Colour Haze – Live Vol.1 Europa Tournée 2015

Questo disco non è certamente il solito live, ma è la testimonianza delle jam dal vivo, davanti a degli spettatori.

I Colour Haze sono una vecchia conoscenza per chi ama la psichedelia robusta, quella che volentieri si congiunge carnalmente con il rock, preferibilmente l’heavy rock.

Nati nella metà degli anni novanta in Germania, i tre pubblicano il loro esordio Chopping Machine nel 1995, e da quel momento hanno fatto viaggiare molte persone. La loro musica ha la sua ragion d’essere nel live, e questo disco dal vivo lo sottolinea molto bene, catturandone ogni momento in maniera fedele. Dopo molti anni di onorato servizio i Colour Haze non hanno più nulla da dimostrare, e pubblicano questo live per deliziare i fans e anche i neofiti. Live Vol.1 è un album molto armonico, una sorta di grande jam in due lp e tre cd, con pezzi registrati in molti posti, da Parigi a Colonia e Berlino, tutti in ottima fedeltà sonora. I Colour Haze fanno musica da meditazione con la chitarra di Stefan Koglek che conduce le danze, e come un pifferaio magico ammalia il pubblico che lo segue docile e voglioso. Le linee sonore dei tedeschi sono eteree ed influenzate dalla psichedelia anni sessanta, anche se i Colour Haze non sono l’imitazione di nessuno, anzi sono un gruppo seminale. Questo disco non è certamente il solito live, ma è la testimonianza delle jam dal vivo, davanti a degli spettatori, con un modello già ampiamente usato dai Grateful Dead, o dai Gand Funk Railroad, gruppi che hanno molti in comune con i Colour Haze. Viaggiare, liberare la mente grazie ad un suono liberatorio e stimolante, lasciando il ruolo di assoluto protagonista all’ascoltatore, o meglio al suo cervello, che può scivolare via veloce dalle preoccupazione di questo mondo impazzito.
Il primo volume di una serie di dischi dal vivo dei Colour Haze, un gruppo tanto grande quanto umile.

TRACKLIST
1-1 Persicope (Frankfurt)
1-2 Moon (Frankfurt)
1-3 Überall/Call (Frankfurt)
1-4 She Said (Paris)
1-5 Aquamaria (Würzbug)
1-6 To The Highest Gods We Know (Paris)
8 Circles (Paris)
9 Transformation (Berlin)
10 Grace (Berlin)
11 Tempel (Paris)
12 Love (Paris)
13 Peace Brothers and Sisters (Frankfurt)
14 Get It On (Köln)

LINE-UP
Stefan Koglek – Guitar,Vocals
Philipp Rasthofer – Bass guitar
Manfred Merwald – Drums

COLOUR HAZE – Facebook

High Spirits – Motivator

Inaspettate influenze tradizionali per un musicista conosciuto nel mondo dell’underground per sonorità estreme e sperimentali come quelle suonate con i Nachtmystium.

Gli High Spirits sono la creatura del polistrumentista americano Chris Black, già attivo con un buon numero di band, anche importanti come Pharaoh e Nachtmystium, qui in veste di rocker a tutto tondo.

Fondati gli High Spirits per soddisfare la sua sete di hard rock nel 2009, ha licenziato due full length prima di questo Motivator, Another Night nel 2011 e You Are Here due anni fa, completando la discografia con qualche singolo, un ep e ben due compilation.
La proposta di Black ricalca l’hard rock a cavallo tra gli anni ottanta ed il decennio successivo, con qualche puntata nell’heavy metal britannico, in qualche solos, per il resto rock duro puro e semplice, arioso in alcune parti, più serrato in altre ma ben confezionato.
Intanto la produzione, senza strafare, permette di godere di tutti i dettagli del sound, le sonorità old school a cui Black fa riferimento vengono così valorizzate in toto, il songwriting di buon livello si evince da una raccolta di buone canzoni, orecchiabili, melodiche ma che non mancano di infiammare i cuori dei rockers più attempati.
Di livello i chorus, Black ha un’ottima voce ed imprime verve profusione in brani che ripercorrono la storia dell’hard rock con buona presa ed ottimo appeal.
Mezz’ora scarsa di durata, ma sufficiente senz’altro per tornare e rivivere i fasti della musica dura tradizionale con due o tre brani sopra la media, dalla metallica Reach For The Glory, all’hard rock di Haunted By Love e Down The Endless Road.
Il musicista di Chicago se la cava sia in fase di registrazione che con gli strumenti utilizzati e Motivator lascia ottime sensazioni, senza strafare ma puntando sull’anima più pura e tradizionale della musica dura.
Tra i solchi dell’album ci si aggira per sentieri battuti da UFO, Survivor, Thin Lizzy e Scorpions, inattese influenze tradizionali per un musicista conosciuto nel mondo dell’underground per sonorità estreme e sperimentali come quelle suonate con i Nachtmystium.
Il gruppo ha una buona attività live, dove Black si contorna di ottimi protagonisti della scena, così da non relegare il progetto alla solita one man band da studio, ma donandogli un’identità live, importantissima per mantenerla in ottima salute.

TRACKLIST
1. Up and Overture
2. Flying High
3. This Is the Night
4. Reach for the Glory
5. Do You Wanna Be Famous
6. Haunted by Love
7. Down the Endless Road
8. Take Me Home
9. Thank You

LINE-UP
Chris Black – All instruments, Vocals

HIGH SPIRITS – Facebook

Joy – Ride Along!

Se non ci siamo persi nel deserto americano finiremo in dipendenza da Joy, aspettando il prossimo fantastico viaggio tra le note vintage del trio di San Diego.

L’hard rock dalle sonorità vintage e psichedeliche, in questi anni ha trovato molti estimatori ed il fiume di gruppi che inonda il mercato si è diviso in vari torrenti musicali di cui i principali sono quelli che portano al blues ed allo psych rock.

Come da tradizione sono però i gruppi statunitensi quelli che regalano le migliori soddisfazioni, con una serie di realtà dall’alto tasso psichedelico come questo trio di San Diego che di nome fa Joy e che arriva al suo secondo bellissimo lavoro.
Guidato dal chitarrista e cantante Zachary Oakley, anche produttore dell’album, la band si completa con il fantastico batterista Thomas DiBenedetto e dal bassista Justin Hulson, creatori di questo manifesto al psych rock, colmo di sonorità fuzz e sporcato da iniezioni di blues acido.
Oakley fa prodigi con la sua sei corde ricordando non poco il mood hendrixiano e i brani sono caratterizzati da un’aura di jam tipica del genere.
Numerosi sono gli ospiti che intervengono a valorizzare le varie canzoni, tutti musicisti della scena come il drummer Mario Rubacala (Earthless, OFF!), Brendan Dellar, chitarrista dei Sacri Monti e soprattutto quella macchina di riff che risulta Parker Griggs, axeman e leader dei clamorosi Radio Moscow.
Da Misunderstood, passando per Evil Woman e la cover degli ZZ Top Certified Blues, l’album è un trip rock blues psichedelico dall’alto tasso elettrico, la sei corde spara riff saturi, mentre Help Me e Red White And Blues ci aprono la strada per la clamorosa Peyote Blues, song acustica che mischia Led Zeppelin e southern rock in pieno effetto collaterale da funghi allucinogeni, ed il risultato non ci fa smettere di danzare, penzolando in pieno trip settantiano.
Gypsy Mother’s Son conclude il lavoro, il più lungo dei brani raccolti nel disco non può che essere una jam di rock adrenalinico e psichedelico, che ci trascina a suon di watts al gran finale.
Se non ci siamo persi nel deserto americano finiremo in dipendenza da Joy, aspettando il prossimo fantastico viaggio tra le note vintage del trio di San Diego.

TRACKLIST
1. I’ve Been Down (Set Me Free)
2. Misunderstood
3. Evil Woman
4. Going Down Slow
5. Certified Blues (ZZ Top – Cover)
6. Help Me
7. Red, White and Blues
8. Peyote Blues
9. Ride Along!
10. Gypsy Mother’s Son

LINE-UP
Zachary Oakley – Guitar & Vox
Justin Hulson – Bass
Thomas DiBenedetto – Drums

http://www.facebook.com/JOYBANDOFFICIAL”>JOY – Facebook

Eerie – Eerie

Un buon esordio in grado di soddisfare soprattutto gli amanti dell’hard rock con più di un capello bianco sulla ormai rada chioma.

La Tee Pee records presenta il sound di questo gruppo come un ibrido tra il black metal e l’hard rock dai rimandi settantiani, vero in parte anche se a mio parere, oltre alle ritmiche a tratti sferzate da un vento black’n’roll, gli Eerie sono la classica band rock vintage.

E di vintage nell’omonimo debutto del gruppo non manca niente: dalla copertina, alla produzione fino all’attitudine di questi quattro rockers statunitensi che preciso, hanno creato un bel disco di hard rock, psichedelico, irrobustito dalle ritmiche di cui sopra, potenziato da atmosfere sabbatiane e molto stonerizzato.
Un mega trip che dall’opener Hideous Serpent porta la band indietro nel tempo, riprendendo quei canoni stilistici di molte doom rock band (c’è tanto di Sabbath, ma anche di Saint Vitus e Count Raven nel sound), con il cantato evocativo che riempie di atmosfere messianiche i brani (Immortal Rot) e un’aura stoner/psichedelica che sicuramente lascia in un angolo la componente black descritta dalla label.
Poco male perché l’album funziona, il chitarrista Tim Lehi è davvero bravo a costruire un muro di riff e continui solos, urlati in questo nuovo millennio, ma nati tra i solchi dei vinili settantiani, mentre la sezione ritmica tiene il passo con la prova esuberante e varia del drummer Moses Saarni.
Brani medio lunghi come Master Of Creation e la spettacolare Yeti, traccia doom metal hard rockin cui la band trova il perfetto equilibrio tra urgenza metallica, psichedelia e hard rock zeppeliniano, sono il sunto di cosa ci si può aspettare da questi bravi Eerie.
Non fatevi fuorviare, Eerie risulta un buon esordio per il gruppo, ma è in grado di soddisfare soprattutto gli amanti dell’hard rock con più di un capello bianco sulla ormai rada chioma, magari dopo aver trovato in soffitta il vecchio sacchettino di pelle dove una volta nascondevano i loro sogni.

TRACKLIST
1. Hideous Serpent
2. Yeti
3. Master Of Creation
4. Immortal Rot
5. Blood Drinkers

LINE-UP
Tim Lehi – Guitars
Moses Saarni – Drums
Dave Sweetapple – Bass
Shane Baker – Vocals

 

Lita Ford – Time Capsule

Una vita spesa in nome del rock’n’roll e carisma da vendere: Lita Ford si conferma come una delle icone al femminile di questo pazzo ed affascinante mondo.

Una delle regine dell’hard rock è tornata con un nuovo album, o meglio una raccolta di brani inediti scritti durante gli anni e mai immessi sul mercato.

Lo fa aiutata da una schiera di musicisti dal background vario ma tutti estremamente importanti per lo sviluppo della nostra musica preferita, così da trasformare una semplice (anche se bellissima raccolta di vecchi demotape) in un album imperdibile per tutti i fans dell’hard rock.
Lita Ford è una donna con un curriculum musicale da far impallidire molti degli illustri colleghi maschi, con una serie di flirt che l’hanno vista in compagnia del buon Lemmy, Joe Lynn Turner e tra gli altri Chris Holmes e Tony Iommi, tanto per citare l’ex marito ed il protagonista scabroso della sua autobiografia uscita ultimamente, ma soprattutto chitarrista del gruppo al femminile più importante della storia del rock, le Runaways di Joan Jett.
Time Capsule passa con disinvoltura da brani rock’n’roll, a grintose e ruvide hard rock songs, non facendoci mancare le super ballatone (Where Will I Find My Heart Tonight e War of the Angels) per le quali la Ford solista è famosa e l’album nella sua interezza convince, senza che i tanti anni passati dalla stesura delle tracce lo appesantiscano.
Ed arriviamo ai numerosi ospiti che imprimono il loro marchio su ogni brano di Time Capsule, iniziando da Jeff Scott Soto che duetta con la Ford in Where Will Find My Heart Tonight, mentre i due Kiss Gene Simmons e Bruce Kulick impreziosiscono il rock’n’roll ottantiano di Rotten To The Core.
Ma le sorprese non finiscono qui, Dave Navarro fa la sua comparsa in Killing Kind, song che vede al basso la presenza di Billy Sheehan e ai cori Robin Zander e Rick Nielsen dei Cheap Trick.
Black Leather Heart risulta uno dei brani più riusciti del disco, colmo di groove leggermente moderno, con ancora Billy Sheehan a formare con il batterista Rodger Carter una sezione ritmica da urlo.
Ancora grande musica rock con Anything for the Thrill ed un salto nel blues rock con King of the Wild Wind, una song dal lento incedere, sporcata da un’attitudine blues che commuove.
Time Capsule viaggia su ottimi livelli e la Ford non manca di sbalordire per la grinta , dopo tanto tempo, per una sempre splendida voce che affiora nelle due ballad citate.
Cinquantasette anni e non sentirli, una vita spesa in nome del rock’n’roll e carisma da vendere: Lita Ford si conferma come una delle icone al femminile di questo pazzo ed affascinate mondo, ci diverte e si diverte, bentornata.

TRACKLIST
01. Intro
02. Where Will I Find My Heart Tonight
03. Killing Kind
04. War of the Angels
05. Black Leather Heart
06. Rotten to the Core
07. Little Wing
08. On the Fast Track
09. King of the Wild Wind
10. Mr. Corruption
11. Anything for the Thrill

LINE-UP
Lita Ford – Vocals, Guitar
Jeff Scott Soto – Guest Vocals
Chris Holmes – Voice on “Intro”
Robin Zander – Backing Vocals
Rick Nielsen – Backing Vocals
Bruce Kulick – Guitar
Greg Buahio – Bass
Jimmy Tavis – Bass
Billy Sheehan – Bass
Gene Simmons – Bass
Jimmy Tavis – Bass
Dave Navarro – Mandolin
Rodger Carter – Drums

LITA FORD – Facebook

The Dead Daisies – Make Some Noise

Crue, Whitesnake, Aerosmith, Bad Company, Kiss, Gunners, metteteli in un bidone e fatelo rotolare giù per la collina di Hollywood, aprite il coperchio e ne usciranno i The Dead Daisies.

Avete presente quando un calciatore, all’ultimo minuto della partita più importante della sua carriera, segna in rovesciata il goal che dà la vittoria alla propria squadra?
Il primo commento è: ora può smettere di giocare!

Ebbene, dopo aver scritto questo articolo il sottoscritto potrebbe tranquillamente tornare ad invasare fiori sul suo terrazzo, perché un disco del genere in campo hard rock, nel nuovo millennio sarà improbabile che gli ricapiti tra le mani.
Ecco quindi il disco perfetto, quello che non uscirà mai più dal vostro stereo e che vi farà cantare, esaltare come e più dei classici, esplosivo in tutte le sue componenti e suonato da una manciata di mostri con a capo il grande John Corabi.
The Dead Daises, ovvero John Corabi al microfono ( (Mötley Crüe, Union, The Scream), Brian Tichy (Ozzy Osbourne, Foreigner) alle pelli, David Lowy (Red Phoenix, Mink) alla chitarra, Doug Aldrich (Whitesnake, Dio) alla chitarra, e quello spettacolo di bassista che è Marco Mendoza (Thin Lizzy, Whitesnake): un’associazione a delinquere dell’hard rock che si presenta in questa metà del 2016 e scarica pallettoni di adrenalinico rock’n’roll da spellarsi le mani fino a farle sanguinare.
Giunto al terzo lavoro, questo supergruppo ideato da Brian Tichy e che, a rotazione, raccoglie tra le sue fila i più grandi interpreti dell’hard rock internazionale, torna dopo il successo del precedente Revolución con un altro spettacolare lavoro dove l’hard rock classico trova la sua glorificazione in riff ficcanti, solos al fulmicotone, un vocalist che per attitudine mette in fila tutti quelli della sua generazione ed un songwriting commovente, da quanto risulta perfetto.
Un disco che è già un classico ancora prima di risplendere sugli scaffali dei negozi, prodotto da Marti Frederiksen (Aerosmith, Def Leppard, Mötley Crüe, Buckcherry) a Nashville, supportato dalle versione in cd, digipack e doppio vinile e composto da dieci brani più due cover (Creedence Clearwater Revival e The Who).
Il nuovo entrato, Mr. Doug Aldrich, si scrolla di dosso la sua avventura alla corte del serpente bianco e traduce la bibbia di tutti i chitarristi rock con una performance stellare, la sezione ritmica portentosa e pregna di quelle ritmiche bluesy ipervitaminizzate da adrenaliniche iniezioni di rock’n’roll, ha nella coppia Tichy/Mendoza due martelli pneumatici sfuggiti all’ormai stanco operaio e che, impazziti distruggono tutto quello che incontrano … e poi c’è lui, Corabi, quel signore che rese un capolavoro l’unico album dei Crue a cui prestò la sua inconfondibile voce.
Il tutto viene tradotto in un monumentale album hard rock: se siete ancora impegnati a cercare il disco della vita, beh non siete così distanti dall’averlo trovato, specialmente dopo essere stati travolti da Mainline, Make Some Noise e le loro bellissime, affascinanti ed irresistibili dieci sorelline.
Crue, Whitesnake, Aerosmith, Bad Company, Kiss, Gunners, metteteli in un bidone e fatelo rotolare giù per la collina di Hollywood, aprite il coperchio e ne usciranno i The Dead Daisies.
Il chitarrista David Lowy ha dichiarato: The Dead Daisies vogliono solo celebrare il classic rock’n’roll; beh, caro Lowy, ci siete riusciti alla grande.

TRACKLIST
1.Long Way To Go
2. We All Fall Down
3. Song And A Prayer
4. Mainline
5. Make Some Noise
6. Fortunate Son
7. Last Time I Saw The Sun
8. Mine All Mine
9. How Does It Feel
10. Freedom
11. All The Same
12. Join Together

LINE-UP
John Corabi-Vocals
David Lowy-Guitars
Brian Tichy-Drums
Marco Mendoza-Bass
Doug Aldrich-Guitars

THE DEAD DAISIES – Facebook

Game Zero – Rise

Potenza e melodia, una miscela esplosiva che non difetta in questa prima prova dei Game Zero

Con qualche mese di ritardo sull’uscita vi presentiamo l’esordio di questa ottima band nostrana, i Game Zero, frutto dell’incontro tra il chitarrista/cantante Mark Wright e Alexincubus, ex ascia dei Theatres Des Vampires, in seguito raggiunti da Dave J alle pelli (ex Dragonhammer) e Domino al basso.

Le prime cinque canzoni create vanno a comporre un demo con cui il gruppo guadagna l’interesse di Gianmarco Bellumori e della sua label Agoge records, con cui registrano Rise, un ottimo lavoro costruito su riff granitici ed una miscela a dir poco esplosiva di hard rock ed heavy metal.
Potenza e melodia, una miscela esplosiva che non difetta in questa prima prova del quartetto, bravo nel costruire su una base fortemente metallica un sound dall’ottimo appeal senza rinunciare a graffiare il giusto per piacere un po a tutti.
Chorus di scuola hard rock si alternano ad un bombardamento heavy, ritmiche che non disdegnano groove di scuola moderna vanno a braccetto con sfumature metal classiche, così da mettere d’accordo tanto gli amanti dei suoni moderni, tanto quelli più orientati alle atmosfere classiche.
L’apertura del disco è col botto, il riff potente ed irresistibile dell’opener The City With No Ends ci dà il benvenuto nel mondo metal rock dei Game Zero, sissata da It’s Over e da Now, irresistibile brano di hard rock moderno devastato da ritmiche che sanguinano groove.
Si viaggia spediti in Rise, i brani si succedono uno più sfrontato dell’altro con una cura maniacale per i ritornelli, perfettamente incastonati nelle trame dei brani e punto di forza dell’album.
Tra i solchi si respira aria di hard rock moderno, poi il respiro si fa più pesante quando la sei corde spara solos metallici o qualche accenno allo street metal tramuta il sound in pura adrenalina rock.
Don’t Follow Me e Unbreakable alzano una temperatura che si fa insopportabile sotto il bombardamento a tappeto a cui veniamo sottoposti, e si giunge alla conclusione con la voglia matta di schiacciare ancora il tasto play e farsi travolgere dalla musica dei Game Zero.
Che dire, se non scusate per il ritardo e complimenti al gruppo e all’etichetta per l’ottimo lavoroe.

TRACKLIST
1.The city with no ends
2.It’s over
3.Now
4.Fallen
5.Don’t follow me
6.Time is broken (rise)
7.Lions and lambs
8.Purple
9.In your shoes
10.Unbreakable
11.Look at you
12.Escape

LINE-UP
Mark Wright – Vocals, Rhythm Guitars
AlexIncubus – Lead Guitars
Domino – Bass Guitars
Dave J – Drums

GAME ZERO – Facebook

Tracy Grave – In The Mirror Of Soul

L’album è un viaggio emozionale nell’hard rock melodico, formato dai cinque brani riarrangiati del precedente ep più altri cinque nuovi di zecca

E’ lunga la storia che ha portato il musicista e poeta nostrano Tracy Grave a questo primo lavoro sulla lunga distanza della band che da lui prende il nome.

Ex Hollywood Pornostar, band con un ep ed un full length alle spalle e con una buona attività live in compagnia di Adam Bomb e Pretty Boy Floyd, il musicista sardo ha collaborato in questi anni con molte realtà della scena metal e non solo, condividendo importanti esperienze live di supporto a molti gruppi storici del panorama hard rock internazionale come Alice Cooper, Faster Pussycat, Paul Dianno, L.A Guns e Backyard Babies.
Nel 2015 Grave da inizio alla sua carriera solista con un ep acustico di cinque brani dal titolo Faith, gira alcuni video ed inizia a registrare In The Mirror Of Soul presso i DGM Studios in compagnia di Federico Fresi alle chitarre e del fido Gabriele Oggiano.
L’album è un viaggio emozionale nell’hard rock melodico, formato dai cinque brani riarrangiati del precedente ep più altri cinque nuovi di zecca, che vanno a comporre un’opera molto matura dove le semi ballad la fanno da padrone, senza però risultare un’opera mielosa, in quanto non mancano elettrizzanti canzoni hard rock ed il livello del songwriting rimane per tutta la durata ad un livello alto, colmo di atmosfere intimiste e dall’ottimo input emozionale.
Il sound richiama l’hard rock americano con in testa i Bon Jovi, da sempre influenza primaria di Grave, che riesce nella non facile impresa di donare un tocco personale e maturo alla fonte musicale da cui la sua musica si disseta rendendola elegante e raffinata.
Dotato di una voce passionale come la sua musica, Grave ci invita all’ascolto di questo lavoro con Welcome To My Madness, brano perfetto per entrare nel mondo di questo lavoro, grintosa ma con un tocco melodico che risulta la carta vincente del sound proposto, mentre le semiballad prendono in mano l’album già dal bellissimo trittico When The Candle Is Burning, Faith e Melancholy.
Attracted by The Anger ci riporta al rock statunitense di matrice ottantiana, con un ottimo refrain da cantare sotto il palco, così come la metallica Reflection Of The Vampire, mentre Fragile Heart e l’acustica Tears Of Flames lasciano che l’atmosfera malinconica e cantautorale di cui è pervaso l’album ritorni a far braccia nei nostri duri cuori da rockers.
Tracy Grave, nel frattempo, si è contornato di una manciata di musicisti formando una band a tutti gli effetti: lo aspettiamo on stage per assaporare dal vivo tutte le sfumature e le calde emozioni che la sua musica sa offrire e che lui ha chiamato Grave Rock.

TRACKLIST
1.Welcome To My Madness
2.When The Candle Is Burning
3.Faith
4.Melancholy
5.Rise Again
6.I Will Be There
7.Attracted By The Anger
8.Fragile Heart
9.Reflection Of A Vampire
10.Tears Of Flames

LINE-UP
Tracy Grave – Singer, Soulwriter
Sham – Guitar
Emy Mad – Drums
Joe Tuveri – Bass
Mr. Zed – Guitar

TRACY GRAVE – Facebook

Snakewine – Serpent Kings

Otto brani micidiali e perfettamente bilanciati tra metal, hard rock ed una forte attitudine rock’n’roll.

Questo adrenalinico gioiellino di heavy/hard rock è il debutto dei Snakewine, quartetto tedesco proveniente da Saalfeld che approda con un po’ di ritardo sulle pagine di Iyezine.

Fondato nel 2014, lo scorso anno il gruppo approda al debutto tramite Phonector con questi micidiali otto brani perfettamente bilanciati tra metal, hard rock ed una forte attitudine rock’n’roll.
Tanto groove nelle ritmiche, solos dinamitardi che fanno l’occhiolino tanto allo street metal ottantiano quanto all’hard rock classico ed una verve motorheadinana, che non manca di aggiungere pepe ad un lotto di brani divertentissimi e tremendamente live.
Ed è proprio on stage che il sound del gruppo da il meglio di sé, le songs risultano perfette per un ambito in cui il rock ritrova la sua vera natura, sguaiato, debordante ed irresistibile, aiutato non poco dall’appeal di brani estremamente inyourface.
Registrato, mixato e masterizzato da Niklas Wenzel, Serpent Kings deflagra letteralmente, carico di un forte impatto rock’n’roll, che la voce maschia e graffiante del singer Ronny Konietzko rende aggressivo e perfetto per i fans dell’hard & heavy.
Grande prova della sezione ritmica, un muro di cemento armato hard rock (Sebastian Welsch al basso e Buddha a picchiare come un forsennato sulle pelli del suo drumkit) ed esplosiva risulta la sei corde di Frank Vogel, sanguigna come nel southern blues di cui è rivestita Double Barreled, cattiva e tagliente nei molti assoli dall’impronta metallica.
Non ci sono ballad in Serpent Kings, se volete conquistare la vostra donzella dovrete rivolgervi altrove, qui si brucia di passione, niente romanticismi, accoppiatevi senza freni inibitori al ritmo di The Devil You Know, della Ac/Dc oriented Breathtaker o dalla potentissima Mean Machine.
Motorhead, Ac/Dc, un pizzico di street metal, tanto impatto alla Danko Jones ed il vino di serpente che scenderà nelle vostre gole, vi rendernno dipendenti e non potrete più farne a meno, consigliato senza riserve.

TRACKLIST
1.Breathtaker
2.Son Of a Gun
3.Brood Of Vipers
4.Mean Machine
5.Serpent Kings
6.Double Barreled
7.The Devil You Know
8.Swipwrecked

LINE-UP
Ronny Konietzko-Vocals
Frank Vogel-Guitars
Sebastian Welsch-Bass
Buddha-Drums

SNAKEWINE – Facebook

M.I.L.F. – More Than You

Divertente, a tratti esuberante, rock’n’roll perfetto per scatenati party, il sound del gruppo fiorentino non risulta una rivisitazione nostalgica dei fasti dei gruppi storici e, pur con le influenze in cui si specchia, la freschezza che emana non può che risultare determinante per la sua buona riuscita.

L’acronimo M.I.L.F. potrebbe far pensare a conturbanti donne mature alla ricerca di sollazzi con giovani toy boy, insegnanti preparatissime della sublime arte del sesso, magari accompagnate nelle loro prestazioni dalla colonna sonora composta da queste undici trascinanti hard rock/glam/street songs che compongono More Than You, primo lavoro sulla lunga distanza del gruppo toscano fondato a Firenze nel 2010 con all’attivo un ep autoprodotto e che arriva alla pubblicazione di questo primo full length grazie alla label Buil2KillRecords.

Invece M.I.L.F. sta per Make It Long ‘n Fast e la musica prodotta riconduce senza mezzi termini all’hard rock stradaiolo, ispirato agli eroi del Sunset Boulevard, con un pizzico di punk rock e ritmiche che a tratti prendono ispirazione dalla famiglia Young più famosa del rock.
Divertente, a tratti esuberante, rock’n’roll perfetto per scatenati party, il sound del gruppo fiorentino non risulta una rivisitazione nostalgica dei fasti dei gruppi storici e, pur con le influenze in cui si specchia, la freschezza che emana non può che risultare determinante per la sua buona riuscita.
Ed infatti, dopo l’intro, il riff su cui si struttura Let Me Believe ci scaraventa ai bordi del palco a sbattere natiche e riempire le nostre gole di birra in un selvaggio party rock, che continua imperterrito con la title track, elettrizzante rock song dal piglio punk assolutamente irresistibile.
Let’s go è un altro rock’n’roll ipervitaminizzato trascinante, mentre Thief of Love risulta una ballatona che si trasforma in un mid tempo, ma sono le armonie acustiche di Beach Blues che ci portano sulle assolate spiagge della California, tra bikini e voglia di surf.
Un riff alla Ac/Dc ci introduce all’elettrizzante Dancing Savage, con finale sulla corsia di sorpasso con tre songs irresistibili come Hang On, Midnight e la conclusiva Can’t Stop.
More Than You risulta un ottimo lavoro, il genere è quello, perciò se cercate l’originalità in album come questo avete sbagliato indirizzo: i M.I.L.F. si divertono e fanno divertire e tanto basta, in fondo it’s only rock’n’roll.

TRACKLIST
01. Prelude
02. Let Me Believe
03. More than You
04. Don’t Care
05. Let’s Go
06. Thief of Love
07. Beach Blues
08. Dancing Savage
09. Hang On
10. Midnight
11. Can’t Stop

LINE-UP
Matt Lombardo – Lead Vocals, Keyboards
Zip Faster – Lead Guitar
Ciccio – Guitar, Acustic Guitar, Backing Vocals
Dani – Bass
Toby Alley – Drums, Backing Vocals

M.I.L.F. – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=uPJbhMLRqkE

Axel Rudi Pell – Game Of Sins

Axel Rudi Pell è un punto fermo della nostra musica preferita e Game Of Sins l’ultimo regalo a chi, imperterrito, lo segue dal lontano 1989

Cosa scrivere di un album targato Axel Rudi Pell che non sia già stato detto in occasione dell’uscita dei suoi ben sedici album, in ventisette anni di onorata carriera nel mondo dell’hard & heavy?

Niente di più di quello che poi ne è il reale valore, al netto delle critiche che si possono fare all’axeman tedesco, cioè di ripetere la stessa formula album dopo album, ma d’altronde cosa si può volere di più dal buon Pell se non un altro ennesimo tuffo nelle atmosfere classiche di reminiscenze Rainbow?
Il vero erede di Ritchie Blackmore torna in compagnia del sommo Johnny Gioeli, uno dei singer più sottovalutati dell’intera scena hard rock, ma straordinario interprete del sound epico e nobile del gruppo con il diciassettesimo lavoro, questo epico Game Of Sins.
Contornato da una formazione di super professionisti delle note metalliche come il mastino Bobby Rondinelli alle pelli, l’ex Rough Silk Ferdy Doernberg ai tasti d’avorio e Volker Krawczak al basso, il duo tedesco/statunitense fa spallucce ai detrattori e rifila una serie di brani che ancora una volta risultano un’apoteosi di suoni hard & heavy, ispirati all’arcobaleno più famoso della storia del rock e alla scena ottantiana, una goduria di atmosfere epiche che faranno la gioia dei rockers d’annata.
La sei corde di Pell ovviamente è la protagonista assoluta con riff rocciosi, solos iper melodici e quel taglio blackmoriano che, come detto ha fatto del chitarrista di Bochum il suo più illustre erede, fuori dal neoclassicismo debordante e molto spesso noioso di Malmsteen e funzionale al songwriting dei vari album che, con poche negative eccezioni, hanno contribuito alla storia del genere.
Non si può fare a meno di notare l’ottima prova di un Gioeli sempre più coinvolto nella musica del gruppo, interpretativo, melodico e sempre più a suo agio nel rinverdire i fasti di Ronnie James Dio, mentre la raccolta di brani che formano la track list di Games Of Sins non hanno cedimenti, almeno fino alla conclusiva cover di All Along The Watchtower, brano famoso dalle versioni di Hendrix, Bob Dylan ed U2, ma troppo lontano dalle corde della band tedesca.
Niente di male: l’epica title track, la metallica e debordante Fire, la ruvida Sons Of The Night e la stupenda The King Of Fools impreziosiscono questo ottimo lavoro, l’ennesima prova sopra le righe di un musicista che, se per molti pecca di originalità, lascia sul campo i cadaveri di molti giovani gruppi dediti all’hard & heavy vecchia scuola.
Axel Rudi Pell è un punto fermo della nostra musica preferita e Game Of Sins l’ultimo regalo a chi, imperterrito, lo segue dal lontano 1989; per i vecchi fans un lavoro imperdibile, anche se lo consiglio pure ai giovani metallari dai gusti classici, magari accompagnandolo all’ascolto dei lavori precedenti.

TRACKLIST
01. Lenta Fortuna (Intro)
02. Fire
03. Sons In The Night
04. Game Of Sins
05. Falling Star
06. Lost In Love
07. The King Of Fools
08. Till The World Says Goodbye
09. Breaking The Rules
10. Forever Free
11. All Along The Watchtower (Bonus Track)*

LINE-UP
Axel Rudi Pell – Guitar
Johnny Gioeli – Vocals
Ferdy Doernberg – Keyboards
Volker Krawczak – Bass
Bobby Rondinelli – Drums

AXEL RUDI PELL – Facebook

Ingloriuos – Inglorious

Inglorious è semplicemente un disco bellissimo, cantato a meraviglia e con un lotto di songs una più bella dell’altra, lasciate i vecchi dischi ormai consumati sullo scaffale e buttatevi tra le note di questi nuovi eroi dell’hard rock

Premessa: l’hard rock di stampo settantiano è tornato a mietere vittime, i gruppi che si rifanno ai suoni vintage non si contano più sulle dita di una mano, ma colmano con i loro cd gli scaffali dei negozi specializzati alla dicitura rock, ed il primo lavoro degli Inglorious ne è un altro ottimo esempio.

Un bene o un male? Meglio ascoltare i soliti vecchi classici o i loro più legittimi figli che, rifacendosi alla tradizione accompagnano il genere nel nuovo millennio?
Il sottoscritto tifa senza ritegno per le nuove leve, musicisti straordinari protagonisti di album bellissimi, molte volte criticati a prescindere, ma in grado di regalare hard rock sanguigno, figlio del blues, emozionando non poco.
Robert Plant, Ian Gillan, David Coverdale e Paul Rodgers, prendete i quattro dei dell’hard blues, mischiate le loro ugole ed avrete più o meno trovato il segreto della stupenda voce di Nathan James, ex-Trans-Siberian Orchestra ed ex-Uli Jon Roth band e capitano di questa macchina blues hard rock che con il suo primo, omonimo e bellissimo lavoro vi trascinerà nel decennio settantiano tra la musica dei gruppi di cui i quattro cantanti sono stati, ed un paio lo sono ancora, i frontman.
Un album che rasenta la perfezione, pregno di sudore e voglia di emozionare, dove l’hammond torna protagonista, così come i riff (pesantissimi in alcuni casi) che si riempiono di un’anima blues, sporca, cattiva ma a tratti dolcemente disperata, come nella miglior tradizione del genere.
Nathan James è però il protagonista indiscusso, interpretativo, dotato di un talento immenso nel far rinverdire i fasto dei leoni che ruggivano nei microfoni di album fondamentali per lo sviluppo della musica hard rock come Led Zeppelin II, In Rock, Love Hunter o Bad Company e sentire per credere, fate scorrere il cd fino alla traccia otto così che You’re Mine possa convincervi di che pasta è fatto il ragazzo.
Ma Inglorious vive anche di grande musica, fin dall’opener Until I Die, dove l’hammond crea la giusta atmosfera, prima che le sei corde esplodano in un tripudio di suoni purpleiani, dure, pesantissime ed accompagnate da una ritmica che non rinuncia al groove, immancabile nei lavori di questi anni e colpevole di rinfrescare il giusto la proposta del gruppo.
Si corre veloci con l’adrenalinica Breakway, mentre un riff alla Page introduce il primo colpo da manuale High Flying Gypsy mentre, poi, arriva come un fulmine a ciel sereno il blues tragico di Holy Water ed un altro pezzo di bravura di James, che interpreta il brano con la magia giusta per una canzone che emoziona come solo la musica del diavolo sa fare, bissata da quel monolito hard rock che risulta la seguente Warning.
E si va veloci, i brani si susseguono con la band che non fa mancare armonie folk dal flavour zeppeliniano, altre bombe rock che detonano nei nostri padiglioni auricolari, con la già citata You’re Mine, Inglorious ed il ballatone Wake a distruggere come virus ogni nostra difesa immunitaria.
Inglorious è semplicemente un disco bellissimo, cantato a meraviglia e con un lotto di songs una più bella dell’altra, lasciate i vecchi dischi ormai consumati sullo scaffale e buttatevi tra le note di questi nuovi eroi dell’hard rock, c’è da divertirsi.

TRACKLIST
01. Until I Die
02. Breakaway
03. High Flying Gypsy
04. Holy Water
05. Warning
06. Bleed For You
07. Girl Got A Gun
08. You’re Mine
09. Inglorious
10. Wake
11. Unaware

LINE-UP
Nathan James – Vocals
Andreas Eriksson – Guitars
Wil Taylor – Guitars
Colin Parkinson – Bass
Phil Beaver – Drums

INGLORIOUS – Facebook

Shakra – High Noon

Lasciate l’inutile ed assurda ricerca dell’originalità a tutti i costi, qui siamo nel mondo dell’hard rock e basta avere talento per creare un gran lavoro, e la band svizzera ne ha da vendere.

Chi è abituato a leggere i miei deliri su iyezine riguardanti il metal estremo, non sa quanto il mio cuore batta per l’hard rock, che sia quello stradaiolo proveniente dal nuovo continente o quello classico o denominato da molti addetti ai lavori più quotati del sottoscritto, hard & heavy, e che, nel centro Europa ha dati i natali alle mie band preferite.

E’ chiaro che gli anni a cavallo tra il periodo settantiano ed i rimpianti anni ottanta sono ormai passati da un pezzo, ma lo spirito del rock arcigno non ha perso la sua foga e la sua voglia di far male a suon di rock’n’roll ipervitaminizzato da sei corde di stampo heavy, ed è così che vive e si rigenera per mezzo di artisti e band in ogni parte del mondo.
Suoni classici, magari per vecchi rocker attempati diranno in molti, ma irresistibili per chi ha vissuto decenni in compagnia delle note elettrizzate di una chitarra, in qualche cantina nascosta alle mode ed al music biz.
Centro Europa, la culla dell’hard rock nel vecchio continente, madre che nel suo nido ha nutrito gruppi che sono entrati di diritto nella storia del rock, continua a regalare band e opere che in questi anni di suoni modernisti hanno portato l’hard rock nel nuovo millennio, grazie anche a realtà provenienti da paesi all’apparenza fuori dal circuito musicale che conta ma importantissimi nello sviluppo della nostra musica preferita, come la Svizzera.
Con una carriera all’ombra dei Gotthard, gli Shakra possono vantare una discografia di tutto rispetto che dal 1998 si è sviluppata su dieci lavori sulla lunga distanza compreso questo ultimo e bellissimo High Noon, album che vede il ritorno dietro al microfono dello storico vocalist Mark Fox.
High Noon chiarisce una volta per tutte il valore del gruppo di Berna, per molti considerato un outsider ma che nulla ha da invidiare ai più famosi connazionali, band con la quale i paragoni sono inevitabili.
Le vocals ruvide ma dall’appeal elevatissimo di Fox, non lontane dal compianto Steve Lee, ed un songwriting esplosivo fanno di questa nuova prova un album di hard rock classico sopra le righe, le sei corde conducono la danza tra ritmiche grintose, tenendo sempre tra le briglie del sound un gustoso mood Aor che si traduce in irresistibili melodie, e High Noon coinvolge con un lotto di brani piacevoli e trascinanti tra tradizione hard & heavy (Scorpions), riff di grondante rock colmo di groove e refrain melodici.
La band piazza il primo hit con il singolo Hello, ma l’hard rock degli Shakra trova il suo massimo sfogo nelle tirate Into Your Heart, Is It Real e The Storm, mentre la super ballatona Life’s What You Need stempera il mood hard & heavy di questo lavoro.
Chitarre che si incendiano, qualche passaggio dove lo spirito dell’hard blues settantiano fa capolino e tanto groove sono le maggiori virtù di un altro notevole lavoro targato Shakra; lasciate l’inutile ed assurda ricerca dell’originalità a tutti i costi, qui siamo nel mondo dell’hard rock e basta avere talento per creare un gran lavoro, e la band svizzera ne ha da vendere.

TRACKLIST
01. Hello
02. High Noon
03. Into Your Heart
04. Around The World
05. Eye To Eye
06. Is It Real
07. Life’s What You Need
08. The Storm
09. Raise Your Hands
10. Stand Tall
11. Watch Me Burn
12. Wild And Hungry

LINE-UP
Mark Fox – Vocals
Thom Blunier – Guitars
Thomas Muster – Guitars
Dominik Pfister – bass
Roger Tanner – Drums

SHAKRA – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=vO2uG8ZFzHs

Head Of The Demon – Sathanas Trismegistos

Gli svedesi Head Of The Demon sono un gruppo che porta avanti tematiche occulte attraverso la musica, e bada alla sostanza con un hard rock doom molto bello.

Gli svedesi Head Of The Demon sono un gruppo che porta avanti tematiche occulte attraverso la musica, e bada alla sostanza con un hard rock doom molto bello.

Le oscure vibrazioni scorrono liete e danno una nera energia. Molti gruppi fanno questo genere ultimamente e sono anche con gli Head Of The Demon siamo davvero a cavallo della tigre. Non devono comunicare copiosamente, infatti le canzoni sono 6, ma si carpisce molto bene il tutto. La fretta qui è aliena, e come in una trasmutazione alchemica si va dalla materia allo spirito, e viceversa, sempre rimanendo in ambito assai black. Il gruppo si cela dietro una fitta coltre di mistero e fa bene, perché lasciano parlare i fatti ovvero la musica. Questo lavoro è la logica evoluzione dell’omonimo debutto del 2012, che descriveva adeguatamente la direzione intrapresa dal gruppo svedese. 09c’è materiale per chi vuole ricercare seriamente una via alternativa per spiegare molte cose e molti accadimenti altresì inspiegabili attraverso i normali canoni.
E soprattutto troviamo ottima musica, composta e suonata molto bene davvero.
Ci sono cose oscure che ci guardano e cose oscure che si ascoltano.

TRACKLIST
1. Nox, Est, Lux
2. Armilus Rides… Again!
3. Sathanas Trismegistos
4. Zurvan’s Ordeal
5. Maleficium
6. L.L.L

LINE-UP
José – Bass
Konstantin – Guitars, Bass
Johannes – Guitars, Vocals
Thomas – Percussion

HEAD OF THE DEMON – Facebook

Motörhead – Clean Your Clock

A distanza di pochi mesi dalla scomparsa di uno dei personaggi più importanti di tutto il mondo dell’hard & heavy, e non solo, la UDR immette sul mercato questo live registrato a Monaco di Baviera in due concerti sold out, nel Novembre del 2015.

Lemmy è morto … viva Lemmy …

A distanza di pochi mesi dalla scomparsa di uno dei personaggi più importanti di tutto il mondo dell’hard & heavy e non solo la UDR immette sul mercato questo live registrato a Monaco di Baviera in due concerti sold out, nel Novembre del 2015.
Un ultimo assaggio di quello che la band sapeva dare on stage ai propri fans, anche se dalle registrazioni si evince un Lemmy minato dalla malattia e non in perfetta forma.
Un live comunque all’insegna del rito Motörhead, con il pubblico entusiasta e partecipe, ed un gruppo che non risparmia la sua carica di selvaggio rock’n’roll agguerrito e devastante complice una set list che ne ripercorre la carriera con una sequela di classici da urlo.
Per chi non ha mai visto il grande Lemmy ed i suoi compari on stage, Clean Your Clock rimane comunque un’ottima testimonianza di cosa fosse un concerto del gruppo inglese, ed il carisma che quest’uomo emanava, mentre per chi ha vissuto la musica della band in tutti questi anni, una testimonianza ed un saluto a chi del nostro mondo ne ha fatto un modo quasi religioso di vivere, diventando un esempio per i rockers di tutto il pianeta.
Bomber, Metropolis, Orgasmatron, No Class, Ace of Spades, Lost Woman Blues ed Overkill, insieme ad un’altra dozzina di classici, riempiono le orecchie di musica dura che, dal rock’n’roll parte, gira intorno al pianeta toccando una moltitudine di generi e al rock’n’roll torna, più forte che mai in un’atmosfera da rituale selvaggio, punto di forza delle prove live del trio britannico.
Oltre al cd e dvd, l’etichetta non si è risparmiata e licenzia una versione in blu ray ed un cofanetto da collezione, così che l’opera diventi il miglior tributo possibile ad un’icona della nostra musica preferita.
Mi fermo qui, il tributo a Lemmy da parte di Iyezine è già stato scritto a suo tempo e cadere nello scontato è un attimo: Clean Your Clock non è che un’altra testimonianza dell’eredità lasciata dal musicista inglese, ancor di più se pensiamo a quanto sia stato breve il lasso di tempo trascorso tra questi live e la sua morte.

TRACKLIST
01. Bomber
02. Stay Clean
03. Metropolis
04. When the Sky Comes Looking for You
05. Over the Top
06. Guitar Solo
07. The Chase is better than the Catch
08. Lost Woman Blues
09. Rock it
10. Doctor Rock
11. Orgasmatron
12. Just Cos’ You Got the Power
13. No Class
14 Ace of Spades
15. Whorehouse Blues
16. Overkill

LINE-UP
Ian Fraser Kilmister “Lemmy” – voce, basso
Phil Campbell – chitarra
Mikkey Dee – batteria

MOTORHEAD – Facebook

Angarthal – Uranus And Gaia

Ottimo lavoro, consigliato sia ai vecchi rocker che alle nuove leve, che si troveranno al cospetto di quanta magia può scaturire dall’attempato ma immortale hard & heavy di scuola classica, splendidamente interpretato da questo protagonista della scena tricolore.

Non sono pochi i guitar heroes nostrani che si cimentano in album solisti dove ovviamente la protagonista assoluta è la loro sei corde.

Opere che a discapito del mero shred lasciano all’ascoltatore l’impressione di essere al cospetto di artisti completi, ottimi logicamente a livello strumentale ma non male neppure alle prese con il songwriting.
Arriva a noi dopo il bellissimo lavoro di Raff Sangiorgio, axeman della metal band estrema Gory Blister, il lavoro solista di Angarthal, chitarrista di Fire Trails, Dragon’s Cave, Rezophonic e Pino Scotto.
Aiutato in qualche brano da altri musicisti come Luca Saja (Dragon’s Cave), Angelo Perini (Fire Trails), Mauri Belluzzo (Alchemy Divine) e Sergio Pescara (Groovydo), ma di fatto da considerarsi una one man band, visto che il musicista nostrano si occupa di basso, tastiere, voce ed ovviamente chitarra, Uranus And Gaia risulta un bellissimo album incentrato sull’hard & heavy classico, ben rappresentato dalla forma canzone ed assolutamente fuori da ogni mero virtuosismo fine a se stesso.
Certo la bravura di Anghartal è risaputa e non manca di brillare in questa raccolta di brani, dal sound vario e dall’ottima presa.
Oltre alla chitarra, non mancano atmosfere tastieristiche di scuola Rainbow, valorizzate dall’ottima prestazione del nostro dietro al microfono, maschio, grintoso e perfettamente a suo agio con partiture tutto meno che facili.
Non siamo di fronte ad un album innovativo, Uranus And Gaia vive delle atmosfere care al metal più nobile suonato negli anni ottanta, ma la carica epica e sontuosa di molte delle songs presenti non può che fungere da gradito regalo ad ogni metal/rocker che si rispetti.
Più di un’ora in compagnia del classico hard & heavy, accompagnato da spumeggianti brani dai chorus grintosi ma eleganti (Rainbow, Dio, e qualche spunto del Malmsteen meno egocentrico) e tre strumentali, in cui il chitarrista nostrano non manca di stupire, senza diventare prolisso nelle scale su e giù per il manico della sei corde (bellissime Leviathan Rising e Wielders Of Magic).
Non manca la ballatona d’ordinanza (Losing My Direction), lasciata giustamente alla fine dell’opera ed almeno altre tre songs da spellarsi le mani in applausi, la title track, l’epica Sailing At The End Of The World e la Dio oriented After The Rain.
Ottimo lavoro, consigliato sia ai vecchi rocker che alle nuove leve, che si troveranno al cospetto di quanta magia può scaturire dall’attempato ma immortale hard & heavy di scuola classica, splendidamente interpretato da questo protagonista della scena tricolore.

TRACKLIST
01. Punch
02. Uranus And Gaia
03. Morrigan
04. Sailing At The End Of The World
05. Leviathan Rising
06. Holy Grail
07. Miles In The Desert
08. Unbroken
09. The Abyss Of Death
10. Wielders Of Magic
11. A Lie
12. After The Rain
13. Losing My Direction

LINE-UP
Steve Angarthal – Guitars, Keyboards, vocals, Bass
Luca Saja – Drums
Angelo Perini – Bass
Mauri Belluzzo – Keyboards
Sergio Pescara – Drums

ANGHARTAL – Facebook

Cauchemar – Chapelle Ardente

I Cauchemar offrono qualcosa di irripetibile all’ascoltatore, con il loro grande fascino ed un perfetto suono occult heavy doom.

I Cauchemar raccontano le tradizioni e le cose antiche con il loro heavy rock occulto e tendente al doom. Il loro suono è molto sensuale ed affascinante con la voce di Annick Giroux che ci guida in meditazioni sulla vita e soprattutto sulla morte, all’interno di vecchie chiese sconsacrate e davanti a vecchie fiamme che non vogliono spegnersi.

Il loro suono è una preghiera agli anni settanta, ma non vi è ferma imitazione, ma una via personale. I testi tutti in francese danno maggiore bellezza all’insieme. Provenienti dal francofono e musicalmente fertile Quebec, i Cauchemar offrono qualcosa di irripetibile all’ascoltatore, con il loro grande fascino ed un perfetto suono occult heavy doom. Reduci da un ep e da un lp tutti su Nuclear War Now ! Productions, i Cauchemar sono un gruppo unico e con un grande seguito molto fedele. Oltre ai dogmi doom e rock, nei Cauchemar possiamo ascoltare anche forti rimandi alla tradizione più tendente all’occulto della musica pesante, come i Death SS, Paul Chain e i primi Black Sabbath. Ascoltando questo disco si ha davvero l’impressione di trovarsi in una cappella ardente, dove a bruciare tra le demoniache fiamme si trova anche la nostra anima, ormai irrimeadibilmente venduta al nero signore.

TRACKLIST
1.Nécromancie
2.Sepolta viva
3.Funérailles célestes
4.Main de gloire
5.Voyage au bout de la nuit
6.La vallée des rois
7.L’oiseau de feu
8.Étoile d’argent

LINE-UP
Annick Giroux – Vocals.
François Patry – Guitar.
Andres Arango – Bass.
Xavier Berthiaume – Drums.

CAUCHEMAR – Facebook

Wild Frontier – Alive 25

Una band che diverte senza far mancare eleganti sfumature e raffinati passaggi melodici, accontentando un po’ tutti gli amanti dell’hard rock più nobile ed arioso.

Con colpevole ritardo vi invitiamo all’ascolto di Alive 25, album che ripercorre la carriera degli hard rockers tedeschi Wild Frontier, da una vita nel mondo dell’hard rock ma ahimè poco conosciuti al grande pubblico.

Questo mastodontico live, uscito col supporto in DVD ripercorre la discografia del gruppo, giunto appunto ai 25 anni di attività, ed è stato registrato nel 2013, anche se l’album è uscito sul finire dello scorso anno.
Cinque lavori sulla lunga distanza più una compilation componevano, fino ad ora, la discografia del gruppo, con il debutto One way to heaven del 1994 a fare da capostipite e 2012, uscito come da titolo quattro anni fa nei panni dell’ultimo nato.
Un piacevole, orecchiabile e melodicissimo hard rock è quello che il gruppo, capitanato dall’ottimo vocalist Jens Walkenhorst ,alle prese pure con la sei corde, propone da sempre, ritmiche grintose e da arena rock, cori da cantare ai piedi di un palco e tanta attitudine old school.
Vecchia scuola che in questo caso vogliono dire atmosfere ottantiane dall’appeal che si divide tra la tradizione statunitense ed il classico rock robusto di estrazione europea, tastiere dal piacevole sapore aor e riff consumati sulle strade di confine.
Una band che diverte senza far mancare eleganti sfumature e raffinati passaggi melodici, accontentando un po’ tutti gli amanti dell’hard rock più nobile ed arioso.
Sedici brani per un’esperienza live totale, fanno di questo album un ottimo esempio di musica dal vivo, il gruppo diverte e appunto non manca di divertire coinvolgendo non poco, certo non si parla di grosse arene ma la sensazione di evento si respira piacevolmente tra i solchi del disco.
Per chi conosce i Wild Frontier, i loro migliori brani sono tutti qui (Alive, To the End of The World, la stupenda Thousand Miles Away, Shake Your Body, Surrounded e la cavalcata metallica dalle ritmiche power We Will Be One), per chi invece è al primo incontro con il gruppo tedesco Alive 25 è un album da non perdere, un best of dal vivo valorizzato da un’ottima produzione e dalla grinta inevitabile che le canzoni acquistano in sede live.
Per gli amanti dell’hard rock divisi tra Bon Jovi, Gotthard, Winger e Def Leppard i Wild Frontier non possono mancare nel lettore cd, risultando una realtà sicuramente da rivalutare ed ascoltare.

TRACKLIST
1. Anything You Want
2. Bad Town’s Side
3. Alive
4. To The End Of The World
5. Don’t Walkaway
6. Thousand Miles Away
7. One Heart One Soul
8. Shake Your Body
9. Wild Wind Blows
10. Too Late
11. Why Don’t You Save Me
12. I Can’t Believe
13. The End Of The Road
14. It’s All Over Now
15. Surrounded
16. We Will Be One

LINE-UP
Jens Walkenhorst – Vocals, Guitar
Mario Erdmann – Bass, Vocals
Thomas Ellenberger – Keyboards, Vocals
Sascha Fahrenbach – Guitars
Nico Fahrenbach – Drums

WILD FRONTIER – Facebook

The Answer – Rise 10th Anniversary Edition

Special edition per il decimo anniversario di Rise, splendido esordio degli hard blues rockers The Answer

Di questi tempi si parla tanto di revival, in campo hard rock, delle sonorità settantiane pregne di sanguigno blues rock e con soddisfazione per gli amanti delle sonorità vintage, le band protagoniste di album clamorosi non mancano di certo.

L’hard blues settantiano, con quel tocco moderno nei suoni e nelle produzioni, non manca di regalare opere molto interessanti, ma ad un orecchio attento è già da parecchi anni che i fans dell’hard rock possono avvalersi, oltre ai dischi dei gruppi storici, di nuovi eroi che si affacciano sul mercato con album bellissimi.
Tra questi ci sono sicuramente gli irlandesi The Answer che, con Rise, debuttavano sulla lunga distanza nel 2006.
In dieci anni altri quattro album, con l’ultimo Raise A Little Hell, uscito lo scorso anno, una serie di singoli, ed in mezzo il bellissimo Revival del 2011 a valorizzare una già ottima discografia.
Il decimo anniversario dell’uscita di questo bellissimo esordio il gruppo di rockers irlandesi lo festeggia licenziando questa gustosa special edition, che vede l’album completamente rimasterizzato con l’aggiunta dei demo del 2004, alcune canzoni in versione acustica e remix inediti.
Un ottimo modo per conoscere la band o per assaporare questo bellissimo lavoro di hard blues adrenalinico, fresco ed assolutamente irresistibile in ogni sua parte, composto da un lotto di brani esplosivi che miscelano in modo sapiente le sonorità settantiane con le moderne sfumature di cui si nutre l’hard rock del nuovo millennio.
Irlandesi di nascita, ma americani nell’approccio, i The Answer sono la perfetta via di mezzo tra i Led Zeppelin e i Black Crowes, con il caldo sole delle route a lasciare sull’asfalto un dolcissimo odore di southern rock.
Il primo album del gruppo è uno dei migliori lavori usciti in questo decennio, con il suo chitarrismo alla Page, vocals che si rifanno agli dei dei microfono (Cormac Neeson è il Chris Robinson del vecchio continente) e tanta voglia di blues rock, vitale, energico ed irresistibile; se siete rimasti folgorati dalle ultime uscite di genere, non potete mancare all’appuntamento con il gruppo irlandese.
D’altronde parla la musica e l’opener Under The Sky, seguita da quella Never Too Late che sembra uscita dalle registrazioni di The Southern Harmony and Musical Companion, fungono solo da benvenuto nel mondo The Answer e sono seguite da brani eccellenticome Come Follow Me, il blues di Memphis Water, il riff potentissimo di Into The Gutter (brano alla Ac/Dc era Bon Scott) e l’apoteosi southern di Preachin.
Tra le molte versioni, l’hardbook version composto da due cd ed il doppio vinile sono proposte a dir poco succulente e da non perdere, nel frattempo il gruppo suonerà di supporto a Coverdale ed ai suoi Whitesnake anche in Italia (Pistoia blues), un concerto che si preannuncia imperdibile per tutti i fans dell’hard rock, non mancate.

TRACKLIST
CD1:
(all songs remastered 2016)
1. Under The Sky
2. Never Too Late
3. Come Follow Me
4. Be What You Want
5. Memphis Water
6. No Question Asked
7. Into The Gutter
8. Sometimes Your Love
9. Leavin`Today
10. Preachin`
11. Always

CD2:
1. Under The Sky (2016 new mix)
2. Never Too Late (2004 demo)
3. New Day Rising (2004 demo)
4. Too Far Gone (2004 demo)
5. Preachin` (2004 demo)
6. Always (2004 demo)
7. Tonight (2004 demo)
8. So Cold (2004 demo)
9. Song For The People (2004 demo)
10. Take It Easy (2006 recording)
11. Not Listening (2006 recording, exclusive mix)
12. Keep Believin`(2006 recording)
13. Rise (2006 recording)

LINE-UP
Cormac Neeson – Vocals
Paul Mahon – Guitars
Micky Waters – Bass
James Heatley – Drums

THE ANSWER – Facebook

Buffalo Summer – Second Sun

Se siete veri rockers Second Sun, secondo lavoro dei Buffalo Summer, band britannica ma che si muove agevolmente tra i solchi del rock americano, diventerà uno dei vostri ascolti abituali.

Irresistibile, assolutamente irresistibile, un concentrato di hard rock settantiano, dove il blues ci mette lo zampino e trasforma questi quaranta minuti di musica in una totale e travolgente immersione in quelle note immortali create dal dirigibile zeppeliniano e dai Bad Company, con un pizzico di hard rock metallizzato di scuola Whitesnake e southern alla Lynyrd Skynyrd, vi basta?

Se siete veri rockers Second Sun, secondo lavoro dei Buffalo Summer, band britannica ma che si muove agevolmente tra i solchi del rock americano, diventerà uno dei vostri ascolti abituali.
Il gruppo gallese torna un album di rock come si faceva un po’ di anni fa, composto in primo luogo da belle canzoni dai ritmi trascinanti e dai riff corposi, pregni di quel groove, figlio del blues ma amico, molto amico, del sound con cui si muovono le band odierne.
Poi, quando la sei corde di Jonny Williams si mette il cinturone ed il cappello da cowboy (Levitate), i brividi scorrono lungo la pelle come l’acqua nel letto del Mississipi, ed il gruppo britannico si trasforma in una rock’n’roll band sudista da applausi.
Un quartetto che vede, oltre all’axeman, Andrew Hunt a rinverdire i fasti della coppia Plant/Rodgers, ed una sezione ritmica che più sanguigna non si può (Darren King al basso e Gareth Hunt alle pelli).
Difficile trovare una canzone che non vi farà saltare dal vostro divano in preda a convulsioni rockettare, presi e sballottati da brani micidiali come la coppia d’apertura Money/Heartbreakin’ Floorshakin’, stupendi affreschi di hard rock blues, mentre la zeppeliniana As High As The Pines risulta una clamorosa song dal mood settantiano.
Non rimane per voi che fare spallucce a qualsivoglia istinto modernista e buttarvi nelle atmosfere impolverate dalla sabbia che si alza al passaggio di questa tromba d’aria rock southern blues, partita dal Galles, passata per gli States e ormai al massimo della sua forza nel far danni in tutto il globo.
Il riff di Priscilla è più di quanto vicino agli zep in versione southern si possa immaginare, così come la conclusiva Water To Wine profuma di strade da percorrere con il sole negli occhi e la voglia di rock’n’roll style.
Prodotto da Barret Martin (Screaming Trees, Queens Of The Stone Age), Second Sun è un album bellissimo, che raccoglie l’eredità del sound delle band storiche di cui si nutre e lo porta con forza e fierezza nel nuovo millennio.

TRACKLIST
1.Money
2.Heartbreakin’ Floorshakin’
3.Make You Mine
4.Neverend
5.As High As The Pines
6.Light Of The Sun
7.Levitate
8.Into Your Head
9.Little Charles
10.Priscilla
11.Bird On A Wire
12.Water To Wine

LINE-UP
Jonny Williams-Guitar
Andrew Hunt-Vocals
Darren King-bass
Gareth Hunt-drums

BUFFALO SUMMER – Facebook