarre irrimediabilmente dalla faciloneria di molte proposte gothic-doom.
Il lavoro non presenta alcuna traccia più debole, quella che fa venire voglia di premere il tasto “skip”; ogni brano riesce a imporsi grazie alla capacità del duo nel creare atmosfere maliconiche e ricche di melodie memorabili: dovendo fare una scelta, davvero difficile in questa occasione, estrapolerei Mourning Of The Sun con una splendida linea chitarristica a far da guida nei suoi quasi nove minuti di durata, Her Lost Life, “swallowiana” più che mai, e la title-track, intrisa di drammaticità fin dall’intro tastieristico e dai rallentamenti ai confini del funeral.
I testi, come si può immaginare già dai titoli di ogni traccia, non trattano di elfi e dragoni o di epiche battaglie, ma sono intrisi di un lirismo cupo e privo di ogni barlume di speranza (… we have come to the final moment…)
Insomma, un album sul quale veramente non c’è nulla da eccepire e che cresce a ogni ascolto svelando ogni volta un nuovo interstizio ricolmo di struggente amarezza.
Ritengo che la proposta dei When Nothing Remains sia superiore per qualità e pathos rispetto a quanto già fatto dai Nox Aurea, pur battendo questi ultimi territori chiaramente più orientati al gothic; grazie alla scelta di Peter Laustsen, da oggi i malati di doom hanno un altro magnifico progetto sul quale fare affidamento.

Tracklist:
1. Embrace Her Pain
2. The Sorrow Within
3. A Portrait of the Dying
4. Mourning of the Sun
5. Solaris
6. Her Lost Life
7. In Silence I Conceal the Pain
8. As All Torn Asunder
9. Outro: Tears

Line-up :
Peter Laustsen – Vocals, All Instruments
Jon Sallander – Vocals, All Instruments

Angellore – Errances

Gli Angellore con “Errances” dimostrano di saper maneggiare con la dovuta maestria la materia gothic-doom offrendoci un disco di valore elevatissimo.

Prendete la dolente malinconia delle chitarre dei Saturnus, il gusto melodico e l’uso delle voci dei Draconian, lo struggente violino dei My Dying Bride prima maniera e una spruzzata di post-metal alla Alcest; mescolate con cura et voilà, il piatto contenente un perfetto gothic-doom è servito.

Facile, direte voi; mica tanto, aggiungo io : abbiamo perso il conto delle band che in questi anni, pur avendo a disposizione i giusti ingredienti hanno prodotto pietanze insipide o, ancor peggio, immangiabili, pubblicando album che, nella migliore delle ipotesi, risultavano copie sbiadite degli originali.
Per fortuna questo non è il caso degli Angellore, che con Errances dimostrano di saper maneggiare con la dovuta maestria la materia offrendoci un disco di valore elevatissimo che, pur pagando inevitabilmente dazio alle band sopra citate, dribbla con disinvoltura il possibile rischio di apparire un banale copia-incolla.
Il duo francese, composto da Walran e Rosarius, è attivo dal 2007 e in questa sua prima uscita su lunga distanza ha ripreso e rielaborato gran parte dei brani presenti nei vari demo, Ep e split-album pubblicati fino ad oggi; per l‘occasione la line-up è stata completata con l’ingresso in pianta stabile del batterista Ronnie e con l’ausilio di ospiti alla voce femminile e al violino.
L’album si apre con Dans Les Vallées Éternelles che, dopo poche note, non lascia dubbi riguardo alla naturale predisposizione della band a creare scorci di opprimente malinconia e, così come la successiva Tears Of Snow, costituisce una sorta di manifesto musicale della band.
I Am The Agony è un brano in puro Draconian-style, nel quale il tipico contrasto tra partiture estreme e growl e momenti più rilassati con clean vocals, anche femminili, appare tutt’altro che scontato grazie alla maestria che dimostrano i ragazzi francesi nel creare melodie accattivanti e mai banali, mentre Weeping Ghost è, in ordine temporale, il primo brano della band ad essere stato pubblicato e forse, proprio per questo, risente di una certa mancanza di fluidità nel passaggio tra le parti acustiche e quelle elettriche.
Errance è un breve intermezzo semi-acustico che introduce …Where Roses Never Die… che, essendo l’unica traccia inedita a comparire nel disco, ci consente di fotografare in quale modo si sia evoluto il sound degli Angellore dagli esordi fino ad oggi: il pezzo mostra un orientamento verso una forma di dark più rarefatto soprattutto nella sua coda con un interessante uso delle voci.
Shadow Of Sorrow chiude alla grande il lavoro, ripresentando in maniera più decisa le influenze post-metal già disseminate in precedenza e amalgamandole in maniera superba, lasciandoci con la piacevole sensazione di aver scoperto un’altra band in grado di regalarci grandi soddisfazioni.
Come già detto, non solo in occasione di questo lavoro, ma anche per molte altre uscite in campo doom, la ricerca del nuovo ad ogni costo si rivela un esercizio stucchevole quando ci si trova di fronte a composizioni appaganti per chi apprezza questo genere costruito su note ammantate di malinconica mestizia.
Di certo questo è il tipo di album che avrei voluto ascoltare dai Draconian dopo “The Burning Halo”, proprio perché in Errances non si indulge in soluzioni più fruibili ma dal minore impatto emotivo come invece ha scelto di fare con le uscite più recenti la band svedese.
Considerata l’ancora giovane età dei nostri e il potenziale espresso in questa raccolta di brani è lecito attendersi dagli Angellore, già con la prossima uscita, una conferma delle doti già esibite e, perché no, un ulteriore salto di qualità : la concorrenza è forte e numerosa ma le qualità per sbaragliare il campo ci sono tutte.

Tracklist :
1. Dans les Vallées Éternelles
2. Tears of Snow
3. I Am the Agony
4. Weeping Ghost
5. Errance
6. …Where Roses Never Die…
7. Shades of Sorrow

Line-up :
Rosarius – Guitars, bass, clean & extreme vocals, keyboards
Walran – Extreme & clean vocals, keyboards
Ronnie – Drums

Frailty – Melpomene

I Frailty ci regalano più di un’ora e un quarto di death-doom di primissima qualità.

I Frailty giungono con Melpomene (nella mitologia greca, la musa della Tragedia) alla seconda prova su lunga distanza e non deludono le attese che si erano create dopo la pubblicazione dell’esordio “Lost Lifeless Light” del 2008 e dei successivi EP “Frailty” e “Silence Is Everything …”.

La band lettone con la sua proposta musicale si colloca sui territori death-doom già battuti in modo lusinghiero in questo spicchio di 2012 dagli iberici In Loving Memory; analogamente a questi ultimi i Frailty mostrano la loro spiccata attitudine nel comporre brani nei quali convivono in perfetta armonia aggressività e melodia.
A livello di ispirazione i nostri hanno rivolto lo sguardo verso le altre sponde del Baltico dove i riferimenti sono i Saturnus su quella danese, per quanto riguarda i brani risalenti all’EP del 2010, e i Swallow The Sun su quella finlandese, per i brani più recenti composti appositamente per questo disco.
In questo senso appare sorprendente la traccia d’apertura Wendigo che, con le sue sonorità più aspre rispetto alle produzioni precedenti dei lettoni, si avvicina ai brani di maggiore impatto dei Novembers Doom, anche se l’aspetto melodico non viene trascurato grazie ad uno splendido break a metà del brano.
Già la successiva Cold Sky, che inaugura un trittico di brani maestosi, sin dalle prime note chiarisce eventuali dubbi sorti su un possibile sbilanciamento delle composizioni verso il death, caratterizzandosi per il magnifico lavoro alla chitarra di Edmunds, capace di tratteggiare melodie sognanti e melanconiche allo stesso tempo; segue Desolate Moors che, nonostante i suoi quattordici minuti, non accusa cali di tensione con le sue ritmiche pachidermiche ben coadiuvate dalla tastiera di Ivita, per un risultato degno dei migliori Saturnus.
Underwater chiude l’ideale prima parte del disco ed è un brano semplicemente grandioso che racchiude in sé tutte le caratteristiche essenziali del death-doom: grandi riff, melodie dolcemente ammantate di mestizia e un growl proveniente dagli abissi più reconditi.
Onegin’ s Death è una traccia strumentale acustica che funge come introduzione di altro magnifico trittico di brani, partendo da The Doomed Hall Of Damnations, che lambisce territori funeral con le sue atmosfere soffocanti, per passare da Eternal Emerald, che ci riporta ad un clima decisamente più arioso, e concludendo con Thundering Heights, che è l’altra perla del disco, con Edmunds sugli scudi grazie a un memorabile assolo di chitarra nella parte finale.
Melpomene, pubblicato dall’attiva label ucraina Arx Productions, si chiude degnamente con un altro brano strumentale, The Cemetery Of Colossus, lasciando appagato chi sperava di trovare conferma alle potenzialità in precedenza espresse dalla band.
Andando alla ricerca del classico pelo nell’uovo, si nota una lieve discontinuità tra i brani meno recenti e quelli nuovi, cosa che normalmente accade quando nel pubblicare un full-length si includono anche pezzi già editi in demo, singoli o EP.
Nulla che possa influire sul giudizio finale, sia chiaro, soprattutto quando una band come i Frailty ci regala più di un’ora e un quarto di death-doom di primissima qualità, con un vocalist dal growl terrificante, un chitarrista dal tocco personale e dal grande gusto melodico e altri quattro ottimi musicisti che forniscono il loro contributo preciso ed essenziale alla riuscita di un bellissimo album.

Tracklist:
1. Wendigo
2. Cold Sky
3. Desolate Moors
4. Underwater
5. Onegin’s Death
6. The Doomed Halls of Damnation
7. Eternal Emerald
8. Thundering Heights
9. The Cemetery of Colossus

Line-up:
Lauris Polinskis – Drums
Edmunds Vizla – Guitars, Vocals
Ivita Puzo – Keyboards
Martins Lazdāns – Vocals
Jānis Jēkabsons – Bass
Jēkabs Vilkārsis – Guitars (rhythm)

Ea – Ea

Il male di vivere negli Ea è un evento catartico, dove il triste incedere delle melodie tratteggia il lento consumarsi dell’esistenza fino al suo estremo commiato e le note ne raccontano il melanconico fluire lasciando una sensazione di soffusa malinconia piuttosto che di sconforto e di costernazione.

Non è facile parlare in maniera obiettiva di qualcosa o qualcuno che in una certa fase della propria vita ha contrassegnato o accompagnato i momenti più belli oppure i più difficili.

Proprio per questo per me recensire un album degli Ea è sempre piacevole da un lato e tremendamente complesso da un altro, in considerazione del fatto che non posso nascondere il mio amore sconfinato per ogni nota composta da questa band. Quindi con questa recensione non posso fare altro che cercare di trasmettere le stesse sensazioni a chi mi leggerà, con la speranza di spingere più persone possibili all’ascolto di questa misteriosa band.
Evidentemente, al di là dell’aspetto affettivo non è certo per piaggeria che si può lodare l’operato di un gruppo del quale non si conosce l’identità dei componenti e che non possiede un sito internet, una pagina su Facebook o MySpace, nulla di nulla che possa far sperare il povero recensore di ricevere il minimo feedback …
Quel poco che sappiamo da voci ufficiose è che si dice siano musicisti russi (ma la stessa Solitude che in quelle lande ha la propria sede non accredita questa tesi), che Ea è il nome di una divinità della mitologia accadico-babilonese e che sia i testi sia la lingua utilizzata fanno riferimento a queste antiche civiltà.
Ma questi in fondo sono aspetti marginali perché gli Ea in realtà non sono una band, bensì una sensazione che penetra nell’anima, che si insinua nella mente con le sue note malinconiche guidate ora da efficaci linee di tastiera ora da una chitarra dal timbro desolatamente dilatato.
Il sound di questi anonimi cantori del dolore, infatti, non possiede i tratti disperatamente claustrofobici e l’attitudine nichilista dei Worship o il senso di ineluttabile tragedia che si annida dietro ad ogni nota composta dai Colosseum.
Il male di vivere negli Ea è un evento catartico, dove il triste incedere delle melodie tratteggia il lento consumarsi dell’esistenza fino al suo estremo commiato e le note ne raccontano il melanconico fluire lasciando una sensazione di soffusa malinconia piuttosto che di sconforto e di costernazione.
Questo episodio della loro discografia, il quarto in sei anni, è la logica prosecuzione dei precedenti, anche se per intensità emotiva si avvicina più a “Ea II” che non a “Ea Taesse” e “Au Ellai”: il piccolo elemento di novità risiede nell’aver scelto di presentare un unico brano di quarantotto minuti anziché suddividere come di consueto la musica composta in due o tre tracce.
Quello che impressiona realmente è la capacità che esibiscono questi musicisti nel toccare le giuste corde dell’emozione senza ricorrere a particolari virtuosismi e nemmeno esibendo una tecnica fuori dal comune. La grandezza della band si esalta proprio nell’estrema semplicità compositiva, quella che porta alcune frange della critica a snobbarli perché artefici di soluzioni non sufficientemente cervellotiche per chi si diletta nell’esercizio dello snobismo intellettuale.
Gli Ea hanno creato una via del tutto personale al funeral doom, battuta di recente pure dagli ottimi Comatose Vigil con il loro splendido “Fuimus … Non Sumus”, anche se non sarebbe onesto ignorare che tutti quelli che si cimentano con questo genere devono fare i conti con le inevitabili influenze dei Thergothon prima e degli Skepticism poi.
Questa musica non è certo per chi ricerca avanguardistiche novità o rumorismi assortiti spacciati come la nuova frontiera della musica estrema; al contrario è nutrimento essenziale per chi si “accontenta” di commuoversi al cospetto della malinconica colonna sonora di un’esistenza inevitabilmente destinata all’oblio.

Tracklist:
1. Ea

In Loving Memory

Gli In Loving Memory sono una band spagnola che ha esordito quest’anno con un ottimo disco di death-doom.
Grazie alla loro disponibilità abbiamo avuto l’occasione di di approfondire la conoscenza della scena iberica oltre a fare qualche inevitabile raffronto con ciò che accade nel nostro paese.

ME Ciao ragazzi, grazie per la vostra disponibilità! Il vostro album è stato una piacevole sorpresa, per questo motivo vorremmo sapere qualcosa di più sulla storia della band.

Ciao, come va ? La storia degli In Loving Memory è iniziata nel 2005, quando Raúl (basso) e Juanma (voce e chitarra) hanno lasciato i Forensick, la band nella quale stavano suonando in quel momento, e dopo un paio di mesi hanno cominciato a cercare nuovi membri per una band doom metal. Hanno contattato Aitor (ora non più nella band) e Jorge (chitarra), entrambi componenti della band Lost Emotions. Alcuni mesi più tardi, dopo aver provato diversi cantanti, abbiamo contattato Alaitz (anch’essa non più nella line-up) per diventare la voce femminile della band e con quella line-up abbiamo iniziato a suonare dal vivo e abbiamo registrato il nostro primo demo.

ME Qual è la situazione attuale della scena doom in Spagna?

Beh, il doom metal non è uno stile musicale popolare anche tra chi ascolta metal. Death metal, metalcore e djent (sonorità tipo Meshuggah – nda) sono oggi gli stili estremi più diffusi nel nostro paese, ma per fortuna c’è ancora spazio per noi e per alcune altre ottime band.

ME Penso che fare musica sia soprattutto un piacere, ma quanto può essere difficile farlo sapendo in partenza che il prodotto sarà ascoltato da un numero limitato di persone?
Forse, se foste nati in Finlandia o in Norvegia, con un album come questo, avreste potuto trovare posto nelle classifiche di vendita … 

Forse, se fossimo nati in quei paesi non saremmo stati in grado di suonare a causa delle dita congelate … 😉  Parlando seriamente nelle nazioni del nord-europa la cultura, in particolare quella musicale, è sviluppata in modo diverso rispetto ai paesi mediterranei come Spagna, Italia e Grecia per citarne qualcuno. Là tutti i tipi di musica sono supportati mentre nel nostro paese la musica metal non ha alcun tipo riscontro da parte dei media, ad eccezione di alcuni appassionati di metal che ancora si prodigano per la musica che amano e la diffondono tramite le radio e le fanzine, e men che meno da parte delle istituzioni.

IN LOVING MEMORY

ME Parlando del vostro disco, ho trovato davvero ottimi i testi, in particolare “November Cries”, per la sua toccante drammaticità e “Negation Of Life”: a tale proposito potreste spiegarci il significato racchiuso nel brano che, credo, rappresenta il tema principale dell’album ?

Il vero significato di Negation Of Life parla di come Juanma si senta a volte incompreso dalle altre persone, facendolo sentire come intrappolato in una bolla di plastica e isolato dai rapporti umani. In una simile situazione qual è il significato delle parole “essere vivi”? Sappiamo che ci sono persone che vivono quotidianamente questo tipo di realtà, i senzatetto, gli orfani e tutti coloro che non fanno parte della società “fashion” nella quale siamo immersi.

ME In Italia la religione cattolica ha sempre influenzato la vita politica e sociale del paese, le cose vanno diversamente in Spagna?

No, qui avviene la stessa cosa, l’attuale governo è di orientamento cattolico. Noi non siamo contrari a ciò che la religione rappresenta per le persone ma siamo contro ciò che la religione provoca nelle loro vite: guerra e menzogna. Se vuoi credere in qualcosa, che si chiami Dio, Jahvé, Allah, Buddha non c’è problema; ma quando si tenta di imporre la propria religione ad altri, allora non è più così …. Nei nostri testi troverete diverse critiche corrosive riguardanti ciò che significa per noi la religione.

ME Passando a esaminare l’aspetto commerciale, perché per produrre un video avete scelto “Even a God Can Die”, una canzone che è sicuramente meno immediata, per esempio, di “Skilled Nichilism” o “Adversus Pugna Tenebras” ?

Abbiamo scelto quella canzone anche per aprire l’album. Certamente non è quella più orecchiabile, né la più commerciale o più elaborata del disco, ma pensiamo che abbia qualcosa di speciale. Abbiamo voluto piazzare all’inizio un classico brano lento, pesante e doomy, per poi passare a un altro più veloce, poi uno più melodico, poi uno più complesso, e così via.
Così abbiamo deciso che il primo video dovesse essere il brano di apertura, con l’intento di fare uscire un prodotto”home-made”. Ne abbiamo in programma un altro che pensiamo dovrebbe essere visivamente più complesso, vedrete …. (speriamo tra breve !)

ME  Anche se fino ad ora avete prodotto solo due album, apprezzo la vostra integrità nel proporre una death doom classico, senza troppe concessioni alla parte commerciale, differenziandovi da molti gruppi che, pur avendo segnato il passato e il presente, hanno ceduto alla tentazione di snaturare parzialmente il loro stile. Cosa ne pensate? Ritenete che sia questa un’evoluzione in qualche modo inevitabile?

Beh, a giudicare da quanto si legge in alcuni siti web siamo considerati leggeri dai puristi del doom metal, perché usiamo molte melodie nelle nostre composizioni; per contro, non essendo neppure sbilanciati sulle sonorità più estreme, non siamo nemmeno così adatti agli gli appassionati di brutal o death, mentre possiamo costituire una valida opzione per chi ama trovare il giusto equilibrio tra melodia e brutalità. Potremmo comporre musica più commerciale, come già fanno molte band, ma alla fine suoniamo quello che dà più soddisfazione, poi se piace anche agli altri, meglio. In caso contrario noi trascorriamo il tempo facendo ciò che amiamo, che è suonare, quindi non c’è alcun problema.
Di certo non abbiamo intenzione e neppure ci interessa cambiare il nostro stile preoccupandoci se quello che suoniamo sia commerciale o meno.

ME Sicuramente oggi la Solitude Productions e la sua sub-label BadMoonMad sono sinonimo di produzioni di alta qualità, ma vi chiedo: quali sono le difficoltà che dovete affrontare trattando con persone che vivono dalla parte opposta del continente ?

Il primo problema è la lingua: per entrambi l’inglese non è la lingua madre e a volte ci sono cose che potrebbero essere espresse meglio.
Un altro è la distanza: mandiamo tutto il nostro materiale musicale via internet, ma per tutti gli altri aspetti, dalla firma dei contratti alla consegna delle copie dei cd, bisogna avvalersi forzatamente della posta aerea, con tutto ciò ne consegue a livello di tempistica; chiaramente tutto si svolge in maniera più lenta di quanto accadrebbe se vivessimo nella stessa nazione.
Ma a parte questo, siamo soddisfatti del lavoro della Solitude Productions e della BadMoonMad, perché grazie a loro stiamo raggiungendo sempre più persone con Negation Of Life rispetto a quanto successo con il nostro precedente Tragedy & Moon; questo non è certo un sintomo di maggiore commercialità, come abbiamo detto in precedenza, ma lo scopo è quello di riuscire a valicare i confini nazionali, cosa che è molto difficile senza il supporto di una buona etichetta discografica. In questo modo ora altre persone possono ascoltare la nostra musica, e decidere se apprezzarla oppure no.

IN LOVING MEMORY

ME Quale band e quali dischi hanno orientato il vostro background musicale?

Ahi, troppi da citare qui, he he … Noi ascoltiamo tutti i tipi di musica, dal jazz al metal estremo, ma quelli che ci hanno spinto realmente verso questo tipo di musica sono da individuare tra My Dying Bride, Anathema, Paradise Lost, Swallow The Sun, In Flames, Evoken, In Mourning, Saturnus, Moonspell, Opeth, Amorphis e Evereve.

ME Una band che ha modificato nel tempo il proprio sound sono gli Swallow The Sun, ai quali vi ho accostato nella mia recensione, che hanno esordito con un capolavoro come “The Morning Never Came” ma gradualmente hanno ammorbidito il loro suono, rimanendo comunque ad alto livello. Sono stati davvero un’influenza per voi e avete avuto l’opportunità di ascoltare il loro album appena uscito?

Sì, abbiamo proprio tutti gli album che questa grande band ha rilasciato e consideriamo la loro evoluzione simile a quella avuta da Anathema, Paradise Lost o Amorphis anni fa. Certe volte si desidera “ammorbidire” il suono perché si ha acquisito una maggiore esperienza come musicisti e quindi si riesce più efficacemente a fornire questa impronta alla musica. In altre parole, si stratta solo di ascoltare la musica in maniera diversa.
Noi rispettiamo molto gli Swallow The Sun e ci piace ancora la loro musica, anche se preferiamo i primi due album.

ME Per finire, avete in programma un tour o qualche data per proporre dal vivo i brani di “Negation Of Life” ?

Vorremmo fare diversi concerti nel nostro paese per promuovere l’album e al momento stiamo organizzando alcuni spettacoli. Certo, suoneremo più che potremo, ma vogliamo anche trovare il tempo per produrre e scrivere, nel prossimo futuro, musiche e testi sempre migliori.

YOUR TOMORROW ALONE

Gli Your Tomorrow Alone sono una band salernitana all’esordio su lunga distanza che perpetua la recente tradizione gothic/doom italiana grazie ad un album riuscito come Ordinary Lives .
Abbiamo cercato di saperne di più sulla loro storia, sulla composizione del disco ed altro ancora ….

ME Ragazzi, vi rinnovo i complimenti per il bellissimo album. La vostra band è di formazione recente, mi vorreste raccontare come vi siete incontrati e in quale modo siete approdati alle sonorità che avete proposto in “Ordinary Lives” ?

Grazie per i complimenti, graditissimi! “Ordinary Lives” è il frutto di un lavoro complesso, maturato nell’arco di circa due anni (2010-2012), iniziato con l’uscita del primo demo nel Dicembre 2010. I fondatori del gruppo, Marco Priore (chitarra solista) ed Eugenio Mucio (chitarra e growl) sono amici di lunga data, e già in passato avevano provato più volte a mettere su un progetto solido, tentando diverse soluzioni con Giovanni Sorgente alla voce, Daniele Ippolito alla batteria e Gianpiero Sica al basso. Poi con l’ingresso in pianta stabile di Giovanni Costabile alle tastiere si è assestata sia la line-up che l’intenzione sonora del gruppo, nata dalla comune passione di tutta la band per il gothic/doom di matrice inglese dei primi anni ’90.

ME A vostro parere qual è la strada da percorrere per evitare che l’esistenza di ciascuno di noi sia archiviata come una “ordinary life” ? Forse la copertina, con i suoi molteplici simbolismi, racchiude già in sé qualche risposta ?

Innanzitutto c’è da precisare che il titolo “Ordinary li(v)es” punta sull’assonanza tra le parole inglesi lives (vite) e lies (bugie). Questo per sottolineare come molto spesso l’esistenza di ognuno di noi possa essere piena di bugie, e finire col somigliare essa stessa ad una grossa menzogna. L’artwork, curato con sapienza e maestria da Sergio Monfrinotti (Adhiira Art) nasce proprio da questa idea di fondo. Ognuno sceglie, ogni giorno, una maschera da indossare, trovandosi a sua volta di fronte a tante maschere. Difficile quindi discernere il confine tra la realtà e la menzogna, il mescolarsi di finzione e vero sentimento. Riscoprire e dare importanza ai moti dell’animo, alla genuinità dei sentimenti, positivi o negativi che siano, contrapposti al formalismo fittizio della moderna realtà, è il modo suggerito dai nostri brani per evitare questa commistione sistematica tra vita e bugia e non condurre una “ordinary life”.

intervista Your Tomorrow Alone

ME Il disco in pratica è appena uscito ma, nonostante questo, se poteste rientrare in studio cambiereste qualcosa o siete totalmente soddisfatti della resa finale ?

Per noi tutti era la prima esperienza di registrazione vera e propria, e a dire il vero ci riteniamo decisamente soddisfatti. Il lavoro è stato duro e meticoloso, curato con grande attenzione e professionalità da Fabio Calluori ai Sonic Temple Studios di Salerno e concluso poi con il master a cura di Luca Martello (H-Sound Mastering).

ME Come nascono i vostri brani ? Le musiche e le liriche sono a cura di qualcuno in particolare oppure sono frutto di un lavoro di gruppo ?

I testi sono a cura di Daniele Ippolito ed Eugenio Mucio mentre per quanto riguarda la composizione, i brani nascono da una struttura chitarristica impostata da Marco Priore e successivamente elaborata e completata dal lavoro di gruppo. Fa eccezione il brano “Agony (Praeludium)”, che è stato concepito da Giovanni Sorgente e arrangiato poi con basso, tastiere e batteria.

ME “The Essence of Gloom”, secondo me, costituisce il top del vostro album e, così come per “In Silence”, trovo molto efficaci anche le parti in italiano : siete d’accordo con la mia valutazione e ritenete possibile, in futuro, l’eventualità di ricorrere integralmente alla nostra lingua per uno o più brani?

L’utilizzo della lingua madre è stato un nostro obiettivo fin da subito, sia per creare un’alternanza all’interno dei brani, sia per la poesia e la teatralità che può generare una strofa in lingua italiana. Tuttavia ci siamo preoccupati di non strafare, cercando un utilizzo sapiente e parsimonioso. In questo ci siamo ispirati molto ai Novembre, e per quanto nella composizione di “Ordinary Lives” non ci sia stata l’intenzione di proporre un brano interamente in italiano, è un’opzione da non escludere per il futuro.

intervista Your Tomorrow Alone

ME In “Agony” ho riscontrato un’atmosfera che ricorda i migliori Depeche Mode. E’ solo una mia impressione o anche loro rientrano tra le vostre preferenze musicali ?

“Agony” nasce come brano d’atmosfera, ed era un’altra delle nostre intenzioni originarie. Quanto alle influenze, sono da ricercare maggiormente nel progressive italiano anni ’70 o nei lavori acustici degli ultimi Opeth, per quanto i Depeche Mode rappresentino un’influenza importante soprattutto per il lavoro di Giovanni Costabile alle tastiere.

iye Per stile musicale e in qualche modo anche per collocazione geografica siete contigui alla scena gothic-doom romana che annovera band quali Novembre, En Declin e The Foreshadowing, solo per citare le più note. Siete in contatto con queste band oppure vi considerate appartenenti ad una realtà a sé stante ?

Il contatto, se inteso a livello di influenze e di vicinanza a un certo filone musicale, c’è senz’altro. Anche perché sarebbe alquanto pretestuoso pensare di appartenere a una realtà a sé stante. Gli Your Tomorrow Alone sono una band italiana, innanzitutto, per cui non si può negare che le altre band italiane gothic/doom siano state una fonte di ispirazione, soprattutto per quel che riguarda i Novembre. L’importante per noi era creare un sound diverso, personale, pur partendo da ispirazioni e influenze inevitabili (ma anzi, volute) per il genere che proponiamo.

ME Negli ultimi tempi ho recensito band norvegesi che registrano per etichette italiane così come band nostrane che incidono per label polacche, svedesi o russe; rispetto a simili contesti come vi sentite pensando che la My Kingdom, praticamente, ce l’avete sotto casa ?

Poter lavorare in prima persona con la propria label è un qualcosa di essenziale. La vicinanza favorisce i rapporti umani, che sono fondamentali per poter svolgere un ottimo lavoro e mantenere un contatto costante. Con la My Kingdom Music si è da subito instaurato un rapporto solido, e noi siamo grati a Francesco Palumbo per aver creduto nel progetto Your Tomorrow Alone, e speriamo che la collaborazione porti ottimi frutti.

ME In considerazione delle band che vi hanno fornito l’ispirazione, sarei curioso di conoscere la vostra top five dei migliori album gothic-doom di sempre .

Precisando che non vanno sicuramente letti in ordine di “classifica”, possiamo citare “Icon” dei Paradise Lost ; “The Angel And The Dark River” dei My Dying Bride; “The Silent Enigma” degli Anathema; “Novembrine Waltz” dei Novembre e “Solar Lovers” dei Celestial Season.

ME Noto con piacere che per quanto riguarda i migliori album della “sacra triade britannica” siamo in perfetta sintonia… Un’ultima domanda : profezia dei Maya permettendo, quali sono i progetti futuri degli Your Tomorrow Alone ?

Attualmente siamo concentrati sulla promozione di “Ordinary Lives” attraverso il maggior numero di serate possibili. L’obiettivo principale in questo momento è far conoscere la nostra musica e la nostra band, anche grazie alla visibilità concessa da interviste e recensioni. Dopodichè siamo già concentrati su quelli che saranno i nuovi brani ed eventualmente le nuove idee e sonorità da ricercare per i prossimi lavori … insomma, siamo carichi e intenzionati a proseguire su questa strada e fare di tutto per migliorarci ulteriormente!

Dreams After Death – Embraced By The Light

Andras Illes è un giovane musicista ungherese che con questo suo esordio discografico si annuncia come il nuovo talento emergente del funeral doom.

Andras Illes è un giovane musicista ungherese che con questo suo esordio discografico si annuncia come il nuovo talento emergente del funeral doom.

Il suo progetto Dreams After Death, alla resa dei conti, si va a collocare non lontano da coloro che hanno segnato, con la loro arte funerea, gli ultimi due decenni.
Qui, come già detto in altre occasioni, nulla si crea e nulla si distrugge, l’unico scopo è di tradurre in musica, in maniera onesta e sentita, la malinconia, la tristezza e il dolore che talvolta ci accompagnano nelle diverse fasi della nostra esistenza.
Tra le note di Embracing By The Light troviamo naturali riferimenti a tutti i numi tutelari di Andras, dai progenitori Thergothon agli altri totem del movimento finlandese come Colosseum, Skepticism e Shape Of Despair, passando dagli Ea, per il tappeto sonoro delineato dall’andamento dolente delle tastiere e dagli Worship, per la loro opprimente lentezza .
Il polistrumentista ungherese riesce nella non facile impresa di assimilare queste influenze e amalgamarle presentandole in una forma del tutto personale e senza apparire mai derivativo.
Se spesso le one-man band risentono di diversi sbalzi qualitativi a livello strumentale e compositivo, qui non c’è proprio nulla da eccepire : ogni strumento è suonato con la dovuta perizia, il growl, pur se usato con parsimonia, è sempre all’altezza della situazione e la produzione riesce a valorizzare degnamente il tutto.
Tra i sei brani, tutti di una lunghezza standard per il genere proposto, spicca in particolare il trittico iniziale : Genesis, che con le sue atmosfere a metà strada tra Ea e Comatose Vigil è l’ideale introduzione al senso di angoscia e disperazione che il musicista magiaro vuole rappresentare; Funeral, che fin dal titolo si presenta come il manifesto musicale di Andras, e Meeeting With The Ancestors, certamente il brano cardine del disco con i suoi 11 minuti intrisi d’intensa drammaticità e caratterizzati da azzeccate linee melodiche.
The Endless Time inizia a mostrare un altro aspetto dei Dreams After Death, ovvero quello ambient, decisamente efficace e mai fine a se stesso come spesso accade, mentre in From Time Immemorial Andras libera il suo probabile retaggio classico con alcuni passaggi che potrebbero apparire come una rilettura in versione doom delle composizioni di Bela Bartok.
L’album si chiude con il delicato e malinconico strumentale Outer Space lasciandoci l’impressione di aver scoperto un’artista che già ora merita un posto di rilievo in ambito funeral doom e che, in un futuro prossimo, potrebbe ambire a eguagliare se non superare i propri maestri.

Tracklist:
1. Genesis
2. Funeral
3. Meeting With The Ancestors
4. The Endless Time
5. From Time Immemorial
6. Outer Space

Line-up:
Andras Illes – vocals, all instruments

(EchO) – Devoid Of Illusions

Esiste, anche se poco pubblicizzata, un’Italia diversa da quella degli schettini, dei buffoni di corte e di tutte quelle “squallide figure che attraversano il paese” ; gli (EchO) sono qui a dimostrarcelo.

Devoid Of Illusions è il miglior esordio discografico che mi sia capitato di ascoltare da diverso tempo a questa parte.

I bresciani (EchO) sono l’ennesima pietra preziosa che, con la consueta lungimiranza, la Solitude Productions (tramite la sub-label BadMoodman) lancia nella scena doom mondiale; anche se, in effetti, racchiuderli in maniera semplicistica all’interno del genere appare riduttivo.
Infatti i nostri, pur muovendosi chiaramente nell’ambito di competenza dell’etichetta con sede a Orel (Russia), riescono a fornire al loro sound una serie di sfumature e di influenze che spaziano dal gothic/doom più classico fino ad un progressive dalla tonalità darkeggianti.
Tale progetto riesce alla perfezione grazie alle innegabili capacità tecniche della band e a un vocalist come Antonio Cantarin in grado di passare con disinvoltura dal growl più catacombale a clean vocals evocative e prive di qualsiasi sbavatura.
In un quadro di questo genere la classica ciliegina sula torta è costituita da una produzione che valorizza al massimo le sonorità dell’album a cura di un autentico mostro sacro del doom metal, ovvero Greg Chandler, mastermind degli Esoteric.
In Devoid Of Illusions tutto funziona alla perfezione, ciascun brano possiede un’impronta che lo rende memorizzabile e distinguibile dagli altri, benché certamente non si stia parlando di musica di facile presa.
Del resto, proprio ciò che ad un primo impatto potrebbe costituire il punto debole del lavoro, ovvero l’eterogeneità stilistica che si manifesta anche all’interno delle singole tracce, in realtà finisce per rivelarsi il valore aggiunto dato che l’alternanza tra atmosfere apparentemente discordanti tra loro avviene magicamente in maniera del tutto naturale e spontanea.
Prendendo in esame alcune dei brani, The Coldest Land vive sull’avvicendamento tra arpeggi delicati prossimi ai Katatonia ed un’irresistibile melodia chitarristica contrassegnata da un growl impetuoso, mentre Omnivoid si caratterizza per un riff pesantissimo che improvvisamente si dissolve per lasciare spazio a sonorità prossime al depressive metal.
Disclaiming My Fault è un’altra delle tante perle dell’album, un brano che nasce con un’impronta prog alla Porcupine Tree che viene trasfigurata nel finale da un furioso death metal; Once Was A Man invece risalta come un’eccezione nel contesto dell’album poiché, se come la precedente traccia si muove inizialmente su territori contigui alla band di Steve Wilson, finisce per confluire in passaggi degni dei Cure di “Disintegration”; in sintesi : splendido !
Sounds From Out Of Space chiude alla grande il lavoro con la partecipazione dello stesso Greg Chandler che, con la sua voce e la sua chitarra, finisce inevitabilmente per “esoterizzare” il brano, ma questo non è certo un male, anzi …
Proprio il contrasto tra il cupo funeral doom introdotto dall’illustre ospite e le caratteristiche aperture post metal che, giunti alla fine dell’album, abbiamo imparato a conoscere ed apprezzare, si erge a simbolo dell’intero lavoro e dimostra quanto il talento degli (EchO) renda naturale la convivenza tra sonorità apparentemente incompatibili.
Non c’è molto altro da aggiungere se non l’esortazione nei confronti di chi ama la buona musica (non solo il metal) affinché supporti questa magnifica realtà nostrana.
Esiste, anche se poco pubblicizzata, un’Italia diversa da quella degli schettini, dei buffoni di corte e di tutte quelle “squallide figure che attraversano il paese” ; gli (EchO) sono qui a dimostrarcelo.

Tracklist:
1. Intro
2. Summoning the Crimson Soul .
3. Unforgiven March
4. The Coldest Land
5. Internal Morphosis
6. Omnivoid
7. Disclaiming My Faults
8. Once Was a Man
9. Sounds From Out of Space

Line-up:
Antonio Cantarin – Vocals
Mauro Ragnoli – Guitars
Simone Saccheri – Guitars
Simone Mutolo – Piano, Keyboards
Agostino Bellini – Bass
Paolo Copeta – Drums

In Loving Memory – Negation Of Life

Gli In Loving Memory ottengono il nostro plauso incondizionato per la consistenza della loro proposta e per la capacità di fornire un’ora abbondante di musica emozionante.

Gli In Loving Memory costituiscono, assieme a Helevorn, Evadne ed Autumnal, la massima espressione in ambito death-doom della penisola iberica.

I doomsters spagnoli nascono come band nel 2005 ed un anno dopo pubblicano un primo demo influenzato da uno dei trend dell’epoca , ovvero il gothic- doom con voce femminile.
La scelta di virare verso sonorità più robuste, oltre a quella di affidare le vocals al chitarrista Juanma, si rivela vincente e già in “Tragedy & Moon” del 2008 vengono messe in mostra le qualità che ritroviamo in Negation Of Life , lavoro che presenta una band in grande spolvero e focalizzata sull’obiettivo di produrre un sound pesante e malinconico come il genere esige.
A tale proposito, posiamo collocare gli In Loving Memory nel solco stilistico tracciato, ad altre latitudini, dagli Swallow The Sun in particolare, ma senza che per questo la band rinunci ad esprimere la necessaria personalità
L’album è caratterizzato da riff robusti, solos malinconici, un growl corrosivo ed un lavoro di tastiere efficace senza essere mai invadente, il tutto supportato da una produzione encomiabile. Grazie a queste caratteristiche ed all’ottimo bilanciamento tra parti aggressive e momenti melodici tutti i brani si lasciano ascoltare senza alcun affanno.
La traccia iniziale, Even A God Can Die è forse quella che concede meno spazio alle melodie, riservando solo a qualche breve inserto pianistico il compito di contrastare la pesantezza delle chitarre e della base ritmica, ma già dalla successiva Skilled Nihilism la proposta degli iberici si fa più immediata ed accattivante.
Adversus Pugna Tenebra parte con un arpeggio delicato ed una voce sussurrata per poi sfociare in un riff melodico che ricorda un’altra grande band mediterranea come i greci Nightfall.
La title-track è un altro splendido episodio che, per le sue atmosfere malinconiche, non avrebbe affatto sfigurato in un capolavoro come The Morning Never Came, mentre November Cries e Through a Raindrop si rivelano più coinvolgenti nel finale quando la chitarre di Jorge e Juanma costruiscono linee melodiche struggenti.
Shimmering Divinity emerge come uno dei picchi dell’album grazie ad una seducente armonia chitarristica che lascia successivamente spazio ad un break di chiara matrice death per poi abbandonarsi a quelle atmosfere dolenti che, con la loro presenza, caratterizzano l’intero lavoro.
Celestial costituisce l’episodio più acustico del lotto, mentre Nulla Religio, Solum Veritas chiude l’album così come era iniziato, all’insegna di una rabbiosa malinconia tratteggiata da testi pervasi da una sconfinata amarezza .
La Solitude Prod. (qui tramite la sublabel BadMoodMan) continua a proporci band relativamente nuove ma tutte di elevato livello e gli In Loving Memory non fanno eccezione, ottenendo il nostro un plauso incondizionato per la consistenza della loro proposta e per la capacità di fornire un’ora abbondante di musica emozionante.

Tracklist:
1. Even a God Can Die
2. Skilled Nihilism
3. Adversus Pugna Tenebras
4. Negation of Life
5. November Cries
6. Shimmering Divinity
7. Through a Raindrop
8. Celestial
9. Nulla Religio, Solum Veritas

Line-up:
Raúl Arauzo – Bass
Jorge Araiz – Guitars
Juanma Blanco – Vocals, Guitars
Mauricio C. – Drums
Alberto O. – Keyboards

IN LOVING MEMORY – Facebook

The Wounded Kings – In The Chapel Of The Black Hand

The Wounded Kings con il terzo album della carriera esprimono il massimo delle loro potenzialità realizzando un lavoro che li inserisce di diritto tra le band di riferimento del doom metal.

The Wounded Kings con il terzo album della carriera esprimono il massimo delle loro potenzialità realizzando un lavoro che li inserisce di diritto tra le band di riferimento del doom metal.

Il gruppo britannico , già autore dell’ottimo “The Shadow of Atlantis”, trae nuova linfa dal rivoluzionamento della line-up compiuto, suo malgrado, dal talentuoso polistrumentista Steve Mills; il cambiamento più rilevante riguarda l’avvicendamento tra una voce maschile, quella del co-fondatore della band, George Birch, ed una femminile, a cura di Sharie Neyland.
Una trasformazione certo non di agevole assimilazione al primo impatto, dato che il particolare timbro dell’ammaliante Sharie è quanto di più lontano possa esserci dalle vocals stentoree ed evocative del suo predecessore. In realtà, il salmodiare tutt’altro che rassicurante di quella che potrebbe essere sia una strega alle prese con un rito sabbatico sia una novella Cassandra nell’atto di pronunciare le proprie nefaste previsioni , diventa il vero valore aggiunto al tessuto sonoro creato da Mills.
Il doom proposto dai The Wounded Kings si può certamente definire di stampo tradizionale, con ampi riferimenti a quelle band che negli anni ’70 hanno arricchito la propria musica con elementi esoterici; ciò che rende unico questo lavoro è proprio la capacità di fondere le atmosfere del passato con un sound evoluto benché monolitico e, soprattutto, mai derivativo.
L’iniziale The Cult Of Souls viene introdotta da un Hammond che, in simbiosi con la voce della Neyland, ci accompagna nel suo inesorabile percorso alla scoperta di mondi atavici popolati da entità spaventose, mentre nel finale il brano viene caratterizzato da una irresistibile quanto conturbante melodia, con la chitarra solista che va a lambire sonorità di stampo floydiano.
The Gates Of Oblivion, dove la traccia precedente concedeva tenui spiragli di luce, stende invece un ulteriore velo di oscurità e rende ancora più opprimente e corrosiva l’atmosfera del disco.
Return Of The Sorcerer è un breve (se comparato agli altri tre brani che hanno una durata superiore ai 10 minuti) episodio strumentale che ha la funzione tutt’altro che marginale di introdurre degnamente la mastodontica title-track, brano che chiude il disco facendoci sprofondare definitivamente negli abissi della mente umana e delle sue paure ancestrali.
Un’opera, In the Chapel Of The Black Hand, che non potrà lasciare indifferenti coloro che apprezzano atmosfere tipicamente lovecraftiane trasportate in ambito musicale; la citazione del “solitario di Providence” non è casuale, provate a capovolgere la copertina : esaminando attentamente la scritta posta sulla fronte del teschio, si potrà leggere distintamente parte della famosa invocazione a Cthulhu (Ia! Ia! Cthulhu fhtagn).

“In his house at R’lyeh dead Cthulhu lies dreaming”…

Tracklist:
1. The Cult of Souls
2. Gates of Oblivion
3. Return of the Sorcerer
4. In the Chapel of the Black Hand

Line-up:
Steve Mills – Guitars, Hammond organ, Keyboards, Slide guitar
Sharie Neyland – Vocals
Alex Kearney – Guitars
Mike Heath – Drums
Jim Willumsen – Bass

Mare Infinitum – Sea Of Infinity

I Mare Infinitum riescono a condurre saldamente per mano l’ascoltatore all’interno degli oscuri meandri evocati nei loro brani.

In questi ultimi anni la Russia si sta rivelando un’autentica fucina di band dedite alle forme di metal più plumbee e malinconiche, ovvero il doom nelle sue varianti death e funeral.

Questo movimento in costante evoluzione trova il suo naturale sbocco in un’etichetta autoctona come la Solitude Productions, che ha avuto il merito di inserire all’interno del proprio roster una serie di nomi che stanno contribuendo a riscrivere la storia del genere.
I Mare Infinitum sono alla loro prima uscita discografica ma certo non possono essere definiti dei debuttanti in quanto i due musicisti coinvolti nel progetto sono piuttosto noti nella scena dell’ex Unione Sovietica : Homer, polistrumentista ex-Who Dies In Siberian Slush ed il più noto A.K. iEzor batterista e cantante di Comatose Vigil e Abstract Spirit.
Inevitabilmente il genere proposto dai due non si discosta di molto da quanto prodotto dalle band appena menzionate, ma è comunque apprezzabile il tentativo di inserire momenti di discontinuità rispetto agli schemi compositivi consueti, grazie alle frequenti aperture melodiche e all’utilizzo di diversi ospiti alle clean vocals in alternanza al canonico growl.
Il doom in fondo non è genere che si presti troppo a voli pindarici da parte dei suoi interpreti e per certi versi la fedeltà ai modelli consolidati costituisce garanzia di fedeltà e dedizione totale alla causa della “musica del destino”.
Il metodo ideale per assaporare le sonorità funeree ed allo stesso tempo emozionanti di questo lavoro è quello di approcciarlo con la giusta predisposizione mentale, rinunciando a ricercare chissà quali novità stilistiche o compositive.
I Mare Infinitum assolvono pienamente alla loro missione con un album ricco di momenti delicatamente malinconici, sia con brani virati verso il death/doom, come l’iniziale In Absence We Dwell o in Beholding The Unseen, così come in parte della strumentale November Euphoria, con i suoi passaggi prossimi al quella gemma preziosa che e’ stata “They Die” degli Anathema, sia con due episodi decisamente più orientati al funeral come In The Name Of My Sin e la superlativa Sea Of Infinity.
A chi potrebbe aver da obiettare nei confronti di un giudizio del tutto positivo, rimarcando la scarsa originalità della proposta, ricordo che ci sono band come Motorhead e AC/DC, tanto per citare due nomi “qualsiasi”, che propongono fondamentalmente lo stesso disco da 20 anni eppure nessuno osa batter ciglio in nome di una effettiva e consolidata integrità stilistica; la realtà è che, se un album è bello, lo è punto e basta.
Se in questo o quel passaggio i Mare Infinitum possono ricordare i Comatose Vigil piuttosto che gli Ea, ma riescono a condurre saldamente per mano l’ascoltatore all’interno degli oscuri meandri evocati nei loro brani, significa che l’obiettivo è stato raggiunto pienamente .
Io non mi sono ancora stufato di ascoltare Sea Of Infinity, provate a scoprire se vi farà lo stesso effetto…

Tracklist:
1. In Absence We Dwell
2. Sea of Infinity
3. Beholding the Unseen
4. November Euphoria
5. In the Name of My Sin

Line-up:
Homer – Vocals, Drums
A.K. iEzor – Guitars, Bass, Programming, Lyrics

Your Tomorrow Alone – Ordinary Lives

Ci troviamo certamente di fronte a un buon esordio che merita la dovuta considerazione da parte di chi predilige musica dai toni cupi e malinconici.

Una nuova realtà si affaccia nella già prolifica scena gothic-doom italiana : gli Your Tomorrow Alone.

La band salernitana si forma nel 2009 per volere del chitarrista Marco Priore e del cantante Eugenio Mucio; assestata la line-up, dopo diversi avvicendamenti viene pubblicato nel 2010 un demo che ottiene immediati riscontri favorevoli.
Nel 2011 la My Kingdom aggiunge al suo roster i propri conterranei consentendo loro di presentarsi al debutto sulla lunga distanza con questo Ordinary Lives (in uscita in questi giorni).
Come riportato nella bio della band, le coordinate stilistiche vanno ricercate ovviamente nella sacra triade del genere, Paradise Lost , Anathema e My Dying Bride, con netta prevalenza per i primi, senza però dimenticare un nome rilevante in campo nazionale come i Novembre.
Il sestetto campano si muove pertanto in questo ambito esibendo la caratteristica contrapposizione tra armonie malinconiche e partiture più robuste sfruttando al meglio la presenza in line-up di due cantanti dal diverso timbro vocale.
Il risultato è un album di grande valore, contrassegnato da momenti di considerevole impatto come l’opener Renaissance e One Last Breath, nelle quali proprio l’ottimo bilanciamento tra il growl di Eugenio e la voce pulita di Giovanni ricorda un’opera sottovalutata come “Shades Of Sorrow” dei disciolti Whispering Gallery, il trittico Praise For Nothing, The Essence Of Gloom e Guilty, con il pregevole lavoro chitarristico ispirato da Greg Mackintosh da parte di Marco, nonché l’intensa Agony, dal mood più darkeggiante. Anche i brani dalle atmosfere più intimiste e cangianti come Bursting Hope e In Silence si mantengono su un buon livello anche se per le loro caratteristiche peculiari riescono ad essere assimilati pienamente solo dopo diversi ascolti .
E’ evidente che questo disco farà la gioia di coloro che sono cresciuti ascoltando autentiche pietre miliari quali “Shades Of God”, “Icon” o “Draconian Times”, senza che per questo la proposta degli Your Tomorrow Alone possa essere definita una calligrafica riproduzione delle sonorità prodotte dalla seminale band di Halifax, anche perché il tutto viene opportunamente miscelato con atmosfere più rarefatte, che sono il tratto caratteristico della scuola gothic-doom italiana, rendendo in questo modo il lavoro, se non originale, sicuramente dotato di una propria personalità.
Tirando le somme ci troviamo certamente di fronte a un buon esordio che merita la dovuta considerazione da parte di chi predilige musica dai toni cupi e malinconici.

Tracklist:
1. Renaissance
2. Praise for Nothing
3. The Essence of Gloom
4. Guilty
5. Bursting Hope
6. Far From the Sight
7. One Last Breath
8. Agony (praeludium)
9. In Silence

Line-up:
Gianpiero Sica – Bass
Daniele Ippolito – Drums
Marco Priore – Guitars (lead)
Giovanni Costabile – Keyboards
Giovanni Sorgente – Vocals (clean)
Eugenio Mucio – Vocals

Mournful Congregation – The Book Of Kings

I Mournful Congregation con The Book Of Kings si confermano tra le realtà più importanti della scena funeral doom, sfoderando uno dei migliori lavori dell’anno assieme a quelli di Colosseum , Esoteric e Comatose Vigil.

Attivi dal 1993, gli australiani Mournful Congregation appartengono alla ristretta cerchia degli eredi legittimi dei Thergothon , ovvero i “padri” del funeral doom; nonostante la band sia sulla scena ormai da quasi due decenni, The Book Of Kings è solo il quarto full-length in una discografia comunque ricca di diverse uscite , sotto forma di compilation o split, tutte contraddistinte da un’elevata qualità compositiva.

Il brano iniziale The Catechism Of Depression già dal titolo appare come una dichiarazione d’intenti nei confronti dell’ascoltatore che si trova risucchiato in un vortice di atmosfere plumbee che di tanto in tanto vengono squarciate da emozionanti aperture melodiche.
Il successivo The Waterless Streams si mantiene sui livelli eccelsi del brano precedente ma è con The Bitter Veils Of Solemnity che si raggiunge uno dei picchi emotivi, grazie ai suoi dodici minuti di arpeggi acustici che in qualche modo ricordano gli Agalloch di “The White”, sebbene privati della loro componente folk.
Tre quarti d’ora di musica di simile fattura sarebbero più che sufficienti per chiunque ma gli australiani dimostrano di non soffrire di alcuna crisi compositiva chiudendo il disco con i trentatré minuti della title-track, un brano che, nonostante il suo lento incedere, non annoia mai grazie ai frequenti mutamenti di atmosfera ed i sapienti inserti di chitarra solista .
I Mournful Congregation con The Book Of Kings si confermano tra le realtà più importanti della scena funeral doom, sfoderando uno dei migliori lavori dell’anno assieme a quelli di Colosseum , Esoteric e Comatose Vigil.

Tracklist:
1. The Catechism of Depression
2. The Waterless Streams
3. The Bitter Veils of Solemnity
4. The Book of Kings

Line-up:
Adrian Bickle – Drums
Ben Newsome – Bass
Damon Good – Vocals, Bass, Guitars
Justin Hartwig – Guitars

MOURNFUL CONGREGATION – Facebook