While She Sleeps – You Are We

Il disco è un piccolo manuale di come si possa fare metal moderno in maniera orecchiabile, ma anche intelligente e propositiva.

I While She Sleeps fanno un metalcore molto moderno ed interessante, usando in maniera appropriata i canoni del genere, con spunti originali e ottime melodie.

Questi ragazzi inglesi non hanno avuto vita facile in campo musicale, dopo il buon debutto del 2012 This Is The Six in pieno periodo metalcore, che pareva essere il preludio di un’ottima carriera. Invece l’operazione alle corde vocali del cantante Loz Taylor e la non perfetta riuscita della seconda uscita Brainwashed avevano dato l’impressione di un gruppo alle corde. Fortunatamente per il metalcore gli inglesi sono resuscitati dalle proprie ceneri come una fenice, e grazie all’aiuto finanziario dei fans sono riusciti a pubblicare questo disco per la sussidiaria della Nuclear Blast, la Arising Empire. Tenacia e fede nei propri mezzi, che qui si confermano di ottima levatura, poiché il risultato è davvero buono. You Are We funziona bene, grazie anche alla grande capacità del gruppo di cambiare diversi registri e generi, rimanendo sempre nell’ambito del metal moderno, ma spaziando a 360° al suo interno. I While She Sleeps suonano con il cuore, supportati da una tecnica non indifferente, ma soprattutto hanno una grande passione e tanta voglia di far sentire cosa sanno fare. Il disco è un piccolo manuale di come si possa fare metal moderno in maniera orecchiabile, ma anche intelligente e propositiva. Ci sono perfino echi di nu metal in questo disco, insieme ad un metalcore di livello inattaccabile. In questo periodo nel genere stanno rimanendo a galla solo le band migliori, e i While She Sleeps appartengono decisamente a questo novero. Ascoltando il disco si può facilmente capire perché siano così amati dai loro fans.

TRACKLIST
01. You Are We
02. Steal The Sun
03. Feel
04. Empire Of Silence
05. Wide Awake
06. Silence Speaks
07. Settle Down Society
08. Hurricane
09. Revolt
10. Civil Isolation
11. In Another Now

LINE-UP
Lawrence Taylor – Vocals
Sean Long – Guitar
Mat Welsh- Guitar / Vocals
Aaran Mckenzie – Bass
Adam Savage – Drums

WHILE SHE SLEEPS – Facebook

Miss May I – Shadows Inside

Il risultato è un disco che rischia di piacere solo ad adolescenti che non hanno ancora dimestichezza con il genere o a chi è davvero un fan sfegatato dei Miss May I.

Tornano gli americani Miss May I, uno dei maggiori gruppi metalcore e modern metal in giro negli ultimi anni.

Il gruppo proveniente dall’Ohio è uno dei più seguiti a livello mondiale, grazie alla sua formula che unisce metal assai melodico con ritornelli da college radio ed un’immagine molto pulita. Dopo la sbornia degli anni passati il metalcore si sta assestando, cercando di trovare motivi per farsi ancora seguire dai fans. Gli elementi della musica dei Miss May I rappresentano un insieme di ciò che piace maggiormente ad una parte di ascoltatori del metalcore, diciamo alla parte più legata alla melodia. Il metal qui è un elemento di partenza, uno starter che poi viene usato per fare tutt’altro. La produzione è ottima, il gruppo è capace, ma il disco scivola veramente addosso, senza lasciare nulla o quasi. Forse anni fa questo album sarebbe stato un gran successo e forse lo sarà anche ora, ma è davvero un qualcosa di stanco e tirato per le orecchie. Le melodie che si possono sentire in Shadows Inside possono essere gustate altrove con maggiore godimento, e anche il lato più heavy è davvero deficitario. Il risultato è un disco che rischia di piacere solo ad adolescenti che non hanno ancora dimestichezza con il genere o a chi è davvero un fan sfegatato dei Miss May I.
Il metalcore può essere fatto molto meglio di così, e i Miss May I dovrebbero almeno provarci.

TRACKLIST
1 Shadows Inside
2 Under Fire
3 Never Let Me Stay
4 My Destruction
5 Casualties
6 Crawl
7 Swallow Your Teeth
8 Death Knows My Name
9 Lost In The Grey
10 My Sorrow

LINE-UP
Levi Benton – vocals/lyrics
Ryan Neff – bass/vocals
BJ Stead – guitar
Justin Aufdemkampe – guitar
Jerod Boyd – drums

MISS MAY I – Facebook

Black Wings Of Destiny – The Storyteller Part Two

La musica è uno scattante e groovoso metal con molte influenze, dal southern al groove, da accenti stoner a parti metal tout court.

I Black Wings Of Destiny sono di Torino e mettono storie in musica, donandogli la vita con una buona dose di metal, declinato in vari sottogeneri, dallo stoner al southern, dal grove a qualche momento metal più ortodosso.

Il disco è la seconda parte di The Storyteller Part One uscito nel 2014, e che ha avuto una buona accoglienza di pubblico e critica. Il concetto che sta dietro questi lavori è quello di narrare storie usando il metal, o più largamente la musica per portare l’ascoltatore dentro le vicende raccontate. Lo stile è uno scattante e groovoso metal con molte influenze, dal southern al groove, da accenti stoner a parti metal tout court. Nessun sottogenere predomina sull’altro, ma tutti contribuiscono a fare un suono bene definito e abbastanza riconoscibile. La forza del gruppo risiede nel far scorrere piacevolmente il disco, tendendo sempre alto il livello del piacere per l’ascoltatore. Il groove è la spina dorsale del lavoro, ed è quello che porta avanti il tutto, rendendolo assai interessante. Una pecca è che la produzione è forse troppo edulcorata, e sarebbe bello sentire il gruppo a briglie maggiormente sciolte, perché le potenzialità ci sono. La melodia è un’altra protagonista del disco, ed è presente in un modo intelligente, accompagnandosi bene con questo concetto di metal moderno che hanno i Black Wings Of Destiny.
Un disco che ha dentro di sé ottime potenzialità che a volte sono portate a compimento, mentre in altri momenti rimangono solo nelle intenzioni.

TRACKLIST
1. Black Knife
2. Jane the Hunter
3. Venom
4. Dillinger Is Dead
5. Dust
6. From Day One
7. Masquerade

LINE-UP
Luca Catapano – guitars/vocals
Marco Mallamo – guitars
Emanuele Cacchioni – drums
Daniele Cogo – bass

BLACK WINGS OF DESTINY – Facebook

Divinity – Immortalist

Un ottima idea quella di unire le tre parti di Immortalist, così da formare un unico e devastante pezzo di granito metallico che, tra potenza estrema e melodie, soddisferà sicuramente la fame dei fans del metal estremo moderno di estrazione thrash.

I Divinity sono un gruppo dedito ad una forma che è una buona via di mezzo tra il thrash metal moderno ed il melodic death metal scandinavo.

Nata in Canada (Calgary) a cavallo dei due millenni, la band ha dato alle stampe due full lenght e tre ep, che formano un concept intitolato Immortalist, usciti tra il 2013 e quest’anno.
Ora le tre parti (Awestruck, Momentum e Conqueror) vengono unite dal gruppo in un’unica compilation intitolata appunto Immortalist, trasformandosi così in un monumentale album che trasuda metallo e che nei suoi settanta minuti di durata regala momenti di altissimo livello, come D.M.T., brano thrash metal progressivo e melodico che vede la partecipazione dietro al microfono di Björn “Speed” Strid, vocalist dei Soilwork. E proprio dalla band svedese il sound dei Divinity è ispirato nella sua parte europea, mentre il resto del lavoro lo fanno le influenze di marca statunitense, tra Testament, Strapping Young Load e Machine Head.
Sempre in bilico tra la potenza del thrash/groove metal in uso aldilà dell’ Atlantico e la velocità e la melodia death metal scandinavo dal piglio melodico, Immortalist, pur nella sua durata, ovviamente diventata notevole, non annoia.
Il songwriting dunque è sicuramente efficace, così come il livello tecnico dei musicisti coinvolti, in particolare una sezione ritmica modello carro armato.
Oltre alla già citata D.M.T., l‘ album nel suo insieme non mostra cali di tensione e si avvale della buona qualità di brani come The Dead Speak From Beyond, Lucid Creator e Conqueror.
Un ottima idea quella di unire le tre parti di Immortalist, così da formare un unico e devastante pezzo di granito metallico che, tra potenza estrema e melodie, soddisferà sicuramente la fame dei fans del metal estremo moderno di estrazione thrash.

TRACKLIST
1.Manhunt
2.Atlas
3.Hallowed Earth
4.D.M.T.
5.PsyWar
6.Distorted Mesh
7.The Dead Speak from Beyond
8.Lucid Creator
9.The Reckoning
10.All Seeing Eyes
11.Momentum
12.Conqueror

LINE-UP
Sean Jenkins – Vocals
Jeff Waite – Vocals
James Duncan – Guitars
Brett Duncan – Drums
Keith Branston – Bass

DIVINITY – Facebook

Sarea – Black At Heart

Se siete orfani dei migliori In Flames e degli album delle truppe scandinave di inizio millennio, Black At Heart è un lavoro da avere e consumare.

Andate direttamente alla terza traccia, Perception, alzate il volume e tornerete all’alba del nuovo millennio scapocciando sulle note di quel monumento al death metal melodico moderno che è Clayman, storico capolavoro degli In Flames.

Ormai sono passati diciassette anni e il gruppo di Anders Fridén è l’ombra della grande band arrivata, dopo gli ottimi lavori degli anni novanta, a scrivere il vangelo del genere con molti gruppi che ancora oggi provano a raggiungere le vette artistiche di quell’album senza riuscirci.
Ma, attenzione, perché la Wormholedeath parte per una battuta di caccia in Svezia e la preda sono i Sarea, band di Norrköping che se la cava benissimo, licenziando un album di melodic modern metal molto interessante, composto da una serie di brani melodici, dall’ottimo appeal, ma belli tosti, grintosi e tirati.
Quindi dimenticatevi i ritmi sincopati o stoppati del metalcore, il sestetto scandinavo spara una dozzina di adrenaliniche tracce dove l’estremo è di casa e convive con un talento per le melodie da top band.
Non siamo al debutto e si sente, il gruppo, attivo da 2006, si gioca la carta dell’esperienza accumulata nei tre full length precedenti (Rise Of A Dying World del 2008, Alive del 2010 e l’ultimo This Is Not Goodbye uscito tre anni fa) e in Black At Heart non sbaglia un passaggio, una melodia, uno scambio tra il growl e la voce pulita (spettacolare il primo, nella norma la seconda), con un lavoro chitarristico che non lascia scampo, tra riff moderni di scuola americana e solos che fanno lacrimare più di un sopravvissuto al death melodico novantiano.
Che non siamo al cospetto della solita band core è subito chiaro dall’opener Lights, talmente perfetta ed irresistibile nelle melodie da lasciare sgomenti, mentre la title track ci porta verso quella che a mio avviso è il capolavoro di questo album, la già citata Perception che strappa cuori mentre gli In Flames si chiedono perché non sono più riusciti a scrivere un brano di questa levatura.
Ma fatevi rapire anche dalle irresistibili melodie di Let Us Fall,  dalle atmosfere estreme di The Dormant National, quelle intimiste e tragiche della ballata darkwave Control ed il ritorno tra le sfumature di inizio millennio con la conclusiva e devastante Circles.
Se siete orfani dei migliori In Flames e degli album delle truppe scandinave di inizio millennio, Black At Heart è un lavoro da avere e consumare.

TRACKLIST
01. Lights
02. Black at Heart
03. Perception
04. The Others
05. Let Us Fall
06. Duality
07. The Dormant National
08. Monotone
09. Control
10. Dead Eyes
11. All for None

LINE-UP
Chris Forsberg – Vocals
Calle Larsson – Drums
Johan Axelsson – Guitar
Alex Dzaic – Guitar
Johan Larsson – Bass
Martin Persson – keyboard

SAREA – Facebook

Heart Attack – The Resilience

Pur essendo condizionato da un’urgenza metallica più vicina ai generi maggiormente in voga in questi anni, il gruppo mantiene quelle caratteristiche essenziali per restare nelle grazie dei thrashers.

Questi primi anni del nuovo millennio verranno ricordati come il periodo del terrore, causato dagli attacchi infami dei terroristi religiosi di cui la Francia ha pagato, almeno in Europa, il prezzo più alto.

Gli Heart Attack, gruppo di thrash metal moderno proveniente da Cannes, dedica il nuovo album The Resilience proprio ai sconvolgenti fatti di pochi mesi fa, tornando su una questione politico/sociale e religiosa che indubbiamente hanno e continuano a segnare questo oscuro periodo storico.
Parto dalla copertina, di cui non parlo quasi mai, perché l’ho trovata fuori contesto e più adatta ad un gruppo classico, ma è l’unico neo di questo bellissimo lavoro che unisce thrash e metal moderno, colmo di groove e sfumature core.
Il gruppo estremo transalpino arriva al secondo lavoro sulla lunga distanza quattro anni dopo Stop Pretending, debutto più vicino al thrash metal classico ma niente paura, pur essendo condizionato da un’urgenza metallica più vicina ai generi maggiormente in voga in questi anni, la band mantiene quelle caratteristiche essenziali per restare nelle grazie dei thrashers: certo, di The Resilience si può dire tutto meno che sia un album old school, più che altro risulta un lavoro metal così come dovrebbe suonare nel nuovo millennio, ovvero un perfetto connubio tra suoni tradizionali, potenziati dal moderno incedere estremo.
Gli Heart Attack ci mettono del loro per far sì che certi brani (Burn My Flesh, Fight To Overcome, la devastante Feel The Fire) risultino delle bombe metalliche notevoli, aggredendo rabbiose, denunciando e rivoltandosi contro tutto e tutti dall’alto di una tecnica ed un songwriting inividiabili, ed una prestazione di altissimo livello, sia della sezione ritmica, con Tony Amato al basso ed aggressivo nella parte vocale, coadiuvato dal dirompente batterista Christophe Icard, mentre le sei corde fanno fuoco e fiamme (Christophe Cesari e Kevin Geyer) .
Non contento di cotanto ardore metallico, il gruppo lascia alla conclusiva title track il compito di alzare la qualità di questo gioiellino con uno strumentale che, nella sua lunga durata (più di otto minuti), mette non solo la parola fine ad un album intenso e bellissimo, ma ci consegna una traccia di thrash metal progressivo ed oscuro davvero sopra la media.
A questo punto la copertina diventa ovviamente un dettaglio, fortunatamente la musica di cui si compone The Resilience va ben oltre, facendo di questo lavoro un opera riuscita e coinvolgente.

TRACKLIST
1.Nocturnal Sight
2.Burn My Flesh
3.Congrats To People
4.Fight To Overcome
5.Sound And Light
6.When The Light Dies Down
7.Dead And Gone
8.Feed The Fire
9.Disorder
10.The Resilience

LINE-UP
Tony Amato – Bass guitars, Lead vocals
Christophe Cesari – Rhythm & lead guitars, acoustic and classical guitars, Keyboards, Back vocals
Kevin Geyer – Rhythm Guitars, Lead vocals
Christophe Icard – Drums & Percussions

HEART ATTACK – Facebook

Heading West – What We’re Made Of …

Gli Heading West riescono a creare un giusto connubio fra la melodia, la velocità e le dinamiche del metal moderno.

Gli Heading West sono un giovane gruppo diviso in ordine sparso in Emilia Romagna, che riesce a fare un’ottima miscela di metalcore, hardcore melodico e metal moderno. Il tutto è molto orecchiabile e melodico, prodotto bene e piace.

Ai tempi della mia gioventù mi ci sarei perso in un disco così, e la cosa bella è che ora c’è un disco così. O meglio, un ep così, perché questo esordio è sulla corta distanza, ma è molto incisivo e colpisce dritto al bersaglio. I ragazzi viaggiano bene, hanno ben chiaro dove andare e lo dimostrano con un disco che è una chiara dichiarazione di intenti. Gli Heading West hanno voglia di esportare un suono che è certamente molto legato alle sonorità a stelle e strisce, ma lo fanno in una maniera molto personale e con melodie difficilmente rintracciabili oltreoceano, o meglio riescono a creare un giusto connubio fra la melodia, la velocità e le dinamiche del metal moderno. Questo ep mostra che, credendo nella propria musica, si possa fare un bel disco, piacevole e anche commerciale ma al punto giusto. Soprattutto questi ragazzi non fanno proprie tutte le mie elucubrazioni. Gli Heading West vanno veloci e belli compatti, passano sopra le nostre casse lasciando un odore molto piacevole di gioventù e belle speranze, ed è bello anche il momento in sé, senza tanti se e tanti ma.

TRACKLIST
1.Payback
2.Deep Waters (feat. Nicola Roccati of The End At The Beginning)
3.Struck
4.Purple Teeth
5.S.O.Y.F.A.S.H.

LINE-UP
Davide Guberti – vocals
Alessandro Frank Cotti – guitar / back vocals
Riccardo Savani – guitar
Francesco Gariboldi – bass / back vocals
Francesco Neri – drums

HEADING WEST – Facebook

Murkocet – Digging Mercy’s Grave

Phoenix, Arizona. Quando ormai ci eravamo arresi alla vittoria sulla scena metallica americana del metalcore, ecco che come cavalieri indomiti del new groove metal, arrivano a mettere tutto ancora una volta in discussione i Murkocet, giovane band che assalta il fortino core con un sound violentissimo, moderno ma dall’attitudine new thrash, un treno in corsa che sbaraglia la concorrenza a colpi di metal estremo di una violenza disumana.

Si può essere brutali anche suonando generi più in voga, la lezione i Murkocet l’hanno imparata dagli Slipknot, con la differenza che gli spunti chiaramente death del gruppo di Des Moines nel sound del quartetto si trasformano in ventate atomiche di thrash/groove metal.
Basta poco più di mezzora e l’inferno è servito da bordate ritmiche supportate da una carica estrema debordante, ottime e finalmente valorizzate soluzioni nu metal, rese penetranti da un songwriting notevole, una produzione adeguata ed un’attitudine brutale che si evince dall’uso vario ed a tratti animalesco della voce da parte del singer Richie Jano.
L’album parte con l’intro The Definition ed il massacro viene perpetrato dal gruppo fino a metà album, diviso in due dall’acustica Tranquil, un minuto e mezzo di accordi che ci preparano alla seconda parte, un’altra overdose di violenza che ha nel new thrash metal di California Smile l’ apice distruttivo, in Repo Man la furia iconoclasta e nella conclusiva The Beginning la potenza devastante del groove.
Nella prima parte ci avevano pensato Strip Club Massacre e Dead World a rendere la vita dei nostri padiglioni auricolari un inferno, confermando l’alta qualità della musica prodotta dai Murkocet, che si confermano una notevole macchina da guerra.
Sarà moderno, neanche troppo originale, ma il sound di Digging Mercy’s Grave è pura violenza in musica: non è poco.

TRACKLIST

1.The Definition
2.Strip Club Massacre
3.Dust Cloud
4.Tombstones
5.Dead World
6.Tranquil
7.California Smile
8.Repo Man
9.Overdose
10.Lights Out
11.The Beginning

LINE-UP

Brandon Raeburn – Bass
Mike Mays – Drums
Nate Garrett – Guitars
Richie Jano – Vocals

VOTO
7.80

URL Facebook
http://www.facebook.com/murkocetmetal/

URL YouTube, Soundcloud, Bandcamp

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO
Sarà moderno, neanche troppo originale, ma il sound di Digging Mercy’s Grave è pura violenza in musica, non perdetelo.

Cry Excess – Vision

Il disco è molto ben bilanciato fra pesantezza e melodia, fra accelerazioni e parti mid tempo, ed il tutto è molto intenso e coinvolgente, cosa non è facile da trovare oggi.

Il metalcore potrà essere un genere con gruppi con poche idee, o forse in fase calante, ma ascoltando il nuovo disco dei Cry Excess non lo si direbbe proprio.

Questo gruppo di Torino confezione un disco molto potente, ben prodotto e con le cose giuste al posto giusto. Vision possiede un groove possente e marcato, poiché i Cry Excess sanno usare molti mezzi per arrivare allo scopo. Cattiveria, melodia e anche il sapiente uso di inserti elettronici al momento giusto, senza sbracare come altri gruppi. Tutto è molto naturale e si svolge senza forzature, perché il gruppo mette a proprio agio l’ascoltatore che qui troverà ciò che vuole. Questo è il terzo disco dei Cry Excess, che sono un gruppo italiano che gira molto, avendo suonato con Korn, Papa Roach, Walls Of Jericho e molti altri. Ciò lo si comprende bene ascoltandoli, Vision dà la perfetta idea di cosa siano, uno dei gruppi italiani più internazionali soprattutto nella maniera di fare le cose, senza provincialismi, in un genere molto affollato. Il disco è molto ben bilanciato fra pesantezza e melodia, fra accelerazioni e parti mid tempo, ed il tutto è molto intenso e coinvolgente, cosa non è facile da trovare oggi. Ennesimo gran disco della Bleeding Nose che si conferma etichetta di riferimento per un certo tipo di metal moderno. Non pensate al metalcore, pensate ai Cry Excess che è meglio.

TRACKLIST
Vocals : Jaxon V.
Guitar : Mark Agostini
Guitar : Andrew V.
Drum/vocals : Brian N.
Bass : Angie S.

LINE-UP
Jaxon V. : Vocals
Mark Agostini : Guitar
Andrew V. : Guitar
Brian N. : Drums, Vocals
Angie S. : Bass

CRY EXCESS – Facebook

Don’t Try This – Wireless Slaves

Un esordio che non passerà inosservato quello dei Don’t Try this: un perfetto connubio tra rabbia, potenza e melodia sorprenderà anche l’ascoltatore più esigente.

I Don’t Try This ci provano eccome, con questo disco d’esordio ricco di musica, pensieri ed energia.

Nonostante la band tedesca definisca la propria musica come “Modern-Metal”, devo dire che risulta davvero difficile inquadrarli in un qualche genere di sorta.
Proprio per questa ragione, ho pensato che potrebbe essere un po’ più utile fare una breve analisi delle songs che compongono questo intenso Wireless Slaves.
Il disco si apre con due pezzi molto potenti e diretti, nei quali screaming e growling si alternano a momenti di pura energia, ma anche di una strana quiete apparente (Suffocation e When They Rise); successivamente, i Don’t Try This ci fanno ascoltare qualcosa di più melodico, meno aggressivo grazie a Nothing Is Like Before e My Burden; il colpo di scena lo incontriamo con la piacevole e acustica Falling Deeper, di cui è presente anche la demo registrata nel 2013.
I momenti di melodia continuano attraverso The End of Everything, una delle tracce che ho apprezzato maggiormente per il suo ritornello e il cantato pulito; la potenza della band riprende con la collaborazione di Rudi Schwarzer in I Will Never Forget, di cui troveremo la Piano Version alla fine dell’album; Living A Lie mostra un lato più malinconico e introspettivo del gruppo, un pezzo che permette di tirare un pò il fiato, mentre I.W.N.E. vs. Polytox è un qualcosa di inspiegabile, sembra provenire dai Depeche Mode, molto intensa la presenza di componenti elettronici ad arricchire e “stranire” il sound, non so davvero se fosse necessaria questa canzone.
Wireless Slaves arriva alla fine con due brani (Falling Deeper e The Requiem) tratti dal demo del neanche troppo lontano 2013, utili per dimostrare il progresso generale di questi ragazzi, e I Will Never Forget eseguita magnificamente con il piano.
Ascoltando questo primo lavoro dei Don’t Try This , si nota molto chiaramente quanto la voglia di distinguersi sia tanta, ma anche quanto impegno e studio ci sia dietro tutto questo.
Non si tratta quindi di una decina di canzonette buttate lì solo per dire di aver “scritto un cd”, bensì di un qualcosa di ben strutturato e pensato razionalmente.
Considerando anche la giovane formazione, ritengo che Wireless Slaves si dimostri come una piacevole rivelazione e non posso che incoraggiare il talento dimostrato.
Dovrebbe partire a breve il loro tour, io non me li farei sfuggire se fossi amante del metal più forte, ma comunque ricercato e non solo urlato.

TRACKLIST
01 – Suffocation
02 – When They Rise
03 – Nothing Is Like Before
04 – My Burden
05 – Falling Deeper
06 – The End Of Everything
07 – I Will Never Forget (feat. Rudi Schwarzer)
08 – Living A Lie
09 – I.W.N.F. Vs. Polytox
10 – Falling Deeper (Demo 2013)
11 – The Requiem (Demo 2013) [feat. David Baßin]
12 – I Will Never Forget (Piano Version)

LINE-UP
Carlo Kasanya – voce
Markus Kopitzki – basso
Stephan Renner – chitarra
Philipp Müller – chitarra
René Wähler – batteria

DON’T TRY THIS – Facebook

Figure Of Six – Welcome To The Freak Show

La potenza e la rabbia vengono incanalati attraverso vari sottogeneri della bestia metallica, partendo da una base deathcore, per arrivare al djent e a cose tecniche, con inserti di elettronica che potenziano maggiormente il tutto.

Benvenuti allo spettacolo dei freak, gentilmente offertoci dai Figure Of Six.

Questi ragazzi italiani ci offrono un buon concentrato delle mutazioni accadute nel metal negli ultimi anni. La potenza e la rabbia vengono incanalati attraverso vari sottogeneri della bestia metallica, partendo da una base deathcore, per arrivare al djent e a cose tecniche, con inserti di elettronica che potenziano maggiormente il tutto. I Figure Of Six non lasciano nulla di inesplorato per stupirci e rendere questo ascolto un’esperienza totale. Il cantato rimane sempre melodico, con qualche punta di asprezza, e il resto del gruppo fa un lavoro egregio. Ci sono nuove vie per esprimere i propri sentimenti in ambito metallico, e i Figure Of Six ce ne mostrano alcune. Ascoltando il disco si capisce che questi ragazzi hanno l’attitudine giusta, hanno fatto molti ascolti e curano bene ciò che fanno, infatti sono stati scritturati dalla tedesca Bleeding Nose, un’etichetta attenta alle nuove tendenze in ambito metal. Gli episodi migliori del disco accadono quando i Figure Of Six si lasciano andare, mollando il freno e correndo liberi, perché a briglie sciolte sono un gruppo di notevole livello. Prendiamo ad esempio la canzone Monster, nella quale fanno ascoltare tutta la gamma delle loro possibilità, mentre a mio avviso la canzone scelta per il video ufficiale, The Mirror’s Cage, funziona meno. Ma le mie sono opinioni che lasciano il tempo che trovano, ed il tempo è meglio impiegarlo ascoltando Welcome To The Freak Show.

TRACKLIST
1. Welcome To The Freak Show
2. The Man In The Dark
3. The Weak One
4. Edward Mordrake
5. The Tightrope Walker
6. The Mirror’s Cage
7. Monster
8. The King And The Servant
9. Clown
10. But Deliver Us From Evil

LINE-UP
Alessandro “Hell” Medri -Vocals
Peter Cadonici – Guitar
Matteo Troiano – Guitar
Stefano Capuano – Bass
Michele Mingozzi – Keyboard
Antonio Aronne – Drums

FIGURE OF SIX – Facebook

Selfmachine – Societal Arcade

Societal Arcade è un album interessante, sempre in bilico tra l’irruenza del metal moderno ed il post grunge, a mio parere ancora più accentuato che sul primo album e con qualche ideuccia niente male per attirare sempre più fans.

Tempo di ritorni discografici in casa Wormholedeath, con Societal Arcade, secondo lavoro del quintetto olandese dei Selfmachine,  seguito del debutto Broadcast Your Identity uscito tre anni fa.

E la band orange conferma i buoni riscontri del primo lavoro, aggiungendo quei tre anni in più di esperienza che male non fanno, specialmente se si ha avuto la possibilità di suonare in giro ed accompagnare band del calibro dei The Agonist.
E così, mentre il genere arranca inflazionato da centinaia di uscite, la band olandese raggiunge il nostro paese e con la benedizione della WormHoleDeath si chiude nei Realsound Studios per dare un seguito al proprio debutto, con un aiutino niente male in fatto di mix e mastering (Waldemar Sorychta e Dennis Koehne) e tanto entusiasmo.
Ne esce un album interessante, sempre in bilico tra l’irruenza del metal moderno ed il post grunge, a mio parere ancora più accentuato che sul primo album e con qualche ideuccia niente male per attirare sempre più fans.
Il quintetto quando spara non si fa problemi e mira ad altezza uomo, le violenti sfuriate tra nu metal e core sono presenti, così come il growl che accompagna le parti metalliche con autorevolezza, anche se il meglio i Selfmachine lo lasciano quando l’alternative rock ed il post grunge prendono il comando delle operazioni in un’orgia di note melodiche e di derivazione statunitense.
Against The Flow è la classica intro che funge da presentazione al disco e di ciò che l’ascoltatore troverà tra i solchi di Join The Hatetrain e Giddy Up!, alternative metal dall’appeal melodico migliorato esponenzialmente rispetto a qualche anno fa e perciò in grado di fare la differenza nel genere.
Due parole su No Cliché, ballad semiacustica che per molti sarà solo il solito brano post grunge ma che, al sottoscritto, ha fatto balenare in testa un nome storico e scomodo come quello dei Metallica.
Si torna a far male tra metal estremo e rock americano, l’oscura Superior, Avenge The Moment e la conclusiva varia e cangiante Luminous Beings accompagnano verso i titoli di coda questo ottimo Societal Arcade.

TRACKLIST
1.Against The Flow
2. Join The Hatetrain
3. Giddy-Up!
4.‘Normal’ People
5.Universe
6.No Cliché
7.Nothing’s Worth
8.Lifeblind
9.The Great Deception
10. The Valeyard
11. Superior
12. Avenge The Moment
13. Luminous Beings

LINE-UP
Steven Leijen – Lead Vocals
Mark Brekelmans – Bass, Vocals
Michael Hansen – Guitars, Vocals
John Brok – Lead Guitar, Vocals
Ben Schepers – Drums (On album)
Robin Boogaard – Drums

SELFMACHINE – Facebook

Sakem – New War Disorder

New War Disorder è un disco molto al di sopra della media, solidissimo, di metal moderno eppure con un gusto antico, di quando il metal era usato per dire qualcosa, non come ora che troppo spesso è vuoto.

I milanesi Sakem arrivano con un primo album fatto di un metal che gira benissimo, granitico, distorto e marcio, che descrive il nostro mondo, che è molto più marcio di questo suono.

Formati nel 2014, dopo l’uscita del vocalist Lexx dai death metallers Kenos, gli altri componenti vengono da gruppi con le più disparate influenze, e tutto ciò si sente nel suono dei Sakem. La forza di questo notevole disco è quella di declinare in molti modi una monoliticità del suono che li porta ad assomigliare, almeno in parte, a dei Pantera senza tregua, macinando metal ed ossa. Il disco analizza le macerie di quella che noi chiamiamo società, ma che in realtà è una guerra quotidiana. Il suono dei Sakem è anche una sana alternativa a tutte le schifezze che si sentono quotidianamente quando andiamo in giro. New War Disorder è un disco molto al di sopra della media, solidissimo, di metal moderno eppure con un gusto antico, di quando il metal era usato per dire qualcosa, non come ora che troppo spesso è vuoto. L’album cresce ad ogni ascolto e le canzoni sono sempre potenti, piene di belle melodie, composte e suonate da musicisti che sanno molto bene cosa sia e come vada suonato il metal. Dischi come questo riempono il vostro stereo e non c’è molto da dire, ma più da ascoltare. È incredibile anche come si vedano in giro band molto meno capaci dei Sakem ricevere lodi e magari anche vivere del proprio operato, cosa assai difficile al giorno d’oggi. Notevole anche la produzione e la copertina ed il libretto del disco, e il tutto arriva a comporre un ottimo disco di metal con un bel groove e brillanti idee.

TRACKLIST
01. Hangman
02. Red Spirit Dust
03. Tatanka
04. Revolver
05. New War Disorder
06. Mentality
07. Sakem
08. Fire Maker
09. Subliminal Wattage
10. Arising the Dawn
11. Golden Omega

SAKEM – Facebook

Acts Of Tragedy – Left With Nothing

Questi ragazzi riescono a creare un magma sonoro figlio dell’incontro tra metal e qualcosa dalle parti dei Dillinger Escape Plan, il tutto lanciato a mille all’ora, con una produzione notevole.

Al primissimo ascolto dei cagliaritani Acts Of Tragedy mi sembrava di trovarmi davanti all’ennesimo disco di metalcore melodico, con parti più dure e altre parti molto, anzi fin troppo melodiche.

E invece sbagliavo, e di molto, vittima di pregiudizi che non dovrebbero esserci. Gli Acts Of Tragedy fanno metalcore, o meglio metal moderno, ma hanno una potenza, un tiro ed una tecnica che li portano molto al di sopra della media del genere. Questi ragazzi riescono a creare un magma sonoro figlio dell’incontro tra metal e qualcosa dalle parti dei Dillinger Escape Plan, il tutto lanciato a mille all’ora, con una produzione notevole. Gli Acts Of Tragedy sono potenti e molto coinvolgenti, e hanno prodotto un disco che spacca, come direbbero i giovani. Left With Nothing, il suo titolo, potrebbe essere l’epitaffio sulla tomba dei giovani di oggi che si mangiano la merda che hanno lasciato quelli di prima: è un disco di metal moderno a trecentosessanta gradi, e dentro c’è tutto il meglio degli ultimi venti anni di metal melodico, dove melodia non sta per commercializzazione scontata, ma per ricerca di qualcosa di piacevole in mezzo alla durezza. l’album funziona benissimo anche grazie al notevole apporto della produzione, che fa rendere al meglio questo suono che piacerà su ogni lato dell’oceano, perché le sue radici sono comunque americane. Un disco molto bello, dall’inizio fino alla fine, e non è poco.

TRACKLIST
1.Under the Stone
2.Melting Wax
3.The Worst Has yet to Come
4.The Man of the Crowd, Pt. 1
5.Smoke Sculptures and Fog…
6.The Man of the Crowd, Pt. 2
7.Incomplete
8.Nothing
9.Vice
10.Oaks

LINE-UP
Alessandro Castellano – Drums
Andrea Orrù – Vocals
Lorenzo Meli – Bass
Paolo Mulas – Guitar
Gabriele Murgia – Guitar & Backing Vocals

ACTS OF TRAGEDY – Facebook

Sepultura – Machine Messiah

Machine Messiah è un ottimo disco di metal moderno, con molte influenze e anche sperimentazioni, un andare avanti senza guardarsi indietro, pur tenendo conto di un glorioso passato.

Nuovo disco per i Sepultura, ed è decisamente un’ottima prova. Potremmo stare a discutere ore addirittura soltanto sulla legittimità dell’usare il marchio di fabbrica Sepultura da parte di Andreas Kisser e Paulo Jr., ma qui non siamo in un aula di tribunale.

Qui diamo suggerimenti e condividiamo i nostri ascolti, e questo è un grande ascolto. Machine Messiah è un ottimo disco di metal moderno, con molte influenze e anche sperimentazioni, un andare avanti senza guardarsi indietro, pur tenendo conto di un glorioso passato. Fin dalla prima canzone si capisce che questo è forse il disco più incisivo dei nuovi Sepultura, con Derrick Green in forma strepitosa, con una voce molto aggressiva e potente, che graffia ferocemente sul tappeto sonoro. Andreas Kisser è un grande compositore metal e non solo, lo si capisce molto bene con Machine Messiah e, se vi capita, andate a cercarvi le sue colonne sonore e capirete ancora meglio.
L’ intelaiatura delle canzoni è notevole, basterebbe ascoltare Iceberg Dances che da una fuga di organo diviene un esercizio flamenguero per poi andare verso un prog metal spaziale. La produzione è grandiosa, i suoni sono precisissimi e molto potenti, e non manca una bilanciatura più che adeguata, con l’uso delle tastiere che rende ancora più magniloquente il tutto.
Ci sono tantissime cose dentro questo disco, e vale la pena esplorarle tutte. Per divertirsi qui viene richiesta solo un po’ di apertura mentale e l’apertura di una linea di credito verso la nuova incarnazione dei Sepultura, e ne verrete soddisfatti grandemente. Machine Messsiah è un disco potentissimo e notevole che saprà soddisfare molti gusti metallici, soprattutto di chi ha fame e voglia di musica diversa e progressiva nella sua direzione.
Si deve ascoltare la musica e non parlare di un nome, e i Sepultura ci sono, eccome se ci sono.
Intanto, da più di trent’anni la storia continua.

TRACKLIST
01. Machine Messiah
02. I Am The Enemy
03. Phantom Self
04. Alethea
05. Iceberg Dances
06. Sworn Oath
07. Resistant Parasites
08. Silent Violence
09. Vandals Nest
10. Cyber God

LINE-UP
Andreas Kisser – Guitars
Derrick Green – Vocals
Eloy Casagrande – Drums
Paulo Jr. – Bass

SEPULTURA – Facebook

Beneath A Godless Sky – Beneath A Godless Sky

Provenienti dalla banlieue nord est di Parigi, questi ragazzi al debutto propongono un più che convincente metal fatto di metalcore, prog e djent, con una forte base tecnica e buona capacita compositiva.

Provenienti dalla banlieue nord est di Parigi, questi ragazzi al debutto propongono un più che convincente metal fatto di metalcore, prog e djent, con una forte base tecnica e buona capacita compositiva.

Attualmente molti gruppi cercano di inserirsi nel giro prog metal djent che conta, o nel metalcore più tecnico, ma pochi ne hanno le capacità per appartenervi. I Beneath A Godless Sky, a partire dal bellissimo nome, riescono subito a colpire l’ascoltatore con la loro potenza, ma trovano sempre anche grandi melodie che bilanciano la forza delle loro composizioni. Un gusto moderno per il metal, ma anche un tecnica all’altezza della loro ricerca musicale. Non ci sono ansie e tentativi di raggiungere campi proibiti, ma tutto viene ricondotto alle proprie capacità, in questo caso assai notevoli. Questo ep omonimo è il risultato di anni e anni di gavetta in varie salette musicali, e rispecchia il retroterra di ciascun musicista. L’ep è molto godibile e forte, ed è caldamente consigliato a chi vuole ascoltare metal moderno fatto bene.

TRACKLIST
1.Intro
2.The wall
3.Divided
4.Broken streets
5.Fake smile
6.Faith + one

BENEATH A GODLESS SKY – Facebook

Southern Drinkstruction – Vultures Of The Black River

I Southern Drinkstruction sono uno dei migliori gruppi nel loro genere e danno alle stampe un disco clamoroso, tanto semplice quanto difficile, ma questi ragazzi di classe ne hanno da vendere.

Dal 2007 questi ragazzi romani allietano le nostre orecchie con diversi massacri sonori, e questo disco è il modo migliore per festeggiare, un po’ in anticipo, dieci anni di sbronza attività.

Bisogna dire subito che questo è il loro disco migliore, in mezzo a prove già ottime, come tutti i loro lavori precedenti. Rispetto a questi ultimi i Southern Drinkstruction si sono ulteriormente induriti, e sono diventati più veloci, senza perdere un grammo della loro potenza, anzi accrescendola. Si è anche ampliato e di molto il loro spettro sonoro, rendendo ancora più efficace la capacità di far del male all’ascoltatore. Cosa ancora più importante, questo disco non vi farà stare fermi, con un’intensità degna delle sparatorie di Tex Willer e dei suoi pards. Non si scende mai da questo cavallo lanciato in corsa contro il mondo. Il gruppo è cresciuto molto e Vultures Of The Black River è un disco molto bello e pesante, con forti influenze southern, davvero un metal ben registrato e all’altezza o anche sopra a tanti nomi ben più blasonati. Questi romani hanno una potenza impressionante e soprattutto una capacità di dare sempre il massimo, dote in possesso di pochi. In questi ultimi tempi pochi dischi si fanno ascoltare più e più volte come questo, e ad ogni curva si vede un paesaggio nuovo, una nuova porzione di sangue e sabbia. I Southern Drinkstruction sono uno dei migliori gruppi nel loro genere e danno alle stampe un disco clamoroso, tanto semplice quanto difficile, ma questi ragazzi di classe ne hanno da vendere. Attenti alle vostre birre quando sono nei paraggi. Southern metal style.

TRACKLIST
1.Appetite For Drinkstruction
2.Elvis In Chains
3.Vultures Of The Black River
4.Ass Parking Bitch
5.Goatboy
6.Back To Kill You
7.Say My Name
8.Out For Blood
9.Bloody Stone
10.THUV

LINE-UP
Francesco Basthard – Vocals
Pinuccio Ordnal – Guitars
Carlo Zorro – Bass
Andrea Vagenius – Drums

SOUTHERN DRINSTRUCTION – Facebook

Dope – Blood Money Part I

Aspettando la seconda parte godiamoci Blood Money e diamo il bentornato a Edsel ed ai suoi Dope!

Per chi ha seguito con attenzione lo sviluppo ed il successo del nu metal, negli anni a cavallo del nuovo millennio, si ricorderà certo dei Dope e dei loro due primi album, due mazzate di devastante metallo industriale, pregno di groove e dall’elevato appeal melodico.

Felons and Revolutionaries e Life, rispettivamente del 1999 e del 2001, fecero crescere la fama del gruppo capitanato da Edsel Dope, arrivato leggermente in ritardo sul ruolino di marcia del mainstream, ma sicuramente dotato del giusto approccio e talento per regalare agli allora amanti del nuovo suono metallico americano qualcosa per smuovere i fondoschiena.
Innumerevoli cambi di line up, ancora tre lavori tra il 2003 ed il 2009 e poi il lungo letargo interrotto dalle scariche industrial nu metal del nuovo Blood Money part I, buon ritorno per il gruppo statunitense.
Parliamoci chiaro, se nel 2016 siamo ancora qui ad esaltarci per le opere di gruppi classici che si rifanno all’hard rock settantiano o alla new wave of british heavy metal, allora una mazzata nu metal direttamente dagli States ci sta tutta ed il ritorno dei Dope risulta proprio questo, una devastante prova di forza dalle sonorità metalliche moderne e crossover.
E Blood Money (il brano) risulta tutto quello che vorreste sentire da un album dei Dope: nu metal potentissimo, industriale e dal chorus che si stampa in testa al primo passaggio, in due parole irresistibile.
Chiudete gli occhi ed il tempo scorrerà a ritroso fino all’alba di questo disgraziato millennio, tempi in cui il genere e le sue star erano ospiti fissi sui magazine di tutto il mondo, mentre Shoulda Known Better, Razorblade Butterfly e la spettacolare A New Low riportano definitivamente il calendario all’anno di grazia 1999.
Non fosse altro, la band ci fa regalo di una chicca, la cover di Violet di santa madre Courtney Love e delle sue Hole, nei novanta affascinante strega tossica e Yoko Ono del grunge, ora mirabile cantautrice dei sopravvissuti di un decennio che è già storia.
Aspettando la seconda parte, godiamoci Blood Money e diamo il bentornato a Edsel ed i suoi Dope!

TRACKLIST
1.Intro – Confessions Of A Felon
2.Blood Money
3.Shoulda Known Better
4.Lexapro 5.Hold On 6.1999
7.Razorblade Butterfly
8.Drug Music
9.A New Low
10.Hypocrite
11.X-Hale
12.End Of The World
13.Selfish
14.Numb
15.Violet (Bonus Track)

LINE-UP
Edsel Dope – Vocals, guitars, keys
Nikk Dibs – Guitars
Jerms Genske – Bass
Dan Fox – Drums

DOPE – Facebook

Noise Pollution – Unreal

Tutto è a suo posto e funziona, molto radiofonico e godibile, quasi troppo pulito.

Secondo disco per questo gruppo italiano di metal moderno.

Metal per l’appunto, con l’aggiunta di un piglio punk e reminiscenze di crossover. Tutto è a suo posto e funziona, molto radiofonico e godibile, quasi troppo pulito. La produzione è molto buona e fa risaltare il gruppo, ma su questo disco non c’è molto da dire. Ascoltare Unreal è un qualcosa che potrebbe piacervi, soprattutto se vi piace il metal che non fa male, ma è anche qualcosa che lascia indifferenti. I Noise Pollution sono bravi, suonano bene e hanno genuina passione, ma evidenziano il lato debole del metal cosiddetto moderno, ovvero quello di essere radiofonico ma in fondo vacuo, evanescente.
Questa recensione non è una stroncatura e nemmeno un elogio, ma una semplice constatazione. Se fossero americani venderebbero molto di più, perché questo suono oltre oceano è particolarmente apprezzato. Il consiglio è sempre lo stesso, ed è quello che dovrebbe sottinteso ad ogni recensione: ascoltate con orecchie vostre, fatevi un’idea, date a tutti una possibilità, le recensioni sono indicazioni e nella maggior parte dei casi sono indicazioni sbagliate, l’importante è stare sulla strada.

TRACKLIST
1.Breaking Down
2.MAD
3.Gone Forever
4.Shame
5.Unreal
6.God of Sadness
7.Hole inside me
8.Two Faced
9.We Can’t forget
10.Full of dreams

LINE-UP
Amedeo ‘Ame’ Mongiorgi – vocals
Tony Cristiano – guitar
John ‘Line’ Virzì – guitar, vocals
Lorenzo ‘Wynny’ Magni – bass, vocals
Chris ‘Labo’ Albante – drums

NOISE POLLUTION – Facebook

Cardinal Wyrm – Cast Away Souls

La band dice: ”We walked till dawn to find the doorway to the stars”, proseguiamo con loro…

Magnifica la Svart Records, label finnica che in questi ultimi anni ci ha permesso di conoscere alcune grandi band, come ad esempio Oransii Pazuzu, Katla, Domovoyd, che elaborano un loro suono, assolutamente fuori da schemi prefissati.

Dagli Stati Uniti, dalla zona della Bay Area, provengono i Cardinal Wyrm che con Cast Away Souls producono il loro terzo full length, il secondo per Svart dopo Black Hole Gods del 2014; sono in tre, con la particolarità di avere il batterista, Panjal Tiwari, che si occupa anche delle vocals che passano da un tono declamatorio dai rimandi a Peter Steele  ad un growl “schizzato”.
Il loro sound, denso, bizzarro e teatrale, parte da basi doom, ma incontra variazioni heavy, acide e psichedeliche soprattutto nelle parti soliste di chitarra, creando un ponte tra passato e presente, cercando di trovare una strada per apparire personale.
Questo atteggiamento si avverte già nel primo brano (Silver Eminence) che parte doom, ai confini del funeral con un organo pesante come un macigno, per poi dopo un paio di minuti esplodere in un riff heavy vicino al trash, proseguendo poi con densità sludge e riflessi addirittura simil-voivodiani.
Gli altri cinque brani, sei in tutto per circa quarantasei minuti di puro godimento, sono sempre dello stesso alto livello, pieni di variazioni che possono essere colte da ascoltatori attenti (esempio l’intro spettrale di Grave Passages o le vocals darkwave all’inizio di The Resonant Dead); ulteriore nota di merito per Lost Orison, delicato brano aperto e punteggiato da una tromba immaginifica e dalle voci della bassista, Leila Abdul-Rauf (Vastum) e del batterista.
Cover particolare virata su colori viola e nero e testi, scritti dal batterista, declamanti storie di occultismo, depressione e realtà alternative invitano, come al solito, a ripetuti ascolti per scoprire un modo diverso di pensare e suonare doom “mutante”.

TRACKLIST
1. Silver Eminence
2. The Resonant Dead
3. Grave Passage
4. Lost Orison
5. Soul Devouring Fog
6. After the Dry Years

LINE-UP
Nathan Verrill – Guitars,Organ,Bass
Pranjal Tiwari – Drums, Vocals
Leila Abdul-Rauf – Live Bass, Trumpet, Vocals

CARDINAL WYRM – Facebook