Pergale – Antropologija

Vilnius è una potenziale Berlino, per gruppi che si creano e brevettano in una potenziale officina.

Aria di primavera, quella fatta di piogge in previsione di cambio clima. Aria fresca e nuove sonorità che cambiano le pastorizie dell’anno passato.

Questo è ciò che si percepisce, almeno dopo pochi minuti di A boy’s night out, traccia apripista del secondo album registrato in studio dal quintetto lituano. Mi sono stupito da come, in poco tempo, tante coincidenze sono affiorate in un’ottima sequenza motorhediana, prog, growling e psycho black. Le chitarre volano senza perdere tempo, si lanciano in fughe e ritornano schiumanti, aggressive e potenti. Questa formula di originalità e di eclettismo, in una prima traccia sempre lascia di stucco, sperando che la seconda a seguire non sia una ripetizione … e così sia . Un tuffo nel vicino passato in cui ancora i Type 0 Negative regalavano la loro attitudine devota a un dark colorato, sinuoso e ammiccante: Estonian Lesbians  ci riporta a quei pomeriggi trasognanti in cui il cimitero monumentale di qualsiasi città faceva probabilmente da anfiteatro malinconico di lunghe passeggiate, per interminabili tattiche su come conquistare la ragazza wave dai capelli colorati e vestita di nero. Buona la voce che assieme alla chitarra comprime molta più energia di quanta già ce ne sia, bilanciando il ritmo sincopato. I cori e le voci femminili aiutano le note del piano ad uscire trionfalmente, un taglio di ballad ad addolcire i toni post black ( anche se siamo lontani dagli Altar of Plague ). Anche perché, per una traccia come Durnius, è necessario un attimo di catarsi, una condizione di necessaria logica, prima di perdersi nella marcia psichedelica che ne consegue. Credo che in questa traccia si assommi l’intero universo Pergale, riconducibile ad un luna park con diverse insegne accattivanti, colorati e smerigliate. Questa marcetta psichedelica ci fa contenti, perché tutti i membri funzionano al loro meglio, e ci stupiscono per la terza volta consecutiva. Bene così, la scaletta funziona ed il disco acquisisce punti . Viskis II riprende in un inciso la traccia contenuta nel precedente Horizontalios maldos palaima, Viskis (Whiskey) e non possiamo fare a meno di fermarci un attimo a pensare a cosa stia dicendo. Qualsiasi cosa sia non importa, ha l’impatto confortevole e coinvolgente di una storia dimenticata e raccontata affettuosamente. Les Yeux Rouges si erige in tutta la sua verticale monumentalità con riff decisamente coinvolgenti e trasognanti: l’intro leggermente epico riporta la normalità con un mid-tempo piacevole, leggero e tonale, compatto. Gabriel the Norwegian è una gran bella invenzione che delizia e scalda i cuori , strizzando l’occhio ai paradigmi del black metal.
Il disco è fatto bene, appartiene a quell’alta fedeltà che mai è fuori moda.

TRACKLIST
1.A Boy’s Night Out
2.Estonian Lesbians
3.Durnius
4.Viskis II
5.Les Yeux Rouges
6.Gabriel the Norwegian

LINE-UP
7 – Vocals
Gusmanas – Guitar
Demonas – Bass
Levas – Keyboards
Ilja – Drums
Simas – Guitar

PERGALE – Facebook

Temple of Dust – Capricorn

Otto brani, otto viaggi lisergici nella musica dura, otto composizioni che si nutrono di heavy rock, psichedelia, stoner e sostanze illegali, otto danze sabbatiche, litanie messianiche che portano allo sfinimento fisico e mentale.

Otto brani, otto viaggi lisergici nella musica dura, otto composizioni che si nutrono di heavy rock, psichedelia, stoner e sostanze illegali, otto danze sabbatiche, litanie messianiche che portano allo sfinimento fisico e mentale.

Capricorn, debutto sulla lunga distanza dei lombardi Temple Of Dust, prodotto rigorosamente in vinile dalla label romana Phonosphera Records, non concede nulla in facili melodie, bisogna lasciarsi andare e farsi trasportare dalle note sporcate dal blues, violentato da noise e fuzz e dal cantato ruvido e allucinato da effetti e riverberi, come in un trip lungo quaranta minuti.
La band, nata in Brianza da un’idea del bassista/cantante Miky Bengala, a cui si aggiungono il chitarrista Mr. Diniz ed il batterista Beppe Gagliardi, arriva all’esordio dopo due ep, Capricorn del 2014 e Requiem For The Sun dello scorso anno, con questo album che riprende tutti i brani contenuti nei precenti lavori.
Difficile trovare una descrizione precisa per la musica del gruppo, inglobate nel sound del trio vivono molte anime, imprigionate da questo terribile demone lisergico in un unico spartito.
Capricorn va ascoltato come una lunga jam dove al suo interno umori diversi compongono una sola lunga danza messianica, drogata di psichedelia, stravolta da elettricità noise, appesantita dal groove stonerizzato e dalle reminiscenze sludge, un altare costruito con pietra vulcanica e reso monolitico da una gettata di cemento lavico dalla pesantezza sovraumana.
Non un minuto di questo lavoro è concesso a note in linea con le mode di questi tempi, la base su cui si staglia questo tempio di musica, che più underground di così non si può, riconduce agli anni settanta e verrà sicuramente apprezzata dagli amanti di Blue Cheer, Hawkwind e Black Sabbath.
Dalla title track fino alla conclusiva White Owl è un lungo discendere nella bocca di un vulcano verso il centro della terra, per incontrare il demone carceriere e tentare di liberare le anime imprigionate nel sound di Capricorn, ma non ci riuscirete, capitolerete prima, molto prima.

TRACKLIST
1.Capricorn
2.Temple of Dust
3.Requiem For The Sun
4.Szandor
5.Thunder Blues
6.Goliath
7.Lady Brown
8.White Owl

LINE-UP
Miki Bengala- Vocal, Bass
Mr. Diniz-Guitar
Beppe Gagliardi-Drums

TEMPLE OF DUST – Facebook

Stoned Jesus – Stormy Monday EP

Ristampa dell’EP Stormy Monday del 2011, la Heavypsychsounds ci fornisce un’ottima occasione per poter avere in casa uno dei primi lavori della band ucraina in formazione completa.

A meno di sei mesi dall’uscita del precedente The Harvest il trio ucraino si ripropone al pubblico con la ristampa dell’EP Stormy Monday, datato 2011, che ripropone la title track in due diverse versioni, una cover dei californiani Red Temple Spirits (Bear Cave) e una canzone insolitamente veloce, quasi punk hardcore della durata di 2 minuti.

Interessante e estremamente gradevole l’inizio di Stormy Monday, esempio di amore disilluso. Da cantare in solitario quando le cose vanno male o si è contrariati.
Bear Cave è una ballata triste e sconsolata, il cui inizio è accompagnato solo da chitarra acustica e voce, piuttosto sofferente. E il testo può essere sia una metafora della vita dell’uomo, sia semplici parole sconnesse di un uomo che vive isolato. A metà l’esplosione sullo stile di Eye Of Every Storm dei Neurosis. Lacerante nelle interiora, piena di rassegnazione, espressa anche attraverso suoni sporchi, manifestazione di una registrazione non proprio efficace. Tributo buddista al nulla.
Drunk And Horny inneggia al puro divertimento, canzone da non cantare alla propria metà, ma piuttosto da serata in cui ci si vuole caricare per andare a rimorchiare, per finire in modo decisamente rovinoso.
Nella extended version gli assoli di chitarra alternano note psichedeliche con tratti decisamente più progressive, anche se rimane un movimento di sottofondo, riff stoner doom che poi sono quelli che chiudono la canzone.
Un album stoner decisamente più tendente alla psichedelica, ma vista la durata e il numero di canzoni, ad uso di collezionisti.

TRACKLIST
1. Stormy Monday (edit)
2. Bear Cave
3. Drunk And Horny
4. Stormy Monday (extended)

LINE-UP
Igor Sydorenko- chitarra, voce, campionamenti
Sergey Sliusar – basso
Vadim Matiiko – batteria
Sergey Nesterenko – tastiere, mix

STONED JESUS – Facebook

Birth Of Joy – Get Well

Per chi vuole qualcosa in più della nostalgia.

Fragorosa e potente band olandese dedita ad un vitaminico sound anni settanta.

I Birth Of Joy scavano dentro all’infinito tunnel della psichedelia anni sessanta e settanta, e portano alla luce riff importanti e gemme di vecchio stile rivestito di un moderno acciaio.
Non c’è solo il recupero dell’antichità poichè il loro pregio maggiore è un suono molto compatto e con un organo che detta il viaggio a chitarra e batteria, rendendo il tutto molto vicino alla psichedelia californiana anni sessanta. Il loro calore su disco deriva dalla grande esperienza dal vivo, hanno suonato molti concerti soprattutto in Europa e non solo. Get Well è ben bilanciato e ben composto, suona bene e ha un impianto molto solido. Sesto disco che dovrebbe essere quello di una consacrazione che meritano ampiamente, poiché sono davvero godibili.
Per chi vuole qualcosa in più della nostalgia.

TRACKLIST
01 Blisters
02 Meet me at the bottom
03 Choose sides
04 Numb
05 Midnight cruise
06 Carabiner
07 Those who are awake
08 You got me howling
09 Get well
10 Hands down

LINE-UP
Kevin Stunnenberg – Vocals & Guitar.
Bob Hogenelst – Drums & backing vocals. Gertjan Gutman – Organ & Bass.

BIRTH OF JOY – Facebook

Mountain Tamer – Mountain Tamer

Mountain Tamer hanno dentro di loro una fortissima matrice doorsiana, soprattutto per la composizione, per quella capacità musicale che fa viaggiare il nostro cervello su spiagge ventose e su pianeti lontani.

Esordio per questo gruppo californiano che stupisce davvero molto.

I Mountain Tamer sono di Santa Cruz, California e fanno una musica che lievita fra psych pesante, fuzz, stoner e puntate in qualcosa di più duro. In definitiva fanno un disco davvero potente ed impressionista, pennellando i più disparati stati mentali. I Mountain Tamer hanno dentro di loro una fortissima matrice doorsiana, soprattutto per la composizione, per quella capacità musicale che fa viaggiare il nostro cervello su spiagge ventose e su pianeti lontani. Lo stile passa dagli anni settanta ad un sentimento più grunge, soprattutto nella maniera di insistere su taluni passaggi tipica degli anni novanta. La qualità è altissima, e il gruppo non sbaglia una nota, rendendo questo disco un momento davvero piacevole. Ci sono anche momenti più duri e sono notevoli poiché si amalgamano benissimo con le parti più psych. Mountain Tamer è un compendio di psichedelia moderna, con una progressione notevole. Il disco è buono anche per mettersi e passare un momento maggiormente lounge, se così si può dire. Un ottimo debutto e uno dei migliori dischi del buon catalogo dell’Argonauta Records.

TRACKLIST
1.Mindburner
2.Knew
3.Dunes Of The Mind
4.Vixen
5.Wolf In The Streets
6.Sum People
7. Satans Waiting
8.Pharosite

LINE-UP
Andru – Guitar – Lead vocals/loud noises)Casey Garcia(Drums/vocals/art design) Dave Teget(Lead Bass/vocals/private security)

MOUNTAIN TAMER – Facebook

Elevators To The Grateful Sky – Cape Yawn

Gli Elevators To The Grateful Sky si confermano come una magnifica realtà fuori dagli schemi prefissati del rock attuale, con un altro capolavoro che li eleva a gruppo di culto.

Elevators To The Grateful Sky, Sergeant Hamster, Haemophagus, Undead Creep, per molti saranno nomi poco conosciuti, ma per chi segue l’underground e le ‘zine di riferimento come la nostra, sono tasselli musicali che formano un mondo metal/rock, nella regione più a sud della nostra penisola, la Sicilia.

In quel di Palermo vivono e si riproducono questi virus di musica del diavolo, che hanno nel loro dna molti dei generi di cui il nostro mondo è composto, dal più estremo death metal, allo stoner, dal doom all’hard rock settantiano, tutti suonati in modo originale, per niente scontato, miscelandoli a dovere con garage, psichedelia, progressive e tanto rock’n’roll.
Cloud Eye, primo lavoro dei fenomenali Elevators To The Grateful Sky, licenziato nel 2013 e finito inesorabilmente nella mia play list di quell’anno, seguiva il primo ep omonimo e vedeva la band di Sandro Di Girolamo (ex Undead Creep) alle prese con un capolavoro di musica desertica, psichedelica, matura, probabilmente favorita da un caldo territorio che richiama le aride distese che si trovano sul suolo americano e che hanno influenzato quarant’anni di rock.
Al fianco di Di Girolamo troviamo sempre Giuseppe Ferrara alla sei corde, Giulio Scavuzzo alle pelli e Giorgio Trombino, chitarra e basso, per il secondo viaggio nel mondo di questa musica senza barriere, ancora una volta persi in un universo sonoro, colorato come un arcobaleno di generi uniti tra loro e che vivono in perfetta simbiosi nello spartito del gruppo siciliano.
Cape Yawn perde leggermente le sfumature grunge per avvicinarsi molto al garage, specialmente nei primi brani, Ground e Bullet Words, che partono sgommando e l’elettricità è subito altissima, le ritmiche rock’n’roll della prima lasciano il posto a quelle stonerizzate della seconda, pregne di riff estrapolati dal decennio settantiano, mentre garage rock e stoner compongono la inyourface All About Chemistry, in un’improbabile ma affascinante jam fra Miracle Workers e Fu Manchu.
Scaldata l’atmosfera, il gruppo da Dreams Come Through in poi dà letteralmente spettacolo, la sabbia calda brucia i piedi, la bocca si inaridisce e veniamo scaraventati in pieno deserto: A Mal Tiempo Buena Cara accompagnata da un riff sabbatiano, ci inonda di doom psichedelico, Di Girolamo canta come un Morrison intrippato per i Kyuss ed il disco prende il volo per non scendere più dal livello di capolavoro.
Kaiser Quartz e la monolitica I, Wheel, su un altro album sarebbero top songs, ma nel mondo Elevators, queste due perle di doom/stoner, vengono solo prima della title track, il brano perfetto, liquido, ipnotico, tremendamente sensuale, come un serpente sinuoso che disegna il suo corpo sulla sabbia, entra in noi e ci avvelena di psichedelia, con un intervento di sax nel finale che è un colpo di grazia alle nostre menti perse in questo arcobaleno.
Laura è uno strumentale dedicato a Mark Sandman, frontman dei Morphine, altro nome importantissimo per lo sviluppo di Cape Yawn, mentre l’hard rock di Mountain Ship e Unwind , sorta di outro liquida, chiudono questo ennesimo capolavoro del gruppo siciliano.
L’album è stato stampato solo in vinile ed è accompagnato dalla splendida copertina disegnata da Di Girolamo, che si dimostra artista a 360° come la sua splendida musica, mentre gli Elevators To The Grateful Sky si confermano come una magnifica realtà fuori dagli schemi prefissati del rock attuale, con un altro capolavoro che li eleva a gruppo di culto.

TRACKLIST
1. Ground
2. Bullet Words
3. All About Chemistry
4. Dreams Come Through
5. A Mal Tiempo Buena Cara
6. Kaiser Quartz
7. I, Wheel
8. Mongerbino
9. Cape Yawn
10. We’re Nothing at All
11. Laura (one for Mark Sandman)
12. Mountain Ship
13. Unwind

LINE-UP
Sandro Di Girolamo – voce, percussioni
Giorgio Trombino – chitarra, basso, sax contralto, conga, tastiere, voce
Giuseppe Ferrara – chitarra
Giulio Scavuzzo – batteria, darbouka, tamburello, percussioni, voce

ELEVATORS TO THE GRATEFUL SKY – Facebook

Dead Girl Diamonds – I’m Going To Stop Killing And Start Giving Birth

Sotto il cielo buio di Rauma, risplende tra i boschi suburbani un diamante, la cui luce dipana un’effimera energia, da spiazzare il fumo delle industrie nella zona portuale.

E non soltanto dal 27 marzo, ma da quando Mia Skön, dieci anni, fa debutta con l’ep “pilota” Dead Girl in versione DIY, stile che oltre a calzarle come un guanto battezza la sua crescita.
Album, questo, impegnativo e verace, classico e ben realizzato che conferma, una volta ascoltati su bandcamp i precedenti, la realizzazione artistica indipendente da qualsiasi altro cliché.
Già lo si intuisce dall’epos che si impone nell’ouverture di War Bonnet, in cui Lauri Palonen si presenta felicemente nella sua versatilità tonale. Non è affatto un album scontato, e così continua da Heather in avanti: accordi severi raddolciti da arpeggi stranianti scuotono i luoghi comuni che allontanano i paragoni dagli oramai lontani Sonic Youth.
A mio parere, all’interno della cornice delle canzoni, si combinano diverse reazioni da elementi molto basici ed è proprio in questo che la riuscita dell’album in questione vive, respira e illumina l’ascoltatore.
C’è un motivo che porta a riascoltare più volte i 10 veri e propri diamanti estratti dal quartetto finlandese: il sottile e intrigante fascino dell’innamoramento.
Ottimo il mixaggio di Markus Pajakkala e la registrazione di Vesa Sillvan che probabilmente saranno confermati per la prossima uscita, in gennaio, di un ep necessario per chiudere l’enciclica saga. Questo ha il significato di un asso di diamante e ben altro..

TRACKLIST
1 War Bonnet
2 Heather
3 Only let it be no war
4 Another girl Done Gone
5 How Long
6 God’s great Blow Job
7 Beyond Your eyes
8 Library man
9 Sea Blind
10 I’m Going To Stop Killing And Start Giving Birth

LINE-UP
Mia Skön – voce , synth e chitarra ritmica
Lauri Palonen – Chitarra solo
Kosti Uusi-Kartano – Basso
Karoliina Laukola – Batteria, cori

DEAD GIRL DIAMONDS – Facebook

Psychedelic Witchcraft – Black Magic Man

Questo 10″ è una carezza, un profondo atto d’amore verso un certo tipo di musica e di retaggio culturale che va dai Black Sabbath a Lucio Fulci, passando per pupille senza colore e sguardi alla volta celeste.

Un salto indietro nel tempo, un disco di razza per una grande cantante ed un gruppo molto valido.

Le atmosfere sono quelle rarefatte e fumose degli anni settanta, con un doom rock in stile Jex Thoth, ma con un’anima maggiormente aperta allo spettro di quegli anni.
Non è un’operazione vintage, ma l’espressione di una grande cultura musicale unita ad una passione fuori dal comune, che è quella di Virginia Monti, giovane donna che sa molto ciò che vuole, e ci porta per mano in un immaginario pagano che è assai più vero e calzante di quello che ci viene propinato ogni giorno.
Questo 10” è una carezza, un profondo atto d’amore verso un certo tipo di musica e di retaggio culturale che va dai Black Sabbath a Lucio Fulci, passando per pupille senza colore e sguardi alla volta celeste.
La produzione rende pienamente merito a questo disco che è senz’altro l’inizio di una grande carriera. Non si può non rimanere impressionati dalla potenzialità di Virginia e del suo gruppo, che sembrano già consumati veterani.
Black Magic Man non ha bisogno di essere gridato o suonato a mille, ha soltanto un vitale bisogno di girare sul vostro giradischi, mentre interrompete lo stupro perpetrato ai vostri danni dalla vita moderna e vi lasciate guidare da Virginia.
Non ci saranno difficoltà ad immergersi in un piacevole liquido, dove il femmineo la farà da padrone, come è giusto che sia, riportando a casa ciò che è nostro e che ci è stato negato da almeno duemila anni.
Bello, piacevole ed è un ep che uscirà questa estate.

Tracklist:
1 Angela
2 Lying on Iron
3 Black Magic Man
4 Slave of Grief

PSYCHEDELIC WITCHCRAFT – Facebook

Satori Junk – Satori Junk

Debutto per questi rumorosi milanesi che conoscono a fondo l’arte di catturare l’ascoltatore in spirali soniche.

Debutto per questi rumorosi milanesi che conoscono a fondo l’arte di catturare l’ascoltatore in spirali soniche.

Nel loro suono non troviamo nulla di veramente innovativo, poiché c’è la più grande delle ricchezze per un disco: farsi ascoltare molte volte e non averne abbastanza.
Questi ragazzi hanno un suono molto simile agli Electric Wizard, temi in quota Black Sabbath e comunque hanno più di un piede nel suono stoner, ma la loro caratteristica principale è questo groove molto pieno che li porta a spiccare.
Le canzoni sono lunghe, tutte superano i cinque minuti, ma tengono incollati alle casse o alle cuffie, ad aspettare ciò che viene dopo il primo riff, dopo il giro di batteria, senza mai annoiare.
I Satori Junk fanno sembrare semplice ciò che molti gruppi fanno con estrema difficoltà, ovvero sono naturali e hanno composto un disco che è la summa di tutto ciò che sono stati fino ad ora, gettando le basi di un buon futuro.
Questi otto pezzi non sono che l’inizio in territorio discografico di un cammino che spero per loro e per noi, li porti molto lontano.
Con i giusti volumi questo disco omonimo farà tremare più di un muro, avendo al suo interno pesantezza e potenza, ma anche tanta melodia, e un alto indice di gradimento sia per chi già conosce questo suono, sia per chi lo bazzica meno.
Satori Junk si rivolge, anche a causa della sua natura, al di fuori dello stretto ambito stoner, ponendosi come un disco a cui stanno strette le definizioni, anche perché è forte la componente psych anni settanta senza essere affatto predominante.
Un ascolto che ha diverse facce ed un solo grande groove.

Tracklist:
1. T.T.D.
2. Spooky Boogie
3. Monsters
4. Shamaniac
5. Blessed Are The Bastards
6. Ritual
7. Lord Of The Pigs
8. Queen Ant Jam

Line-up:
Luke – Voce, Synth
Chris – Chitarra
Lorenzo – Basso
Max – Batteria
Alessandro – Roadie e Uomo Banchetto

SATORI JUNK – Facebook

L’Ira Del Baccano – Terra 42

Un grande disco, pieno di prati e pianeti dove riposare il nostro stanco cervello e poter riscoprire una nuova Terra, che potrebbe essere proprio la 42.

Movimento cerebrale continuo per una band che dà il meglio nelle jam sessions.
L’Ira Del Baccano è semplicemente uno dei migliori gruppi italiani nell’ambito psych rock: le loro canzoni sono lunghi viaggi, riproduzioni di tessuti multimolecolari di note, sequenze di un dna musicale che parte dai Grateful Dead ed atterra negli Hawkwind, passando per la mutazione dei Black Sabbath.

Nati come Loosin’ O’ Frequencies da Alessandro “Drughito” Santori e Roberto Malerba, i nostri incidono un mini cd prodotto da un certo Paul Chain (che, se andiamo a ben vedere, ha influenzato gli ultimi venti anni di musica underground italiana ) e, nel 2006, si trasformano in un gruppo strumentale cambiando nome in L’Ira Del Baccano.
Nell’estate del 2008 il gruppo pubblica il primo album “Si Non Sedes Is … Live”, una jam dal vivo di 56 minuti che impressiona davvero molto. Il disco è in free download sul loro sito e rende benissimo l’idea di cosa sia questa band.
L’Ira Del Baccano è continuo movimento, un tendere alla spiritualizzazione della musica, un viaggio psicotonico; si potrebbe dire che fanno psych prog poiché, sebbene partano dalla cultura della jam session, i ragazzi inseriscono intarsi di prog davvero notevoli.
Terra 42 al momento è questo, ma potrebbe presto mutare cambiando forma, e dovrete essere voi a completare il processo all’interno della vostra testa.
Un disco che non annoia mai, anzi è da sentire e risentire più volte, come quando si notano particolari nuovi e mai notati prima nella strada che fate per tornare a casa, una continua scoperta, un viaggio che apre la mente verso una nuova direzione.
Ci sono movimenti come The Infinite Improbability Dive, di 33 minuti, ispirato a “Guida Galattica Per Autostoppisti” di Douglas Adams, che è davvero un infinito viaggio galattico; in mezzo troviamo Sussurri Nel Bosco Di Diana, il pezzo più prog e suadente del disco, che si muove nella seconda parte dopo una prima di placida fermezza.
Chiude questa opera psicoattiva Volcano, quattordici minuti e rotti di fratture, ricomposizioni e nuove proliferazioni.
Un grande disco, pieno di prati e pianeti dove riposare il nostro stanco cervello e poter riscoprire una nuova Terra, che potrebbe essere proprio la 42.
Ancora per favore.

Tracklist:
1 The Infinite Improbability Drive Part 1
2 The Infinite Improbability Drive Part 2 & 3
3 Sussurri… nel Bosco Di Diana Part 1 & 2
4 Volcano X 13

Line-up:
Alessandro “Drughito” Santori – Chitarra e Baccano
Roberto Malerba – Chitarra e Synth
Sandro “Fred” Salvi – Batteria
Luca Primo – Basso

L’IRA DEL BACCANO – Faceboook

Kal-El – Pakal

Stoner Rock classico e fumoso in arrivo dalla Norvegia

Stoner Rock classico e fumoso in arrivo dalla Norvegia. Dalla città di Stavanger arriva questo rumoroso combo norvegese che ci propone uno stoner rock in rigoroso stile Kyuss, Monster Magnet e Slo Burn.

Niente di nuovo ed eccezionale, ma sicuramente un buon album, che dà una certa carica. Ormai raramente capita di ascoltare un album di stoner bene fatto e suonato decentemente. I Kal – El sono al di sopra della media e si sente. Infatti questa è la prima uscita stoner della WormHoleDeath, etichetta che ha finora spaziato nei territori metal. Per tutta la durata del disco lo spirito del rock è tangibile, i ragazzi hanno passione e stile, e non sono per nulla presuntuosi ma, anzi, lavorano molto di olio di gomito. Forse la loro non più verdissima età li rende molto più maturi e consapevoli rispetto ad altre band più giovani. Lo stoner c’è, ed è anche un album divertente.

Tracklist:
1 Falling Stone
2 Upper Hand
3 Spaceman
4 Solar Windsurf
5 Quasar
6 Qp9
7 Fire Machine
8 Black Hole

Line-up:
Ulven – Voce
Roffe – Chitarra
Liz – Basso
Bjudas – Batteria

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Dread Sovereign – All Hell’s Martyrs

Anche se qui non stiamo parlando dei Primordial, inevitabilmente i fan della storica band irlandese non si faranno sfuggire la possibilità di apprezzare l’ora abbondante di musica di qualità contenuta in “All Hell’s Martyrs” .

Alan Averill (Nemtheanga) non è tipo che ami stare fermo a dormire sugli allori.

Nonostante l’ultimo disco dei suoi Primordial non sia recentissimo continua ad calcare i palchi di mezza Europa (è solo dello scorso febbraio l’eccellente esibizione al Rock’n’Roll di Romagnano Sesia) e, non contento, propone questo suo progetto doom denominato Dread Sovereign, assieme al fido drummer Simon O’Laoghaire ed al chitarrista Bones dei misconosciuti Wizards of Firetop Mountain.
Anche se non nuovo ad incursioni nel genere, dopo aver prestato dieci anni or sono la propria voce al magnifico “Human Antithesis” dei romani Void of Silence, etichettare semplicemente come doom questo nuova avventura di Alan non sarebbe corretto: tale definizione è ineccepibile per brani come Thirteen Clergy e Cthulhu Opiate Haze, nei quali la band appare come una versione dei The Wounded Kings con voce sacerdotale maschile anziché femminile, e per i primi minuti di diverse altre tracce nelle quali il sound prende successivamente sfumature che esulano ampiamente dagli schemi della musica del destino (la sulfurea ritualità dell’allucinata Pray to the Devil in Man, le derive quasi in stile paradiselostiano nelle parti finali di We Wield the Spear of Longinus e Cathars to Their Doom)
Ma tali riferimenti, alla fine, vengono manipolati e stravolti da Alan con tonalità particolarmente velenose ed anche inconsuete per il suo tipico range vocale, poggiandosi su un tappeto musicale sufficientemente dinamico quanto non di semplicissima lettura.
Va detto che una base ritmica lineare ma efficace, a cura dello stesso Nemtheanga al basso e di Sol Dubh, supporta alla perfezione il lavoro chitarristico di Bones, piuttosto originale e capace di esibire suoni inconsueti per il genere, mostrando talvolta un tocco dai tratti vicini alla darkwave ottantiana, come nella splendida Scourging Iron; un aspetto decisamente anomalo, e che a molti non sarà sfuggito, è comunque il reiterarsi in momenti diversi del disco degli stessi accordi chitarristici che si rivelano, però, un artificio utile nel fornire ai brani una ritmica ed un fascino del tutto particolare.
Come si può intuire All Hell’s Martyrs non è un lavoro di semplicissima fruizione, tanto che non lo definirei del tutto adatto agli appassionati del doom più tradizionale; qui i fantasmi di Sisters Of Mercy e Fields Of The Nephilim si aggirano inquietanti tra le partiture del lavoro, donandogli un’aura a suo modo unica: la conclusiva e lunghissima All Hell’s Martyrs, Transmissions from the Devil Star sembra davvero una traccia suonata dagli autori di “Elizium” in preda ad una sorta di trip space-gothic-doom, con esiti magnifici.
Su tutto il lavoro però si staglia inequivocabile la voce unica per capacità evocativa di Alan Averill che, senza nulla togliere all’ottimo lavoro dei musicisti che lo hanno accompagnato in tutte le sue avventure musicali, si rivela da sempre l’elemento capace di elevare all’eccellenza anche dischi che con un altro cantante sarebbero stati considerati buoni e nulla più.
I Dread Sovereigns con questo lavoro ripagano parzialmente chi aveva ritenuto “Redemption at the Puritan’s Hand” un gradino sotto a un capolavoro come “To the Nameless Dead” e, anche se qui non stiamo parlando dei Primordial, inevitabilmente i fan della storica band irlandese non si faranno sfuggire la possibilità di apprezzare l’ora abbondante di musica di qualità contenuta All Hell’s Martyrs .

Tracklist:
1. Drink the Wine
2. Thirteen Clergy
3. Cthulhu Opiate Haze
4. The Devil’s Venom
5. Pray to the Devil in Man
6. Scourging Iron
7. The Great Beast
8. We Wield the Spear of Longinus
9. Cathars to Their Doom
10. All Hell’s Martyrs, Transmissions from the Devil Star

Line-up :
Nemtheanga – Bass, Vocals
Sol Dubh – Drums
Bones – Guitars

DREAD SOVEREIGN – Facebook

The Great Saunites – The Ivy

The Ivy merita di entrare a far parte della discografia degli ascoltatori dalle vedute più aperte.

Quando ogni tanto, nello smazzare il materiale che ci arriva, mi imbatto in un disco che esula dai generi che meglio conosco, il problema maggiore è quello di aver poco da raccontare e soprattutto d’essere sprovvisto di adeguati termini di paragone.

Per fortuna questo lavoro dei The Great Saunites non mi ha lasciato affatto spiazzato benché sia apparentemente lontano dalle forme di doom che costituiscono il mio habitat naturale: The Ivy mostra infatti, tra le proprie caratteristiche, un volto psichedelico che omaggia in maniera competente il sound pinkfloydiano dei primi anni ’70, senza però tralasciare diverse pulsioni derivanti dallo stoner più opprimente, oltre a una sviluppata componente noise.
La breve opener Cassandra è un’assaggio del delirio sonoro costituito dalla successiva Medjugorje, otto minuti in grado di stordire ed affascinare allo stesso tempo, grazie ai suoi ritmi ossessivi e lisergici; Bottles & Ornaments appare invece come una sorta di citazione del trittico “Alan’s Psychedelic Breakfast” che chiudeva il geniale (quanto ingiustamente sottostimato rispetto ad altri album più celebrati) “Atom Heart Mother”.
Ocean Raves regala qualche minuto di pace acustica prima che la scena venga occupata dalla lunghissima title –track, nella quale i The Great Saunites danno libero sfogo alla propria creatività amalgamando gli umori psichedelici con un sapiente utilizzo dell’elettronica; questi venti minuti sono emblematici dell’attitudine sperimentale e priva di alcuna linea di demarcazione dei due musicisti lombardi e, nonostante una durata indubbiamente impegnativa, la traccia scorre senza lasciare alcun sentore di noia.
Da segnalare, infine, che questo ep esce sotto l’egida di un pool di etichette (Bloody Sound Fucktory, Hypershape, HysM?, Il Verso del Cinghiale, Lemming, Neon Paralleli, Terracava, Villa Inferno) che si sono mosse per consentire a The Ivy di entrare meritoriamente a far parte della discografia degli ascoltatori dalle vedute più aperte.

Tracklist :
1.Cassandra
2.Medjugorje
3.Bottles & Ornaments
4.Ocean Raves
5.The Ivy

Line-up :
Leonard Kandur Layola (drums,effects,guitar,keyboards)
Atros (bass,keyboards,guitar,vocals)

THE GREAT SAUNITES – pagina Facebook

Caronte – Ascension

La band proveniente da Parma con questo disco s’impone con prepotenza all’interno della scena doom, in Italia e non solo, creando un disco capace di trovare un feedback immediato nell’ascoltatore.

Quando ho cominciato ad ascoltare Ascension un brivido mi è corso lungo la schiena: puro doom fatto come si deve, proprio di quello che fa tremare il pavimento sotto ai propri piedi.

Bisogna immaginarsi di essere in una stanza piena di esalazioni sulfuree, con percussioni penetranti, un basso che fa vibrare ogni cosa, una chitarra pronta a demolire qualsiasi essere si stagli lungo il suo cammino ed insieme a tutto questo una voce proveniente dai luoghi più abietti che si possano immaginare (stupenda quindi); forse ora potreste avere una vaga idea dei Caronte, ma non basta comunque a farvi intuire la ferocia di cui sto parlando. Sette tracce intrise di esoterismo ed occultismo, come nella migliore tradizione doom, per una durata totale di quasi un’ora, alla fine della quale si entra in uno stato di estasi e tristezza, una bomba pronta ad esplodervi fra le mani senza che voi possiate fare niente; da notare che gli argomenti affrontati vengono trattati con cognizione di causa, tra riferimenti a tradizioni sciamaniche, ad Aleister Crowley e alla teosofia: ci piace. Oltre a tutto questo, come se già non bastasse, uno stupendo booklet e una custodia che meritano un plauso. La band proveniente da Parma con questo disco s’impone con prepotenza all’interno della scena doom, in Italia e non solo, creando un disco capace di trovare un feedback immediato nell’ascoltatore. Gran band, gran disco, nient’altro da dire, se non buon ascolto.

Tracklist:
1. Leviathan
2. Ode To Lucifer
3. Sons Of Thelema
4. Horus Eye
5. Black Gold
6. Solstice Of Blood
7. Navajo Calling

Line-up:
Dorian Bones – Voce
Tony Bones – Chitarra e cori
Henry Bones – Basso
Mike De Chirico – Batteria

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