Crone – Godspeed

Godspeed è un buonissimo disco, tutto da godersi anche per la sua orecchiabilità, a patto di non farsi condizionare dal fatto che vi è coinvolto l’autore di Sun; fatta questa necessaria operazione, l’ascolto fluirà più naturale e soddisfacente.

Ritrovare Phil Jonas “sG”, leader dei Secrets of the Moon, alle prese con un progetto progressive avrebbe potuto sorprendere diversi anni fa, ma di sicuro ciò non accade oggi, alla luce dell’evoluzione che nell’ultimo decennio ha visto la sua band principale evolvere da un black metal già di suo inquieto fino ad una forma che, almeno a livello di intenzioni, non e poi così lontana da quanto offerto con i Crone, a cui nome del resto era già uscito un primi album nel 2014.

In ogni caso, non avendo idea di quali siano le mosse previste per il prossimo lavoro dei Secrets of the Moon, credo che comunque il musicista tedesco abbia fatto bene fin da subito a riversare in un differente contenitore pulsioni che comunque non hanno alcun richiamo al metal.
L’operazione riesce in virtù del talento innato del nostro e della sua spalla musicale in tale frangente, Markus Renzenbrink (Embedded), anche se le brillanti intuizioni che hanno reso Sun uno dei dischi migliori degli ultimi anni qui vengono edulcorate, lasciando spazio ad un rock che alterna passaggi più malinconici e soffusi in quota Katatonia e affini ad altri più nervosi che costituiscono un ideale trait d’union tra i Secrets of the Moon ed i Crone.
Tra questi ultimi spicca senz’altro una traccia come Leviathan’s Lifework, dotata non solo di un buon tiro ma anche di ottimi passaggi chitarristici e nel complesso di linee melodiche più decisamente memorizzabili, mentre le più morbide e melodiche The Ptilonist, Mother Crone (un hard rock radiofonico con un testo splendido) e la conclusiva e lunga title track scorrono via leggere ma lasciando sensazioni oltremodo gradevoli.
Va detto che l’album, benché non sia un concept vero e proprio, a livello lirico tratta di argomenti tutt’altro che divertenti raccontando ogni volta di morti avvenute in circostanze particolari, alcune drammatiche (vedi il suicidio di un padre con la sua bambina in Mother Crone o il ben noto ritrovamento del piccolo profugo siriano sulla spiaggia turca di Bodrum in The Perfect Army),  altre a modo loro grottesche (l’esplosione accidentale di chi stava evidentemente preparando una attentato, in Leviathan’s Lifework, o quella del pioniere del paracadutismo Franz Reichelt avvenuta lanciandosi dalla Torre Eiffel, in The Ptilonist), il tutto però ammantato da sonorità tutt’altro che drammatiche ma semmai appena velate di malinconia.
Godspeed è un buonissimo disco, tutto da godersi anche per la sua orecchiabilità, a patto di non farsi condizionare dal fatto che vi è coinvolto l’autore di Sun; fatta questa necessaria operazione, l’ascolto fluirà più naturale e soddisfacente.

Tracklist:
1. Lucider Valentine
2. The Ptilonist
3. Mother Crone
4. The Perfect Army
5. Leviathan’s Lifework
6. H
7. Demmin
8. Godspeed

Line-up:
Pascal Heemann – Guitars / Vocals
Markus Renzenbrink – Drums / Guitars / Vocals
Phil “s G” Jonas – Vocals / Guitars
Daniel Meier – Bass Guitars / Vocals
Guest:
Job “Phenex” Bos – Keyboards / Organs

CRONE – Facebook

Hortus Animae – Piove Sangue – Live in Banská Bystrica

Piove Sangue – Live in Banská Bystrica è un gradito cadeau che, come contraltare, ci spinge a chiedere a Martyr Lucifer e ai suoi compagni di dare finalmente un seguito a Secular Music: i tempi paiono essere maturi.

Gli Hortus Animae sono una delle band icona del nostro metal estremo, in virtù di una discografia non ricchissima dal punto di vista quantitativo ma di valore inestimabile se la si misura attraverso parametri qualitativi.

Piove Sangue è il primo live offerto dalla band romagnola, guidata da Martyr Lucifer, che viene immortalata in quel di Banská Bystrica, amena località slovacca che ospita ogni anno un festival sempre molto ben frequentato.
Il set offerto è relativamente breve ma esaustivo delle varie fasi della carriera degli Hortus Animae, partendo dall’iniziale Furious Winds/Locusts, che era anche la traccia di apertura del seminale The Blow Of Fuorious Winds, per passare poi alle melodie chitarristiche che caratterizzano Chamber of Endless Nightmares e gli umori gotici di Doomsday (quest’ultima in versione accorciata), tratte dall’ultimo album di inediti Secular Music, per arrivare poi al Medley che assembla brani provenienti dal primo demo del 1998, An Abode for Spirit and Flesh, e dal successivo full length d’esordio The Melting Waltz, e all’ultimo inedito There’s No Sanctuary, facente parte dell’omonimo ep del 2016, altra canzone che mostra il caratteristico connubio tra metal estremo e sonorità gothic wave.
Come da abitudine consolidata anche nei lavori in studio, gli Hortus Animae chiudono questa celebrazione dei loro vent’anni di attività con la cover slayaeriana di Raining Blood (ecco spiegato il titolo dell’album) che vede quale ospite alla voce di Freddy Fredich degli storici thrashers tedeschi Necronomicon, con i quali i nostri hanno condiviso il tour europeo.
Piove Sangue – Live in Banská Bystrica è un gradito cadeau che, come contraltare, ci spinge a chiedere a Martyr Lucifer e ai suoi compagni di dare finalmente un seguito a Secular Music: i tempi paiono essere maturi.

Tracklist:
1. Furious Winds / Locusts
2. Chamber of Endless Nightmares
3. Doomsday
4. Medley: I – In Adoration of the Weeping Skies, II – Cruciatus Tacitus, III – Souls of the Cold Wind
5. There’s No Sanctuary
6. Raining Blood

Line-up:
Martyr Lucifer – vocals
Hypnos – guitars
Bless – keyboards
Adamant – bass
MG Desmadre – guitars
GL Ghöre – drums

HORTUS ANIMAE – Facebook

Will’O’Wisp – Mot

Se qualcuno necessitasse di un’opera da esibire quale esempio di death metal “progressivo ” nell’accezione più autentica del termine, Mot ne sarebbe l’ideale e più fedele istantanea.

I liguri Will’O’Wisp sono una tra le molte band la cui attività è iniziata nel secolo scorso e che, dopo una lunga interruzione, ha ritrovato impulso in questo decennio segnalandosi di nuovo all’attenzione delle frange di ascoltatori più attenti alle forme di metal estremo ed obliquo.

La ripartenza, avvenuta nel 2012, ha visto il fondatore Paolo Puppo radunare attorno a sé musicisti di comprovato spessore, a partire da Jacopo Rossi (Nerve, Antropofagus ed attuale spalla compositiva di Mike nei Dark Lunacy) al basso, Oinos (ex-Sadist e Node) alla batteria e alle tastiere, ed Emanuele “Deimos” Biggi (Mortuary Drape) alla voce.
Mot è quindi il terzo full length (dopo Kosmo ed Inusto) pubblicato da questa nuova incarnazione dei Will’o’Wisp, ed il quinto se consideriamo i primi due risalenti rispettivamente al 1997 (Enchiridion) e al 2001 (Unseen): a giudicare dal contenuto del lavoro si può tranquillamente affermare che oggi la band è una delle migliori espressioni in circolazione del death metal dalle sembianze technical/progressive, soprattutto perché l’abilità strumentale dei singoli viene messa al servizio di un songwriting pirotecnico, ma sempre focalizzato sull’imprescindibile forma canzone, unico antidoto al tecnicismo fine a sé stesso.
Gli undici brani contenuti nell’album sono sferzate brevi, violente ed imprevedibili, con l’apporto di “armi” non convenzionali come archi, fiati, percussioni e voci liriche offerte da una lunga serie di ospiti provenienti dalla scena genovese, incluso il più illustre di tutti,Tommy Talamanca, che ha offerto da par suo alcuni pregevoli passaggi di chitarra solista, oltre ad essersi occupato della produzione di Mot presso i suoi Nadir Studios.
E’ proprio grazie a tutto questo che ogni singola traccia possiede una vita propria e risulta funzionale alla riuscita di un album che non conosce punti deboli, regalando una serie di episodi micidiali come Throne of Mekal, Rephaim, Descending to Sheol e Rain of Fire, nei quali la base estrema viene messa costantemente in discussione dalle incursioni degli elementi sopracitati, con l’effetto di rendere il tutto irresistibile anziché frammentario, come si poteva paventare.
Un merito questo, da attribuirsi in toto a questo gruppo di musicisti capace di lasciare il segno con un lavoro snello per durata, ma sferzante e tagliente per effetto: se qualcuno necessitasse di un’opera da esibire quale esempio di death metal “progressivo ” nell’accezione più autentica del termine, Mot ne sarebbe l’ideale e più fedele istantanea.

Tracklist:
1. I Am Pestilence
2. Throne of Mekal
3. The Seven
4. Rephaim
5. Hall of Dead Kings
6. Banquet of Eternity
7. Descending to Sheol
8. Those of the Annihilation
9. Kavod
10. Rain of Fire
11. MLKM

Line-up:
Paolo Puppo – Guitar
Jacopo Rossi – Bass
Oinos – Drums, Keyboards
Deimos – Vocals

Guests:
Elisabetta Boschi – Flute
Micol Picchioni – Harp
Gabriele Boschi – Violin
Tommaso Sansonetti – Timpani
Gigi Magnozzi – Viola
Lorenzo Bergamino – Marimba
Benedetta Torre – Vocals (soprano)
Daniele Barbarossa – Vocals (additional)
Tommy Talamanca – Guitar
Andy Marchini – Bass

WILL’O’WISP – Facebook

Usurpress – Interregnum

Gli Usurpress usano tutte le armi a loro disposizione per cercare di non essere banali, pur riproponendo una formula già scritta in passato a cui aggiungono, appunto, ispirazioni progressive, oscure melodie doom e qualche accenno al melodic death metal.

Difficile non catalogare come progressive metal il sound di questo bellissimo album, quarto full length degli Usurpress, gruppo svedese attivo dal 2010 ma con una ricca discografia alle spalle.

Difficile, perché ad un primo ascolto l’anima estrema della band di Uppsala esce prepotentemente dai binari progressivi su cui viaggiano le sette tracce che completano Interregnum, mentre soffermandosi un poco si scoprono ispirazioni usate dai musicisti svedesi addirittura riconducibili agli anni settanta.
Registrato e mixato ai Dugout Productions della città finnica, uno studio che ha visto passare band del calibro di In Flames, Soilwork, Behemoth e Dark Funeral, l’album non inventa assolutamente niente, ma si muove nel territorio delle emozioni con la disinvoltura di chi sa come intrattenere gli amanti del progressive metal dal piglio estremo.
E gli Usurpress usano tutte le armi a loro disposizione per cercare di non essere banali, pur riproponendo una formula già scritta in passato a cui aggiungono, appunto, ispirazioni progressive, oscure melodie doom e qualche accenno al melodic death metal.
A Place In The Pantheon è l’inizio che non ti aspetti, con una progressive song quasi interamente strumentale e voci appena sussurrate che accompagnano chi ascolta verso il cuore dell’album, prima con il crescendo oscuro di In Books Without Pages, poi con le due nere perle che valorizzano tutta l’opera: Late in the 11th Hour e Ships of Black Glass (I: Shards, II: Black Echo) , in tutto diciassette minuti di death metal vario, tra forza estrema e melodie metal/rock che non lasciano sicuramente indifferenti.
Il trio (Stefan Pettersson al microfono, Påhl Sundström alla chitarra e Daniel Ekeroth al basso) viene aiutato in quest’opera dai bravissimi Stefan Hildman (batteria) e da Erik Sundström (tastiere), tutti musicisti dall’ottima tecnica e dal background che sconfina nel jazz e nella fusion, per una formazione di tutto rispetto.
Un altro ottimo lavoro progressivo, orientato verso il doom/death metal old school (Paradise Lost e Mobid Angel) e il progressive rock (Camel, King Crimson), quindi lontano dai deliri post che vanno tanto di moda oggi.

Tracklist
1. A Place in the Pantheon
2. Interregnum
3. In Books Without Pages
4. Late in the 11:th Hour
5. Ships of Black Glass (I: Shards, II: Black Echo)
6. The Iron Gates Are Melting
7. The Vagrant Harlot

Line-up
Daniel Ekeroth – Bass
Påhl Sundström – Guitars
Stefan Pettersson – Vocals

USURPRESS – Facebook

Astrolabio – I paralumi della ragione

La dimostrazione che il vero prog può esistere ancora, anche e soprattutto nel nostro paese, dove la tradizione al riguardo di certo non manca.

Veronesi, gli Astrolabio esistono dal 2009 (sono sorti dalle ceneri degli Elettrosmog, autori nel 2007 del buonissimo Omologando).

Il quartetto propone un validissimo rock progressivo italiano, cantato quindi in lingua madre (e non a caso questo I paralumi della ragione esce per la Andromeda Relix di Gianni Della Cioppa, che tanto ha scritto e ha fatto per il rock tricolore di qualità, specialmente underground). L’orientamento della band scaligera è da subito molto analogico e settantiano, caldo e valvolare. Liricamente, si va da squarci più intimi a testi più impegnati, anche qui in linea, del resto, con i nostri anni ’70. La libertà espressiva si candida, in questi solchi, ad essere la vera e propria cifra stilistica del gruppo veneto, che rifugge dai vincoli legati al genere e spazia non poco, anche a livello strumentale, oltre che di songwriting. Poca elettronica comunque, e moltissimo rock classico, scritto e arrangiato appunto in chiave prog. Tra Osanna e Locanda delle Fate (e gli Astrolabio hanno suonato dal vivo, fra l’altro, con entrambi): questi gli orizzonti del lavoro, che senz’altro incontrerà i favori di quanti giustamente amano queste sempreverdi ed eterne sonorità, belle e senza tempo. Un invito, quasi, a meditare, sull’oggi e sullo ieri. Rock e poesia in nome del prog, detto altrimenti. Un esperimento davvero riuscito.

Tracklist
1- Dormiveglia 1
2- Nuovo Evo
3- Una Cosa
4- Pubblico Impiego
5- Arte(Fatto)
6- Otto Oche Ottuse
7- La Casa di Davide
8- Sui Muri
9- Dormiveglia 2

Line-up
Michele Antonelli – Guitars / Vocals / Flute
Alessandro Pontone – Drums
Paolo Iemmi – Bass / Vocals
Massimo Babbi – Keyboads

https://it-it.facebook.com/AstrolabioRDI/

King Goat – Debt Of Aeons

I King Goat fanno musica portandoci molto lontano, e questa loro seconda prova è consigliabile ascoltarla con le cuffie, di modo che si possa gustare in maniera totale questo doom altro, che è sentimento più che un genere.

Pochi gruppi hanno la capacità di fare musica pesante e al contempo così melodica e fluida come i King Goat, da Brighton, Isole Britanniche.

Il loro secondo disco Debt Of Aeons è un esempio molto deciso e forte di come si possa fare musica partendo dal doom metal più classico, in stile Candlemass, per arrivare a parti addirittura più progressive con aperture molto ariose e potenti. I King Goat sono un gruppo assolutamente unico in quanto a peculiarità, in un genere che è sempre stato suonato ed ascoltato da veri adepti. Il gruppo inglese riesce sempre a trovare la giusta soluzione sonora, favorendo la melodia in ogni suo aspetto, da quello musicale a quello fisico, nel senso che la loro musica interagisce con le nostre cellule, facendole muovere. Il punto di partenza di tutto è il doom classico, che in Inghilterra trova un substrato molto fertile, sia nelle tradizioni popolari che nel gusto gotico, e anche nella tradizione musicale. Il doom qui si sublima e diventa molte cose, e come in un processo alchemico cangia forma molte volte, muta per trasformare la propria essenza e diventare un significato differente. Il filo conduttore del disco, che si può anche ritrovare nella splendida copertina di Travis Smith già autore di copertine degli Opeth, Katatonia e Iced Earth fra gli altri, è il pessimismo cosmico, insito sia nella natura umana che nell’osservazione di questo veloce declino che stiamo vivendo. Non rimarrà molto delle nostre vite e delle nostre sicurezze, dato che ci crediamo la civiltà superiore ma siamo solo una pessima parentesi di una storia fortunatamente più grande di noi. La grande musica dei King Goat è qui per ricordarcelo, e non si limita a questo dandoci un affresco molto preciso di eoni che ci hanno preceduto e di quelli che seguiranno a noi. Nei momenti più atmosferici del disco possiamo ascoltare il battito dello spazio, di ciò in cui siamo immersi, ma che nella nostra protervia giudichiamo inutile. I King Goat fanno musica portandoci molto lontano, e questa loro seconda prova è consigliabile ascoltarla con le cuffie, di modo che si possa gustare in maniera totale questo doom altro, che è sentimento più che un genere. Oltre ad una grande capacità compositiva i King Goat hanno il pregio di avere una visione poetica davvero diversa ed importante, che impatta nella loro musica che è già una cosa inedita e molto piacevole. Una seconda prova ancora meglio della precedente, che entra di diritto nel meglio della scuola inglese di musica pesante degli ultimi anni.

Tracklist
1.Rapture
2. Eremite’s Rest
3. Debt Of Aeons
4. Psychasthenia
5. Doldrum Sentinels
6. –
7. On Dusty Avenues

Line-up
Vocals: Trim
Lead Guitar: Petros
Rhythm Guitar: Joe
Bass: Reza
Drums: Jon

KING GOAT – Facebook

Oceans Of Slumber – The Banished Heart

The Banished Heart è compost da centinaia di sfumature che si fanno spazio tra una struttura metallica rocciosa ed estremamente dolorosa, spiegata attraverso interventi devastanti di un growl rabbioso e ribelle, alter ego della splendida voce femminile, talmente originale ed interpretativa da ferire profondamente, come un coltello che lacera lo spirito e l’anima.

The Banished Heart entra di diritto in quel lungo elenco di opere metal da dedicare a chi ha sempre denigrato il genere, tacciato di risultare un baccanale fine a se stesso senza arte ne parte o addirittura istigatore di atti condannati dai soliti benpensanti.

Anche perchè l’ultimo lavoro dei texani Oceans Of Slumber è per prima cosa un album estremo, vario nelle sue atmosfere che ovviamente rimangono drammaticamente oscure e pregne di quella melanconia gotica che lo portano a tratti verso il black metal, per poi virare nel più profondo abisso della nostra anima a colpi di death metal progressivo.
Centinaia di sfumature si fanno spazio tra una struttura metallica rocciosa ed estremamente dolorosa, spiegata attraverso interventi devastanti di un growl rabbioso e ribelle, alter ego della splendida voce femminile, talmente originale ed interpretativa da ferire profondamente, come un coltello che lacera lo spirito e l’anima.
La band statunitense appaga da ormai una manciata d’anni la voglia di lasciarsi emozionare degli amanti del genere, prima con il debutto Aetherial e poi con il piccolo capolavoro intitolato Winter, precedente album uscito nel 2016 e che aveva portato la band sulla bocca di fans e addetti ai lavori.
The Banished Heart è il suo degno successore, bellissimo scrigno di drammatiche, tragiche ed intimiste emozioni raccontate con la forza del metal estremo, delle sfumature notturne del gothic, della furiosa rabbia del black metal e della nostalgica melanconia del doom in un straordinario turbine di musica progressiva, ora elettrica e potentissima, ora delicata come le note di un piano che scava nell’anima ed accompagna l’elegante interpretazione di Cammie Gilbert, un angelo dalle ali spezzate, che canta direttamente al cuore di ognuno di noi.
Basterebbe la title track di questa mastodontica opera per crogiolarsi di emozioni per una vita intera, ma più di un’ora di musica di tale spessore non è troppa per dedicarle il nostro tempo, impiegato al meglio fin dall’opener The Decay Of Disregard, brano che riassume in otto minuti quello che l’album ci riserva  tutta la sua durata.
At Dawn, A Path To Broken Stars, il crescendo atmosferico di No Colour, No Light sono lame che si conficcano nella carne e non escono finchè non lacerano definitivamente cuore e anima, mentre Wayfaring Stranger, solcata da un anima ambient/folk, conclude questo bellissimo ed emozionante lavoro.
Gli Oceans Of Slumber ci hanno fatto partecipi di un opera d’arte e come tale The Banished Heart va ascoltato e custodito.

Tracklist
01.The Decay Of Disregard
02.Fleeting Vigilance
03.At Dawn
04.The Banished Heart
05.The Watcher
06.Etiolation
07.A Path To Broken Stars
08.Howl Of The Rougarou
09.Her In The Distance
10.No Color, No Light
11.Wayfaring Stranger

Line-up
Cammie Gilbert – Vocals
Anthony Contreras – Guitar
Sean Gary – Guitar
Keegan Kelly – Bass
Dobber Beverly – Drums

OCEANS OF SLUMBER – Facebook

Insaniam – Ominous Era

I cinque malati di mente che si nascondono sotto il monicker Insaniam regalano, almeno per i primi quaranta minuti un metal estremo davvero suggestivo, frenetico, moderno e schizofrenico il giusto per trasformare il proprio sound in un’alchimia tra il black metal ed il thrash progressivo suonato dagli Strapping Young Lad.

Leggenda vuole che qualche tempo fa, in un istituto psichiatrico, cinque individui ospiti della struttura furono rinchiusi per diverso tempo lontano da qualsiasi contatto con l’esterno: questo esperimento su menti già di per sé instabili portò ad un fenomeno patologico chiamato Insaniam.

Ora queste mostruose creature provenienti dalla Spagna sono libere di circolare e sfogare tutta la loro depravata pazzia usando il monicker dell’esperimento che li ha trasformati in macchine di tortura e depravazione, ed i risultati sono stati il primo ep licenziato tre anni fa (Neurotic Mental Storm) e, soprattutto, questo debutto sulla lunga distanza, intitolato Ominous Era, composto da undici brani dal sound strutturato su un black metal a tratti melodico, dalle ritmiche che in alcuni casi si avvicinano al thrash moderno e caratterizzato da digressioni progressive.
Detto così sembrerebbe di essere al cospetto di un debutto sopra le righe, ed in parte il giudizio si avvicina a questa affermazione, non fosse per una prolissità che porta inevitabilmente a perdere l’attenzione necessaria per arrivare in fondo all’ascolto.
E’ pur vero che i cinque malati di mente che si nascondono sotto il monicker Insaniam regalano, almeno per i primi quaranta minuti, un metal estremo davvero suggestivo, frenetico, moderno e schizofrenico il giusto per trasformare il proprio sound in un’alchimia tra il black metal ed il thrash progressivo suonato dagli Strapping Young Lad.
Ominous Era è un susseguirsi di cambi di tempo, sferzate black e ripartenze modern thrash da infarto, con lo scream pazzoide che tortura i padiglioni auricolari, vocine alterate provenienti da menti devastate dalla malattia ed atmosfere che inducono ad immaginare la cruenta vita di una casa degli orrori.
La band riserva il meglio alla partenza, con due brani di devastante pazzia come l’opener Disequilibrium e Let The Fever Explode, poi ci si assesta sui canoni descritti fino al capolavoro black/thrash metal Mother Whispers In My Ear.
Come detto, la fatica in seguito si fa sentire e si arriva agli attimi conclusivi di NNN, dalle atmosfere horror, con un leggero fiatone anche se in generale il giudizio sull’album rimane assolutamente positivo.
Consigliato ai fans del black metal più moderno e dalle melodie progressive, Ominus Era risulta un’ottima partenza per il gruppo spagnolo, speriamo solo che non vengano catturati e rinchiusi un’altra volta.

Tracklist
1.Disequilibrium
2.Let the Fever Explode
3.Epidemic Race
4.Primal Fear
5.Chrysalis
6.The Reign of Mist
7.Mother Whispers In My Ear
8.Vermin
9.Moths
10.Flesh That Fuels
11.NNN

Line-up
Neuros – Vocals
Dementh – Guitars
Theryan – Drums
Anxxiet – Guitars
Psycho – Bass

INSANIAM – Facebook

Mission Jupiter – Architecture

MetalEyes vi presenta il debutto dei Mission Jupiter, band bielorussa della quale Epictronic ci ha riservato una gustosa anteprima.

Architecture è il primo lavoro sulla lunga distanza del gruppo bielorusso Mission Jupiter, gustosa anteprima che Epictronic, label della famiglia Wormholedeath ha voluto offrire a MetalEyes.

Siamo lontani anni luce dal metal, e rimanendo in tema fantascientifico, tanto caro alla band di Minsk, direi che Architecture è un viaggio nello spazio profondo, nell’immensità dell’universo inteso anche come musica, che ci prende per mano e ci fa compagnia mentre la nostra mente attraversa galassie, nel silenzio profondo rotto dalla bellissima voce di Shevtsova Nastya e dei musicisti che compongono la line up dei Mission Jupiter.
La band risulta attiva dal 2015 e fino ad ora la sua discografia si componeva di due mini album ed un paio di singoli: Will You Be Loved è il video che anticipa l’uscita di questo debutto nel quale tutte le influenze del gruppo vengono inglobate in un sound contraddistinto da un’anima elettronica e bombardato da una pioggia di meteoriti proveniente da più di un genere/pianeta musicale.
Troviamo così liquidi tappeti elettronici, sontuosi passaggi orchestrali, alternative rock e partiture jazz/fusion, sax che irrompono donando un tocco progressivo ad una raccolta di brani che costituiscono le tappe di un viaggio/sogno nell’universo sopra di noi.
Non mancano ovviamente pochi ma importanti riferimenti alla new wave, così come alle colonne sonore di film come 2001 Odissea Nello spazio, valorizzando un sound particolare che si rivela una scoperta ad ogni passaggio, mentre con personalità debordante la vocalist delicatamente fa sue le nostre paure prima del conto alla rovescia e della partenza.
Will You Beloved è come detto il primo singolo, un brano bellissimo ma che rispecchia solo in parte quello che andrete ad ascoltare, dopo che il fiume di note elettroniche dell’opener The Dawn vi avrà aperto la porta del cielo dove i Mission Jupiter vi stanno aspettando.
The Sea Of Hope è un brano che ricorda i The Gathering di Nighttime Birds, mentre tra i tanti spunti diversi che l’album regala, non lasciando mai una semplice chiave di lettura, spunta il capolavoro I Will Survive, traccia progressiva nella quale la band suona jazz rock in un immaginario locale ubicato in qualche luogo prossimo ai limiti dello spazio conosciuto.
L’epico e progressivo strumentale a titolo Impulse chiude un album bellissimo e, a suo modo, originale; Architecture va ascoltato con la mente libera e gli occhi spalancati sul cielo stellato: non perdetevi questa esperienza unica.

Tracklist
1.The Dawn
2.I Have To Know
3.Either Dream Or Not
4.Will You Be Loved
5.The Sea Of Hopes
6.The Sea Of Hopes PT 2
7.Joy Of Life
8.I Will Survive
9.Interlude
10.The Call
11.Impulse

Line-up
Artyom Gulyakevich – Bass
Vladimir Shvakel – Guitar
Shevtsova Nastya – Vocals
Eugenue Zuev – Drums
Dmitri Soldatenko – Saxophone

MISSION JUPITER – Facebook

Malady – Toinen Toista

Non va mai oltre un soft rock progressivo la musica dei Malady: il cantato è pacato, e gli accenni alle jam liquide dei Pink Floyd offrono a tratti un confine più lontano, facendo volare la musica sopra le foreste ed i laghi, confondendosi con le nuvole nel cielo finlandese.

Il progressive rock dei finlandesi Malady è pacato, calmo, fresco e rilassante come l’acqua di uno dei mille laghi che si trovano sulla loro terra di origine: in una parola sognante.

Il quintetto di Helsinki dopo il debutto omonimo torna dunque con il suo rock progressivo che amalgama suoni retro rock, partiture soft vicino al jazz più lineare e indie rock, magari non come quello che siamo abituati ad ascoltare, ma sicuramente più maturo ed incastonato perfettamente nella struttura portante della musica del gruppo.
Toinen Toista è dunque la seconda opera di questa realtà musicale, un dolce peregrinare tra la natura finlandese alla quale la band dedica i testi cantati in lingua madre come nel primo lavoro, rimanendo confinata in un magico mondo underground dove possono trovare posto piccoli gioielli musicali, magari difficili da decifrare e reperire ma assolutamente affascinanti.
Non va mai oltre un soft rock progressivo la musica dei Malady: il cantato è pacato, e gli accenni alle jam liquide dei Pink Floyd offrono a tratti un confine più lontano, facendo volare la musica sopra le foreste ed i laghi, confondendosi con le nuvole nel cielo finlandese, mentre la title track ci dà il benvenuto e la lunga suite conclusiva, dal titolo Nurja Puoli (ventidue minuti di rock progressivo d’autore), tarsporta in un mondo fiabesco grazie alle note dell’hammond.
Toinen Toista è un’opera probabilmente destinata a rimanere confinata nel sottobosco musicale, ma in grado di regalare piacevoli emozioni a chi la vorrà cercare.

Tracklist
Tony Björkman – Guitar
Babak Issabeigloo – Guitar, Vocals
Juuso Jylhänlehto – Drums
Ville Rohiola – Hammond, Keyboards
Jonni Tanskanen – Bass guitar

Line-up
1.Toinen Toista
2.Laulu Sisaruksille
3.Tiedon Kehtolaulu
4.Etsijän Elinehto
5.Nurja Puoli

MALADY – Facebook

Visionoir – The Waving Flame of Oblivion

Un album frizzante e dal grande charme: l’ascolto che ne risulta è incredibilmente piacevole e di assoluto trasporto.

La musica dei Visionoir non è sicuramente di quella che trovi da tutte le parti. Il progetto nasce da un’idea di Alessandro Sicur, che fonda il progetto nel 1998 e lavora duramente a The Waving Flame of Oblivion, quest’album che esce solamente a fine 2017 dopo anni di rielaborazioni e nuovi contenuti.

Attesa lunga in stile (ormai) Tool, ma possiamo piangere da un solo occhio ascoltando i grandi risultati prodotti dal musicista friulano: il suo è un sound non inquadrabile in nessun genere preciso, e nemmeno identificabile da un singolo aggettivo. Questo è certamente il punto di forza del progetto, che propone uno sperimentalismo musicale variegato al 100% , prendendo elementi di post rock, avvertibile in pezzi come Coldwaves e A Few More Steps, progressive e space rock, ma non solo. Il sintetizzatore collabora nella creazione di tutto un universo musicale che schizza in mille direzioni e non è inquadrabile solamente nella categoria rock, per quanto già vastissima: basti ascoltare brani emblematici in tal senso come Shadowplay e Distant Karma.
L’artista esplora tutte le atmosfere possibili provocando nell’ascoltatore qualsiasi emozione meno che la noia. C’è sempre da aguzzare le orecchie durante l’ascolto, per cogliere ogni nuova sonorità introdotta nel viaggio musicale. L’unica band più rinomata, il cui sound è avvicinabile a ciò che il musicista italiano ha fatto, sono gli Arcane Alchemists, accompagnati da altri meno noti al grande pubblico.
Per il momento il nome Visionoir si trova tra questi ultimi ma siamo solo al primo vero e proprio album. Ci auguriamo solo che questo sia l’inizio una produzione più frequente negli anni a venire ma, ovviamente, senza mai cadere nell’errore opposto di sfornare album a raffica, come talvolta vediamo accadere ad altre one-man band.

Tracklist
1. Distant Karma
2. The Hollow Men
3. 7even
4. The Discouraging Doctrine of Chances
5. Shadowplay
6. Electro-Choc
7. Coldwaves
8. A Few More Steps
9. Godspeed Radio Galaxy

Line-up
Alessandro Sicur – Vocals, Keyboards, Piano, Bass, Programming

VISIONOIR – Facebook

Troll – Troll

Troll è un debutto di assoluta bellezza, che unisce il miglior prog degli anni settanta con la magia del rock e con un pizzico di metal, vivendo di soluzioni sonore molto belle e durature, le cui trame si espandono nelle nostre menti.

Incredibile debutto per questo gruppo di Portland, Oregon, capace di coniugare in maniera meravigliosa il prog con un rock metal molto anni settanta, riuscendo a riportare l’ascoltatore ai fasti del genere.

Tutto questo disco è magia, dalla prima all’ultima nota, sembra un viaggio in compagnia di Gandalf, senza le asprezze che dovettero subire i suoi amici, ma solo la dolcezza di vedere altri mondi. Il giovane gruppo americano ha pubblicato un demo nel 2015, per poi pubblicare poco dopo questo album omonimo, e le vendite andarono molto bene tanto da catturare l’attenzione della Shadow Kingdom Records che ha redatto questa ristampa in cassetta e cd e che, poi, pubblicherà il loro disco nuovo nel corso del 2018. Troll è un debutto di assoluta bellezza, che unisce il miglior prog degli anni settanta con la magia del rock e con un pizzico di metal, vivendo di soluzioni sonore molto belle e durature, le cui trame si espandono nelle nostre menti. Questo disco è uno di quei poco frequenti episodi che fanno ancora credere alla magia assoluta della musica, alla sua capacità catartica e taumaturgica. Ci si immerge in un suono caldo ed analogico che avvolge e fa stare bene, portando in luoghi lontani, in mondi che non possiamo vedere, vinti dal nostro materialismo sia spirituale che musicale. Da tempo non capitava di sentire un disco che colpisse così in profondità e con precisione sia cuore che cervello, trascinando tutto su un altro piano. Come esordio è incredibile e fa anche venire l’acquolina in bocca per il prossimo disco. Troll è un disco fantastico, un’epifania che arriva quando meno te l’aspetti, che fa star bene e che conduce in luoghi remoti dove tutto è possibile.

Tracklist
1.The Summoning / Troll
2.The Witch
3.An Eternal Haunting
4.Infinite Death
5.Savage Thunder

SHADOW KINGDOM – Facebook

Phendrana – Sanctum: Sic Transit Gloria Mundi

Anuar Salum offre una sua personale interpretazione del black metal avvolgendolo in un involucro progressivo ed atmosferico, optando così per un approccio più melodico che avanguardista.

Phendrana è il nome di questa one man band messicana al suo primo full length anche se, in effetti, risultano altri due lavori pubblicati in precedenza con il monicker Pakistum.

Ad ogni buon conto il bravo Anuar Salum offre una personale interpretazione del black metal avvolgendolo in un involucro progressivo ed atmosferico, optando così per un approccio più melodico che avanguardista.
Il primo brano di Sanctum: Sic Transit Gloria Mundi, la quasi title track, si rivela sufficientemente emblematico delle caratteristiche del sound con un impatto inizialmente piuttosto tradizionale ma diretto, per poi aprirsi in un rincorrersi travolgente tra chitarra e basso che, stranamente,  ricorda addirittura So Lonely dei Police.
Molto più eterea la terza traccia Ethereum, non solo per il titolo ma anche e soprattutto per il ricorso ad una voce femminile che ben conosciamo, trattandosi di quella di Vera Clinco dei Caelestis, solo sporadicamente sporcata dallo screaming del leader.
E’ sempre la brava Vera ad essere protagonista di Where Ages Meet che decolla, però, quando il musicista messicano sfoga la sua buon tecnica unita ad un indole compositiva di sicuro spessore, esaltata poi nella bellissima traccia conclusiva Gjenganger.
Forse Sanctum: Sic Transit Gloria Mundi soffre di un minimo di frammentarietà dovuta proprio all’anima progressiva che, talvolta, spazza via con prepotenza le più lineari partiture di matrice estrema; al riguardo non va sottovalutato il fatto che Anuar Salum, nonostante i cenni biografici iniziali possano far pensare il contrario, in realtà è giovanissimo essendo da poco diventato maggiorenne e sicuramente questo dato, alla luce delle basi già importanti gettate con questo suo primo lavoro su lunga distanza a nome Phendrana, ci induce a pensare a margini di miglioramento pressoché illimitati dei quali probabilmente vedremo i frutti in un prossimo futuro.

Tracklist:
1. Sanctum
2. The Threshold
3. Ethereum
4. The Dream
5. Where Ages Meet
6. The Bog
7. Gjenganger

Line-up:
Anuar Salum – All instruments, Vocals

Guests:
Vera Clinco – Vocals (tracks 3, 5)
AraCoelium – Vocals (choirs) (track 7)

PHENDRANA – Facebook

Hadeon – Sunrise

La musica progressiva degli Hadeon è fortemente influenzata da una manciata di icone del genere e non potrebbe essere altrimenti, ma le ottime melodie create si sommano ad un’innata presa dei brani che, pur concedendosi cambi di tempo e tecnicismi vari, puntano tutto sulla qualità di un songwriting ispirato.

Un’altra giovane band si affaccia sul panorama progressivo tricolore con un esordio che farà la gioia degli amanti del genere vecchi e nuovi.

Loro sono gli Hadeon, si sono formati a Udine quattro anni fa e Sunrise è il loro debutto, formato da una cinquantina di minuti di rock progressivo che si rafforza di sferzate metalliche ed ispirazioni che vanno dagli anni settanta ai giorni nostri.
Sette brani, sette malattie che i protagonisti raccontano tramite la musica che si fa sempre più drammatica e cupa in una escalation emozionale che risulta il punto di forza di Sunrise.
La musica progressiva degli Hadeon è fortemente influenzata da una manciata di icone del genere e non potrebbe essere altrimenti, ma le ottime melodie create si sommano ad un’innata presa dei brani che, pur concedendosi cambi di tempo e tecnicismi vari, puntano tutto sulla qualità di un songwriting ispirato.
Parti intimiste si alternano a più grintosi momenti nei quali il metal progressivo prende il sopravvento, per poi tornare a regalarci delicate trame semiacustiche (Never Thought), in un crescendo artistico che lascia a Lightline ed alla splendida Hopeless Dance il compito di accompagnarci alla porta musicale della title track ed entrare nel mondo degli Hadeon, tra eleganti attimi di poesia, crescendo metallici e aperture melodiche sopra le righe.
Con più Threshold che Dream Theater ad ispirare la parte moderna del sound, gli Hadeon non dimenticano gli insegnamenti dei maestri settantiani e ci consegnano un piccolo gioiello progressivo, contribuendo a mantenere su altissimi livelli la nuova scena prog tricolore.

Tracklist
1.Thoughts ‘n’ Sparks
2.Chaotic Picture
3.I, Divided
4.Never Thought
5.Lightline
6.Hopeless Dance
7.Sunrise

Line-up
Federico Driutti – Vocals & keyboard
Alessandro Floreani – Guitars
Fabio Flumiani – Guitars
Gianluca Caroli – Bass
Emanuele Stefanutti – Drums

HADEON – Facebook

Plurima Mundi – Percorsi

Percorsi è un magnifico spaccato di musica contemporanea: abbiatene cura, perché questa è arte nel senso più autentico del termine.

A conferma di come il rock progressivo sia la musica che, in tutte le sue centinaia di atmosfere e sfumature, più di ogni altra ha nobilitato la scena musicale italiana dal 1970 ad oggi, vi presentiamo Percorsi, seconda opera dei Plurima Mundi, creatura musicale del violinista e compositore Massimiliano Monopoli che, con l’aiuto di Massimo Bozza (basso), Grazia Maremonti (voce), Silvio Silvestre (chitarra), Lorenzo Semeraro (pianoforte) e Gianmarco Franchini (batteria) e dei testi scritti da Maria Giuseppina Pagnotta, dà un seguito alla prima opera Atto I risalente al 2009.

Ovviamente l’opera valorizza non poco il violino del maestro pugliese, specialmente nel bellissimo brano di apertura, la suite strumentale Eurasia, un crescendo entusiasmante di musica che dal classico passa al rock, mentre per godere della notevole interpretazione della cantante Grazia Maremonti bisogna attendere la successiva e progressiva E Mi Vedrai… Per Te.
Partiture lazz, intro che ricordano gli Yes (L… Tu Per Sempre), fughe strumentali che riportano alla mente la P.F.M,, sono parte integrante del bagaglio storico musicale immesso in questi cinque brani, anche se la personalità dei Plurima Mundi è fuori discussione, con le loro poetiche sonorità capaci di ipnotizzare l’ascoltatore.
La musica dei Plurima Mundi è un magico insieme di note provenienti da generi diversi ma inglobate in un sound progressivo che mantiene il suo approccio classico, così da ricordare i maestri settantiani, cambiando sfumature ed atmosfere in ogni passaggio e con il violino che si confronta con gli altri strumenti in un virtuale duello sullo spartito.
Percorsi, seconda bellissima opera di Massimiliano Monopoli e della sua splendida creatura, è un magnifico spaccato di musica contemporanea: abbiatene cura, perché questa è arte nel senso più autentico del termine.

Tracklist
1.Eurasia
2.E Mi Vedrai…Per Te
3.L…..Tu Per Smpre
4.Male Interiore…La Mia Età
5.L…Tu Per Sempre Single version

Line-up
Massimiliano Monopoli – violino
Grazia Maremonti – voce
Massimo Bozza – basso
Silvio Silvestre – chitarra
Gianmarco Franchini – batteria
Lorenzo Semeraro – pianoforte

PLURIMA MUNDI – Facebook

Tony Tears – Demons Crawl At Your Side

Un lungo monologo dell’orrore integrato da camei presi da opere cinematografiche e che, come da tradizione nella musica proposta da Tony Tears, alterna dark metal, elettronica e parti progressive dettate da tasti d’avorio che creano sfumature di inquietante musica dannata.

Torna il polistrumentista genovese Tony Tears con una nuova opera che segue di circa tre anni il precedente Follow The Signs Of The Time.

Demons Crawl At Your Side è un altra sinfonia dell’orrore targata Tony Tears, un musicista che ha contribuito in modo importante al metal/rock underground dalle tinte dark progressive con le tante collaborazioni illustri e le sue partecipazioni a progetti e tributi.
Aiutato dalla stessa formazione che lavorò sull’album precedente, e quindi composta da Regen Graves (batteria, basso – Abysmal Grief), David Krieg (voce – Soul of Enoch) e Sandra Silver (voce – ex Paul Chain), Tony Tears ci fa dono di un altra colonna sonora per i nostri incubi, tra possessioni e profondo terrore in un’atmosfera penetrante come la nebbia demoniaca che entra in noi e diabolicamente ci possiede.
Demons Crawl At Your Side è un lungo monologo dell’orrore, integrato da camei presi da opere cinematografiche e che, come da tradizione nella musica proposta da Tony Tears, alterna dark metal, elettronica e parti progressive dettate da tasti d’avorio che creano sfumature di inquietante musica dannata.
Tony Tears è un sacerdote diabolico che racconta il mondo dell’orrore attraverso una musica totale, legata da un filo invisibile alla cultura musicale e cinematografica del genere sviluppatasi in Italia negli anni settanta e ottanta (ottenendo poi uno status di culto anche a livello internazionale) che ha influenzato inevitabilmente generazioni di sceneggiatori, scrittori e musicisti.
Goblin, Death SS, The Black, Paul Chain, Black Hole sono gli artisti che più si avvicinano concettualmente all’esperienza sonora di Tony Tears che, ricordo, ormai da quasi trent’anni è dedito alla creazione di musica influenzata dalle proprie visioni spirituali, quindi profondamente personali ed uniche.
L’album viene licenziato dalla storica label Minotauro Records, in formato cd, ed in vinile dalla Blood Rock Records, un’opera che non può mancare nella discografia degli amanti del rock nero come la pece.

Tracklist
01. Psychic Exorcism
02. In Lilith’s Day
03. The Beast Inside The Beast
04. Fury Of Baphomet
05. Predication
06. Archangel Warrior
07. The Thin Shroud Of Moloch
08. Demon Always Stands At The Darkness Of Fear
09. Eternal Conflict

Line-up
Regen Graves – Drums
David Krieg – Vocals
Tony Tears – Guitars, Keyboards
Sandra Silver – Vocals

TONY TEARS – Facebook

Long Distance Calling – Boundless

I Long Distace Calling tornano su Inside Out con Boundless, un altro viaggio onirico e astrale tra il rock/metal del nuovo millennio, con ormai poche ispirazioni classiche e tanta musica moderna, originale e composta da un pugno di musicisti dal talento enorme.

Non sono mai stato un amante dei lavori strumentali, troppo spesso rifugio di musicisti dall’ego spropositato, composti da una valanga di note che alla fine non lasciano ricordo di se.

Questo avviene maggiormente proprio nel progressive, genere di cui si parla per questo sesto, bellissimo lavoro dei tedeschi Long Distance Calling, band che in passato aveva lasciato il microfono ma solo in alcune tracce a qualche ospite, tra cui John Bush (Armored Saints, Anthrax), e con un passato da alternative post rock band che con il passare del tempo ha venduto l’anima al demone progressivo con il precedente Trips a vestire i panni del capolavoro di una discografia di altissimo livello.
La band torna su InsideOut con Boundless, un altro viaggio onirico e astrale tra la musica rock/metal del nuovo millennio, con ormai più poche ispirazioni classiche e tanta musica moderna, originale e composta da un pugno di musicisti dal talento enorme.
Boundless è un lavoro da gustarsi in religiosa solitudine, chiudendo gli occhi ed aspettando che le note di In The Clouds ci facciano da tappeto volante, mentre Out There ci ha preparato con il suo alternare scudisciate post metal e progressive rock a quello che i Long Distance Calling hanno creato per noi.
La tensione elettrica rimane altissima anche nei momenti più introspettivi, tramite una musica che tende a liquefarsi ma che al tocco emana pericolose scariche elettriche (Like A River) o mastodontiche bordate metalliche (The Far Side) per poi riprenderci per mano come nulla fosse successo e così riportare il tappeto alla giusta altitudine per continuare il volo.
Siamo nel gotha del rock strumentale, poco incline ai facili compromessi, ma che lascia aperta una via a chiunque abbia ancora voglia di sorprendersi e mettersi in gioco con una varietà di sfumature ed atmosfere incredibili (On The Verge).
Boundless è un’opera a tratti entusiasmante giocando a suo piacimento con il progressive moderno, il metal ed il post rock.

Tracklist
1.Out There
2.Ascending
3.In The Clouds
4.Like A River
5.The Far Side
6.On The Verge
7.Weightless
8.Skydivers

Line-up
David Jordan – guitar
Florian Füntmann -guitar
Janosch Rathmer – drums
Jan Hoffmann – bass

LONG DISTANCE CALLING – Facebook

AElementi – Una Questione Di Principio

L’ennesima buona proposta dell’attivissima etichetta Andromeda Relix parla il linguaggio progressivo dei romani AElementi, quartetto romano nato una decina d’anni fa e solo ora giunto all’attenzione degli amanti del genere grazie al debutto Una Questione Di Principio.

L’ennesima buona proposta dell’attivissima etichetta Andromeda Relix parla il linguaggio progressivo dei romani AElementi, quartetto romano nato una decina d’anni fa e giunto solo ora all’attenzione degli amanti del genere grazie al debutto Una Questione Di Principio.

La band vede all’opera quattro ottimi musicisti come Daniele Lulli (chitarra), Francesca Piazza (voce), Manuele D’Anastasio (batteria) e Angelo Celani (basso), con la collaborazione di Dario Pierini (tastiere) creatori di un sound che pesca da varie correnti del mondo progressivo per un risultato apprezzabile.
Il cantato nel nostro idioma non inficia la resa di questi sei brani più intro, eleganti e sempre in bilico tra la tradizione italiana e le storiche band degli anni settanta, ed un più roccioso prog metal che modernizza e rende al passo coi tempi il sound di brani maturi e dalle gustose melodie come Lontananza, Straniero o Voce.
Le melodie, importantissime nella musica degli Aelementi, consemtono di fare agevolmente presa sull’ascoltatore, anche quello meno abituato alle impegnative sonorità del progressive rock, con il gruppo che, a camei strumentali dalle atmosfere settantiane e fughe strumentali che strizzano l’occhio al metal più raffinato, aggiunge linee vocali tradizionali nella musica tricolore: non solo rock quindi, ma anche piccoli passi nel pop d’autore.
P.F.M. e Le Orme vanno a braccetto con i più giovani e metallici Shadow Gallery e Threshold tra le trame di Vuoto e Addio, senza andare scalfire la spiccata personalità del gruppo capitolino.
Una Questione Di Principio è un buon lavoro rivolto non solo agli amanti del rock progressivo, ma sicuramente in grado di soddisfare una più vasta gamma di ascoltatori.

Tracklist
1.Principio
2.Lontananza
3.Vuoto
4.Straniero
5.Delirio
6.Voce
7.Addio

Line-up
Daniele Lulli – Guitars
Francesca Piazza – Vocals
Manuele D’Anastasio – Drums
Angelo Celani – Bass

Dario Pierini – Keyboards
Giordana Sanfilippo – Chorus
Carlotta Sanfilippo – Chorus

AELEMENTI – Facebook

Gabriels – Over the Olympus – Concerto for Synthesizer and Orchestra in D Minor Op. 1

Il progetto di questo disco è un affrontare l’ignoto, poiché nessuno aveva mai tentato di coniugare in un concerto i synth ed un’orchestra.

Potrebbe sembrare strano, ma ci sono ancora terre musicalmente vergini e piene di rigogliosi frutti che aspettano di essere colti.

Gabriels è molto più di un musicista e qualcosa in più di un compositore, è una mente ed un corpo votati totalmente alla musica, in quanto figlio d’arte e approfondito studioso della musica sia nella sua forma musicale che in quella fisica, come la foniatria. Innumerevoli sono le sue collaborazioni e le cose che ha fatto per la musica, spaziando dalla classica al metal, passando per il prog. Il progetto di questo disco è un affrontare l’ignoto, poiché nessuno aveva mai tentato di coniugare in un concerto i synth ed un’orchestra. Innanzitutto l’ascolto ci rende chiara l’assoluta godibilità di questo connubio, poiché come dice lo stesso Gabriels nell’intervista che ci ha rilasciato, se si trova la forma giusta si può fare tutto, e questo disco ne è la dimostrazione. Il concerto è una sorta di disco sugli dei dell’Olimpo, le loro gesta e le loro vicissitudini, quindi un qualcosa che deve essere rappresentato con maestosità. Il suono moderno del sintetizzatore si sposa molto bene con l’orchestra, e ci rimanda ai fasti sperimentali del prog anni settanta, quando la sperimentazione era la centro di molti percorsi musicali, totalmente scevri da qualsiasi intento commerciale, come è questo disco. La forza, la potenza e la bellezza della musica classica si incontrano con il suono moderno del sytnh per dare vita ad un qualcosa di totalmente nuovo che delizierà le vostre orecchie. Nella composizione l’attitudine è molto metal, poiché il synth viaggia spesso veloce e racchiude in sé ciò che potrebbe fare un gruppo musicale. Si viaggia veloce, ma tutto ha un suo tempo all’interno del disco, non c’è fretta poiché tutto segue un suo percorso ben preciso, e il genio di Gabriels tiene tutto assieme molto bene. Un disco che rimanda ad epoche lontane e ad alcune più vicine, sempre con la musica e l’amore per essa al centro, essendo questo una compenetrazione totale fra pensiero umano e composizione musicale. Musica classica progressiva.

Tracklist
01. Temple Valley (Andante)
02. By The Giant’s Eyes (Moderato)
03. Titans Versus Giants (Andante Con Moto)
04. Through White Clouds (Moderato)
05. The Magical Castle (Adagio)
06. Gods (Allegretto Con Fuoco)
07. Immortals (Epico)
08. Thunderbolts (Moderato)
09. Over The Olympus (Maestoso)

Line-up
Gabriels : composer
Strings Orchestra directed by Yusaku Yamada
Violins 1:
Ayaka Suzuki
Airi Tanaka
Daysuke Watanabe
Emi Inoue
Violins 2:
Goro Hayashi
Akemi Nakano
Kyoko Otonashi
Hitomi Miura
Junko Nakagawa
Violas:
Osamu Okamoto
Noriku Sakamoto
Aimi Ishii
Cellos:
Akane Maeda
Chira Abe
Emi Kimura
Hanako Inoue
Basses:
Izumi Yamamoto
Kaori Watanabe
Iroshi Shiba
Yusaku Godai
Piano:
Giovanni Puliafito
Harp:
Masakatsu Katsura
Percussions:
Hyo Shimizu
Timpani:
Kaori Matsumoto

GABRIELS – Facebook

Perfect Beings – Vier

I quattro brani, divisi in quattro splendide suite, nella versione in doppio vinile coprono ogni lato per un tuffo nel progressive d’autore, per una volta concepito fuori dalle mode del momento e più in linea con le creazioni dei mostri sacri del progressive rock settantiano.

I progsters statunitensi Perfect Beings le basi per arrivare a questo ultimo lavoro le hanno poggiate già da qualche tempo.

Ryan Hurtgen, Johannes Luley e Jesse Nason creano musica progressiva di altissimo livello da una manciata d’anni, prima con il debutto omonimo, seguito da II, licenziato nel 2015 e ora con Vier, mastodontico album di musica progressiva, come si faceva una volta.
I quattro brani, divisi in quattro splendide suite, nella versione in doppio vinile coprono ogni lato per un tuffo nel progressive d’autore, per una volta concepito fuori dalle mode del momento e più in linea con le creazioni dei mostri sacri del progressive rock settantiano.
Non fraintendetemi, Vier non è affatto un album vintage, lo spartito e la conseguente valanga di note che il gruppo ci riversa addosso ha i piedi ben piantati nel nuovo millennio, così che l’album si cibi di soluzioni moderne ma dall’approccio assolutamente tradizionale, facendone uscire qualcosa di imperdibile per gli amanti del rock progressivo.
Guedra, The Golden Arc, Vibrational e Anunnaki sono i titoli delle quattro suite, divise a loro volta in capitoli e che formano un opera d’altri tempi ma dal mood assolutamente targato 2018, tra bellissime melodie di fiati, digressioni jazzistiche, fughe rock ed un uso delle voci incantevole (Ryan Hurtgen nel suo personale approccio al canto si può certamente definire il nuovo Jon Anderson).
In tutta questa meraviglia sonora dalla durata proibitiva, se non si ha il tempo e la concentrazione necessaria per seguire l’opera nella suo lungo dipanarsi tra atmosfere sulfuree e sfumature fluttuanti, i tre musicisti navigano a vele spiegate verso una consacrazione meritata tra i raffinati e conservatori gusti degli appassionati di progressive rock, regalando la loro personalissima versione della musica di Yes, King Crimson e Genesis.
A tratti sorge il dubbio che l’atmosfera tradizionale di Vier possa far storcere il naso a chi apprezza le nuove sonorità progressive, e che i suoi arrangiamenti e le atmosfere moderne confondano i fans con più di un capello bianco, ma sono dettagli che la bellezza della musica spazza via per lasciare solo la sensazione di essere al cospetto di un album straordinario.

Tracklist
1.Guedra – A New Pyramid
2.Guedra – The Blue Lake Of Understanding
3.Guedra – Patience
4.Guedra – Enter The Center
5.The Golden Arc – The Persimmon Tree
6.The Golden Arc – Turn The World Off
7.The Golden Arc – America
8.The Golden Arc – For A Pound Of Flesh
9.Vibrational – The System And Beyond
10.Vibrational – Mysteries, Not Answers
11.Vibrational – Altars Of The Gods
12.Vibrational – Everywhere At Once
13.Vibrational – Insomnia
14.Anunnaki – Lord Wind
15.Anunnaki – Patterns Of Light
16.Anunnaki – A Compromise
17.Anunnaki – Hissing The Wave Of The Dragon
18.Anunnaki – Everything’s Falling Apart

Line-up
Ryan Hurtgen – Vocals, Piano
Johannes Luley – Guitar, Bass, Production
Jesse Nason – Keyboards
Ben Levin – Drums

PERFECT BEINGS – Facebook