Fungi From Yoggoth / Liturgia Maleficarum

Split in cassetta di altissima qualità, direttamente dagli abissi di un inferno che striscia nel sottobosco musicale, e che fortunatamente non ci lascia mai, grazie ad etichette come la Diazepam.

Split in cassetta da sessanta minuti per la Diazepam, etichetta che continua a popolare i nostri incubi.

Il lato a è territorio dei Fungi From Yoggoth con un suono dark ambient rituale vecchio stile, che ci da la possibilità di ascoltare qualcosa che non gira molto negli ultimi tempi. Fungi From Yoggoth più che musica fa ambientazioni sonore, come un gas che passa da sotto una porta chiusa ed invade il nostro ambiente in silenzio. Il darkambient è un genere particolare, e caricato di ritualità come in questo caso è ancora più particolare. I cinque pezzi sono malati ed insani, prodotti molto bene con passione e dedizione, ed ululano come si deve.
L’altro lato della cassetta contiene qualcosa che non ti aspetteresti solo se non conosci la Diazepam, ecco quindi il nerissimo doom ambient con tocchi black metal dei Liturgia Maleficarum. Il gruppo proviene da Dunwich e fa una musica morbosa e quasi fastidiosa nella sua tenebrosa bellezza, e le tastiere sullo sfondo danno una pennellata particolare, quasi che una primitiva elettronica contaminasse la tavolozza di un pittore già morto.
Split in cassetta di altissima qualità, direttamente dagli abissi di un inferno che striscia nel sottobosco musicale, e che fortunatamente non ci lascia mai, grazie ad etichette come la Diazepam.
Edizione limitta in quarantasette copie ordinabile su http://dzpm.blogspot.it/p/store.html

TRACKLIST
01 Fungi From Yuggoth : I
02 Fungi From Yoggoth : II
03 Fungi From Yoggoth : III
04 Fungi From Yoggoth : IV
05 Fungi From Yoggoth : V
06 Liturgia Maleficarum : Ex Divina Luce Repulsus Sum
07 Liturgia Maleficarum : Humanae Vitae Taedemus
08 Liturgia Maleficarum : Mater Abominationum, Ante Te Genuflecto
09 Liturgia Maleficarum : In All His Fathomless Glory, He Appears
10 Liturgia Maleficarum : In Perpetua Obscuritas Iacebo

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Abysmal Grief / Runes Order – Hymn of the Afterlife / Snuff the Nun

Uno split album di qualità non comune grazie alla presenza di due realtà che non deludono mai, dall’alto delle capacità compositive e della personalità dei musicisti coinvolti.

Split album che vede all’opera due nomi pesanti, questo pubblicato dalla Italian Doom Metal Records.

In realtà solo uno di questi parrebbe compatibile con la ragione sociale della label, e parliamo dei genovesi Abysmal Grief, mentre i Runes Order appartengono, di fatto, al mondo degli sperimentatori elettro-ambient.
La band ligure, che apre il lavoro con Hymn of the Afterlife, conosciuta e venerata come formidabile interprete di un horror doom dai tratti unici, per l’occasione si avvicina alle sonorità degli altri ospiti di questo 12”, proponendosi in una veste dark ambient, già esibita qualche anno fa nell’ep “Foetor Funereus Mortuorum” .
Gli Abysmal Grief non evocano semplicemente il dolore lancinante della perdita ma sono essi stessi gli officianti del rito, i necrofori che si incaricano di portare la bara all’esterno della chiesa, coloro che scavano la fossa e che, infine, gettano le ultime manciate di terra sul feretro, prima che il suo dimorante venga inghiottito per sempre nell’oblio della morte.
Personalmente prediligo la band allorché Labes C. Necrothytus ringhia dall’alto della sua tastiera- pulpito su un tessuto musicale più canonico, anche se, pure in questa veste, l’effetto macabro è ugualmente garantito e di indubbia qualità.
Peraltro, come detto, tale scelta contribuisce a rendere la proposta non troppo dissimile, non solo negli intenti, rispetto a quella dei Runes Order di Claudio Dondo.
Il brano Snuff The Nun è una magistrale summa (suddivisa in cinque parti) del background musicale dell’artista: il dark ambient dell’avvio sfocia progressivamente nell’ipotetica soundtrack di un horror psicologico, prima con il contributo vocale di Alex De Siena, poi con il manifestarsi del retaggio elettronico di Dondo, naturale continuatore dei suoni provenienti dalla seminale scena teutonica degli anni ’70.
Inquietante e perfettamente complementare, nonostante le diverse basi di partenza delle due band, alla traccia degli Abysmal Grief, Snuff The Nun termina come come Hymn of the Afterlife era iniziata, ovvero con la recitazione di un Pater Noster qui del tutto spogliato da ogni suo paramento sacro.
Pubblicato in 500 copie, di cui 300 in vinile nero e 200 in grigio, lo split album si rivela di qualità non comune, grazie alla presenza di due realtà che non deludono mai, dall’alto delle capacità compositive e della personalità dei musicisti coinvolti.

Tracklist:
Side A
Abysmal Grief – Hymn Of The Afterlife
Side B
Runes Order – Snuff The Nun

Line-up:
Abysmal Grief
Lord Alastair – Bass
Fog – Drums
Regen Graves – Guitars, Synths
Labes C. Necrothytus – Keyboards, Vocals

Runes Order
Claudio Dondo – All instruments
Alex De Siena – Vocals

ABYSMAL GRIEF – Official Website

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Pryapisme – Futurologie

Solo dei simpatici folli possono pensare di presentare undici brevissimi brani privi di una sequenza logica, nei quali confluiscono jazz, elettronica, metal e chi più ne ha più ne metta, per poi piazzare in coda una traccia di oltre venti minuti che riprende tutto quanto successo in precedenza in formato sinfonico.

Quand’ero bambino (qualche era geologica fa … ) l’idea che mi ero costruito della musica francese era che fosse essenzialmente rappresentata dai grandi chansonnier, di giganti come Gilbert Bécaud, Charles Trenet o Charles Aznavour.

Dopo diversi decenni non si può fare a meno di constatare che qualcosa nell’aria che respirano i cugini d’oltralpe dev’essere radicalmente cambiato, vista l’elevata concentrazione odierna di band che esprimono la loro creatività in maniera definibile, in maniera eufemistica, anticonvenzionale.
Qualcuno fa il grande colpo dando alle stampe un capolavoro in grado di meravigliare ad ogni ascolto (i 6:33 con “Deadly Scenes”), mentre altri, pur senza raggiungere simili livelli, se ne strafottono bellamente di ogni schema consolidato, riversando su un disco qualsiasi cosa passi loro per la testa (e non solo) come fanno i Pryapisme .
Questo manipolo di pazzi sa il fatto proprio a livello strumentale, e ce lo dimostra nell’arco dei tre quarti d’ora di musica apparentemente composta da figuri afflitti da un disturbo “quadripolare” (perché bipolare sarebbe troppo banale …) facendo quasi apparire dei grigi travet gente come Fantomas e affini.
L’unico problema è che qui la bizzarria prende troppo spesso il sopravvento, rendendo oggettivamente complicato seguire il filo logico di un disco che di logica, in effetti, ne ha pochina.
Il lavoro ha comunque un suo fascino ma io, ritenendomi una persona semplice, penso sempre che la musica mi debba soprattutto emozionare e, pur apprezzandone gli sforzi e rispettando le scelte artistiche, non sono mai riuscito ad innamorarmi facilmente di chi si fa promotore di proposte troppo cervellotiche.
I Pryapisme hanno il pregio però di rendersi simpatici, non solo perché evidenziano in ogni occasione il loro amore per i gatti: il loro atteggiamento scanzonato può costituire infatti un ideale grimaldello per penetrare con più agio nelle criptiche partiture inscenate.
Poi, solo dei simpatici folli possono pensare di presentare undici brevissimi brani privi di una sequenza logica, nei quali confluiscono jazz, elettronica, metal e chi più ne ha più ne metta, per poi piazzare in coda una traccia di oltre venti minuti che ripropone tutto quanto accaduto in precedenza in formato orchestrale.
Di sicuro il “piccolo trattato di futurologia sull’homo cretinus trampolinis” non è una lettura consigliabile a chi si vuole rilassare …

Tracklist:
1.I – Petit traité de futurologie sur l’Homo cretinus trampolinis (et son annexe sur les nageoires caudales)
2.II – Petit traité de futurologie sur l’Homo cretinus trampolinis (et son annexe sur les nageoires caudales)
3.III – Petit traité de futurologie sur l’Homo cretinus trampolinis (et son annexe sur les nageoires caudales)
4.IV – Petit traité de futurologie sur l’Homo cretinus trampolinis (et son annexe sur les nageoires caudales)
5.V – Petit traité de futurologie sur l’Homo cretinus trampolinis (et son annexe sur les nageoires caudales)
6.VI – Petit traité de futurologie sur l’Homo cretinus trampolinis (et son annexe sur les nageoires caudales)
7.VII – Petit traité de futurologie sur l’Homo cretinus trampolinis (et son annexe sur les nageoires caudales)
8.VIII – Petit traité de futurologie sur l’Homo cretinus trampolinis (et son annexe sur les nageoires caudales)
9.IX – Petit traité de futurologie sur l’Homo cretinus trampolinis (et son annexe sur les nageoires caudales)
10.X – Petit traité de futurologie sur l’Homo cretinus trampolinis (et son annexe sur les nageoires caudales)
11.XI – Petit traité de futurologie sur l’Homo cretinus trampolinis (et son annexe sur les nageoires caudales)
12.XII – Petit traité de futurologie sur l’Homo cretinus trampolinis (orchestral version)

Line-up:
Ban Bardiaux – Keys, vox
Nils Cheville – Guitars
Antony Miranda – Bass, moog, percs, vox
Nicolas Sénac – Guitars, synths
Aymeric Thomas – Drums, percs, electronics

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Aborym – Dirty

Gli Aborym confermano con questo loro sesto disco il raggiungimento di uno status di tutto rispetto conquistato grazie a dischi talvolta accolti in maniera controversa, tutti accomunati però da una mai sopita voglia di sperimentare soluzioni non convenzionali.

Gli Aborym sono da oltre un decennio una realtà consolidata nel versante più sperimentale del metal. Fabban ha sviluppato un percorso musicale del tutto personale arrivando a una forma di black avanguardistico con il quale ha mostrato in ogni sua uscita un volto diverso rispetto al precedente lavoro.

Parlando di Dirty, si nota subito che possiede sembianze meno claustrofobiche rispetto a “Psychogrotesque” (2010), essendo stata abbandonata la componente ambient a favore del versante elettronico del sound. Il risultato è una creatura multiforme, in grado di passare in pochi secondi da sfuriate di black old style a passaggi dove ritmiche di matrice EBM si impadroniscono della scena, quasi mai però in maniera definitiva: quest’alternanza costante delle atmosfere è un autentico marchio di fabbrica della band italiana.
Dirty martella implacabilmente per tutti i suoi cinquanta minuti di durata, rivelandosi un’esperienza imperdibile per gli ascoltatori dalla mentalità più aperta: infatti, chi ha la fortuna di avere nelle proprie corde generi come il black, l’industrial e l’elettronica avrà di che divertirsi.
Peraltro, nonostante un impatto tutt’altro che rassicurante, non è azzardato affermare che questo lavoro forse è anche quello (relativamente) più immediato che gli Aborym abbiano mai composto, considerando che ogni traccia possiede passaggi che riescono a fare centro anche dopo pochi ascolti.
Il brano che meglio può sintetizzare il contenuto di Dirty è, probabilmente I Don’t Know, che in meno di cinque minuti mostra la versatilità di Fabban e soci: un avvio all’insegna di un blast-beat furioso sovrastato da una base elettro-black da paura, un breve rallentamento con clean vocals, ripartenza e chiusura affidata ad un evocativo assolo di chitarra.
Il valore aggiunto del lavoro è, pero, quello di possedere una sua unicità, oltre ad una qualità che chi si è cimentato in questa forma musicale raramente ha raggiunto, o perché indulgendo troppo sul versante elettronico e sperimentale oppure esibendo una vocazione caciarona e smaccatamente alla ricerca di soluzioni ad effetto. Ciò che traspare da quest’album è la rappresentazione di un malessere globale, che non risparmia alcun appartenente al genere umano, il cui destino sembra segnato in maniera ineluttabile; ma gli Aborym scelgono di non piangersi addosso bensì di reagire esibendo un feroce quanto amaro disincanto.
Dalla Irreversible Crisis (economica ma ancor più di valori) che attanaglia “questo mondo che ci vuole fottere” come ripete ossessivamente Fabban nel brano d’apertura, il percorso attraverso le macerie di un’umanità allo sbando non può che concludersi con l’estinzione della stessa e la fine del pianeta che l’ha ospitata, quasi una liberazione sancita da The Day The Sun Stop Shining .
Gli Aborym confermano con questo loro sesto disco il raggiungimento di uno status di tutto rispetto conquistato grazie a dischi talvolta accolti in maniera controversa, tutti accomunati però da una mai sopita voglia di sperimentare soluzioni non convenzionali.
Da segnalare anche la presenza di un secondo cd contente due tra i brani più noti dei nostri in versione riarrangiata, oltre ad alcune cover tra le quali citerei “Hurt” , brano dei Nine Inch Nails noto anche per la sua struggente interpretazione fornita da Johnny Cash.

Tracklist :
Disc 1
1. Irreversible Crisis
2. Across the Universe
3. Dirty
4. Bleedthrough
5. Raped by Daddy
6. I Don’t Know
7. The Factory of Death
8. Helter Skelter Youth
9. Face the Reptile
10. The Day the Sun Stop Shining

Disc 2
1. Fire Walk with Us (new version)
2. Roma Divina Urbs (new version)
3. Hallowed Be Thy Name (Iron Maiden cover)
4. Comfortably Numb (Pink Floyd cover)
5. Hurt (Nine Inch Nails cover)
6. Need for Limited Loss (new track)

Line-up :
Fabban – Bass, Keyboards, Vocals
Faust – Drums
Paolo Pieri – Guitars, Keyboards, Programming

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