Biogenesis – A Decadence Divine

Progressive, sinfonie gotiche, power metal e death/thrash contribuiscono a rendere quest’opera la colonna sonora del diluvio universale, una punizione divina che si scatenerà quanto prima dalle note di questo splendido lavoro.

Dall’underground metallico statunitense arrivano ottimi lavori, magari fuori dai soliti cliché del metal made in U.S.A. più cool, ma sicuramente opere di spessore che MetalEyes puntualmente vi porta a conoscenza.

La label Roxx Records, specializzata in christian metal, licenzia il quarto lavoro dei Biogenesis, gruppo proveniente dall’Ohio, attivo da ormai vent’anni ed in cui milita il singer Chaz Bond, ex Jacobs Dream, power metal band fuori con una manciata di ottimi lavori nel primo decennio del nuovo millennio.
A Decadence Divine è un ottimo album che ingloba una serie di atmosfere e sfumature diverse tra loro, vari generi che, amalgamandosi, trovano un equilibrio quasi perfetto e creano questo oscuro e tragico monolite di metallo, progressivo ed orchestrale.
Il singer tra clean e growl dà prova di saperci fare, così come i musicisti che lo accompagnano in questa che, di fatto, è un’ avventura nel mondo del metal tra classico ed estremo.
La title track, l’oscura Inside The Beast, la veloce e Thrashy As Empire Falls, formano un inizio scoppiettante, con i tasti d’avorio che cuciono arabeschi di musica classica, le sei corde che imprimono un marchio di fabbrica progressive/thrash, con la sezione ritmica che sale in cattedra quando la velocità diventa sostenuta.
Molto teatrale, tanto che in alcuni momenti il sound ricorda la splendida musica dei Saviour Machine (Lines In The Sand), l’album risulta un monolito di spettacolare metallo oscuro e progressivo, colonna sonora di una decadenza che, fin dal titolo, il gruppo descrive divina, frutto di forze e volontà più grandi dell’uomo.
La sinfonica Tears Of God e la conclusiva Brood Of Vipers sono un paio di esempi di questo clamoroso lavoro che diventa sempre più intenso ogni minuto che passa, mentre Iced Earth, Symphony X e i tedeschi Crematory divengono più che semplici ispirazioni.
Progressive, sinfonie gotiche, power metal e death/thrash contribuiscono a rendere quest’opera la colonna sonora del diluvio universale, una punizione divina che si scatenerà quanto prima dalle note di questo splendido lavoro.

TRACKLIST
1. Prelude (Nocturnal Images)
2. A Decadence Divine
3. Inside the Beast
4. Bet Your Soul
5. As Empires Fall
6. Lines in the Sand
7. The Pain You Left Behind
8. Tears of God
9. Land of Confusion
10. In the Darkness I Dwell
11. Brood of Vipers
12. Silence (CD Only Bonus Track)

LINE-UP
Sam Nealeigh – Keyboards
Majennica Nealeigh – Drums
Dan Nealeigh -Bass
Luke Nealeigh – Lead/Rhytym Guitars
James Riggs – Lead/Rhythym Guitars
Chaz Bond – Lead Vocals

BIOGENESIS – Facebook

Universal Theory – The Most Attractive Force

Il duo madrileno propone un metal gotico e progressivo, con innesti di elettronica, un disco con grande sentimento di gotico struggimento: i fantasmi ti passano vicino e ti accarezzano, perché la tristezza è il sentimento più nobile

Gli Universal Theory sono un duo spagnolo fondato da Jesus Pinilla agli strumenti analogici e digitali e con Jose Maria Martos alla voce femminile.

Questo disco è uscito nel 2015, ed è il secondo capitolo della loro discografia, due anni dopo il debutto Mistery Timeline. Il duo madrileno propone un metal gotico e progressivo, con innesti di elettronica. Il disco ha molte sfaccettature, porta a galla una grande cultura musicale e, dalle parole di Jesus, il gruppo nasce per il piacere di ricercare. Infatti non c’è mai una canzone uguale, anzi, ogni traccia è praticamente un genere a sé stante. La cifra stilistica è sempre quella del metal altro, del sentire gotico in chiave moderna, con tastiere molto presenti. Se dovessi paragonarli con altri gruppi direi Tiamat o Moonspell, meno spigolosi e satanici. Qui troviamo un certo gusto surrealista nell’approcciarsi alla realtà, come se questa musica fosse uno specchio dal quale osservare, non visti, lo svolgersi della guerra quotidiana, ma ci sono temi alti trattati molto bene. Gli Universal Theory sono un gruppo che lascia un ottimo ricordo nei padiglioni auricolari, funzionano bene nei momenti più veloci ma il meglio lo danno nelle aperture melodiche, ottime dilatazioni di tempo e spazio. The Most Attractive Force è un disco che regala molti ascolti, e che può essere degustato su diversi livelli, poiché ha la giusta complessità che dà una struttura forte e una lunga vita a questa musica. Una delle peculiarità più interessanti del gruppo è la perfetta compenetrazione delle due voci, che sono l’una la metà dell’altra, e quando si incrociano è meraviglia. Il duo madrileno propone un metal gotico e progressivo, con innesti di elettronica, un disco con grande sentimento di gotico struggimento: i fantasmi ti passano vicino e ti accarezzano, perché la tristezza è il sentimento più nobile, e The Most Attractive Force è un momento di dolorosa consapevolezza umana.

TRACKLIST
1.Before Sunrise
2.Somewhere Else
3.Unfinished Desire
4.The Most Attractive Force
5.Romance I
6.Deeper Than You Know
7.Romance II
8.The Wall Of Darkness
9.Light Vein

LINE-UP
Jesús Pinilla: Vocals, Instruments & Programming
María José Martos: Vocals

UNIVERSAL THEORY – Facebook

Alchimia – Musa

Musa è davvero ispirato da un’entità superiore, e come i processi alchemici prende degli elementi, li distrugge e li fa rinascere attraverso un processo materiale ma soprattutto spirituale, che in questo caso è la fusione di metal e folklore partenopeo.

Alchimia è la nuovo ideazione di Emanuele Tito, già fautore del progetto Shape.

Questo disco è un ponte gettato tra varie forme di metal e la musica mediterranea, ed in particolare quella napoletana. Musa è però molto di più di quanto sopra, ed il valore del disco è davvero alto. La ricerca musicale di Emanuele è molto profonda, parte dal metal usandolo come codice per poter decifrare linguaggi diversi, e riesce ad accomunate una composizione goticheggiante con le peculiarità della musica popolare napoletana. Il disco è figlio della terra in cui ha le radici, ovvero Napoli e la sua provincia, che hanno una musica e tradizioni tutte loro, che si stanno ormai perdendo, ma dischi come questo e quello di Scuorn valgono oro, perché le tradizioni partenopee sono esplosive come la terra sotto i Campi Flegrei, ed attraversano il sottosuolo per arrivare in superficie e palesarsi in diverse forme, come in questo disco. La bravura di Emanuele è molteplice e si dirige in diverse direzioni e Musa è sicuramente parte di un disegno più grande che sta nella sua testa, e che speriamo possa palesarsi nella sua interezza, perché già così è fantastico. Come generi e sottogeneri del metal qui ne abbiamo in abbondanza, dal gothic al doom, ad un incedere death metal, però il sentire è sempre decadente, ben rappresentato dalla copertina, che è un dipinto di Ettore Tito intitolato Le Ondine. Musa appare davvero ispirato da un’entità superiore, e come i processi alchemici prende degli elementi, li distrugge e li fa rinascere attraverso un processo materiale ma soprattutto spirituale, che in questo caso è la fusione di metal e folklore partenopeo, ma come detto sopra l’opera di Emanuele fonde in sé diversi elementi per diventare un qualcosa di sublime e davvero sentito. Dischi come questo fanno sì che il metal si avvicini ad essere un’arte nel senso classico, ovvero nel tradurre in immagini i movimenti dell’esistenza. Un disco dannatamente vicino ad uno splendido cielo pagano.

TRACKLIST
1. Orizzonte
2. Lost
3. Exsurge Et Vive (Alchemical Door)
4. My Own Sea (Fading)
5. Whisper of the Land
6. Waltz of the Sea
7. Leaves
8. Oceano: Tempesta
9. The Fallen One
10. Assenza (Memory)

LINE-UP
Emanuele Tito – songwriting, guitars, vocals
Fabio Fraschini – bass
David Folchitto – drums
Gianluca Divirgilio – ghost ethereal guitars

ALCHIMIA – Facebook

Eli Van Pike – Welcome To My Dark Side

Welcome To My Dark Side scorre via senza particolari intoppi consegnandoci una decina di brani concisi, efficaci e vari.

Dall’unione di tre questi musicisti scaturisce, oltre ad un monicker (Eli Van Pike) originato dai rispettivi cognomi, una forma di gothic industrial che dovrebbe, secondo gli intenti dichiarati, attrarre i fans di Rammstein, Eisbrecher e in generale di un sound di tipica matrice tedesca.

Messa così, la questione potrebbe rivelarsi ingannevole perché in effetti il trio dimostra una certa versatilità, derivante anche da un’indubbia maestria strumentale che rende Welcome To My Dark Side un album tutt’altro che monotematico o ancor peggio noioso.
Quello che è il pregio dell’album si rivela però anche il suo principale difetto, perché l’idea di fondere sonorità industrial con altre di stampo più classico non è affatto male, ma finisce per far viaggiare il tutto a due velocità, con i brani più ritmati che si rivelano a mio avviso superiori a quelli di natura più melodica.
Sarà forse perché, da estimatore dei Rammstein fin dalla prima ora, l’ormai lunga vacanza compositiva presa da Lindemann e soci mi rende ancor più gradito tutto ciò che vi assomiglia, ma non c’è dubbio che a livello attitudinale gli Eli Van Pike si fanno preferire di gran lunga in questi frangenti.
Sono così le cosi le corpose Herzschlag e Tears Of War, con i lori classici riff squadrati, a spiccare in un album comunque divertente e piuttosto scorrevole, con un trio di musicisti che interpreta la materia con sapienza, disinvoltura ed un pizzico di gradita leggerezza dal punto di vista dell’approccio (Made In Germany), che spesso porta il sound dalle parti dei Mono Inc. in versione irrobustita (la title track, Amen).
L’alternanza vocale tra l’impostazione power dello statunitense Ken Pike e quella gothic del tastierista Thorsten Eligehausen funziona abbastanza bene, anche se entrambi non sempre appaiono a proprio agio, l’uno quando si spinge su tonalità troppo alte e l’altro quando tende a forzare ribassandole ulteriormente.
Poco male, tutto sommato, perché Welcome To My Dark Side scorre via senza particolari intoppi consegnandoci una decina di brani concisi, efficaci, vari e contraddistinti dal notevole lavoro chitarristico di Marc Vanderberg: nulla di imprescindibile, ma un qualcosa che si lascia ascoltare sempre con estremo piacere.

Tracklist:
01. Made in Germany
02. Herzschlag
03. 1-2 frei
04. World on Fire
05. Tears of War
06. One last Rose
07. Peter, 41
08. Welcome to my Dark Side
09. Amen
10. Valentine´s Day

Line-up:
Marc Vanderberg – Guitars, Drum & Bass Programming
Ken Pike – Lead Vocals
Thorsten Eligehausen – Lead Vocals, Keyboards

ELI VAN PIKE – Facebook

Revenience – Daedalum

Un debutto sulla lunga distanza che promette bene per il futuro di questa band nostrana: in un genere inflazionato come il gothic metal, i Revenience hanno le carte in regola per ritagliarsi il loro spazio.

Symphonic gothic metal da Bologna con Daedalum, il primo full lenght dei Revenience, quintetto facente parte della grande e varia famiglia Sliptrick Records.

Come tutte le band gothic che si rispettino, anche i Revenience possono contare su una cantante, Debora Ceneri, dall’ottimo talento, personale e bravissima nel variare la sua performance quel tanto che basta per modellare le canzoni regalando loro una propria anima.
Il sound di Daedalum risulta così molto vario ed alterna canzoni gothic metal dal piglio estremo, con tanto di voce in growl (Simone Spolzino) a duettare con la musa, altri eleganti ed elettronici ed altri ancora più sinfonici, ampliando il più possibile il proprio sound.
Le ispirazioni sono molte e di vario genere (si passa con disinvoltura da Edenbridge e Within Temptation ai Lacuna Coil) e l’album ne trae beneficio, convincendo e lasciando intravedere ottime potenzialità grazie ad una manciata di tracce molto intriganti.
Fra queste sicuramente spicca il singolo Shamble, brano dall’enorme appeal, e poi Flail, altro bellissimo esempio di gothic metal sinfonico, fino ad arrivare all’apice di questo Daedalum, l’emozionante Shadows And Silence, sunto della musica del gruppo, tra parti più ariose, potenti ritmiche, solos classici ed una prova sontuosa di Debora Ceneri.
Un debutto sulla lunga distanza che promette bene per il futuro di questa band nostrana: in un genere inflazionato come il gothic metal, i Revenience hanno le carte in regola per ritagliarsi il loro spazio.

TRACKLIST
1.In a Landascape of Winter
2.Blown Away by the Wind
3.Shamble
4.Flail
5.Lone Island
6.A-Maze
7.Not My Choice
8.Revenant
9.Shadows and Silence

LINE-UP
Fausto De Bellis – Bass, Guitars
Simone Spolzino – Drums, Vocals (harsh)
Michele Di Lauro – Guitars
Pasquale Barile – Keyboards, Synths
Debora Ceneri – Vocals

REVENIENCE – Facebook

Ravenscry – The Invisible

Il bello di The Invisible è l’energia dispensata dalla band, con le parti più atmosferiche che fanno da preludio a brani sapientemente metallici.

Che i nostrani Ravenscry non fossero la solita gothic metal band era stato ampiamente dimostrato dal bellissimo The Attraction Of Opposites, album uscito tre anni fa che metteva in luce il talento compositivo del gruppo milanese e la bravura della cantante Giulia Stefani.

Con il nuovo album intitolato The Invisible il gruppo va oltre, creando un concept dal taglio moderno dove metal, dark e gothic rock si fondono per donare un’ora di magia musicale intrigante e matura.
Un concept, quindi, una storia che si articola su diciannove brani tra intermezzi, intro ed outro, atmosfere intimiste ed altre molto più energiche dove spicca il talento della Stefani, ancora una volta fiore all’occhiello dei Ravenscry, così come il songwriting, questa volta davvero superlativo.
Non è certamente il primo e non sarà neanche l’ultimo, ormai i concept album si sprecano tra le uscite che a ritmo frenetico invadono il mercato, ma nell’opera dei Ravenscry c’è qualcosa in più, che porta l’ascoltatore oltre la storia per assaporare le varie sfumature offerte dalla musica.
Coral è una giovane bibliotecaria che scopre sulla copertina di un libro un luogo della sua infanzia e così, nella necessità di ritrovare questo misterioso luogo, la ragazza inizia un viaggio anche interiore, un’avventura raccontata dal gruppo dispensando metal/rock dal taglio dark.
Il bello di The Invisible è l’energia profusa dalla band, con le parti più atmosferiche che fanno da preludio a brani sapientemente metallici, nei quali non mancano solos dal retrogusto classico che si frappongono ad una struttura modern metal, con la cantante che elargisce qualità canore ancora più stupefacenti che nel precedente lavoro.
Basterebbe The Deepest Lake come esempio della capacità compositiva dei Ravenscry che, tra ritmiche al limite del prog ed una struttura metallica, lasciano alla cantante lo spazio necessario per portare il brano ad un livello altissimo, emozionando non poco.
Fortunatamente ogni brano vive di luce propria, da quelli più lunghi ed articolati (Hypermnesia, The Mission) a quelli più diretti (Coral – As Seen By Others) e vanno a comporre un’opera riuscita in pieno, confermando non solo la bravura del gruppo milanese, ma lo stato di salute di una scena italiana che ormai fa la voce grossa in gran parte dei generi del metal.

TRACKLIST
1. The Entaglement
2. Whispered Intro
3. Hypermnesia
4. Coral (as seen by others)
The librarian talks about Coral
5. The Mission
6. Monsters Inside
The director of the institute talks about Coral
7. The Invisible Revolution
8. The teacher talks about Coral part 1
9. The Deepest Lake
10. The grandmother talks about Coral
11. More Than Anything
12. The teacher talks about Coral part 2
13. Nothing But A Shade
14. Nora talks about Martin
15. Oscillation
16. In Collision
17. The Magic Circle
Martin talks with Coral part 1
18. Flux Density
19. Overload
Martin talks with Coral part 2

LINE-UP
Giulia Stefani – vocals
Paul Raimondi – guitars
Mauro Paganelli – guitars
Andrea Fagiuoli–bass
Simon Carminati – drums

RAVENSCRY – Facebook

Heaven’s Guardian – Signs

Signs non va oltre la sufficienza, rimanendo un album confinato nel limbo dei lavori piacevoli ma facilmente dimenticabili, poco per un gruppo nato nel secolo scorso.

La Pure Steel si prende carico della distribuzione del nuovo album dei brasiliani Heaven’s Guardian prodotto dalla Megahard Records.

Il gruppo sudamericano non è certo di primo pelo nella scena power metal, la sua attività iniziata nel 1999 l’ ha portato ad incidere due full length nei primi anni del nuovo millennio, per poi finire nel limbo e tornare dopo più di dieci anni con Signs, album che porta con se una novità importante, l’ affiancamento di una voce femminile (Olivia Bayer) al singer Flavio Mendez ed una sterzata verso i lidi sinfonici tanto cari alle band attuali.
Dunque gli Heaven’s Guardian, con una line-up attuale composta da ben sette musicisti, tornano con questo nuovo lavoro che, pur con tutti i migliori propositi, non riesce ad uscire dall’anonimato.
Anche Signs infatti rimane imprigionato nel novero degli album discreti ma nulla più, scontati nelle soluzioni orchestrali ormai abusate da centinaia di band , poco incisivo e ripetitivo nelle ritmica e con un songwriting che non decolla.
I duetti tra le due voci non alzano l’ appeal dei brani che non vanno più in la del compitino, anche se almeno il suono esce pulito e qualche assolo riesce a rompere un po’ la monotonia del disco.
Peccato, e anche l’appoggio della Pure Steel non so quanto giovamento porterà al gruppo brasiliano: a mio parere l’album a tratti non risulta né carne né pesce, troppo spostato sui mid tempo per piacere ai fans del power, ma anche eccessivamente metallico per chi assaporava qualche spunto symphonic gothic in più ed invece deve attendere invano fin quasi allo scoccare dell’ora di durata.
Signs non va oltre la sufficienza, rimanendo un album confinato nel limbo dei lavori piacevoli ma facilmente dimenticabili, poco per un gruppo nato nel secolo scorso.

TRACKLIST
1. Religion
2. Time
3. Strength
4. Journey
5. Fantasy
6. Dream
7. Change
8. Passage
9. War
10. Silence

LINE-UP
Olivia Bayer – vocals (female)
Flávio Mendez – vocals
Luiz Maurício – guitars
Ericsson Marin – guitars
Everton Marin – keyboards
Murilo Ramos – bass
Arthur Albuquerque – drums

HEAVEN’S GUARDIAN – Facebook

Moaning Silence – Fragrances from Yesterdays

Fragrances from Yesterdays è una breve quanto esaustiva dimostrazione di un’ulteriore crescita da parte dei Moaning Silence.

Dopo il buon esordio A World Afraid of Light, full length datato 2015, ritornano i greci Moaning Silence, gothic doom band guidata da Christos Dounis, con questo ep intitolato Fragrances from Yesterdays.

Rispetto all’uscita precedente va registrato un cambio di line up tutt’altro che marginale, visto che riguarda la voce femminile, oggi affidata ad Eleni Kapsimali che va a sostituire Emi Path; pur essendo quest’ultima dotata di un buon timbro, ritengo che la nuova entrata offra quel qualcosa in più per esaltare al meglio l’afflato melodico che il gothic metal dei Moaning Silence offre con sempre maggiore continuità.
Come detto per il suo predecessore, il sound del gruppo ellenico è assolutamente ancorato agli stilemi del genere, ma ciò avviene in maniera così competente e gradevole che non si può fare a meno di apprezzarne l’incedere malinconico asservito ad una forma canzone sempre ben delineata.
Ogni brano, così, gode di una sua precisa fisionomia, sia quando i ritmi si fanno più intesi e la voce di Christos diviene aspra nel duettare con Eleni (Before The Dawn e Just Another Day), sia nel momento in cui il sound si fa più cullante e la melodia prende decisamente il sopravvento (Flaming Fall e Summer Rain, tracce baciate da chorus davvero splendidi).
Qualche dubbio lo lascia solo la scelta di coverizzare Yesterday, eseguita comunque ottimamente e resa in maniera tutto sommato abbastanza fedele, soprattutto perché l’andare a confrontarsi con certi monumenti musicali ha sempre qualche controindicazione, non fosse altro per il fatto che, al limite, l’operazione può solo togliere e non aggiungere qualcosa a chi vi si cimenti.
Detto questo, Fragrances from Yesterdays è una breve quanto esaustiva dimostrazione di un’ulteriore crescita da parte della creatura di Christos Dounis, coadiuvato anche stavolta dal batterista Vaggelis X e, soprattutto, dal ben noto Bob Katsionis a sovrintendere la produzione e a fornire il suo contributo fattivo come bassista e tastierista.
Il segreto dei Moaning Silence, in fondo, risiede in una ricetta all’apparenza elementare, ovvero quella che prevede un approccio al genere lineare e volto ad andare dritto al cuore dell’ascoltatore, senza ricorrere ad artifici particolari ma badando solo a creare delle belle canzoni. Facile? Se così fosse ci riuscirebbero tutti …

Tracklist:
1.Entering The great Night
2.Before The Dawn
3.Just Another Day
4.Yesterday
5.Flaming Fall
6.Summer Rain

Line-up:
Eleni Kapsimali – Vocals
Christos Dounis – Guitars, Vocals
Vaggelis X – Drums
Bob Katsionis – Bass, Keyboards

MOANING SILENCE – Facebook

Distressful Project – Fucked Up Songs

Il sound, ondeggia tra il gothic ed il death doom, con maggior propensione verso il primo, in virtù di una propensione ad una malinconica orecchiabilità, ma con superiore efficacia nell’affrontare il secondo.

Fucked Up Songs, nonostante risulti quale secondo full length di questo duo russo, è in realtà una nuova versione del precedente Neverending Pain, del quale ricalca fedelmente la scaletta mantenendone in comune persino la copertina.

Inoltre, per quanto le tracce siano state oggetto di una revisione, il materiale ivi contenuto è stato composto quasi dieci anni fa, quindi è difficile stabilire quanto possa essere indicativo delle inclinazioni attuali della band.
Il sound, comunque, ondeggia tra il gothic ed il death doom, con maggior propensione verso il primo, in virtù di una propensione ad una malinconica orecchiabilità, ma con superiore efficacia nell’affrontare il secondo, visto che la canzone migliore del lotto è per distacco la conclusiva Blindness, che non a caso è quella che più di altre affonda con più decisione le radici nel doom più estremo, con il suo incedere rallentato sorretto da evocative tastiere e da un bellissimo lavoro chitarristico.
Sullo stesso filone si va a collocare anche At Eternity’s Gate, altra ottima traccia in cui l’ottimo growl ne ammanta di oscurità le trame dolenti meglio di quanto non avvenga con le clean vocals.
Il resto dell’album viaggia invece su coordinate più canonicamente gothic, rievocando a tratti qualcosa dei primi Evereve, ma con una vena drammatica ed un enfasi vocale di molto inferiore, offrendo comunque canzoni pregevoli come Skotodini, Soulless e Paranoia.
Pur non risultando un’opera imprescindibile, Fucked Up Songs (non un gran titolo, peraltro, meglio quello precedente) mostra a tratti la buona qualità compositiva del duo composto da Alextos e Yanis e, in considerazione di quanto detto in fase introduttiva riguardo al periodo di composizione dell’album, non è escluso che un eventuale prossimo lavoro possa mostrare un volto diverso o comunque più definito dei Distressful Project.

Tracklist:
1….
2.Tristia
3.Skotodini
4.At Eternity’s Gate
5.The Curse
6.Volition
7.Twilight
8.Soulless
9.Paranoia
10.Blindness

Line-up:
Alextos – Vocals, Bass, Programming
Yanis – Vocals, Guitars, Keyboards, Programming

Animae Silentes – Suffocated

Arriva il disco d’esordio per gli Animae Silentes, band che nasce da cinque musicisti non proprio sconosciuti, ma che ci faranno scoprire la loro idea di dark-goth metal. Un album completo e ben fatto.

Gli Animae Silentes sono una band di recente formazione ma i cui componenti hanno già alle spalle una notevole gavetta.

Per farla breve e conoscerli meglio: il cantante Alessandro Ramon Sonato, già parte dei Chrome Steel (Judas Priest Tribute) e Bad Sisters, oltre a essere ex Hollow Haze e Crying Steel, e il bassista Tomas Valentini, che molti conosceranno come membro degli Skanners, danno il “la” a questo nuovo progetto, avendo ben chiare le idee in merito a stile e genere nel giugno del 2015.
Come se non bastassero le menti geniali, ecco arrivare il chitarrista Giovanni Scardoni (Chrome Steel, ex Ground Control) e Riccardo Menini (Dirty Fingers); infine, il batterista Cristian Bonamini (Alcstones, Romero).
Tutta questa esperienza accumulata e il talento naturale vengono condensati nel loro disco d’esordio Suffocated, un lavoro pulito e intenso, ma anche a tratti cupo e dark.
Il tutto inizia con la classica breve Intro che include un temporale, con tanto di corvi e una bella chitarra a farla da padrona; Burning in Silence è il vero punto di partenza, uno dei pezzi più melodici e piacevoli, seguono Purgatorium ed Eville, le quali insieme a Madman Town, mostrano la parte un po’ più rock degli Animae Silentes.
L’aspetto più dark lo incontriamo in Nothing Else to Remind (molto intensa) e Illusion, al limite del gothic di qualche tempo fa, che mi hanno ricordato gli Amorphis dell’album Tuonela; Save, Desperation Road e Lost in My Soul riprendono note più orecchiabili, ma senza mai cadere nella banalità; per concludere, troviamo Suffocated che, paradossalmente, è quella che mi è piaciuta un po’ meno.
Uno dei punti di forza degli Animae Silentes è la bravura di Rock Ramon al microfono, il quale riesce ad interpretare con scioltezza qualsiasi stile senza perdersi e senza risultare eccessivo, cosa che può tranquillamente accadere se spingi troppo con lo screaming o il growling, e naturalmente anche gli altri non sono da meno.
Insomma, Suffocated è un disco da avere perché suonato da chi la musica la sa fare e ci mette davvero il cuore.
Potrebbe non piacere a tutti il genere in questione, ma è indubbio il fatto che si tratti di un esordio con i fiocchi.

TRACKLIST
1 Intro
2 Burning In Silence
3 Purgatorium
4 Eville
5 Nothing Else To Remind
6 Illusion
7 Save Me
8 Desperation Road
9 Madman Town
10 Lost In My Soul
11 Suffocated

LINE-UP
Rock Ramon – voice
Tomas Valentini – Bass guitar
Riccardo Menini – Guitar
Giovanni Scardoni – Guitar
Cristian Bonamini – Drum

ANIMAE SILENTES – Facebook

Nighon – The Somme

Il ritorno dei finlandesi Nighon sarà una piacevole riscoperta per tutti gli appassionati del genere e non. Una combo di voci tra melodia e potenza, testi impegnati e non banalità. Bentornati ragazzi.

I Nighon, band finlandese formatasi nel 2008, è arrivata al suo secondo album in studio che, come ben sostiene il detto popolare, è il più difficile da realizzare nella carriera di un artista.

C’è anche da dire che il fatto di aver condiviso il palco con band del calibro di myGRAIN, Magenta Harvest, Finntroll e Kill The Kong, solo per citarne alcune, ha influenzato e arricchito il loro percorso in maniera significativa.
Il risultato è quindi un nuovo album che viene catalogato come gothic, ma che ha la peculiarità di risultare molto attuale e ben accostabile anche ad altri generi di radice comune, anche grazie a sonorità aperte alle tecnologie moderne.
A tutto questo aggiungiamo il fatto che all’interno di The Somme troviamo musica che affronta riflessioni in merito a tematiche complesse che ultimamente interessano un po’ tutti: la guerra, la società post-moderna nei suoi conflitti più evidenti, quindi nulla di banale.
Per lanciare al meglio questa nuova fatica, il primo singolo estratto è esattamente il secondo contenuto nell’album e uno dei più melodici, The Greatest of Catastrophes, accompagnato proprio in questi giorni da un video accattivante, una scelta che potrebbe essere considerata comoda per certi versi.
Nonostante ciò, The Greatest of Catastrophes è solo una delle quattordici tracce, le quali hanno la caratteristica principale di essere equilibrate e mai troppo complesse o eccessive nel loro intento, soprattutto se consideriamo i testi già densi di significato.
Fondamentalmente, anche nei pezzi più energici, come You Do Not Know What The Night May Bring per citarne uno, questi ragazzi sanno interessare l’ascoltatore persino quello meno appassionato; stesso discorso vale per le songs più melodiche (The Dirge, Lest We Forget) e per gli intermezzi introduttivi che incontriamo qua e là.
Insomma, nel suo complesso The Somme è un lavoro che non propone nulla di realmente innovativo, ma è fatto bene e curato nella sua interezza, a dimostrazione di quanto i Nighon ci credano seriamente e sappiano lavorare insieme senza essere influenzati dalle molteplici band provenienti dal loro stesso paese.
Non essendo troppo vincolante nel suo genere, ve lo consiglio vivamente.

TRACKLIST
01 – Marseille 1914
02 – The Greatest of Catastrophes
03 – The Dirge
04 – Lest We Forget
05 – Medic
06 – Blow Them to Hell
07 – Altafjord
08 – Scharnhorst
09 – Reclaming Ravenpoint
10 – You Do Not Know What the Night May Bring
11 – Minor Secundus
12 – Tragédie
13 – I Fear for Tomorrow
14 – Somme

LINE-UP
Nico Häggblom – Voce
Alva Sandström – Voce
Björn Johansson – Chitarra
Mika Paananen – Batteria
Michael Mikander – Chitarra
Mats Ödahl – Basso

NIGHON – Facebook

Ashenspire – Speak Not Of The Laudanum Quandary

Gli Ashenspire testimoniano nel migliore dei modi come il metal possa essere usato in maniera splendida e struggente per bilanciare narrazioni assai false.

L’Inghilterra ha sempre provato a tacere le proprie nefandezze e brutture, e dell’epoca vittoriana abbiamo un’immagine il più possibile romantica, mentre in realtà è stata un’epoca di progresso ma anche di un terribile tenore di vita per molti.

Prendiamo ad esempio Londra, che era una città divisa in due: nel West End la minoranza ricca, mentre nell’East End la massa di poveri e proletari, ammassati uno sull’altro, spesso costretti a pagare per vivere in luride case, vittime poi di inquinamento o di violenza. E qui tacciamo la vicenda di Jack Lo Squartatore, che ha anche avuto una valenza sociale non abbastanza indagata nella storiografia, perché ha fatto luce sulle condizioni di vita di una larga fetta di popolazione. Ora attraverso il metal gli scozzesi Ashenspire producono un sublime concept album sull’epoca vittoriana e più in particolare sul troppo taciuto imperialismo inglese. La maggior parte della popolazione mondiale quando si parla di imperialismo pensa agli Stati Uniti D’America, mentre i più grandi imperialisti della storia sono stati gli inglesi. Il loro impero si allungava sul mondo intero, e oltre ad esportare usi e costumi hanno anche regalato molta oppressione a tanti popoli. Gli Ashenspire con toni molto gotici e drammatici mettono l’accento anche sulla distruzione del popolo britannico attuata dai loto stessi governanti, perché attraverso l’imperialismo si provava anche a risolvere il problema dei poveri, sia mandandoli dall’altra parte del mondo sia facendoli morire in patria. Il gruppo di Glasgow concepisce un’opera fuori dal comune e bellissima, e sembra di essere a teatro mentre si ascolta Speak Not Of The Laudanum Quandary, un disco che va ben oltre la solita fruizione di musica popolare. I perfetti intarsi di piano e violino, la completa compenetrazione fra gli altri strumenti rende questo disco un autentico gioiello, con canzoni che diventano suite e ci trasportano nelle situazioni descritte. Il progetto è stato concepito da Alastair Dunn, batterista del gruppo, che militando nel gruppo black metal Enneract si era giustamente stufato del nazionalismo di bassa lega vigente nel black metal e si era dato l’obiettivo, completamente raggiunto con questo disco, di usare la musica per dare al pubblico una visione più oggettiva della storia, senza colorarla con falsi colori. Questo disco, che usa diversi toni del metal, dal prog al gothic, dal post all’heavy, tenendo fermo come modelli i misconosciuti Devil Doll, ha un tono drammatico notevolissimo, con passaggi immensamente belli, e anche momenti di musica ottocentesca rivista in chiave moderna. Speak Not Of The Laudanum Quandary è un disco che va in profondità in situazione ed argomenti poco piacevoli ma molto più reali della falsa visione che si vuole dare di un impero malvagio ed oscuro, impilato su sangue e ossa, ma anche composto da paura e miseria,e questo disco ce lo sbatte in faccia in una maniera elegantissima e bellissima. Gli Ashenspire testimoniano nel migliore dei modi come il metal possa essere usato in maniera splendida e struggente per bilanciare narrazioni assai false.

TRACKLIST
1.Restless Giants
2.The Wretched Mills
3.Mariners at Perdition’s Lighthouse
4.Grievous Bodily Harmonies
5.A Beggar’s Belief
6.Fever Sheds
7.Speak Not Of The Laudanum Quandary

LINE-UP
Alasdair Dunn – Drums, Sprechgesang
Fraser Gordon – Guitars
James Johnson – Violin, Percussion
Petri Simonen – Bass

ASHENSPIRE . Facebook

Red Cain – Red Cain

Venti minuti di musica sono pochi per decretare la nascita di una stella, ma si rivelano sufficienti per prevedere, con ragionevole certezza, che ciò potrà accadere in un futuro molto prossimo.

Grazie all’ottimo lavoro di promozione dell’attivo Jon Asher, ci viene offerta ultimamente la possibilità di ascoltare molta buona musica proveniente dal Canada, nazione che, sovente, viene oscurata da quanto prodotto più a sud negli Stases, ma che è terra natia di diverse band che hanno fatto a loro modo la storia (Rush, Annihilator, Voivod, ma ho citato le prime tre che mi sono venute in mente, dimenticandone sicuramente altre).

I Red Cain devono ancora mangiarne di polvere prima di arrivare a quei livelli, ma il loro ep omonimo è il viatico migliore per iniziare questo impervio percorso: i cinque ragazzi provenienti dall’olimpica Calgary si sono cimentati in un’operazione non priva di rischi ma perfettamente riuscita , con il loro tentativo di fondere il power/prog metal con sonorità dark.
Era da tempo, infatti, che non mi capitava di ascoltare qualcosa di così fresco e dirompente in campo heavy metal: i Red Cain sono delle vere e proprie spugne che, dopo aver assorbito tutto quanto di buono è stato prodotto negli ultimi vent’anni, ne hanno filtrato il meglio salvandone sfumature che, se maneggiate con poca cura, avrebbero rischiato di rivelarsi antitetiche.
La voce dell’eccellente Evgeniy Zayarny è il valore aggiunto decisivo, grazie ad una timbrica profonda ma dalla notevole estensione, capace di rendere al meglio i passaggi più oscuri così come quelli più ariosi, ma non è affatto trascurabile il lavoro d’insieme di una band giovane e dall’enorme talento, che non perde mai la bussola di fronte ai frequenti cambi di scenario e, conseguentemente, di umore e di ritmica.
Il sound dei Red Cain guarda indubbiamente verso est, a quell’Europa che alle stesse latitudini è stata culla del power metal più melodico e del gothic più romantico, ma la forte radice americana non viene meno, specie nei momenti maggiormente robusti in cui si stagliano sullo sfondo i migliori Iced Earth e Nevermore.
Guillotine è un autentico gioello, disturbato ad arte da screziature elettroniche, un brano trascinante come non se ne sentivano da tempo nel genere, ma non è che le altre canzoni siano da meno, facendo eccezione, paradossalmente, per il singolo prescelto Hiraeth, forse perché viene privilegiata la melodia a discapito dell’impatto drammatico che accomuna il resto della tracklist.
Venti minuti di musica sono pochi per decretare la nascita di una stella, ma si rivelano sufficienti per prevedere, con ragionevole certezza, che ciò potrà accadere in un futuro molto prossimo: sarà il primo full length in uscita nel 2017 a dirimere gli eventuali dubbi residui sul valore effettivo di questi promettentissimi Red Cain.

Tracklist:
1.Guillotine (feat. Wolf of Transylvania)
2.Dead Aeon Requiem
3.Hiraeth
4.Unborn

Line-up:
Evgeniy Zayarny – vocals
Brendan Doll – guitar
Allan Chuley – guitar
Rogan McAndrews – bass
Samuel Royce – drums

https://www.facebook.com/redcainofficial/?fref=ts

Ghost Of Mary – Oblivaeon

Un’opera che va assaporata e fatta propria gustandosi ogni passaggio, sempre in bilico tra le varie atmosfere che compongono il death gotico suonato dal gruppo

Decisamente interessante il debutto dei nostrani Ghost Of Mary, un concept ispirato da un racconto del cantante Daniele Rini incentrato sulla vita e sulla morte e accompagnato da un notevole death sinfonica arricchito da ottime parti classiche e gothic doom.

Un’opera dark, oscura e malinconica che tocca il genere in tutte le sue sfumature, regalando all’ascoltatore un sunto del death metal gotico, partendo addirittura dai primi anni novanta, in particolare dalla scena olandese.
Infatti quest’album torna a far risplendere uno dei movimenti più importanti per lo sviluppo di queste sonorità, affiancando al lento incedere, elegantemente sfiorato dagli strumenti classici, sfuriate estreme di matrice scandinava e dark rock per un risultato che, nella sua altalena di ombrose ed oscure emozioni, si rivela del tuto all’altezza della situazione.
Oblivaeon è un disco vario, maturo, perfettamente in grado di mantenere la giusta tensione e non far perdere l’attenzione all’ascoltatore, travolto dalle sorprese che il gruppo riversa in un songwriting ispiratissimo, così da passare agevolmente tra le ispirazioni che hanno portato alla stesura dei brani in modo fluido e senza forzature.
Death metal melodico d’alta classe, quindi, impreziosito da un’ottima parte orchestrale, da un muro ritmico estremo efficace e da un’interpretazione magistrale di Rini, bravo sia con le parti estreme che con le clean vocals.
Un’opera che va assaporata e fatta propria gustandosi ogni passaggio, sempre in bilico tra le varie atmosfere che compongono il death gotico suonato dal gruppo, ma che ovviamente non manca di picchi qualitativi molto alti come la magnifica Shades, insieme a Something To Know e The End is the Beginning, altri due piccoli gioiellini di questo bellissimo lavoro, esempio perfetto di quello che a mio parere è la maggiore caratteristica del sound dei Ghost Of Mary: death gothic olandese e death melodico scandinavo che si scambiano gli onori e gli oneri in perfetta armonia.
Provate ad immaginare i primi The Gathering, Dark Tranquillity ed un accenno ai Lacrimosa più sinfonici ed avrete un’idea attendibile di cosa vi aspetta tra i solchi di Oblivaeon.

TRACKLIST
1.The Moon and the Tree
2.Shades
3.Last Guardian
4.Nothing
5.The Ancient Abyss
6.Oblivaeon
7.Black Star
8.Something to Know
9.The End is the Beginning
10.Nowhere Now Here
11.The Ancient Abyss (piano version)

LINE-UP

Daniele Rini – voice
Mauro Nicolì – guitar
Gabriele Muja – guitar
Nicola Lezzi – bass
Damiano Rielli – drums
Joele Micelli – violin

GHOST OF MARY – Facebook

Windshades – Crucified Dreams

Bravi e a loro modo originali, gli Windshades risultano una bella sorpresa ed un nome su cui i fans del genere possono tranquillamente puntare, aspettando il probabile arrivo del primo full length.

Accompagnato da una splendida copertina che ha ricordato al sottoscritto le atmosfere del romanzo I Pilastri Della Terra di Ken Follett, arriva sul mercato Crucified Dreams, ep di tre brani con cui gli Windshades debuttano per la nostrana Atomic Stuff che ha messo a disposizione della band i suoi studi di registrazione ed il talento di Oscar Burato, che si è occupato di registrazione, mixaggio e masterizzazione.

Il gruppo proveniente dalla provincia di Mantova e fondato lo scorso anno dalla cantate Chiara Manzoli e dal batterista Carlo Bergamaschi, ci propone un buon metal dalle trame gotiche, dove le ritmiche serrate fanno da contrasto alla voce dai rimandi classici ed operistici della singer, mantenendo in primo piano un ottimo impatto heavy.
Si potrebbe parlare di un mix ben assortito di heavy metal (nel buon lavoro delle due chitarre si riscontrano rimandi agli Iron Maiden) e sonorità dark/gothic, con la parte sinfonica inesistente se non per l’uso della voce operistica.
Non male, Crucified Dreams si ritaglia un suo spazio nel genere, l’impatto terremotante della sezione ritmica, i solos taglienti ed un ottimo impatto si placano solo nella parte iniziale di Resurrection, mentre in generale il gruppo imprime la giusta dose di potenza al proprio sound, non facendo mancare una buona dose di velocità, sempre in contrasto con la sublime voce della cantante.
Metafora è attraversata da sali e scendi maideniani, Resurrection parte delicata e prepara l’ascoltatore alla danza metallica, con la cantate che ispirata, fa volare la sua voce sulle scariche elettriche ed oscure degli strumenti, mentre la conclusiva title track risulta il brano più estremo del gruppo, su cui il gruppo alterna potenti mid tempo a veloci fughe al confine tra heavy e thrash.
Bravi e a loro modo originali, gli Windshades risultano una bella sorpresa ed un nome su cui i fans del genere possono tranquillamente puntare, aspettando il probabile arrivo del primo full length.

TRACKLIST
01. Metafora
02. Resurrection
03. Crucified Dreams

LINE-UP
Chiara Manzoli – Voice
Matteo Usberti – Guitar
Riccardo Soresina – Guitar
Andrea Bissolati – Bass
Carlo Bergamaschi – Drums

WINDSHADEDS – FacebookURL YouTube, Soundcloud, Bandcamp

Trees Of Eternity – Hour Of The Nightingale

Hour Of The Nightingale è un disco perfetto che, purtroppo, non potrà mai avere un seguito, e questo è un altro buon motivo per riservargli un posto privilegiato tra i nostri ascolti, oggi e negli anni a venire.

Occuparsi di un disco come questo, ben sapendo tutto ciò che accaduto prima della sua uscita, rende dannatamente difficile mantenere il giusto distacco, fondamentale per evitare che il coinvolgimento emotivo finisca per deformare sensazioni ed impressioni.
Quindi proverò a parlare, almeno a livello descrittivo, di Hour Of The Nightingale come se fosse il “normale” disco d’esordio di una “normale” band.

I Trees Of Eternity nascono come progetto parallelo di Juha Raivio, chitarrista e compositore principale degli immensi Swallow The Sun, che ha chiamato a sé, oltre al suo vecchio compagno di band Kai Hahto alla batteria, la splendida vocalist sudafricana Aleah Stanbridge ed i fratelli Fredrik e Mattias Norrman, noti soprattutto per esser stati a lungo due travi portanti dei Katatonia.
Da una simile configurazione non poteva che venirne fuori una band dedita ad un sound oscuro ma, ovviamente, rispetto al robusto death doom melodico dei Swallow The Sun, viene esplorato il lato più intimista e soffuso, favorito dal timbro vocale di Aleah, delicato, a tratti quasi un sussurro lontano anni luce da gorgheggi o tentazioni operistiche e, forse anche per questo, del tutto adeguato alle intenzioni di Raivio.
Hour Of The Nightingale si rivela, fondamentalmente, uno scrigno di emozioni dal primo all’ultimo minuto, e non potevano esserci dubbi al riguardo, perché il musicista finnico ha dimostrato in tutti questi anni d’essere un compositore dotato di una sensibilità fuori dal comune, capace con il suo inconfondibile tocco chitarristico di indurre alla commozione gli innumerevoli fan della sua band principale.
Nei Trees Of Eternity, ovviamente, le coordinate sono ben diverse: la chitarra tesse sempre melodie struggenti, ma il tutto viene asservito alla voce carezzevole della Stanbridge piuttosto che a quella ben più ruvida di Kotamaki, e l’andamento dell’album procede di conseguenza, per oltre un’ora di poesia e bellezza che si fanno talvolta tangibili, quasi fisiche.
Dieci gemme musicali si susseguono senza che una pesante cappa di malinconia cessi di aleggiare sulle note prodotte da un gruppo in grado di offrire, a chi adora queste sonorità, un’esperienza unica per coinvolgimento emotivo …

Oh, al diavolo! Come si fa a continuare a parlare di questo disco senza tenere conto che Aleah non è più tra noi da quasi sei mesi? Come si può evitare d’esser trascinati in un gorgo di tristezza e disperazione nell’ascoltare le struggenti trame musicali e le laceranti e profetiche liriche che lei stessa ha scritto?
A partire da My Requiem, brano che apre l’album, dove Aleah canta “Too late you’re calling out my name /
To raise me up out of my grave / Alive in memory I’ll stay” fino ad arrivare alla strofa conclusiva di Gallows Bird (“As the last ray of hope is lost / fight and resistance / Nothing remains to hold / me to this existence”), non viene mai meno un costante groppo alla gola, che costringe ad un impari battaglia con la propria sensibilità per provare a ricacciare indietro le lacrime.
Quest’ultima, lunghissima traccia, che arriva dopo lo splendore acustico di Sinking Ships, ha davvero il sapore del commiato, con le sue atmosfere drammatiche nella fase iniziale, che riportano il sound al doom più dolente: la chitarra tesse melodie di incommensurabile bellezza mentre Aleah ci dona il privilegio di ascoltarla per l’ultima volta regalandoci, dopo l’intervento di un Nick Holmes mai così cupo, un’ultima parte in cui prevale, invece, un rabbrividente senso di pace e di consapevolezza.
Hour Of The Nightingale sarebbe stato lo stesso un disco stupendo, ma non si può negare che gli eventi nefasti precedenti l’uscita abbiano moltiplicato all’ennesima potenza un impatto emotivo già di suo oltre la norma.
Però, ripensandoci, l’idea di parlare di Aleah al presente non è stata affatto sbagliata: voglio credere che il suo spirito sia sempre accanto al suo compagno di vita Juha, aiutandolo a superare la sua perdita fornendogli l’ispirazione per elargirci altre impagabili emozioni.
E, in fondo, è proprio grazie all’immortalità conferita dall’arte che Aleah Stanbridge occuperà per sempre un posto di rilievo anche nel nostro cuore di semplici appassionati ed umili cronisti di tanta bellezza: Hour Of The Nightingale è un disco perfetto che, purtroppo, non potrà mai avere un seguito, e questo è un altro buon motivo per riservargli un posto privilegiato tra i nostri ascolti, oggi e negli anni a venire.

Tracklist:
1.My Requiem
2.Eye Of Night
3.Condemned To Silence (feat. Mick Moss)
4.A Million Tears
5.Hour Of The Nightingale
6.The Passage
7.Broken Mirror
8.Black Ocean
9.Sinking Ships
10.Gallows Bird (feat. Nick Holmes)

Line-up:
Aleah Stanbridge – Vocals, Lyrics, Songwriting
Juha Raivio – Guitars, Songwriting
Kai Hahto – Drums
Fredrik Norrman – Guitars
Mattias Norrman – Bass

TREES OF ETERNITY – Facebook

Atonismen – Wise Wise Man

Un oscuro scrigno musicale che, alla sua apertura, esplode in un caleidoscopio di note industrial gothic death metal.

La tanto bistrattata rete nel corso degli ultimi decenni ha dato la possibilità a molte realtà di farsi conoscere, specialmente quelle nate in paesi ai confini del mondo musicale e, in questo caso, metallico.

I paesi dell’Europa dell’est per esempio, solo pochi anni fa praticamente sconosciuti a livello musicale, hanno trovato nel web la possibilità di far conoscere le loro scene, qualitativamente notevoli come in Russia, dove la musica è storicamente una parte importante della crescita culturale e non un fastidioso ripiego come per esempio nel nostro paese.
Noi fin dai tempi di Iyezine, abbiamo sempre dato il giusto spazio alle varie scene mondiali, missione che portiamo avanti con entusiasmo anche sulla nuova testata metallica a nome MetalEyes e le soprese non mancano di certo, cominciando dagli Atonismen e dal loro bellissimo primo album, Wise Wise Man.
Il trio di San Pietroburgo è un gruppo nuovo di zecca formato dal polistrumentista e cantante Alexander Orso e dai due chitrarristi Alexander Senyushin e Child Catherine.
Il loro nuovo lavoro è quanto mai riuscito, visto che nel proprio sound ingloba vari suoni ed influenze, per un mix letale ed estremo di gothic, dark, elettronica e death metal molto affascinate.
Atmosfere horror, sadiche parti elettroniche, una voce personalissima e teatrale, ritmi marziali, orchestrazioni sinfoniche, ed accelerazioni estreme, fanno parte di questo oscuro scrigno musicale che alla sua apertura esplode in un caleidoscopio di note industrial gothic death metal.
Pensate ad una jam tra i primi Crematory, i Rammstein, e le sinfonie dark di una tra le miriadi di gothic metal band sparse per il globo, ed avrete un’idea del sound malato, destabilizzante e molto estremo del gruppo russo, che dà il meglio di sé quando l’elettronica diventa padrona del sound, con parti industrial dark malatissime e destabilizzanti.
Si passa così da brani potentissimi di oscuro ed orchestrale gothic metal (la title track e la stupenda Sorry), devastanti esempi di musica estrema moderna, maligna e terrorizzante come i due remix e la splendida Almagest.
Album affascinate, molto curato e maligno il giusto per farvi attraversare da voglie strane di bondage, frustini e torture assortite.

TRACKLIST
1.Almagest
2.Sorry
3.My Tale
4.Wise Wise Man
5.Wiegenlied
6.In Timeless Clamor
7.Wise Wise Man (dark-mix)
8.Wise Wise Man (industrial-mix)

LINE-UP
Alexander Orso – All instruments, Vocals
Alexander Senyushin – Guitars
Child Catherine – Guitars

ATONISMEN

Oniricide – Revenge Of Souls

Un concentrato di sinfonie orchestrali e riff prettamente metal che, fondendosi tra di loro, creano atmosfere e nuovi mondi in cui immergersi.

Gli Oniricide sono una band metal nata e cresciuta a Torino da qualche anno: il loro nuovo album Revenge Of Souls è un concentrato di sinfonie orchestrali e riff prettamente metal che, fondendosi tra di loro, creano atmosfere e nuovi mondi in cui immergersi e restare così sospesi a mezz’aria già dal primo ascolto.

All’interno dei dieci brani è possibile ascoltare, infatti, prog e power metal, il tutto contornato da orchestrazioni sinfoniche, ispirate a musiche dei film e videogiochi, senza dimenticare la notevole influenza della musica classica. Si possono trovare, inoltre, influenze più marginali come il folk di Becoming A Different Man, il pop-rock della ballad The Illusion of The Abyss, per finire nel rock-blues in alcuni assoli di chitarra.
Revenge Of Souls, uscito a febbraio 2016, si presenta come una buona opera che indica ben delineate traiettorie di crescita e che, senza ombra di dubbio, sarà un ottimo antipasto per tutto ciò che verrà dopo.

TRACKLIST
1. Oneiros
2. Revenge of Souls
3. Noxy
4. Vision from the Mirror
5. Gipsy and the Cards
6. A Good Place to Die
7. The Illusion of the Abyss
8. The Beast
9. Mother of Pain
10. Becoming a Different Man

LINE-UP
Luca Liuk Abate – Bass
Daniele Pelliccioni – Drums, Keyboards
Andrea Pelliccioni – Guitars
Mara Cek Cecconato – Vocals

ONIRICIDE – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=lZKJlDjb96Y

Levania – Memory

Memory lascia ottime sensazioni per il futuro, aspettiamo fiduciosi

Torna la dark gothic band ferrarese Levania con questo nuovo singolo, tratto dall’album dei Deplacement Carousel, progetto dark elettronico del cantante e tastierista Still e del bassista Fade, uscito per Epictronic, costola della più nota label nostrana WormHoleDeath lo scorso anno.

La band capitanata dalla dolce voce della singer Ligeia e dal tastierista Still, della quale vi avevamo parlato sulle pagine di Iyezine in occasione dell’uscita di Renascentis, ultimo lavoro uscito un paio di anni fa, rielabora in versione gothic il dark pop elettronico e molto ottantiano del brano originale, dal titolo Memory.
Un passo indietro è doveroso per presentarvi questa ottima realtà tutta italiana, nata ormai da quasi dieci anni e che, dopo l’uscita di tre demo ha licenziato oltre al precedente full length, il primo lavoro nel 2012, Parasynthesis.
In vero Renascentis non mi aveva entusiasmato all’epoca e l’approccio al brano è stato molto morbido da parte del sottoscritto, invece, sono molto felice di ritrovarmi al cospetto di un ottima traccia ed un gruppo che, al netto dei mille e più paragoni con le tantissime realtà di un genere per certi versi inflazionato, regala pochi minuti di eleganti melodie gothic/dark, con la voce della singer che continua la sua innata predisposizione all’eleganza, ed un sound che rimane ben saldo tra il confine che separa il gothic moderno al dark di estrazione ottantiana.
Non so quanto il nuovo progetto di Still e Fade potrà influire sulla strada che verrà intrapresa prossimo lavoro dei Levania, ma è indubbio che Memory lascia ottime sensazioni per il futuro, aspettiamo fiduciosi, avanti così.

LINE-UP
Ligeia – Lead vocals
Still – Keyboards & Vocals
Richie – Guitars
Fade – Bass
Moon – Drums

LEVANIA – Facebook

Kuolemanlaakso – M.Laakso – Vol. 1 : The Gothic Tapes

Il risultato è notevole, è un gran bel disco gothic, che si staglia molto al di sopra della media delle altre produzioni del genere.

Avventura solista per Laakso dei Kuolemanlaakso, band tra le migliori in Finlandia.

Stretto tra i tanti impegni musicali dei Swallow The Sun e dei Chaosweaver, band delle quali fanno parte diversi membri dei Kuolemanlaakso, il musicista finnico ha trovato il tempo e il modo di andare in Germania per incidere questo bel disco. Come si legge nel titolo la materia qui trattata è il gothic, nelle sue diverse accezioni, dal metal al rock, sempre con un sentire decadente e lascivo . La classe e la bravura compositiva di questi musicisti esce prepotentemente, e si sente che oltre al grande amore per la musica li lega anche una solida amicizia, che li porta a produrre ottimi lavori. I testi sono in inglese, perché il finlandese, scelta consueta per il gruppo nella sua veste doom death, non sarebbe stato adeguato per queste canzoni. La voce di Laakso è profonda e potente, guidandoci nei meandri di queste costruzioni baroccheggianti e desiderose di farsi amare, perché in fondo il gothic è una richiesta d’ amore e di lasciarsi abbandonare. E ascoltando questo disco ci si abbandona molto volentieri a questo gioioso senso di sconfitta cantato da una persona che di pathos ne sa molto. Nella parte musicale Laakso è stato aiutato da V. Santura, che ha registrato, mixato e masterizzato il disco, e che collabora con il finlandese dai primi tempi della sua carriera.
Il risultato è notevole, è un gran bel disco gothic, che si staglia molto al di sopra della media delle altre produzioni del genere.
Concretezza ed eleganza, per un’altra ottima uscita targata Svart.

TRACKLIST
01.Children of the Night
02.Roll the Dice with the Devil
03.Where the River Runs Red
04.The World’s Intolerable Pain
05.She Guides Me in My Dreams
06.No Absolution
07.Deeper into the Unknown
08.My Last Words

LINE-UP
Laakso – vocals, guitar, keys
Tiera -drums
Usva- bass
V. Santura – guitar, backing vocals

KUOLEMANLAAKSO – Facebook

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