Cold Snap – All Our Sins

All Our Sins è un album che avrà consensi trasversali, dato che piacerà a chi ama il metalcore ed il groove metal, ma anche ascoltatori di altri generi lo apprezzeranno molto.

Non solo calcio, pallacanestro e pallanuoto è ciò che arriva dalla Croazia, ma ora anche ottimo groove metal, nella fattispecie quello dei Cold Snap, che escono su Arising Empire dopo aver vinto il concorso indetto dalla stessa etichetta.

I nostri sono peraltro famosi in madrepatria e ascoltando questo loro nuovo disco si può capire facilmente il perché. Il loro suono è un groove metal molto moderno ed incalzante, con elementi di nu metal e decise svolte nel deathcore e anche nel death metal, senza però mai perdere di vista la melodia. Si può benissimo dire che questo gruppo incarni le nuove tendenze del metal al meglio, non annacquandole come fanno molti gruppi. All Our Sins è un album che avrà consensi trasversali, dato che piacerà a chi ama il metalcore ed il groove metal, ma anche ascoltatori di altri generi lo apprezzeranno molto. La forza del disco sta nel buon bilanciamento tra potenza e melodia, la composizione dei pezzi non è mai scontata ma ben strutturata e lo sviluppo delle trame musicali è assai corretta. Il ritmo che ha questo gruppo esce allo scoperto fin da subito, in quanto ha un incedere che basa le sue strutture in vari generi e sottogeneri ben amalgamati fra loro. I Cold Snap hanno vinto il concorso indetto dalla Arising Empire perché hanno chiaramente qualcosa in più rispetto alla maggioranza dei gruppi in giro, e All Our Sins lo dimostra molto bene. Era il momento per un disco come questo, dato che ultimamente tanti gruppi che sono nel giro metalcore/groove metal sono smaccatamente e forzosamente melodici, mentre qui il metal è l’elemento fondante di tutto, la trave portante del suono, che ha anche molti elementi dell’hardcore; infatti il gruppo ha una forte mentalità DIY, che non è andata smarrita neppure entrando nel roster della sussidiaria della Nuclear Blast.

Tracklist
01. Hešto And Pujto
02. Fallen Angels
03. Nothing
04. Demons
05. Crawling
06. Remission
07. 2 4 The System
08. Witness Of Your Sickness
09. No We’re Not Even
10. Pain Parade
11. Hated
12. Distance

Line-up
Jan Kerekeš – Vocals
Dario Sambol – Drums
Zoran Ernoić – Bass
Dario Berg – Vocals, Samples
Dorian Pavlović – Guitar
Zdravko Lovrić – Guitar

COLD SNAP – Facebook

Omega Diatribe – Trinity

Il quintetto ci va giù pesante senza soluzione di continuità per quasi un’ora di mid tempo potentissimi, accelerazioni ritmiche da infarto con cambi di tempo perfetti per mantenere l’attenzione dell’ascoltatore.

Un macigno sonoro di dimensioni bibliche in arrivo dall’Ungheria tramite Metal Scrap, che ci presenta il nuovo album di questi cinque cannibali musicali che agiscono sotto il monicker di Omega Diatribe.

Cannibali perché la band fagocita metal estremo, lo metabolizza e lo vomita pregno di groove, passando con disinvoltura da parti di devastante deathcore al più corposo e meno marziale groove metal.
Gli Omega Diatribe sono in giro a far danni dal 2013, la loro discografia in cinque anni vede tre full length ed un paio di ep, non male, segno che di cose da dire ne hanno molte e lo fanno tramite una proposta estrema ed intensa, pur con i limiti che il genere impone.
Niente di nuovo quindi, ma sicuramente d’impatto, tanto che Trinity risulta una montagna di metal estremo moderno che si muove producendo terremoti devastanti.
Con doppia voce, ma lontana dal solito clichè growl/voce pulita, il quintetto ci va giù pesante senza soluzione di continuità per quasi un’ora di mid tempo potentissimi, accelerazioni ritmiche da infarto con cambi di tempo perfetti per mantenere l’attenzione dell’ascoltatore, sempre in guardia per i duri colpi inferti dal gruppo.
Ci vuole il fisico per assorbire le bordate deathcore che gli Omega Diatribe sparano senza pietà con neanche troppo velate ispirazioni a Meshuggah, Gojira e i Machine Head più arrabbiati.
Il quintetto ungherese non le manda certo a dire, travolge tutto con riff ultra heavy risultando uno schiacciasassi impazzito di groove death metal, magari non originalissimo ma sicuramente debordante ed ottimamente suonato, e tanto basta.

Tracklist
1.Souls Collide
2.Filius Dei
3.Trinity
4.Spinal Cord Fusion
5.Divine of Nature
6.Replace Your Fear
7.Oblation
8.Chain Reaction
9.Denying Our Reality
10.Compulsion
11.Wraith
12.Tukdam

Line-up
Gergo Hajer – Guitar
Tamás Höflinger – Guitar
Ákos Szathmáry – Bass
Tamás Kiss – Drums
Milán Lucsányi – Vocals

OMEGA DIATRIBE – Facebook

Walkyrya – The Invisible Guest

Thrash metal e groove ancora una volta alleati per dare vita ad un sound potente, incisivo e massiccio: questo risulta in breve quello che troverete in questo quarto lavoro firmato Walkyrya.

I Walkyrya, band in arrivo dalla provincia di Potenza, firmano per Time To Kill Records dopo tre album autoprodotti (il debutto omonimo licenziato nel 2002, The Banished Story uscito nel 2005, ed il precedente End Line datato 2015) e rilasciano il quarto lavoro di una carriera nata sul finire degli anni novanta e caratterizzata da un sound che ad ogni album ha cambiato pelle, arrivando a quello massiccio e pregno di groove di The Invisible Guest.

I “nuovi” Walkyrya suonano un thrash metal che alterna influenze classiche ed ispirazioni moderne, con un growl che a tratti si avvicina per impatto a quello usato nel death, per poi virare su fronti più melodici che non lasciano dubbi sull’impatto e la potenza di questa nuova raccolta di brani ricchi di refrain e chorus dal piglio classico ed attitudine live.
I Walkyrya affrontano il genere di petto, brani come l’opener Black Hills o All The Time ci presentano un quartetto che, senza andare troppo per il sottile, ci travolge con un muro di note dal groove micidiale, non mancando di velocizzare quel tanto che basta le ritmiche per omaggiare il thrash tradizionale.
Evil Clown ed Out Of Brain, altre due bombe lanciate sulle nostre teste dal gruppo, evidenziano le molte influenze che fatte proprie per dare vita a The Invisible Guest, partendo da Testament e Metallica per passare a Black Label Society e Pantera.
Thrash metal e groove ancora una volta alleati per dare vita ad un sound potente, incisivo e massiccio: questo risulta in breve quello che troverete in questo quarto lavoro firmato Walkyrya; non perdete tempo e fatelo vostro, soprattutto se siete amanti delle band che hanno ispirato la band lucana.

Tracklist
1. Black Hills
2. Open Grave
3. All The Time
4. Drive Angry
5. Evil Clown
6. Venom Tears
7. Out Of Brain
8. March Or Die

Line-up
Vince Santopietro – vocals
Federico Caggiano – Guitar, chorus
Arcangelo Larocca – Bass
Tiziano Casale – Drums

WALKYRYA – Facebook

Burn The Priest – Legion: XX

Legion: XX non è assolutamente un’operazione dettata dalla sete di soldi, ma è un tentativo riuscitissimo di dare una nuova accezione ad un suono che non è mai morto e che scorre sempre sotterraneo.

Album devastante di cover da parte dei Burn The Priest, ovvero i Lamb Of God con il loro primo nome scelto quando si formarono nel lontano inverno del 1994, quattro anni dopo che si erano conosciuti, escluso il cantante Randy Blithe, alla Virginia Commonwealth University.

In seguito assumeranno il monicker di Lamb Of God, facendo la storia del metal. Qui i nostri vanno alle radici del loro suono, mostrandoci le passioni musicali e la bravura nell’interpretarle, spaziando dal groove metal all’hardcore, arricchendo e rendendo migliore, ed in alcuni casi non era affatto facile, le canzoni che hanno scelto. Ad esempio un pezzo che rende benissimo l’intento del disco è Kerosene dei Big Black, che anche grazie al video di Zev Deans è un po’ il manifesto dell’intera operazione. Il video si ispira al film punk Suburbia ed è la perfetta descrizione di cosa voglia dire vivere nei sobborghi e nella provincia, solo che a sentire certa musica poi ti escono i Burn The Priest e, quindi i Lamb Of God, che non è affatto un brutto risultato. Il disco che ci propongono i Burn The Priest è molto bello e farà la gioia di quei non pochi a cui manca quel suono tra hardcore, noise e metal che tante gioie aveva regalato negli anni novanta e duemila, ma non disperate, qui ne avrete a piene mani. Ovviamente il talento e la caratura superiore dei Burn The Priest fanno la differenza e le cover acquistano vita propria, basti pensare al primo pezzo, Inherit The Earth degli Accused, qui in una versione killer, o a One Voice degli Agnostic Front ancora più veloce cattiva ed incazzata. Album come questo appaiono ogni tanto nel mare standard della musica attuale, e sono calci e pugni. Legion: XX non è assolutamente un’operazione dettata dalla sete di soldi, ma è un tentativo riuscitissimo di dare una nuova accezione ad un suono che non è mai morto e che scorre sempre sotterraneo. E questo disco conferma che gruppo immenso siano i Lamb Of God, incredibili ad ogni latitudine. Se comprate il vinile, la bonus track è In The Meantime degli Helmet, e non dico altro. I Lamb Of God saranno in tour con gli Slayer nel loro giro di addio, con altri gruppi, tanto per completare il massacro.

Tracklist
01. Inherit The Earth (originally performed by THE ACCUSED)
02. Honey Bucket (originally performed by MELVINS)
03. Kerosene (originally performed by BIG BLACK)
04. Kill Yourself (originally performed by S.O.D.)
05. I Against I (originally performed by BAD BRAINS)
06. Axis Rot (originally performed by SLIANG LAOS)
07. Jesus Built My Hotrod (originally performed by MINISTRY)
08. One Voice (originally performed by AGNOSTIC FRONT)
09. Dine Alone (originally performed by QUICKSAND)
10. We Gotta Know (originally performed by CRO-MAGS)
Bonus Track (LP only!):
11. In The Meantime (originally performed by HELMET)

BURN THE PRIEST – Facebook

Society’s Plague – Call To The Void

Sarebbe stato davvero un peccato perdere per strada questo gruppo, che fa una miscela interessante di metal moderno e metal maggiormente epico.

La storia degli americani Society’s Plague è una narrazione di tenacia e di amore per il metal, come tanti gruppi che vanno avanti spinti dall’amore per la musica in mezzo a tante difficoltà.

Nati nel 2007 in quel di Lexington, nel Kentucky, questi ragazzi hanno un sound moderno tra metalcore e metal più epico, con una forte melodia e composizioni molto buone. Questo disco è il secondo episodio sulla lunga distanza nella loro discografia ed è stato totalmente autoprodotto, e in seguito il gruppo si è accasato presso l’Eclipse Records che non si è lasciata scappare questo disco, che oltre che essere valido, è un ponte fra passato e presente e futuro del metal, soprattutto di quello americano. Infatti il suono di Call To The Void è adatto ad essere mandato in onda dalle radio americane di rock duro, cosa che qui in Europa ci manca. I ragazzi del Kentucky sono molto connotati nella loro personalità musicale e riescono a fare sempre ottime cose anche grazie all’intervento delle tastiere, che hanno una parte importante nel loro suono, e che insieme agli altri strumenti rendono un buon amalgama. La seconda prova del gruppo non era scontata, poiché il gruppo ne viene da una pausa dal 2013 al 2015, per poi tornare con un concerto sold out nella loro città. Sarebbe stato davvero un peccato perdere per strada questa band, che fa una miscela interessante di metal moderno e metal maggiormente epico. Un disco che offre spunti molto interessanti, è solido e possiede elementi originali.

Tracklist
1. Ashes For Air
2. Whispers
3. Distant Waves (feat. Bjorn “Speed” Strid)
4. The Fall
5. Broken By Design
6. Paramnesia
7. Fear Is Failure
8. Abomination (feat. Michael Smith)
9. 1:01
10. Rise Of The Eidolon

Line-up
Matt Newton – Vocals
Joe Royer – Guitar
Roger Clem – Guitar
James Doyle (JD) – Drums
Aaron Sheffield – Bass

SOCIETY’S PLAGUE – Facebook

Di’aul – Nobody’s Heaven

Una possente marcescenza è il marchio di questi ragazzi che, nella maggior parte delle loro canzoni, fanno un suono non molto veloce ma che corrode in maniera molto piacevole le nostre orecchie, dandoci una sensazione di blues metal, una via maledetta da seguire, ma che è anche l’unica possibile per dannarsi.

I Di’aul da Milano sono un gruppo dal groove unico, tra Crowbar, blues e vari riferimenti agli anni novanta e duemila.

Attivi dal 2010, questi ragazzi hanno un’identità musicale molto ben definita ed in grado di farli spiccare ben al di sopra della media della maggior parte degli altri gruppi. I Di’aul hanno un suono abrasivo che prende le mosse dal suono tipico della città di New Orleans in Lousiana, dove gruppi come i Crowbar, Pantera ed Eyehategod sono andati a sporcare i loro panni nelle paludi, per tornare molto diversi da prima. Una possente marcescenza è il marchio di questi ragazzi che, nella maggior parte delle loro canzoni, fanno un suono non molto veloce ma che corrode in maniera molto piacevole le nostre orecchie, dandoci una sensazione di blues metal, una via maledetta da seguire, ma che è anche l’unica possibile per dannarsi. I Di’aul con la loro musica avanzano come un veleno tossico nel nostro sangue, fino ad arrivare a sentirli come una droga. Nobody’s Heaven è un disco che crea addizione, lo si sente e si vorrebbe sentirlo ancora. Le soluzioni sonore cambiano di canzone in canzone e sono tutte notevoli, il canovaccio rimane più o meno fisso ma non ci si annoia mai, e questa è un’altra delle peculiarità importanti di questo gruppo. Un’altra cosa notevole è la voce di MoMo che graffia alla perfezione su tutti i pezzi, coadiuvato da un gruppo perfettamente oliato e con grande confidenza. Visti dal vivo al recente Argonauta Fest a Vercelli confermano l’ottima impressione data dal disco, e anzi vanno oltre. Album come questo sono da ascoltare, perché solo sentendoli ognuno può capirli e farsi catturare da un suono davvero speciale.

Tracklist
1. Nobody’s Heaven
2. Black Death
3. Garden of Exile
4. Low Est
5. Mother Witch

Line-up
Voice – MoMo
Guitar – LeLe
Bass – Jeremy Toma
Drums – Diego Bertoni

DI’AUL – Facebook

Dogmathica – Start Becoming Nothing

Il genere suonato porta inevitabilmente a paragoni con i nomi di punta (Meshuggah, Pantera), ma in Start Becoming Nothing c’è la personalità necessaria per concentrarsi solo su quello che ascolta dopo aver premuto il tasto play.

Le scene rock/metal underground sviluppatesi nelle nostre isole maggiori sono fucine di realtà che non mancano di regalare soddisfazioni, almeno per chi si lascia affascinare dai suoni del sottobosco tricolore.

Lo scorso anno, per esempio, vi avevamo parlato del bellissimo The Day We Shut Down The Sun del combo sardo chiamato The Blacktones, dal quale provengono Sergio Boi e Gianni Farci, rispettivamente chitarra e basso pure nei Dogmathica, band che ha una storia iniziata nel lontano 2006 ma che affonda le sue radici anni prima, nelle vicende musicali dei L’Ego.
Dopo molte vicissitudini legate principalmente alla line up, la band con Alessandro castellano alle pelli (Acts of Tragedy), Stefano Pilloni al microfono e Matteo Spiga alla chitarra, trova quella stabilità necessaria per rimettersi al lavoro e terminare questo muro di groove/thrash metal chiamato Start Becoming Nothing.
Otto cannonate claustrofobiche e dissonanti esasperano il concetto di groove metal, otto colpi inferti senza pietà, rabbiosi e monolitici, valorizzati da un lavoro ritmico enorme e da un’attitudine senza compromessi, portano al compimento di un’opera a suo modo estrema, dove tutto funziona chirurgicamente.
La band, con un impatto invidiabile, porta a compimento la sua missione conferendo una ai brani quella rabbiosa violenza che è pane del genere, tenendo per le briglie il sound, imprigionato e fatto sfogare con devastanti uragani thrash metal.
Chanel N°0, la title track, Screaming In The Darkness, Hatred, mettono in mostra una band che all’impatto aggiunge quell’esperienza necessaria per usare le proprie capacità tecniche senza finire negli intricati labirinti del genere, mantenendo un tasso di violenza ed impatto altissimo.
Il genere suonato porta inevitabilmente a paragoni con i nomi di punta (Meshuggah, Pantera), ma in Start Becoming Nothing c’è la personalità necessaria per concentrarsi solo su quello che ascolta dopo aver premuto il tasto play.

Tracklist
1.Praghma
2.Chanel N° 0
3.Decadancers
4.Start Becoming Nothing
5.Rise Up
6.Screaming In The Darkness
7.Hatred
8.Burnum

Line-up
Stefano Pilloni – Voice
Sergio Boi – Guitar
Matteo Spiga – Guitar
Gianni Farci – Bass
Alessandro Castellano – Drums

DOGMATHICA – Facebook

The Black Swamp – Witches

Il sound proposto risulta un concentrato di Black Sabbath, Pantera e Black Label Society, le chitarre fanno esplodere riff che sono cannonate, le ritmiche stonerizzate creano un clima rovente e desertico e la voce urla rabbia panteriana.

Tremate, tremate, le streghe son tornate: bellissime muse a cavallo di scope e caproni, tagliano il cielo scuro nella notte illuminata da una luna fiammeggiante.

Il loro viaggio è partito dall’Australia e a colpi di groove metal si avvicinano a noi, sensuali e maligne schiave di Satana.
Witches, appunto, è l’ultimo lavoro in formato ep dei The Black Swamp, quintetto di rockers in attività dal 2012 e affacciatisi sul mercato con il primo ep intitolato Foulness e poi, nel 2016, con quello che rimane il loro unico full length, I Am.
Nel sabba che ogni notte dà il via allo scorrazzare nel cielo stellato di queste affascinanti ma pericolose sacerdotesse del male, incontriamo impulsi in arrivo dagli anni settanta, potenziati da bombardamenti groove e southern/stoner metal, per un micidiale tripudio di sonorità massicce e potentissime.
Il gruppo australiano è uno schiacciasassi metallico: il sound proposto risulta un concentrato di Black Sabbath, Pantera e Black Label Society, le chitarre fanno esplodere riff che sono cannonate, le ritmiche stonerizzate creano un clima rovente e desertico e la voce urla rabbia panteriana.
I quattro brani sono uno più potente dell’altro, con Event Horizon ad abbattere muri e barricate prima che l’esercito di streghe si impossessi della città.
Per quanto riguarda impatto e potenza, i The Black Swamp non sono secondi a nessuno, segnalandosi come band da seguire con attenzione.

Tracklist
1.Headless
2.Event Horizon
3.1487 C.E.
4.Witches

Line-up
Brendan Woodley – Drums
Rohan Downs – Bass
Grant Scott – Guitar
Jesse Kenny – Guitar
Luke Hosking – Vocals

THE BLACK SWAMP – Facebook

Feed The Rhino – The Silence

Sarebbe facile per chi ha qualche anno in più disprezzarlo ritenendolo leggero, invece questo gruppo ha delle peculiarità che lo rende apprezzabile anche da chi non è abituato a queste sonorità.

Album di metal moderno e radiofonico, melodia, entusiasmo e molto mestiere.

I Feed The Rhino vengono dalla città inglese di Kent e si sono formati nel 2008, e hanno alle spalle tre album. Questi ragazzi hanno un grande seguito, sopratutto fra i giovani ascoltatori di musica veloce. Sarebbe facile per chi ha qualche anno in più disprezzarlo ritenendolo leggero, invece questo gruppo ha delle peculiarità che lo rende apprezzabile anche da chi non è abituato a queste sonorità. Attento alla loro immagine come al loro suono, la band concentra nella sua musica ascolti che sono molto variegati e soprattutto risalenti agli anni novanta e duemila, infatti si possono sentire diverse influenze, come quella del grunge o del metal, con i Deftones molto presenti. Il disco si sviluppa bene, le canzoni si assomigliano un po’ fra loro, ma la scrittura è buona e non si cercano soluzioni ovvie, andando alla ricerca di un suono che vada oltre i cliché moderni. I Feed The Rhino sono un gruppo di metal moderno che non si ferma ad un facile successo, ma prova a produrre una formula personale. I loro concerti sono molto seguiti perché questi ragazzi riescono a trasferire la loro potenza ed energia sul palco. Ascoltando tutto il disco si può avere qualche sorpresa, come qualche citazione sonora di altri gruppi inglesi, forse volontaria forse no, come gli Earthtone 9, una delle band più clamorose mai uscite dalla terra di Albione. Per i Feed The Rhino si potrebbe fare lo stesso discorso che vale per la Premier League, il campionato inglese di calcio, ovvero che se si prende per buono l’assunto che il calcio come la musica debba essere intrattenimento e spettacolo, allora prendiamo la Premier e i Feed The Rhino, perché c’è qualità ed un buon livello. Per altro rivolgersi altrove.

Tracklist
01. Timewave Zero
02. Heedless
03. Losing Ground
04. 68
05. All Work And No Play Makes Jack A Dull Boy
06. Yellow And Green
07. Nerve Of A Sinister Killer
08. Fences
09. The Silence
10. Lost In Proximity
11. Featherweight

Line-up
James Colley : guitars
Chris Kybert : drums
Oz Craggs : bass
Sam Colley : guitars
Lee Tobin : vocals

FEED THE RHINO – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=8dT-YnBV4nUù

Ministry – AmeriKKKant

Al ha prodotto un disco più che buono, e come sempre ha saputo incanalare la sua rabbia in un suono acido e debordante, che si insinua sotto pelle come un malware in un compute, e come un trojan si sedimenta piano piano attraverso il suo svolgimento, per poi arrivare alla conquista dell’ospitante.

Torna uno dei nostri preferiti assassini seriali della musica moderna, Al Jourgensen e la sua creatura preferita, i Ministry.

La situazione americana è molto peggiorata negli ultimi anni, si punta il dito contro Donald Trump che è davvero uno schifo, ma i Ministry è dal lontano 1981 che sezionano a fondo il sogno americano, facendoci vedere le sue puzzolenti pustole, che dallo schermo tv sembrano seni turgidi e rigogliosi. Al è un personaggio fondamentale per la musica alternativa americana e mondiale. Fin dagli inizi con altri soci nella sua Chicago, Al ha portato avanti una sperimentazione che fondeva diversi stili e che si può definire industrial ma in realtà c’è molto di più, come si può ascoltare in questo disco. AmeriKKKant è una cronaca alla sua maniera, di ciò che sta accadendo in America e nel mondo intero, questo impetuoso vento di estrema destra che altro non è che una sublimazione della paura e del trionfo del nuovo ordine mondiale. Questa situazione i Ministry l’avevano già prevista in molti dei loro lavori come in Killing Joke, e la ribellione è il motore primo del loro lavoro, l’essenza stessa del gruppo. Musicalmente AmeriKKKant è un disco inteso come narrazione, dove un filo logico lega le varie situazioni e i vari suoni. Il tutto si srotola come fotogrammi di un film che è una nemmeno tanto lenta discesa agli inferi, e l’inizio ha una data:  11/09/2001. Da quel giorno la terra del coraggioso è andata disgregandosi ancora di più e questo disco tira le somme del momento, ci fa sentire quanto è oscura questa notte. Il classico suono dei Ministry è la colonna portante del disco, che è composto da canzoni di lunga durata e da intermezzi narrativi molto interessanti. Le canzoni sono molto lunghe e sono quasi storie indipendenti che vivono di durezza e distorsioni. Non ci si discosta molto dalla cifra generale dei lavori dei Ministry, forse in questa occasione i suoni si contaminano di più e vi è una maggiore presenza di scratch oltre ai consueti innesti di discorsi e di narrazioni. Inizialmente non era piccolo il timore che fosse un episodio stanco e trascinato della discografia di un gruppo che ha fatto cose egregie: questo pregiudizio viene abbattuto fin dal primo ascolto del disco, che ci fa capire che pur non essendo davanti ad un altro Filthy Pig, e non se ne aveva nemmeno la pretesa, Al ha prodotto un disco più che buono, e come sempre ha saputo incanalare la sua rabbia in un suono acido e debordante, che si insinua sotto pelle come un malware in un computer e come un trojan si sedimenta piano piano attraverso il suo svolgimento, per poi arrivare alla conquista dell’ospitante. Questo è il primo lavoro dopo l’improvvisa morte del chitarrista dei Ministry Mike Sciaccia, dato che si sono verificate le condizioni ottimali per il suo ritorno. Il tutto funziona, ed è un film, uno di quelli che solo lui sa girare, fatto di rabbia e veemenza, stile originale e cronaca acida. AmeriKKKant è un lavoro che deve certamente molto alla situazione attuale, forse se le cose non andassero male non ci sarebbero i Ministry, ma tranquilli, le cose possono solo peggiorare.

Tracklist
1. I Know Words
2. Twilight Zone
3. Victims Of A Clown
4. TV5/4Chan
5. We’re Tired Of It
6. Wargasm
7. Antifa
8. Game Over
9. AmeriKKKa

Line-up
Al Jourgensen – guitars, vox
John Bechdel – keyboards
Sin Quirin – guitars
Tony Campos – bass
Cesar Soto – guitars
Derek Abrams – drums
DJ Swamp – turntables

MINISTRY – Facebook

Kobaloi – For Nothing We Follow

Thrash metal e groove si fondono nel sound degli statunitensi Kobaloi per dar vita ad una tempesta estrema che non risparmia frustate hardcore.

Thrash metal e Groove si fondono nel sound degli statunitensi Kobaloi per dar vita ad una tempesta estrema che non risparmia frustate hardcore, composto da un sound personale e che, nella sua violenta ispirazione risulta suonato a meraviglia, tanto che non è così difficile scorgere riferimenti all’heavy metal classico.

La band nasce nel nord Minnesota quattro anni fa e prima di questo debutto sulla lunga distanza ha rilasciato un ep, Crossing Akheron nel 2015.
For Nothing We Follow è un lavoro atipico se si considerano i canoni odierni del genere: spogliato dei classici mid tempo del groove metal, appare quale un devastante macigno thrash dove il gran lavoro ritmico passa da martellate groove a sorprendenti passaggi tecnici di scuola Iron Maiden.
Poi, come d’incanto, una furia hardcore si impossessa del sound (Revence Of A Dying Liar) alternando suoni old school a parti dai rimandi al metal moderno statunitense, in un’altalena di atmosfere esaltate dalla tellurica prestazione del gruppo.
Aphonic Breed è il classico brano che riassume in quattro minuti tutte le sfaccettature della musica composta dai Kobaloi: Megadeth, Sepultura, Iron Maiden e Lamb Of God vengono mescolati in un cocktail estremo che dal groove metal prende quella forza espressiva moderna, il tanto che basta per fare di For Nothing We Follow un album riuscito e, a suo modo, originale.
Choleric e Khold Sin confermano con la loro rabbiosa atmosfera l’approccio estremo del gruppo americano, sicuramente una realtà da seguire nel vasto panorama del metal underground.

Tracklist
1.Walls Of Flesh, Blood And Bone
2.Reverance Of A Dying Liar
3.Endenial
4.Aphonic Breed
5.Choleric
6.The Fury Never Fades
7.Khold Sin
8.Throes Of Hollow

Line-up
J.J. Mohr – Vocals
Vincent Verroust – Guitars
Thomas Toepper – Drums
Adam Syverson – Bass, Vocals
Damian Dunn – Guitars

KOBALOI – Facebook

Nemesis Inferi – A Bad Mess

Un album violento e melodico, potente e devastante quanto basta per non deludere gli amanti del genere e che proietta i Nemesis Inferi verso un futuro all’insegna del groove metal.

Continua imperterrita la trasformazione o evoluzione dei Nemesis Inferi, partiti tanti anni fa verso i gironi infernali dove regna il symphonic black metal, e tornati sui loro passi prima di cedere alle lusinghe del groove metal.

L’ultimo album in studio del gruppo bergamasco si spazzola via le ultime briciole gotiche ancora presenti sul precedente Natural Selection e si candida come album groove metal tout court, caratterizzato da un’anima thrash ed una più alternative, per un lavoro duro come l’ acciaio, pesante come un blindato e melodico il giusto per fare degli otto brani in programma una buona alternativa tutta tricolore allo strapotere statunitense, almeno in questo genere.
Solo il singolo e video Anything Anymore lascia passare la luce fioca di una candela gothic/dark, con G.M.Gain che ricoda a più riprese Peter Steele, per poi tornare a lidi thrash/groove con la tiltle track.
Prodotto da un nome importante della scena metal internazionale come Jaime Gomez Arellano (Paradise Lost, Ghost, Solstafir, Cathedral, With The Dead), l’album è un’esplosione di groove metal che dalle prime note dell’opener Never On Your Mouth alza un vento nucleare che spazza via tutto.
Il thrash moderno fa capolino quando la band sgomma prima di tornare su tempi medi, l’alternative metal è presente ma viene a tratti drogato dallo stoner, le melodie incastonate nei brani mantengono alta la fruibilità della musica ma non fanno mai scendere la tensione anche quando le atmosfere sembrano placarsi, per poi ripartire in un crescendo hard rock (Crawling In The Dust).
Vertigo chiude l’album come era iniziato, violento e melodico, potente e devastante, quanto basta per non deludere gli amanti del genere, chiudendo definitivamente con il passato e proiettandosi verso un futuro all’insegna del groove metal.

Tracklist
1.Never on your Mouth
2.Breaking Bad
3.Hate My Name
4.Rising
5.Anything Anymore
6.Bad Mess
7.Crawling in the Dust
8.Vertigo

Line-up
G.M. GAIN – Vocals & Guitar
FAZZ – Lead Guitar
DANIEL – Bass & Backing Vocals
MATTEO – Drums

NEMESIS INFERI – Facebook

Diretone – Random Spins, Fortune Turns

Random Spins, Fortune Turns è un lavoro gradevole per chi ama il thrash suonato con un approccio tecnico/alternativo ma, forse, da una band sulla scena già da diverso tempo sarebbe stato lecito attendersi un lavoro dalla connotazione stilistica più personale.

I danesi Diretone sono una band attiva già dai primi anni del decennio e Random Spins, Fortune Turns è il loro secondo lavoro su lunga distanza.

Il gruppo di Copenhagen propone un metal alternativo che poggia le sue basi su un thrash groove che, talvolta si apre a contaminazioni southern, senza disdegnare puntate nel djent così come in classiche ballate metalliche.
Anche per questo motivo l’album appare un po’ frammentario ma è soprattutto l’impostazione vocale spiccatamente hetfieldiana di Lars Hørning a rendere i Metallica di Load e dintorni quale naturale punto di riferimento, facendo sembrare comunque più adeguati all’ambito i brani maggiormente robusti rispetto a quelli di matrice alternativa.
Per questo sia l’opener Astray sia la title track appaiono gli episodi più riusciti all’interno di una tracklist senza particolari punti deboli ma neppure impreziosita dal brano capace di fare la differenza.
Random Spins, Fortune Turns è un lavoro gradevole per chi ama il thrash suonato con un approccio tecnico/alternativo ma, forse, da una band sulla scena già da diverso tempo sarebbe stato lecito attendersi un lavoro dalla connotazione stilistica più personale.

Tracklist:
1. Astray
2. King’s Head
3. Misery Sound
4. New Dawn, New Day
5. Under the Afghan Sun
6. Random Spins, Fortune Turns
7. Wrong
8. Sylvia (Until the End)
9. Ten Years
10. Race Against Time

Line-up:
Brion Wekin – Drums
Patrick Ajasso – Guitars
Lars Hørning – Vocals, Bass
Patrick Grønbæch Christensen – Guitars

DIRETONE – Facebook

Souldrinker – War Is Coming

War Is Coming risulta un piacevole ascolto pur senza avere un brano portante, ma esprimendo tutta la propria forza metallica nella sua completezza.

Se per voi il metal è grinta, energia, chitarre sature ed un buon mix tra tradizione e modernità, allora War is Coming, debutto dei tedeschi Souldrinker, è l’album che vi è mancato per arrivare in fondo al 2017 più cattivi che mai.

Il gruppo, che vede tra le sue fila due musicisti dal lungo passato nella scena metal tedesca come Markus Pohl  e Steffen Theurer, hanno trovato nella leonessa Iris Boanta la singer perfetta per ruggire a suo modo su questa decina di brani dal tiro micidiale.
Ne escono dieci esplosioni metalliche tutta grinta e appeal, con chorus che entrano in testa aprendola come un cocomero, ritmiche grasse e solos graffianti in un delirio metallico davvero niente male.
Immaginate un mix letale tra Pantera e Black Label Society che, con in corpo una bottiglia di scotch di troppo, cominciano a suonare power metal, ed avrete un’idea di quello che vi aspetta nei quaranta minuti abbondanti di War Is Coming.
Album che esprime tutta l’energia del metal, War Is Coming risulta un piacevole ascolto pur senza avere un brano portante, ma esprimendo tutta la propria forza metallica nella sua completezza, facensoci per di più conoscere un’altra eroina (Iris Boanta) dalla grande voce.

Tracklist
1.Let the King Bleed
2.Souldrinker
3.Promised Land
4.To the Tick
5.Take my Pain
6.Like Rain…
7.Raise the Flag
8.Fire Raiser
9.Voices
10.Final Stand

Line-up
Iris Boanta – Vocals
Markus Pohl – Guitar
Chris Rodens – Bass
Steffen Theurer – Drums

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Omega Machine – The End That Comes With Omega Machine

Un disco che apre nuovi spiragli al modo di fare musica pesante in Italia, una prova granitica che regala momenti esaltanti ma soprattutto che spinge a sentirne il contenuto a volume molto alto.

Notevole disco di esordio per questo potente e fantasioso gruppo di industrial metal torinese.

La loro musica è maestosa come la storia che raccontano in questo disco, ovvero la narrazione di un’improvvisa invasione aliena e del tentativo di difesa da parte dell’umanità, ma nulla si può contro l’Omega Machine. Il suono è poderoso e molto potente, con una produzione che ne rende benissimo la profondità. L’immaginario di questo disco è la sci–fi di serie b degli anni sessanta, come si può ben evincere dalla copertina di SoloMacello. Nel disco viviamo benissimo questa battaglia fra i terrestri e gli invasori, anche mediante suoni provenienti da questa guerra estrema. Industrial metal ma non solo, perché gli Omega Machine spaziano per molti generi e soprattutto lo fanno a modo loro, mettendo sempre qualcosa di personale nel calderone bollente del loro suono. Per cui si passa da cose alla Dillinger Escape Plan a nervose colate laviche simili a quelle di Souls At Zero dei Neurosis. Gli Omega Machine sanno benissimo come fare un disco di musica pesante, molto maturo per essere un esordio. Verrete catturati da questi corridoi sonori, da queste mille curve diverse, da stop and go o da momenti totalmente saturi di potenza con il gruppo torinese che sfiamma. Un disco che apre nuovi spiragli al modo di fare musica pesante in Italia, una prova granitica che regala momenti esaltanti ma soprattutto che spinge a sentirne il contenuto a volume molto alto.

Tracklist
1.Gloomy Gait of the Frightstrider
2.Xenoferox Megalodeimos
3.To Neuter a World
4.Crushmoured Assault Raid
5.It Came to Vomit Liquid Fire
6.Terrorstorm Over the Oceanic Battlefront
7.Rust Infector – Aberration Among Monsters
8.Annihilatory Siege of Planet Earth / The End That Comes

Line-up
Kaizer Blasted Kosmos: guitars, programming, samples, synths
Nebular Sub-Terror: bass

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Ozaena – Necronaut

Necronaut è un susseguirsi di assalti sonori, di canzoni sempre interessanti per tutta la loro durata, di buone intuizioni sonore e di grande affiatamento, che si esprime in un disco di notevole cattiveria metallica e di ottime melodie.

Gli Ozaena sono un gruppo che va subito al sodo e, dopo un brano di introduzione, il gruppo romano ci mostra subito quali siano le sue intenzioni, proponendo un groove metal da primi anni duemila, potente e preciso, con belle linee sonore.

Gli Ozaena sono stati fondati nel 2015 dal chitarrista Stefano Bussadori, e dopo qualche cambio si sono assestati nella loro attuale formazione. Dopo un’intensa attività dal vivo hanno pubblicato per la L.A. Riot Survival Records il loro debutto sulla lunga distanza intitolato Beneath The Ocean. Questo secondo disco migliora ulteriormente il loro percorso musicale la cui colonna vertebrale è formata da un suono che ci riporta al primi anni del secolo se non addirittura più indietro, perché oltre al groove metal qui si possono trovare alcune reminiscenze di un tipo di nu metal che si è perso, ovvero quello più pesante e legato al metal, con timbriche vocali che godono comunque della giusta libertà, anche perché il nuovo cantante Valerio Cascone è molto valido. Il disco è di buona qualità e regala momenti eccellenti, di puro godimento metallico, tra cavalcate e saturazioni atmosferiche, perché gli Ozaena sono un gruppo che compone e suona cose al di sopra della media, soprattutto per la personalità che pervade la loro musica e li rende riconoscibili, con questo tiro un po’ vecchia scuola che non ha quasi nessuno al giorno d’oggi. Necronaut è un susseguirsi di assalti sonori, di canzoni sempre interessanti per tutta la loro durata, di buone intuizioni sonore e di grande affiatamento, che si esprime in un disco di notevole cattiveria metallica e di ottime melodie.

Tracklist
01. Phase One
02. From The Hollow
03. Ghost Inside
04. Pale Light
05. Necronaut
06. Second Sight
07. Highest Wall
08. Kneel Down
09. We Are One

Line-up
Valerio Cascone: vocals
Stefano Bussadori: guitars
Eugenio Carreri: bass
Shadi Al Amad: drums

OZAENA – Facebook

Decryption – Gods Fallen

Dalla scena thrash siciliana nasce questa creatura metallica chiamata Decryption, al debutto con Gods Fallen, ep di cinque brani davvero belli che confermano quanto di buono arriva dalle assolate terre della Trinacria.

Dalla scena thrash siciliana nasce questa creatura metallica chiamata Decryption, al debutto con Gods Fallen, ep di cinque brani davvero belli che confermano quanto di buono arriva dalle assolate terre della Trinacria.

La band è formata da vecchie volpi della scena come Angelo Bissanti (Thrash Bombz e Bloodevil) e Carmelo Scozzari (Ancestral) ai quali si sono uniti il bassista Giulio Natalello ed il batterista Mauro Patti.
Gods Fallen, frutto di numerose jam, è stato mixato e masterizzato da Bissanti, chitarrista ma soprattutto cantante di razza alle prese con un thrash metal che, pur mantenendo una leggera impronta classica, viene valorizzato dalle ritmiche groove metal dal piglio più moderno e da chitarre che tanto sanno di death metal melodico.
Ne escono cinque bombe sonore notevoli, con il growl dal piglio death di Bissanti a troneggiare su un pesante metallo estremo che lascia il caldo territorio siciliano e si concede un viaggetto in Scandinavia.
Per semplificarvi la vita, voi che amate le etichette, pensate ad un buon mix tra death metal melodico (Arch Enemy) thrash statunitense (Exodus) e groove metal a dare quell’impronta moderna e personale a brani trascinati e nati per far male in sede live come la title track , che apre l’ep come meglio non potrebbe, The Eye Upon Us sorretta da un riff dannatamente coinvolgente e da un chorus melodico.
Bellissima è anche Set The Evil Free, fulgido esempio di ciò di cui sono capaci i Decryption tra riff mastodontici, solos che sanguinano melodia e la continua ricerca del chorus perfetto.
Ancora i due minuti acustici di Drowning In Fear fanno da preludio alla conclusiva Dust To Dust, primo brano scritto dal quartetto, con un sound che si concede quasi per intero al thrash metal e che mette fine a questi ventitré minuti di metallo incandescente; la band è già al lavoro su nuove composizioni, quindi aspettiamoci a breve di ritrovarci una nuova raccolta di brani battenti bandiera Decryption.

Tracklist
1.Gods Fallen
2.The Eye upon Us
3.Set the Evil Free
4.Drowning in Fear
5.Dust to Dust

Line-up
Angelo Bissanti – Guitars, Vocals
Carmelo Scozzari – Guitars
Mauro patti – Drums
Giulio Natalello – Bass

DECRYPTION – Facebook

Vessel Of Light – Vessel Of Light

Vessel Of Light è qualcosa di profondamente americano, con quel suono potente, chiaro e dal groove forte che ti tiene incollato allo stereo, grazie anche al notevole talento del duo.

A volte sembra che alcune cose o situazioni vengano fuori dal nulla, ma se si analizza maggiormente il tutto si nota che le strade tracciate in precedenza sarebbero confluite in un cammino comune.

Questo è il caso dei Vessel Of Light, un duo composto da Dan Lorenzo (già negli Hades, Non–Ficition, e The Cursed), e Nathan Opposition, cantante degli Ancient VVisdom, con i quali condividono l’etichetta Argonauta Records.
Tutto cominciò quando Dan Lorenzo scrisse un annuncio sulla rivista del New Jersey Steppin’Out, mettendosi in contatto con Nathan Opposition. Dan considerava fino a quel momento terminata la sua carriera di chitarrista, mentre Nathan lo considerava uno dei migliori architetti di riffs di chitarra in giro per il mondo. Così quando Nathan chiese a Dan di scrivere delle canzoni lui non potè rifiutare, ed ecco il risultato. Questo disco omonimo è un concentrato di maestosi giri doom di chitarra, con un cantato magnifico di Nathan Opposition. Vessel Of Light è qualcosa di profondamente americano, con quel suono potente, chiaro e dal groove forte che ti tiene incollato allo stereo, grazie anche al notevole talento del duo.
Le canzoni sono costruite con un andamento deciso e al contempo etereo, si viaggia con potenza, attingendo dalla tradizione americana di questo suono. Non ci sono pause o momenti di smarrimento, ma si ondeggia la testa per tutta la durata del disco, che è solido come una pietra che rotola e che sposta l’aria già prima di arrivare a destinazione. Vessel Of Light possiede un mojo doom blues che ne fa un’opera unica e lo fa ascoltare dall’inizio alla fine.
Strade fatte per incrociarsi e per diventare giganteschi vortici musicali.

Tracklist
01. “Where My Garden Grows”
02. “Dead Flesh And Bone”
03. “Meant To Be”
04. “Descend Into Death”
05. “Living Dead To The World”
06. “Vessel Of Light”

Line-up
Dan Lorenzo
Nathan Opposition

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