Divinity Compromised – Terminal

The Terminal risulta un album discreto anche se con qualche difetto, che i Divinty Compromised dovranno correggere in futuro se non vorranno rimanere nel limbo dei soli cultori del prog metal underground.

Progressive metal che punta molto sulla melodia senza rinunciare alla componente metallica di estrazione americana, proprio come il paese d’origine del gruppo.

Stiamo parlando dei progsters dell’Illinois Divinity Compromised, sestetto giunto al secondo album dopo A World Torn, debutto licenziato quattro anni fa.
Prog metal che si discosta dall’usuale solo per una drammaticità di fondo tipica dell’U,S. metal, altra fonte di ispirazione insieme al thrash per il sestetto che, in regime di autoproduzione, dà alle stampe un lavoro tutto sommato discreto, magari poco personale ma ben bilanciato tra melodie, evoluzioni progressive e ripartenze power/thrash.
Leggermente prolisso, in verità, Terminal alterna momenti interessanti ad altri già sentiti ma che riescono, anche se con un po’ di fatica, a tenere la tensione su livelli sufficientemente alti, grazie alle atmosfere drammatiche di scuola Nevermore ed Evergrey.
L’album parte bene, le melodie della title track risultano un buon biglietto da visita, le ritmiche corrono veloci e le tastiere ricamano fraseggi moderni prima di lasciare alle chitarre il palcoscenico.
Il metal estremo è un’ altra componete importante nella musica dei Divinity Compromised, in evidenza nell’atomica The Definition Of Insanity, tra Dream Theater e Nevermore, thrash progressivo pesantemente influenzato da un’anima intimista e tragica.
Il cantato di Lothar Keller è quanto di più simile al giovane La Brie troverete in giro, mentre il sound continua la sua corsa tra le molte anime del metal americano, dai Queensryche ai Symphony X, passando per i Metal Church, il tutto passato nel frullatore progressivo del gruppo del cantante canadese.
C’è ancora l’ottima Legacy ad alzare il valore di un album discreto anche se con qualche difetto, che il gruppo dovrà correggere in futuro se non vorrà rimanere nel limbo dei soli cultori del prog metal underground.
Promossi, ma si può e si deve fare di più, le potenzialità ci sono tutte.

Tracklist
1.Terminal
2.Shelter in Place
3.My Escape
4.The Definition of Insanity
5.The Last Refugee
6.Free to Speak
7.Legacy
8.The Fall of Æstoria
9.Saving Grace

Line-up
Andy Bunk – Bass
Ben Johnson – Guitars, Keyboards
Lothar Keller – Vocals
Mike Mousel – Drums
Jeff Treadwell – Lead Guitars

DIVINITY COMPROMISED – Facebook

Sons Of Apollo – Psychotic Symphony

I Sons Of Apollo hanno dato vita ad un album duro come l’acciaio, forgiato nell’olimpo e ricevuto dai noi mortali come dono dagli dei, drammatico, tragico, intenso ed oscuro come i nuvoloni che coprono in cielo la reggia dalla quale Zeus decide della sorte degli uomini.

Un intro orientaleggiante, fusa tra le trame dell’opener God Of The Sun, ci invita all’ascolto di questo bellissimo lavoro intitolato Psychotic Symphony, debutto del supergruppo Sons Of Apollo di cui fanno parte autentici mostri del pentagramma progressivo e metallico mondiale come Mike Portnoy alle pelli, Derek Sherinian alle tastiere, Billy Sheehan al basso, Ron “Bumblefoot” Thal alla chitarra ed Jeff Scott Soto dietro al microfono.

Non sappiamo attualmente se i Sons Of Apollo rimarranno un progetto estemporaneo o si trasformeranno in una band vera, ma alla luce di questa raccolta di brani si fa spazio in noi la speranza che questo inumano sodalizio artistico possa avere un seguito.
Psychotic Symphony è un lavoro straordinario per intensità, sagacia compositiva e la perfetta coesione tra l’elemento tecnico (qui ai massimi livelli) e quello emozionale.
I figli del dio greco, infatti, hanno dato vita ad un album duro come l’acciaio, forgiato nell’olimpo e ricevuto dai noi mortali come dono dagli dei, drammatico, tragico, intenso ed oscuro come i nuvoloni che coprono in cielo la reggia dalla quale Zeus decide della sorte degli uomini.
Un Soto stratosferico fa il fenomeno (e mette i brividi) su brani nati per stupire, ma lasciati nelle mani dell’emotività, dunque non mero esercizio di stile, ma spettacolare dispiegamento di mezzi per regalare musica metal fuori categoria.
Molto più vicina ai Symphony X che ai Dream Theater (tanto per fare due nomi scomodi), la musica dei Sons Of Apollo si può certo chiamare prog metal, dove metal sta per una forza dirompente, una tempesta di suoni nella quale i fulmini sono prodotti dalla chitarra di Thal, la pioggia ritmica incessante dalla coppia Portnoy/Sheehan, le trombe d’aria dagli intrecci tastieristici di Sherinian ed i tuoni da un Soto novello Zeus.
E allora perdetevi negli undici minuti della già citata God Of The Sun, monumentale brano d’apertura che ci scaraventa nella lotta intestina tra gli dei, mentre la diretta Coming Home conferma l’atmosfera battagliera dell’opera.
Labyrinth, la semi ballad Alive, la conclusiva, mastodontica e strumentale Opus Maximus (dall’inizio epic/doom) traccia che con l’opener risulta la coppia d’assi di Psychotic Symphony, ribadiscono il valore di un lavoro da non perdere assolutamente se siete amanti del metal progressivo.

Tracklist
1 God of The Sun
2 Coming Home
3 Signs of The Time
4 Labyrinth
5 Alive
6 Lost In Oblivion
7 Figaro’s Whore
8 Divine Addiction
9 Opus Maximus

Line-up
Mike Portnoy – drums and vocals
Derek Sherinian – keyboards
Billy Sheehan – bass
Ron “Bumblefoot” Thal – guitar and vocals
Jeff Scott Soto – vocals

SONS OF APOLLO – Facebook

Hourswill – Harm Full Embrace

In questi anni che hanno visto il prog metal allargare i suoi orizzonti facendovi confluire gruppi dal sound vario e moderno, gli Hourswill confermano il loro valore potendo sicuramente essere considerate tra le band, per così dire, tradizionali, pur aderendo ad di un tipo di musica aperto ad ogni tipo di approccio ed influenza.

Fortunatamente non si sono persi nei meandri dell’underground europeo i portoghesi Hourswill, usciti tre anni fa sotto l’ala della Ethereal Sound Works con Inevitable, debutto sulla lunga distanza in cui la band proponeva un prog metal debitore dei soliti mostri sacri del genere, ma comunque piacevole e ben suonato.

Tornano quindi con il nuovo album, qualche aggiustamento nella formazione ed un sound che si è fatto più personale, ed estremo, guardando alla scena statunitense con le influenze che spaziano dai Nevermore ai Dream Theater e a quella scandinava di Morgana Lefay e Tad Morose: Harm Full Embrace ci presentatra l’altro il nuovo vocalist Leonel Silva, grintoso e molto interpretativo, sulla scia di Warrel Dane. .
Quello che gli Hourswill  perdono in potenza lo ritrovano nelle melodie progressive, confermando la loro padronanza della materia, esibita con una tecnica sufficiente per ricamare buoni cambi di tempo e solos e nel saper tenere ben salde le briglie di un genere che può portare ad esagerare, smarrendo facilmente la forma canzone.
Gli Hourswill non le mandano certo a dire ed anche questo secondo lavoro mantiene un approccio molto heavy:  brani come l’opener Children Of The Void, Liberty Theory e la notevole Everyday Sage mostrano un buon feeling con il genere e una serie di intuizioni che ne fanno un tris di tracce coinvolgenti, oscure e tragicamente teatrali.
In questi anni che hanno visto il prog metal allargare i suoi orizzonti facendovi confluire gruppi dal sound vario e moderno, gli Hourswill confermano il loro valore potendo sicuramente essere considerate tra le band, per così dire, tradizionali, pur aderendo ad di un tipo di musica aperto ad ogni tipo di approccio ed influenza.

Tracklist
1.Children of the Void
2.Blinding Light
3.Mass Insanity
4.Liberty Theory
5.Everyday Sage
6.Social Disease
7.At Harms Embrace
8.Abyss Syndrome

Line-up
Rodrigo Louraço – Guitars
Leonel Silva – Vocals
Pedro Costa – Bass
Nuno Peixoto – Drums
José Bonito – Guitars

HOURSWILL

Dragonhammer – Obscurity

L’oscurità sta arrivando e la colonna sonora dei tempi bui che ci aspettano non può che essere Obscurity, il nuovo album dei Dragonhammer.

L’oscurità sta arrivando e la colonna sonora dei tempi bui che ci aspettano non può che essere il power metal progressivo dei nostrani Dragonhammer.

Lo storico gruppo torna con un nuovo lavoro dopo l’ottimo The X Experiment, uscito quattro anni, fa e le ristampe dei primi due album licenziate dalla My Kingdom Music, label che firma anche Obscurity.
Band che si può senz’altro definire storica essendo attiva da quasi vent’anni, i Dragonhammer non sbagliano un colpo e i fans del gruppo e dei suoni classici legati al power metal possono stare tranquilli: il nuovo album è ancora una volta un’opera che non cambia di una virgola il sound della band, ma rimane saldamente ancorato su ottimi livelli qualitativi, in un genere nel quale il nostro paese è diventato con gli anni fucina di realtà sopra le righe.
Ovviamente i Dragonhammer, sempre saldi tra le mani della storica coppia formata dal cantante e chitarrista Max Aguzzi e dal bassista Gae Amodio, fanno sicuramente parte di quel gruppo di band che traina la scena italiana verso la gloria metallica, con il loro power metal dal taglio progressivo, oscuro e perfettamente bilanciato tra la tradizione europea e quella classica statunitense.
L’intro Darkness Is Coming ci avverte che tempi bui si prospettano all’orizzonte, mentre The Eye Of The Storm imprime a chiare lettere il marchio dei Dragonhammer: una cavalcata metallica, potente ma non troppo veloce, animata da un’anima progressiva e da un chorus epico.
L’album prosegue con Brother vs Brother, dal piglio hard rock e lascia alla memorabile Under The Vatican’s Ground il gradino più alto del podio, tra Dio e progressive metal, dai tasti d’avorio che inventano ricami neoclassici in un’atmosfera di opprimente oscurità.
Continuiamo ad esaltarci tra le trame delle varie tracce, una più oscura e progressivamente melodica dell’altra, Aguzzi fa il Ronnie James Dio in più di un’occasione ed il gruppo gira a mille, regalandoci ottimo metal con The Town Of Evil, ill crescendo classicamente heavy di Children Of The Sun e la conclusiva title track.
Ottimo ritorno di un gruppo che non ha mai sbagliato un colpo, centrando bersagli a ripetizione, e che ormai si può certamente considerare un’istituzione nel genere sul suolo italico.

Tracklist
01. Darkness Is Coming
02. The Eye Of The Storm
03. Brother vs Brother
04. Under The Vatican’s Ground
05. The Game Of Blood
06. The Town Of Evil
07. Children Of The Sun
08. Fighting The Beast
09. Remember My Name
10. Obscurity

Line-up
Max Aguzzi – Lead Guitar and Voice
Gae Amodio – Bass Guitar
Flavio Cicconi – Guitar
Giulio Cattivera – Keyboards
Andrea Gianangeli – Drums

DRAGONHAMMER – Facebook

Novelists – Noir

Un album moderno che si ascolta come un’opera tradizionale verrebbe da dire, nella quale il gruppo parigino mette una tecnica invidiabile al servizio di brani piacevolmente scorrevoli

Un album basato su quello che, oggi, viene definito prog core è sempre un’incognita ed è facile sia trovarsi al cospetto di un buon lavoro, sia di brutte copie di opere che ingarbugliano il metalcore con tecnicismi intricati e fini a se stessi.

Le nuove leve fortunatamente sembrano indicare una via che possa mettere d’accordo tutti, puntando su melodie ed atmosfere e cercando di smuovere emozioni che l’ascoltatore molte volte attende che si risveglino in lavori del genere.
I francesi Novelists riescono ad uscire da questa impasse con un sound fortemente progressivo e moderno, dove la rabbia core viene stemperata da uno stato di grazia melodico sopra la media.
Un album moderno che si ascolta come un’opera tradizionale, verrebbe da dire, nel quale il gruppo parigino mette una tecnica invidiabile al servizio di brani piacevolmente scorrevoli, sia quando atmosfere liquide ci trasportano su notturni territori progressivi (Monochrome), sia quando il metalcore strappa le redini al suo alter ego e lancia il purosangue metallico al galoppo.
Non è mai troppo sincopato il sound di Noir, procede su linee che variano ad ogni traccia lasciando all’ascoltatore tantissimi input utili alla comprensione della musica del gruppo, mentre accenni nu metal compaiono a ribadire con forza la capacità dei Novelist di non ripetersi (Les Nuits Noires).
Confermate le buone impressioni suscitate con il primo album Souvenirs, la band fa un passo avanti verso una popolarità che nel genere non mancherà di arrivare: l’album con estrema facilità giunge alle ultime cartucce, sparate dopo aver colpito il segno con una pioggia di fuoco metalcore progressiva portata da brani avvincenti come A Bitter End, The Light The Fire e la conclusiva Heal The Wound.
Giovani, preparati e con un’idea di sound che trova pochi paragoni, questi sono i Novelists e noi ve li consigliamo vivamente.

Tracklist
1. L’appel du Vide
2. Monochrome
3. Under Different Welkins
4. Les Nuits Noires
5. Grey Souls
6. A Bitter End
7. Stranger Self
8. The Light, The Fire
9. Joie de Vivre
10. Lead The Light
11. À Travers le Miroir
12. Heal The Wound

Line-up
Matt Gelsomino – vocals
Florestan Durand – guitar
Charles-Henri Teule – guitar
Nicolas Delestrade – bass
Amael Durand – drums

NOVELISTS – Facebook

Descrizione Breve
, sia quando atmosfere liquide ci trasportano su notturni territori progressivi (Monochrome) sia quando il metalcore strappa le redini al suo alter ego e lancia il purosangue metallico al galoppo.

Autore
Alberto Centenari

Voto
82

Essence of Datum – Nevermore

Nevermore continuerà a far discutere riguardo al prog metal, ma è indubbio che la band bielorussa ci sappia fare, grazie ad un sound duro come la roccia ma ricamato da tecnica e melodia.

Il prog metal è musica a 360° che dovrebbe tenere a distanza detrattori e quant’altro, ma che purtroppo è sempre motivo di discussione tra chi ama il genere e chi invece lo indica come esibizione tecnica fine a se stessa e poco emozionante: come sempre la verità sta nel mezzo e in ogni parte del mondo continuano a venire alla luce ottime realtà.

Erede del progressive rock, figlio ribelle della corrente settantiana a cui è comunque ed assolutamente legato, il metallo progressivo del nuovo millennio si è trasformato in un Kraken dai mille tentacoli, diventando un mostro che fagocita generi per risputarli, trasformati in musica per tutti i gusti, dal sound intimista ed emozionale delle nuove leve, alla tecnica sopraffina ma aggressiva dei gruppi dai rimandi metallici.
Gli Essence Of Datum si incontrano tra le strade di Minsk, capitale della Bielorussia, e il loro metal progressivo lascia buone impressioni non solo per l’ottima tecnica, ma per il feeling che riesce a crearsi con l’ascoltatore, non così banale quando si parla di lavori strumentali.
Nevermore è il secondo album, a distanza di quattro anni dal debutto Event Horizon, ed esplora il genere in molte delle sue sfaccettature, accontentando un po’ tutti gli abituali ascoltatori di musica progressiva.
Pochi attimi lasciati alla mera tecnica e tanta musica che riempie lo spazio, tra atmosfere melanconiche, partenze a razzo verso lidi neoclassici e aperture al rock progressivo tradizionale, il tutto legato da una matrice metal che raggiunge picchi estremi prima di tornare a respirare l’aria intimista delle proposte moderne.
Nevermore continuerà a far discutere riguardo al prog metal, ma è indubbio che la band bielorussa ci sappia fare, grazie ad un sound duro come la roccia ma ricamato da tecnica e melodia, ed è assolutamente consigliato a chi dei suoni progressivi ne ha fatto l’ascolto primario.

Tracklist
1.Satellites
2.Animal
3.Hexadecimal
4.Siberia
5.Aurorae (Australis | Borealis)
6.Blodørn
7.Thorns
8.Omens

Line-up
Dmitry Ramanouski – guitars
Alex Melnikau – bass
Pavel Vilchytski – drums

ESSENCE OF DATUM – Facebook

Witherfall – Nocturnes And Requiems

Nocturnes And Requiems è un album bellissimo e toccante che si inserisce di prepotenza tra le migliori prove di questo 2017 in senso assoluto, dimostrando che cosa il metal abbia ancora in serbo per noi fortunati consumatori di quella che di fatto è la musica più bella e sorprendente che ci sia.

Creato e manipolato in regime di autoproduzione e solo ora arrivato alle grinfie della Century Media, Nocturnes And Requiems è il primo lavoro di questi straordinari musicisti che con il monicker Witherfall hanno dato vita ad uno dei dischi più belli dell’anno, almeno per chi ama il metallo oscuro e progressivo statunitense.

Una storia da raccontare, quella del gruppo californiano, con musicisti della scena coinvolti in band come White Wizzard, Midnight Right, Iced Earth, Into Eternity e Circle II To Circle, insieme per dar vita a questo progetto che esce postumo all’indomani della morte del batterista Adam Sagan, risultando così il suo testamento musicale.
Raggiunti da Anthony Crawford al basso, il vocalist Joseph Michael ed il chitarrista Jake Dreyer, assieme a Sagan, hanno dato vita ad un album stupendo, tecnicamente ineccepibile, progressivo ma allo stesso tempo estremo e ricco di emozionanti, oscure e tragiche atmosfere.
Accompagnato da una bellissima copertina old school, per chi non conoscesse i musicisti impegnati si potrebbe addirittura pensare ad un’opera death metal, ma così non è: Nocturnes And Requiems è invece il disco definitivo di quello che si intende per thrash metal progressivo statunitense, una perfetta e suggestiva commistione del meglio di Nevermore, Symphony X, con una spiccata teatralità ed un’oscurità che è sinonimo del genere suonato negli U.S.A., senza dimenticare gli insegnamenti del maestro Jon Oliva.
Il tutto gira alla perfezione, con i talentuosi musicisti impegnati a conferire al sali e scendi progressivo un’anima che brucia di rabbiose o melanconiche emozioni, sotto l’effetto delle travolgenti Portrait, Sacrifice, il capolavoro End Of Time e la conclusiva Nobody Sleeps Here: un progressive metal duro come una roccia e drammatico, con un talento spropositato della band per il neoclassicismo che si evince da solos spettacolari e acustici che raggiungono l’apice nelle suggestive parti spagnoleggianti.
Nocturnes And Requiems è un album bellissimo e toccante che si inserisce di prepotenza tra le migliori prove di questo 2017 in senso assoluto, dimostrando che cosa il metal abbia ancora in serbo per noi fortunati consumatori di quella che di fatto è la musica più bella e sorprendente che ci sia.

Tracklist
01. Portrait
02. What We Are Dying For
03. Act II
04. Sacrifice
05. The Great Awakening
06. End Of Time
07. Finale
08. Nobody Sleeps Here Anymore

Line-up
Joseph Michael – lead/harmony vocals/keyboard
Jake Dreyer – lead/rhythm and acoustic guitars
Adam Sagan – percussion/background vocals
Anthony Crawford – bass

WITHERFALL – Facebook

TDW & Dreamwalkers Inc. – The Antithetic Affiliation

Metal d’autore che ci investe con tutta la sua forza progressiva, tra le trame di brani lunghi ma scorrevolissimi pur nel loro intricato sviluppo.

Il bello del mondo musicale che gira intorno al rock e al metal è che, quando pensi di aver già sentito tutto, arriva l’opera che va a toccare corde che credevi sopite o magari stimolate solo in presenza di musica destinata all’olimpo.

In questo vasto e sorprendente mondo non bisogna mai dare nulla per scontato, quindi ecco che nell’ultimo periodo di questo 2017 che va a concludersi, si presentano uno dietro l’altro lavori di spessore come questo splendida opera progressiva intitolata The Antithetic Affiliation degli olandesi TDW.
La band, nata da un’idea del musicista Tom De Wit e che in sede live prende il nome di Dreamwalker Inc., arriva al settimo album in una quindicina d’anni, un lavoro suddiviso in due cd denominati The Idealist e The Cynic.
Ottanta minuti circa di musica progressive non lasciano dubbi sul talento del musicista olandese e della sua band, aiutato da una serie di ospiti della scena internazionale tra cui il nostro Tommy Talamanca, mente dei fondamentali Sadist, qui alle prese con un solo in Lest We Forget, brano conclusivo della seconda parte.
Anche se non viene nominato sul promo in nostro possesso, Aryen Lucassen e le ultime opere di Ayreon sono il più facile dei confronti con questo mastodontico lavoro, che non lascia spazio alla noia e ci investe con una serie di cambi d’atmosfera che rendono la proposta dei TDW varia e perfettamente in grado di confrontarsi con le icone del progressive dai rimandi metallici e rock, tradizionali, ma aperti a soluzioni anche estreme pur di non lasciare indifferenti gli ascoltatori e, non a cas,o è proprio Lest We Forget a ergersi a sunto compositivo dell’album con i suoi venti minuti abbondanti di durata.
Metal d’autore quindi, una musica totale che ci investe con tutta la sua forza progressiva, tra le trame di brani lunghi ma scorrevolissimi pur ne loro intricato sviluppo (The More We Remember, le due parti di Monolith): ovviamente in un’opera del genere le influenze ed i passaggi più significativi vedono la presenza occulta di nomi storici del genere, passando dai Pink Floyd ai Dream Theater, dai Green Carnation ai Pain Of Salvation con una facilità disarmante.
The Antithetic Affiliation è un altro album che si giocherà il podio tra le migliori uscite dell’anno e noi non possiamo fare nulla di diverso se non raccomandarne l’ascolto.

Tracklist – The Idealist
1.The More We Remember
2.Anthem
3.Lovesong
4.Monolith – The Ascent

Tracklist – The Cynic
1.Monolith – The Descent
2.Aphrodisia
3.Dirge
4.Lest We Forget

Line-up
Tom de Wit – Vocals, Synths, Guitars
Lennert Kemper – Guitars, Vocals
Vincent Reuling – Synths, Vocals
Hanna van Gorcum – Violins, Treble Vielle, Vocals
Norbert Veenbrink – Guitars
Joey Klerkx – Guitars, Vocals
Peter den Bakker – Bass
Kenneth Martens – Drums

Cailyn Erlandsson – Lead Vocals on Dirge
Radina Dimcheva – Lead Vocals on Aphrodisia & The More We Remember
Martine Mussies – Cello on Dirge & Aphrodisia
Dave Mola – Guitar solos on Aphrodisia
Sophie Zaaijer – Violins & Viola on Anthem
Sascha Blach – Demonic Vocals on Lest We Forget
Tommy Talamanca – Guitar Solos on Lest We Forget
Mendel bij de Leij – Guitar Solos on Lest We Forget
Frank Schiphorst – Guitar Solos on Lest We Forget
Thomas Cochrane – Trumpet & Trombone on Lest We Forget
Nienke van der Kamp – Oboe on Lest We Forget & The More We Remember
Bob Wijtsma – Guitar Solos on The More We Remember

TDW – Facebook

Caligula’s Horse – In Contact

Licenziato da Inside Out, una garanzia nei suoni progressivi, In Contact risulta un album con più luci che ombre ma con diversi dettagli da registrare per la band australiana, che a mio parere ha da fare ancora un po’ di strada prima di arrivare ad ambire ad un posto al sole nel panorama progressivo odierno.

Questa volta non posso esimermi da fare una considerazione per alcuni antipatica: il progressive moderno, che poi in molti casi non è altro che rock/metal alternativo dilatato e con soluzioni ritmiche prese in prestito dal tanto vituperato prog metal (alla Dream Theater, per intenderci) che ormai si può tranquillamente definire classico, sta arrivando ad un punto di non ritorno.

Mentre viene sempre più accettato nell’ambiente del prog che conta, le band che veramente fanno la differenza si contano sulle dita di una mano: il resto è buona musica, a tratti intimista e lasciata in balia delle tempeste alternative.
Gli australiani Caligula’s Horse si posizionano perfettamente tra le realtà che ambiscono ad un posto di primo piano nel nuovo progressive mondiale e quelle che rischiano inevitabilmente di cadere in uno stagno da dove rimane difficile riemergere, musicalmente e concettualmente parlando.
Attivi da ormai sette anni, i nostri arrivano al traguardo del quarto album con In Contact, un lavoro che come si diceva rimane incastrato tra il progressive moderno ed il metal, un palazzo di note che crolla ed imprigiona il sound in schemi ormai abusati da gruppi più o meno noti e giunti alla ribalta negli ultimi tempi.
Grande preparazione strumentale, ghirigori ritmici, qualche buona idea ma un sentore di già sentito pervade l’ascolto già dalle prime note dell’opener Dream the Dead.
Non fraintendetemi, In Contact è un buon lavoro e non mancherà di trovare estimatori negli amanti del rock progressivo e di band come Karnivool e Tesseract, però manca l’ispirazione vincente, quella che porterebbe a giudicare con più entusiasmo brani già di per sé buoni come Songs For No One, Fill My Heart o la conclusiva suite Graves.
Licenziato da Inside Out, una garanzia nei suoni progressivi, In Contact risulta un album con più luci che ombre ma con diversi dettagli da registrare per la band australiana, che a mio parere ha da fare ancora un po’ di strada prima di arrivare ad ambire ad un posto al sole nel panorama progressivo odierno.

Tracklist
01. Dream the Dead
02. Will’s Song (Let the Colours Run)
03. The Hands are the Hardest
04. Love Conquers All
05. Songs for No One
06. Capulet
07. Fill My Heart
08. Inertia and the Weapon of the Wall
09. The Cannon’s Mouth
10. Graves

Line-up
Jim Grey – lead vocals
Sam Vallen – lead guitar
Adrian Goleby – guitar
Dave Couper – bass & vocals
Josh Griffin – drums

CALIGULA’S HORSE – Facebook

Wait Hell In Pain – Wrong Desire

Un lavoro riuscito e personale, che prende forza da più generi per trovare il suo equilibrio in un metal moderno e progressivo, senza rinunciare a sfumature estreme come il tema trattato: Wrong Desire è tutto questo, e non è poco.

Torniamo a parlare della Revalve Records, label sempre attenta alle realtà rock e metal che si aggirano sul nostro territorio, in occasione dell’uscita del debutto sulla lunga distanza dei Wait Hell In Pain, quintetto proveniente dalla capitale attivo da una manciata d’anni.

E’ infatti il 2011 l’anno di nascita del gruppo da un’idea della coppia di musicisti formata dal chitarrista Stefano Prejanò e della cantante Kate Sale.
I soliti avvicendamenti nella line up, che attanagliano molte band agli inizi, portano all’attuale formazione ed alla creazione di Wrong Desire, album scritto nel 2016 ed ora sul mercato a portare un po’ di freschezza a quello che di fatto è un buon esempio di metallo progressivo, moderno e contaminato da sfumature alternative e hard & heavy.
Incentrato su tematiche forti come l’abuso e la violenza sulle donne (anche dal lato psicologico), Wrong Desire risulta un album duro, pressante ma splendidamente melodico, dove hard rock, dark e prog metal si uniscono per donare alla protagonista May la forza di liberarsi dal suo aguzzino, mentre le chitarre sono corde che si strappano dai polsi, le tastiere tessono ricami progressivi o tappeti elettronici (la parte più moderna del sound) e la sezione ritmica lavora di potenza mantenendo il lavoro, nel suo complesso, entro i confini del metal.
Kate Sale, senza prendere strade liriche, interpreta i brani con trasporto, graffia quandoi testi descrivono scenari di ribellione, tragici momenti di un’anima tormentata, mentre la musica racconta a modo suo le vicende (anche interiori) della protagonista.
Metal che si fa alternativo e melodico per poi esplodere in rabbiose ripartenze dove i tasti d’avorio fanno da struttura moderna al gran lavoro di chitarra, basso e batteria: questo è  il sound di cui è composto Wrong Desire e le sue nove tracce, tra le quali l’opener Behind The Mask è il singolo in cui le caratteristiche peculiari della musica dei Wait Hell In Pain sono in bella mostra, mentre New Moon è il momento più intenso e She Wolf quello della consapevolezza di non essere più preda, ma splendida predatrice.
Un lavoro riuscito e personale, che prende forza da più generi per trovare il suo equilibrio in un metal moderno e progressivo, senza rinunciare a sfumature estreme come il tema trattato: Wrong Desire è tutto questo, e non è poco.
Tracklist
1.Behind The Mask
2.Castaway
3.Get It Out
4.Lost In Silence
5.New Moon
6.Rain Of May
7.She Wolf
8.The Confession
9.The Last Trip

Line-up
Kate Sale – vocals
Stefano Prejano’ – guitar
Marco “Vonkreutz” Novello – keyboards
Alfonso Pascarella – bass
Stefano “Black” Rossi – drums

WAIT HELL IN PAIN – Facebook

The Great Discord – The Rabbit Hole

Non ci sono pause in The Rabbit Hole, nel senso che la musica di altissimo livello non concede distrazioni all’ascoltatore lasciando che la band di Linköping ci travolga e ci scaraventi nel suo mondo portatore sia di tempeste estreme che di splendide aperture melodiche.

Sono sempre più convinto, nel mio ormai mezzo secolo di vita abbondante, che le persone che non amano la musica non abbiano mai sviluppato emozioni ed una sensibilità che permetta loro di far proprie le brutture che sconvolgono sempre più l’umanità

Ci sono ovviamente le eccezioni che confermano la regola, ma come si può amare un lavoro come The Rabbit Hole se non si possiedono quelle corde emozionali per cui dopo tanti anni le braccia si riempiono di pelle d’oca all’ascolto delle note alternative/progressive create dai The Great Discord, sentendosi più ricchi?
Perché, e questo invece non è un semplice punto di vista ma un’assoluta verità, ci vuole un’animo sensibile per godere delle trame del gruppo svedese, all’apparenza semplici ma splendidamente intricate come nella migliore tradizione progressive, estreme come un ottimo esempio di death metal melodico e a tratti addirittura dall’appeal pop alternative.
Fia Kempe è la straordinaria interprete della musica dei The Great Discord, una cantante che fa dell’interpretazione il suo punto di forza, ora grintosamente metallica, poi splendidamente melodica ed evocativa, al servizio di un sound alquanto originale e mai ripetitivo.
Ispirato concettualmente al’opera di Lewis Carrol, l’album si sviluppa in quaranta minuti di musica rock/metal a 360°, progressivamente sopra le righe, dark senza essere gotica come di moda di questi tempi ed assolutamente letale, mentre metal e pop si danno battaglia dentro di noi, ora strattonati da braccia metalliche dure come il ferro e poi cullati da atmosfere dark/rock o melodie radiofoniche che si fanno spazio in un lavoro ritmico sopraffino.
Non ci sono pause in The Rabbit Hole, nel senso che la musica di altissimo livello non concede distrazioni all’ascoltatore lasciando che la band di Linköping ci travolga e ci scaraventi nel suo mondo portatore sia di tempeste estreme che di splendide aperture melodiche.
Il singolo Darkest Day è solo un piccolo punticino nel vasto mondo dei The Great Discord, mentre mai come questa volta il consiglio è di fermarsi, concedersi un po’ di tempo e lasciarsi rapire dalla magia della musica.

Tracklist
1.Dimman
2.Noire
3.Gadget
4.Darkest Day
5.Tell-Tale Heart
6.The Red Rabbit
7.Neon Dreaming
8.Downfall
9.Cadence
10.Omen
11.Persona

Line-up
Fia Kempe – Vocals
Aksel Holmgren – Drums
André Axell – Guitars
Gustav Almberg – Guitars
Rasmus Carlson – Bass

THE GREAT DISCORD – Facebook

Threshold – Legends Of The Shires

I Threshold sono tornati con uno degli album più riusciti della loro lunga carriera, un’opera mastodontica che non potrà sicuramente mancare nelle classifiche di fine anno riguardanti il metal dalle ispirazioni progressive.

In questi ventitre anni che separano il capolavoro Psychedelicatessen da Legends Of The Shires in molti si sono chiesti che fino avesse fatto Glynn Morgan, cantante che aveva dato voce alla splendida musica dei Threshold in quell’album per poi sparire, sostituito dal pur bravo Damian Wilson e dal compianto Andrew “Mac” McDermott, scomparso per una grave malattia nel 2011.

Dopo così tanto tempo e tra lo stupore dei fans del gruppo inglese, Morgan ricompare come per magia e si piazza dietro al microfono di una delle migliori prog metal band del pianeta, posto che gli compete visto che la sua voce non ha perso un grammo di carisma e grinta, virtù che avevano caratterizzato la sua performance sul secondo album del gruppo britannico.
Con i due mastermind Karl Groom e Richard West saldi ai loro posti dietro chitarre e tastiere, i Threshold targati 2017 si presentano con Johanne James alle pelli e Steve Anderson al basso a completare la line up e dare vita a questa monumentale opera, divisa in due cd per più di ottanta minuti di mirabile progressive d’alta scuola.
Non è solo il ritorno dello storico cantante a donare una nuova giovinezza ai Threshold ed una freschezza insperata a Legends Of The Shires, questa volta il songwriting risulta davvero sopra le righe, permettendo all’album di piazzarsi molto in alto in una potenziale classifica delle opere fin qui licenziate dai progsters inglesi, sempre dominata dallo splendido lavoro del 1994.
Glynn Morgan è tornato, dunque, e la sua voce graffia come ai bei tempi fin dal singolo Small Dark Lines, un brano diretto e metallico perfetto per rompere il ghiaccio tra il cantante ed i vecchi fans, in trepidazione e spasmodica attesa nei due minuti e rotti dell’intro The Shire (part 1).
Poi l’album parte per lidi progressivi entusiasmanti, tra schiaffi metallici ed aperture melodiche in cui Morgan può scatenare tutta la sua potenza melodica ed interpretativa: musicalmente quindi i Threshold sono tornati a suonare metal prog nella sua concezione più classica ed emozionante, come nella suite The Man Who Saw Through Time, primo brano che fa spellare le mani per gli appalusi.
Il primo cd si conclude con i virtuosismi di On The Edge, mentre il secondo supporto ottico si apre con la seconda parte di The Shire, un brano semiacustico che nel refrain riporta alla mente la superba Innocence di Psychedelicatessen.
Spettacolare e moderna si rivela Snowblind e grande musica progressiva è quanto offre Lost In Translation, ma anche quest’album arriva purtroppo alla fine, mentre le note di Swallowed ci salutano con uno struggente passaggio chitarristico di un Groom decisamente ispirato.
I Threshold sono tornati con uno degli album più riusciti della loro lunga carriera, un’opera mastodontica che non potrà sicuramente mancare nelle classifiche di fine anno riguardante il metal dalle ispirazioni progressive.

Tracklist
CD 1
1. The Shire (Part 1)
2. Small Dark Lines
3. The Man Who Saw Through Time
4. Trust The Process
5. Stars And Satellites
6. On The Edge

CD 2
7. The Shire (Part 2)
8. Snowblind
9. Subliminal Freeways
10. State Of Independence
11. Superior Machine
12. The Shire (Part 3)
13. Lost In Translation
14. Swallowed

Line-up
Glynn Morgan – vocals
Karl Groom – guitars
Richard West – keyboards
Steve Anderson – bass
Johanne James – drums

THRESHOLD – Facebook

Bushi – Bushi

Bushi è un disco originale e un tentativo di cambiare le coordinate della ricerca musicale in campo pesante, perché qui è usato ad esempio con molta intelligenza anche il pop.

Bushi è un nome nuovo nel panorama rumoristico italiano, ed è nato da un’idea di Alessandro Vagnon,i membro di Bologna Violenta, ex Dark Lunacy ed ex Infernal Poetry, che ha curato le musiche, i testi e e grafiche del disco.

Ad accompagnarlo in questa nuova avventura nei territori del sonicamente inesplorato sono Davide Scode, ex Kingfisher, e Matteo Sideri, militante nei Ronin, negli Above The Tree & E Side e Maria Antonietta. Il disco si ispira all’etica samurai, e soprattutto descrive la distanza tra essa e la nostra società attuale. Musicalmente l’orizzonte è vario e multiforme, e si rimane piacevolmente stupiti dalla costruzione musicale, dato che non troviamo molto di estremo, mentre invece c’è un grande ricerca di una struttura musicale magniloquente ed in grado di accompagnare l’ascoltatore. I testi sono haiku, un metro poetico giapponese che riesce a far convivere potenza immaginativa e brevità in maniera inconsueta per noi gaijin. Il disco è prog metal nella concezione che potrebbe avere un Les Claypool, perché c’è un gusto di prog molto diverso, come poteva essere almeno concettualmente quello dei Coheed And Cambria, nel senso di ricerca altra di un tecnicismo espressivo. Le canzoni sono corpose e hanno una struttura ben definita e nulla viene lasciato al caso, soprattutto per quanto riguarda la fusione della voce con la musica. Bushi è un disco originale e un tentativo di cambiare le coordinate della ricerca musicale in campo pesante, perché qui è usato ad esempio con molta intelligenza anche il pop. Bushi è una piacevole sorpresa, essendo un disco che può assumere forme diverse, e dal vivo sarà ancora un’altra cosa. Vagnoni ha confezionato davvero un qualcosa che durerà nel tempo e che sarà apprezzato da chi ama la musica pe(n)sante. Continua l’ottimo lavoro nel sottobosco della Dischi Bervisti, che per qualità e cura fa musica artigianato.

Tracklist
1.Rolling Heads
2.The Cherry Tree
3.A Well-Aimed Blow Of Naginata
4.Runaway Horses
5.The Book Of Five Rings
6.Typhoons
7.Hidden In Leaves
8.Death Poems

Line-up
Alessandro Vagnoni
Davide Scode
Matteo Sideri

BUSHI – Facebook

Cydemind – Erosion

I Cydemind hanno preso il meglio della musica progressiva e l’hanno fatta confluire perfettamente nel loro bellissimo lavoro: i nomi che hanno ispirato il gruppo compariranno tra le note mentre la vostra mente sarà in viaggio nel mondo di Erosion.

I canadesi Cydemind  sono l’ennesima conferma di come, spulciando nell’underground, si trovino ancora realtà interessanti e capaci di proporre musica progressiva nello stile e nella concezione, non importa se più vicina al rock o al metal.
Di per sé la musica strumentale porta inevitabilmente ad un impatto del genere, se poi invece della voce facciamo parlare un violino su un tappeto di progressive metal, contaminato da jazz e musica classica, allora c’è da sedersi comodi e partire per questo sognante viaggio musicale in compagnia del quintetto di Montrèal, attivo da una manciata d’anni e con all’attivo un ep licenziato tre anni fa dal titolo Through Mists and Ages.
Erosion è quindi il primo full lenghtth del gruppo canadese formato da cinque giovani maestri dello strumento, un lungo e bellissimo viaggio nella musica progressiva, un’ora abbondante nel corso della quale si viene tenuti stretti in un caldo abbraccio musicale dove metal, rock, e musica classica si uniscono per regalare emozioni in un susseguirsi di sorprese.
Il violino di Olivier Allard tesse tele di note mentre gli altri componenti del gruppo(Alexandre Dagenais alla batteria, Camille Delage ai tasti d’avorio, Nico Damoulianos al basso e Kevin Paquet alla chitarra) disegnano arabeschi di musica universale composta da una band in stato di grazia.
Non ricordo un album strumentale dal songwriting eccitante come Erosion, dove non ci si annoia neanche per un secondo, pur se messi alla prova da lunghe suite come Derecho (13.37) o la title track, che sfiora addirittura la mezzora.
I Cydemind hanno preso il meglio della musica progressiva e l’hanno fatta confluire perfettamente nel loro bellissimo lavoro: i nomi che hanno ispirato il gruppo compariranno tra le note mentre la vostra mente sarà in viaggio nel mondo di Erosion.

Tracklist
1.What Remains
2.Tree of Tales
3.Derecho
4.Red Tides
5.Stream Capture
6.Erosion

Line-up
Olivier Allard – Violins
Alexandre Dagenais – Drums
Camille Delage – Keyboards/Piano
Nico Damoulianos – Bass
Kevin Paquet – Guitars

CYDEMIND – Facebook

The Minerva Conduct – The Minerva Conduct

The Minerva Conduct non ha bisogno di parole, esprime emozioni in musica dalla prima all’ultima nota, inerpicandosi su spartiti di vorticosa musica metallica dalle mille sfumature e colori.

L’ultima frontiera per la musica hard & heavy si chiama India non ci sono dubbi.

Molti di voi storceranno ancora il naso leggendo questa mia affermazione, ma l’elevata qualità dei gruppi in tutti i vari generi ed l’ottimo lavoro di label come la Transcending Obscurity non fanno che confermare questo trend, che nell’underground è già avviato da qualche anno e, anche per questo, abbiamo sempre sempre dato molto spazio ai suoni provenienti dai paesi asiatici, cercando nel nostro piccolo di far conoscere più band possibili ai nostri lettori.
Demonic Resurrection, Albatross, Reptilian Death, Gutslit, Animals As leaders, Entheos: unite queste straordinarie band ed avrete i The Minerva Conduct, quartetto di Mumbai formato da membri dei gruppi citati, che non contenti della musica di alto livello proposta hanno creato questo splendido lavoro interamente strumentale, suggestivo ed emozionante, pur rimanendo nei canoni di un metal progressivo dove si sente ancora forte la componente estrema, come estremo è la realtà in cui si vive nel loro lontano paese.
Vita difficile, arte che esplode in tutta la sua drammatica bellezza, The Minerva Conduct non ha bisogno di parole, esprime emozioni in musica dalla prima all’ultima nota, inerpicandosi su spartiti di vorticosa musica metallica dalle mille sfumature e colori.
Quasi cinquanta minuti non sono pochi per un’opera del genere, eppure la musica forma un collante tra sé  e l’ascoltatore a cui si riesce a staccarsi solo alla fine, mentre l’opener Vile ci da il benvenuto nel mondo dei The Minerva Conduct.
Prateek Rajagopal , Nishith Hegde, Ashwin Shriyan e Navene Koperweis oltre ad essere maestri del proprio strumento, sanno come regalare emozioni, il loro caldo abbraccio progressivo viaggia sui binari estremi, ma non solo, toccando vette altissime con Metatonia, Appetence e la devastante Unearth.
Difficile fare paragoni, bisogna sedersi ed ascoltare quanta straordinaria bellezza esce dalle note di questo lavoro, da esibire come risposta a chi ancora sostiene che progmetal sia sinonimo di fredda tecnica.

Tracklist
1.Vile
2.Desertion
3.Metanoia
4.Trip Seq
5.Appetence
6.Exultant
7.Unearth
8.Grand Arcane

Line-up
Prateek Rajagopal – Guitars, Composer
Nishith Hegde – Lead Guitar
Ashwin Shriyan – Bass
Navene Koperweis – Drums

THE MINERVA CONDUCT – Facebook

Zaiph – New Era

Ci troviamo in presenza di una maniera di interpretare la materia robusta e nel contempo melodica, senza sconfinare in soluzioni banali ed impreziosita da ottimi suoni.

Gli argentini Zaiph sono una band attiva più o meno dall’inizio del decennio e offrono, con New Era, la loro terza prova su lunga distanza.

Il gruppo, guidato dal cantate, tastierista e compositore Nico Moroni, dimostra sicuramente l’intenzione di non appiattirsi su una riproposizione scontata di sonorità del passato, proponendo un heavy/prog metal che, invece di prendere come riferimento naturale i nomi più in vista del settore, riporta alla mente semmai band notevoli ma che non sono certo passate alla storia, una tra queste gli Angel Dust ma infiorettati da una maggiore propensione progressiva:
Questo fa capire che ci troviamo in presenza di una maniera di interpretare la materia robusta e nel contempo melodica, senza sconfinare in soluzioni banali ed impreziosita da ottimi suoni, questo favorito anche dal fatto che Moroni, per mixaggio e masterizzazione dell’album, si è avvalso dell’aiuto di un nome pesante come quello di Dan Swanö.
New Era si snoda lungo lungo 13 tracce inquiete che, di volta in volta, vanno anche a scomodare fonti di ispirazione più importanti come Nevermore e, a tratti, anche i Savatage più progressivi, dando vita ad un opera a suo modo personale proprio perché questi riferimenti (anche se quelli citati non appaiono invece tra le fonti di ispirazione dichiarate) si rivelano sotto forma di accenni che tendono a rappresentare, con buona omogeneità, tutte le diverse anime.
L’album risulta così piacevole e senz’altro degno di nota, anche se forse, a mio avviso, manca quel paio di di brani trainanti che spinga, poi, ad apprezzare la tracklist nel suo insieme: solo un piccola screpolatura, comunque, visto che tracce come Wild Beauty, Song of the Mountain, The Devil’s Swing e la più composita Seconds (Part ll) spiccano sia pure di poco per la loro qualità e la presenza di spunti davvero notevoli.
L’interpretazione vocale di Moroni è apprezzabile, soprattutto perché, non essendo in possesso di un registro dalla particolare estensione, evita inutili forzature risultando ugualmente espressivo e in definitiva gradevole.
Indubbiamente, a differenza di questo avviene in Brasile, le difficoltà per emergere in campo metal nel resto del Sudamerica non sono poche, alla luce di scene vitali, fresche ma di dimensioni ancora troppo ridotte per poter consentire uno sbocco più facile in Europa e nel nord del continente americano.
E’ un peccato, quindi, che una band del valore degli Zaiph debba fare un po’ tutto da sola per cercare di divulgare la propria buona musica; è probabile che, con l’approdo in Francia di Moroni, stabilitosi a Tolosa, le cose possano migliorare in tal senso e personalmente me lo auguro, visto che la musica contenuta in New Era è di un livello più che sufficiente per rendersi appetibile per i fans di alcune delle band citate, oltre per chi apprezza l’heavy/prog metal nel suo complesso.

Tracklist:
1.Tomorrow’s Promises
2.Mental Equinoxis
3.Wild Beauty
4.Blow!!!
5.Don’t Live a lie
6.Gates
7.Song of the Mountain
8.In The End
9.The Devil’s Swing
10.The Butterflies Carrousel
11.Seconds ( Part ll )
12.Conscious Minds
13.13 Lunas

Line up:
Nico Moroni: Lead and Backing Vocals, Keyboards, Piano and Synths
Luca Frizza: Lead and Rhytim Guitar; Percussion
Pablo Cesar Moreno: Lead and Acoustic Guitars
Nanci Bochatay: Bass and Vocals
Luis Morero: Drums

Additional Musicians:
Alejandro Goncebat : Percussion “Gates”; “Song of the Mountain”; “The Butterflies Carrousel”
Marcelo Camusso: Percussion “Gates” ; Flute and Tibetan Bowls “Song of the Mountain”
Leo Verra: Piano and Synths “In The End”; “Seconds (Pt ll)”

ZAIPH – Facebook

Subterranean Masquerade – Vagabond

Vagabond è un album splendido, un lavoro progressivo che entusiasma e non può e non deve lasciare indifferenti gli amanti della musica in senso lato.

Ecco un altro album straordinario che valorizza a mio avviso un anno che sta regalando grosse soddisfazioni agli amanti del metal/rock, anche se come afferma qualcuno manca ancora l’opera che dovrebbe smuovere il mercato come avvenne negli anni novanta.

Ma a noi amanti del bello, a prescindere da stadi colmi e classifiche scalate, ci godiamo opere di un’altra categoria come Vagabond, ultimo parto della multinazionale progressiva Subterranean Masquerade, più che una band, un nugolo di talenti al servizio della musica a 360°, capitanata dal chitarrista israeliano Tomer Pink e con il contributo al microfono di Kjetil Nordhus (Green Carnation, Tristania).
Terza meraviglia targata Subterranean Masquerade, dopo il debutto nel lontano 2005 con Suspended Animation Dreams ed il precedente The Great Bazaar di un paio di anni fa, con  una manciata di musicisti che si alternano come ospiti tra le fila del gruppo e tanta musica che, pur strutturata su un progressive rock di ultima generazione, amoreggia con la musica etnica, per poi lasciare che sfumature estreme brutalizzino attimi di musica che risplende di note variopinte come, appunto (prendendo spunto dal titolo del precedente lavoro), se ci si trovasse in un bazaar.
Ogni nota una sorpresa, ogni canzone un viaggio in questa musica che più internazionale di così non si può, mentre non sono poche le ispirazioni del gruppo (King Crimson, Nightingale e Spock’s Beard) che ci appaiono come oasi musicali tra l’opener Place For Fairytales, la decisa e spettacolare Nomad e la splendida Ways .
Gli Orphaned Land sono presenti pure loro, e non potrebbe essere altrimenti  vista la quantità di atmosfere etniche che Vagabond porta con sé, mentre Kippur e  As You Are si specchiano nella musica rock/metal  degli ultimi quarant’anni tra splendide melodie, interventi in growl per niente fuori luogo ed una cover di Space Oddity che lascia senza fiato per intensità, interpretazione ed un inizio drammaticamente doom.
Mixato da Christer Andre Cederberg (Anathema, Tristania, Circus Maximus) e masterizzato da Tony Lindgren ai Fascination Street studio, Vagabond è un album splendido, un lavoro progressivo che entusiasma e non può e non deve lasciare indifferenti gli amanti della musica in senso lato.

Tracklist
1. Place for Fairytales
2. Nomad
3. Ways
4. Carousal
5. Kippur
6. Daled Bavos
7. As You Are
8. Hymn of the Vagabond
9. Space Oddity

Line-up
Kjetil Nordhus – Vocals
Eliran Weizman – Vocals
Tomer Pink – Guitars
Or Shalev – Guitars
Shai Yallin – Keyboards
Golan Farhi – Bass
Matan Shmuely – Drums

SUBTERRANEAN MASQUERADE – Facebook

Overkhaos – Beware Of Truth

Un debutto al di sopra di ogni aspettativa, del quale basta solo dire che tra le sue trame si trova tutto ciò che anima lo spirito musicale di capisaldi del genere come Symphony X, Nevermore ed Iced Earth.

Prima di dispensare elogi ad un’altra ottima realtà made in Italy,  permettetemi di fare i complimenti all’ennesima label che ci regala grande musica metallica dall’anima progressiva, la Rockshots Records, che dopo l’ultimo lavoro degli Hidden Lapse  ci delizia con un altro gioiellino in arrivo dalla Puglia, intitolato Beware Of Truth, full length di debutto per i notevoli Overkhaos.

Nato quattro anni fa con il monicker Imperium, il gruppo dopo un paio di avvicendamenti nella line up, vira dall’heavy metal classico ad un più raffinato progressive metal dalle forti connotazioni heavy/thrash e ne esce questo bellissimo album, incentrato su una storia che prende spunto dalla società in cui viviamo, in mano a politici e lobbies che si arricchiscono sulla pelle dei comuni cittadini, ormai impoveriti e spogliati di qualsiasi briciolo di dignità.
Si parte da qui per stupire con la colonna sonora di una storia non troppo originale (ma non è poi colpa della band se certe storture sono divenute ormai un vissuto quotidiano) per la verità, ma che incide non poco quando il gruppo parte in quarta e vola sulle ali di un power metal progressivo e dannatamente trainante.
Mimmo D’Oronzo è il singer, interpretativo, vero animale metallico che ricorda Warrel Dane, la punta d’acciaio di una freccia scagliata mirando al cuore degli appassionati da un’arco che si fregia di musicisti sopra la media come Davide Giancane e Giuliano Zarcone alle chitarre e la sezione ritmica composta da Anna Digiovanni al basso e Andrea Mariani alla batteria, mentre il sangue sgorga copioso dalla ferita mortale che gli Overkhaos hanno aperto nel nostro petto.
Beware Of Truth è heavy/thrash metal in stato di grazia che, elegantemente vestito di abiti progressivi, ci scaraventa al muro, con la schiena che scalfisce il cemento e le ossa che scricchiolano sotto i colpi inferti da queste dieci bordate che formano quasi un’ora di musica a tratti entusiasmante.
Khaos, The Lie You Need, Die Catsaw!, Anna’s Song sono forse le migliori tra queste, ma potrei nominarle tutte all’interno di un debutto al di sopra di ogni aspettativa, del quale basta solo dire che tra le sue trame si trova tutto ciò che anima lo spirito musicale di capisaldi del genere come Symphony X, Nevermore ed Iced Earth.

Tracklist
01 Prelude
02 Silent Death
03 Solar Starvation
04 Khaos
05 The Lie you Need
06 Crumbling
07 White Light
08 Die Catsaw!
09 Anna’s Song
10 Deadline

Line-up
Mimmo D’Oronzo – voce
Davide Giancane – chitarra
Giuliano Zarcone – chitarra
Anna Digiovanni – basso
Andrea Mariani – batteria

OVERKHAOS – Facebook

Prologue Of A New Generation – Mindtrip

Buona la prima per i Prologue Of A New Generation, in virtù di una prova di sicuro spessore dal punto di vista tecnico ed esecutivo.

Nei confronti di quello che si può definire, a grandi linee, prog/djent/core è necessario un approccio privo di condizionamenti o pregiudizi di sorta, come possono essere sia quello di considerare degni esponenti del genere solo pochi e selezionati gruppi stranieri, sia il ritenere il tutto una sterile e spesso cervellotica esibizione di tecnicismo fine a sé stesso.

Quindi faccio subito outing: partendo dai più estremi Meshuggah per arrivare ai più morbidi TesseracT, e comprendendo tutto quanto sta nel mezzo, simili sonorità non sono mai state nelle mie corde, spesso ritenendole per lo più un qualcosa di cui fruire in maniera omeopatica, pena l’insorgere di un potentissimo mal di testa a partire dal decimo minuto di martellamenti ritmici e dissonanti.
In prima battuta tale effetto è stato garantito anche da questo album d’esordio dei trentini Prologue Of A New Generation, testimoni ineccepibili di gran parte degli stilemi sonori che hanno fatto la fortuna di band come Periphery, Northlane e Monuments, citate nelle note di presentazione a cura della dinamica label Antigony.
Devo ammettere, però, che i ripetuti accolti, come spesso avviene finiscono per rendere un minimo di giustizia anche nei confronti di chi non aveva affatto convinto al primo impatto: i Prologue Of A New Generation non reinventano nulla di particolare, in un genere nel quale non ci sono neppure così tanti margini di sviluppo, ma la loro bravura si manifesta nella capacità di rendere meno scontati gli schemi compositivi, specialmente nei brani in cui sono i chorus melodici a fare la differenza, come avviene nelle ottime Introspective, Shive, Neverbloom e, sourattutto The Perfection Exists, dove il break che giunge poco prima dei due minuti è, in assoluto, uno dei passaggi più significativi dell’album. A favore del quintetto trentino va detto anche come lo schema che prevede l’apertura melodica inframmezzare le sfuriate più robuste non è poi neppure così scontata, aggiungendovi che il buon Mirko Antoniazzi si sgola senza risparmiarsi, ricordandosi di utilizzare, oltre ad un’appropriata voce pulita, anche un buon growl in alternativa alle urla di matrice core, mentre i suoi compagni ci danno dentro davvero come se non ci fosse un domani, assecondando tutte le aspettative di chi ha familiarità con il genere.
Probabilmente anche la durata ragionevole (circa mezz’ora) fa sì che una bella tranvata come Mindtrip possa venire accolta con misurato favore pure da chi abitualmente si nutre di ben altre sonorità, e questo non è assolutamente un risultato di poco conto; buona la prima, quindi, per i Prologue Of A New Generation, in virtù di una prova di sicuro spessore dal punto di vista tecnico ed esecutivo.

Tracklist:
1.Roots And Bones
2.Black Hands
3.Introspective
4.Mindtrip
5.Karmic Law
6.The Perfection Exists
7.Neverbloom
8.Shiva
9.Skyburial/Jhator

Line-up:
Mirko Antoniazzi (Voce)
Cris Merz (Chitarra)
Nico Tommasi (Chitarra)
Dionis Platon (Basso)
Filippo Tonini (Batteria)

PROLOGUE OF A NEW GENERATION – Facebook