Red Beard Wall – Red Beard Wall

Per chi vuole sentire qualcosa di veramente diverso in un panorama a volte un po’ scontato.

I Red Beard Wall sono in due, chitarra e basso, e fanno uno stoner sludge molto potente ed incisivo.

La loro proposta musicale è molto originale non tanto nei mezzi ma nel risultato, poiché riescono a trovare una formula sonora non comune. Nel loro disco d’esordio confluiscono epiche distorsioni di chitarra, batteria che non pesta solo ma disegna melodie, sludge, stoner, un pizzico di southern rock, e anche un po’ di grunge, che chi ha talento e memoria usa sempre. Nati nel 2014 in Texas dalla volontà di Aaron Wall che recluta Robert Truijo dietro le pelli, esordiscono ora per Argonauta Records con un disco decisamente fuori dal comune. L’incedere di questa bestia texana, pur avendo elementi in comune con le band dei generi di cui sopra, ha una musicalità molto diversa. Il disco non dura moltissimo, e questo è un altro pregio, perché le idee vengono sviluppate bene senza tirarla troppo per le lunghe, cosa che in alcuni casi è sinonimo di aridità creativa. I Red Beard Wall producono un buon disco, ma hanno un potenziale ancora maggiore, e sicuramente non finisce qui. Nel panorama attuale della musica pesante si trovano ottime cose, ma poche hanno un tasso di originalità come questo esordio, nel quale anche la produzione accurata ma minimale diventa un punto di forza. Per chi vuole sentire qualcosa di veramente diverso in un panorama a volte un po’ scontato. Le note sono sette, i Red Beard Wall sono in due, e questo è un ottimo disco.

Tracklist
1. Beauty In
2. I Am
3. Switching Circuits
4. Alive
5. Born with a Hammer
6. Top of the Mountain
7. Bottom of a Well
8. March in Time
9. Beauty Out

Line-up
Aaron Wall – Vocals/ Guitar
George Trujillo – Drums

RED BEARD WALL – Facebook

Gurt – Skullossus

La musica dei Gurt è quanto di più pesante, tossico e destabilizzante possiate trovare nel genere e non solo, una colonna sonora al male di vivere che si trasforma in misantropia ed inquietudine.

Le vie estreme del metal sono infinite e a ribadire questa verità non scritta ci pensano gli inglesi Gurt, dediti ad un grezzo, irriverente e pesantissimo stoner/sludge.

Il quartetto è in giro a fare danni da sette anni e si porta dietro una discografia lunghissima formata da lavori minori e due full length, Horrendosaurus del 2014 e quest’ultimo trip andato a male, intitolato Skullossus.
Il sound che va a formare questo pesantissimo ed estremo lavoro è composto da una vena stoner, fatta di blues sporco e doom apocalittico, il tutto sotto la sgualcita bandiera dello sludge metal.
La musica dei Gurt è quanto di più pesante, tossico e destabilizzante si possa trovare nel genere e non solo, una colonna sonora al male di vivere che si trasforma in misantropia ed inquietudine.
Ma attenzione,  non c’è niente che possa far pensare ad un qualcosa di romantico, la misantropia insita in Skullossus è fastidiosa, violenta e senza soluzione di continuità.
I brani sono pesantissimi e portano con loro la disperata rabbia di personaggi disadattati, protagonisti loro malgrado di un mondo sconcertante, senza speranza e volto all’autodistruzione.
Skullossus è una jam acida mastodontica e belligerante di disperazione tossica contenente almeno tre perle come Gimme The Night Any Day, The CrotchWobbler e John Gar See Ya Later, quest’ultima vero colpo fatale per la nostra mente.

TRACKLIST
1.Welcome to the Shit Show
2.Give Me the Night, Any Day
3.Battlepants
4.Double Barreled Shot-Pun
5.The Crotchwobbler
6.Existence Is Pain
7.Broken Heart Heroin Man
8.Meowing at the Fridge
9.Jon GarSeeYa Later
10.The Ballad of Tom Stones and Reg Montagne (Part 1)
11.The Ballad of Tom Stones

LINE-UP
Rich Williams – Sedulurt – Riffmonster
Dave Blakemore – Spice – Bassmaster
Bill Jacobs – The Scorpion – Bashing

Gareth Kelly – Vocals
Richard Williams – Guitars
Dave Blakemore – Bass
Bill Jacobs – Drums

GURT – Facebook

Dustrider – Event Horizon

Le canzoni di Event Horizon superano di gran lunga la forma canzone e sono jam spirituali e spaziali, fumosamente particolari e molto godibili.

Viste le premesse e soprattutto i componenti questo debutto non poteva suonare diversamente.

I Dustrider vengono da Roma e fanno uno strumentale space stoner e molto più in là ancora. Il loro suono è un viaggio psichedelicamente distorto, un addentrarsi tra asteroidi e galassie immaginarie, per mezzo di potenti cavalcate sonore fatte di stoner metal pesante e fluttuante. I Dustrider sono il batterista Francesco “Krundaal” Romano (Riti Occulti and Jarman), il bassista Andrea “Keoma” Romano e il chitarrista Bruno “Brüno” Bellisario. Vorrei porre l’attenzione sui gruppi dove milita il batterista Francesco Romano, perché nei loro distinti campi sono due realtà eccellenti, e anche gli altri due componenti non sono da meno. Il disco è quindi nato sotto ottimi auspici, per poi venire fuori anche meglio. L’ ipnosi strumentale che ci regalano i Dustrider è molto ampia e ci offre una gamma pressoché infinita di generi, dallo space al desert, a momenti maggiormente psichedelici e sognanti, però sempre con la distorsione inserita e, cosa ancora più importante, volendo sempre esprimere canzoni e momenti in uno stile molto ben definito. Le canzoni di Event Horizon superano di gran lunga la forma canzone e sono jam spirituali e spaziali, fumosamente particolari e molto godibili. Un gruppo molto al di sopra della media .

TRACKLIST
1. Warped
2. Cosmo
3. They Live!
4. Fallout Criminal
5. Agartha
6. Stratosphere
7. Event Horizon
8. Ultima IV
9. Dust Devil

LINE-UP
Bruno ‘Brüno’ Bellisario – Guitar
Andrea ‘Keoma’ Romano – Bass
Francesco ‘Krundaal’ Romano – Drums

DUSTRIDER – Facebook

Hollow Leg – Murder ep

Due brani che confermano le ottime impressioni già destate da questo gruppo statunitense e che aggiungono carne sanguinolenta sul fuoco del genere, aspettando il prossimo capitolo sulla lunga distanza.

Tra le paludi della Florida è ormai tradizione suonare doom metal irrobustito da una lenta e possente componente sludge e personalizzato da una vena southern, tipica delle band degli stati del sud.

Ormai non sono pochi i gruppi che nel genere hanno trovato la giusta dimensione, onirica, a tratti mistica e sabbatica ed avvolta in atmosfere deviate, come un serial killer dal volto coperto dalle pelli dei coccodrilli e ganci che tintinnano in una baracca fatiscente, in attesa di un corpo da tenere sollevato per essere lavorato con sadica perizia.
Gli Hollow Leg sono una di queste realtà, a loro modo estreme, attivi da quasi una decina d’anni, provenienti da Jacksonville e con tre full length alle spalle, di cui Crown era l’ultima lenta marcia tre le paludi del Mississippi, licenziata lo scorso anno dalla Argonauta Records.
Murder è invece un ep di due brani, con la title track che accende la passione con un incedere più dinamico rispetto ai canoni, un mid tempo che sembra per una volta lasciare le rive del grande fiume ed i suoi pericolosi abitanti, per fare un’improvvisata al sacerdote Lee Dorrian e ai suoi Cathedral per recarsi tutti insieme ad un concerto dei Black Sabbath, mentre Raven torna a torturare vittime con una valanga caldissima di southern/sludge, con un riff portante che è un’autentica goduria sludge/psycho/stoner.
Due brani che confermano le ottime impressioni già destate da questo gruppo statunitense e che aggiungono carne sanguinolenta sul fuoco del genere, aspettando il prossimo capitolo sulla lunga distanza.

TRACKLIST
1.Murder
2.Raven

LINE-UP
Tom Crowther – Bass
John Stewart – Drums
Scott Angelacos – Vocals
Brent Lynch – Vocals, Guitars

HOLLOW LEG – Facebook

Morast – Ancestral Void

Ancestral Void conferma quanto di buono esibito precedentemente dai Morast, senza che però avvenga il salto di qualità sensibile che forse era lecito attendersi.

Come preannunciato in occasione dell’articolo scritto per commentare la riedizione in vinile del primo demo dei Morast, è arrivato il momento dell’uscita del primo full length per la band tedesca.

Ancestral Void conferma le sensazioni avute qualche mese fa, ovvero quelle di trovarci al cospetto di una band dal sound solido e compatto, con il solo neo d’essere poco vario, pur nel suo apparire ugualmente incisivo.
Il death doom sporcato di sludge del gruppo teutonico è l’emblema di un approccio molto lineare, che non si perde in preamboli e non disperde energie nella ricerca di particolari divagazioni, puntando essenzialmente su un impatto granitico.
Crescent, brano d’apertura del lavoro, è il manifesto ideale delle caratteristiche sopra descritte, con il suo riffing oscuro, dai ritmi non eccessivamente rallentati ed una voce aspra che rifugge ogni tentazione melodica: è la rabbia, per lo più, a prevalere sulla tristezza, rappresentando una forma di reazione al passivo ripiegarsi su stesso di chi è schiacciato dal peso dell’esistenza.
Così, mentre in Sakkryfyced appaiono parvenze melodiche che rendono il brano quello relativamente più accessibile del lotto, Loss spinge maggiormente sul versante dell’incomunicabilità, con un andamento dalla lentezza molto più accentuata.
Ancestral Void è un’opera breve che si dimostra efficace per quasi tutta la sua durata, con Compulsion e la citata Loss forse meno incisive e dirette rispetto alle altre quattro tracce, e l’ossessiva title track a suggellare una prova di buon spessore ma dall’aspetto monotematico, specie per chi ha meno familiarità con il genere: viene confermato, pertanto, quanto di buono esibito precedentemente dai Morast, senza che però avvenga il salto di qualità sensibile che forse era lecito attendersi. Detto ciò, Ancestral Void è un album il cui monolitico incedere esprime ugualmente un suo certo fascino.

Tracklist:
1. Crescent
2. Forlorn
3. Sakkryfyced
4. Compulsion
5. Loss
6. Ancestral Void

Line-up:
L. – drums
F. – vocals
R. – bass
J. – guitar

MORAST – Facebook

Naga – Inanimate

I Naga si stabilizzano tra gli esponenti di punta di un genere che. nel nostro paese. sta producendo frutti sempre più prelibati.

Inanimate è un ep dei Naga risalente alla scorsa estate, quando è stato pubblicato solo in vinile in edizione limitata in 100 copie per Lay Bare Recordings; da poco è stata immessa sul mercato da parte della Everlasting Spew Records la versione in cd, contenente anche un brano esclusivo per tale edizione.

Pur avendo affrontato ai tempi di IYE l’ottimo Hēn, unico full length finora rilasciato dalla band napoletana, non abbiamo intercettato Inanimate all’atto della sua prima uscita per cui cerchiamo di rimediare ora, tenendo conto del fatto che i suoi contenuti sono già stati ampiamente sviscerati da più parti lo scorso anno.
Quello che si può aggiungere a quanto già si sa è che i Naga, pur con una produzione ancora di dimensioni ridotte, hanno già acquisito una caratura importante che ha consentito loro, per esempio, di aprire ai Candlemass nella recente data bresciana.
L’ascolto di Inanimate conferma che tale status si rivela tutt’altro che usurpato: l’interpretazione del doom da parte del trio partenopeo non è ovviamente tradizionale come quella dei “padri” svedesi, ma si avvale di una pesante componente sludge senza tralasciare qualche puntata di matrice black/hardcore.
Thrives, traccia d’apertura del lavoro, si rivela sufficientemente emblematica dello stile musicale dei Naga, con il suo sound denso, colmo una tensione che pare sempre sul punto di esplodere nel suo fragore ma resta, invece, pericolosamente compressa all’interno del suo caliginoso involucro.
Hyele segue uno schema non dissimile ma è intrisa di una più canonica componente doom, con riff pesanti come incudini nella sua parte discendente, mentre le accelerazioni blak hardcore di Loner sono propedeutiche all’allucinata cover dei Fang, The Money Will Roll Right In.
Il brano inedito, Worm, riporta invece alle radici dello sludge e conferma la bontà del percorso stilistico intrapreso dai Naga, stabilizzandoli tra gli esponenti di punta di un genere che. nel nostro paese. sta producendo frutti sempre più prelibati.

Tracklist:
1. Thrives
2. Hyele
3. Loner
4. The Money Will Roll Right In (Fang cover)
5. Worm

Line-up:
Lorenzo: Vocals and Guitar
Emanuele: Bass
Dario: Drums

NAGA – Facebook

Carne – Modern Rituals

Le urla vibranti di Pierre Bozonet simboleggiano un’urgenza espressiva in grado di fare la differenza nei confronti di molte proposte, specialmente quelle in cui il fragore strumentale è volto esclusivamente a coprire un vuoto di ispirazione.

I francesi Carne sono l’emblema dell’essenzialità che non va a mai a discapito dell’intensità della musica proposta.

I due ragazzi di Lione propongono uno sludge/noise/post hardcore nel quale è presente una spiccata connotazione punk: non a caso la gran parte dei brani è intrisa di una furia che travalica ogni considerazione di carattere tecnico o stilistico, mentre gli accenni a rallentamenti più confacenti al doom vengono confinati alle due tracce (The End Of Us e Lord Less) nelle quali la voce viene affidata alla brava Marion Leclercq.
Per il resto, sono le urla vibranti di Pierre Bozonet a simboleggiare un’urgenza espressiva in grado di fare la differenza nei confronti di molte proposte, specialmente quelle in cui il fragore strumentale è volto esclusivamente a coprire un vuoto di ispirazione.
Se per mia indole ritengo comunque i brani più riflessivi i picchi di Modern Rituals (oltre ai due citati, anche Cloak) non posso fare a meno di godere dell’approccio ruvidamente diretto del resto del lavoro, con la convinzione che i due, specie dal vivo, riescano ad estrarre da sé stessi ogni residua stilla di energia da riversare sul pubblico.
E il segreto dei Carne, alla fine, sta proprio nella capacità di esibire uno stile che, nonostante appaia più che mai diretto e privo di mediazioni, in realtà sa scavare in profondità fino a fare breccia in maniera definitiva in chi abbia la pazienza e la voglia di farsi attraversare dalle note scagliate come dardi velenosi da Pierre Bozonet (voce e chitarra) e Thibaut Claisse (batteria).
Come sempre più spesso accade, l’album viene edito da un pool di etichette transnazionale, delle quali fanno parte anche le nostre Shove Records e Drown Within, con quest’ultima costantemente sul pezzo quando si tratta di diffondere suoni disturbanti che veleggiano tra sludge, postmetal, noise e doom.

Tracklist:
1. White Flag
2. Inked Mask
3. Bad Tooth
4. The End Of Us
5. Cloak
6. Collective Dictatorship
7. Northern Light
8. Lord Less

Line-up:
Thibaut Claisse – drums
Pierre Bozonet – guitars, vocals

Marion Leclercq – vocals on 4. And 8.

CARNE – Facebook

Radien – Maa

I Radien centrano l’obiettivo al primo colpo, ma ovviamente è doveroso attenderne la riprova alle prese con un minutaggio più consistente.

Maa è la prima uscita ufficiale dei Radien, sludge band finnica.

L’ep consta di due tracce lunghe una dozzina di minuti che si dipanano, appunto, lungo sonorità sludge doom che si tengono alla larga da stonerizzazioni assortite, spingendosi maggiormente verso lidi post hardcore, accentuati dall’uso di un tono vocale caratteristico di quest’ultimo genere.
Varjot parte in maniera abbastanza canonica, per poi distendersi in un avvolgente e minaccioso crescendo, mentre Viimeinen è molto più rocciosa, indulgendo più a lungo sui riff ribassati e distorti che il quartetto di Helsinki maneggia con buona padronanza, lasciando intendere grandi potenzialità ed altrettanto margini di manovra per il futuro.
Del resto, quando ci si lancia in un settore come questo, per fare la differenza bisogna, in primis, conferire al proprio sound un’intensità che vada a compensarne con gli interessi la ridotta varietà e la quasi totale asenza di sbocchi melodici: i Radien centrano tale obiettivo al primo colpo, ma ovviamente è doveroso attenderne la riprova alle prese con un minutaggio più consistente.

Tracklist:
1. Varjot
2. Viimeinen

Line up:
Jyri – Vocals, synth
Tommi – Bass, vocals
Felipe – Guitar, vocals
Mikko – Guitar, vocals
Tuomo – Drums

RADIEN – Facebook

Faces Of The Bog – Ego Death

Ego Death scorre via intenso e soprattutto vario, ciò che, alla fine, si manifesta come il suo vero punto di forza assieme ad una scrittura che si tiene a costante distanza di sicurezza da soluzioni cervellotiche.

I Faces Of The Bog provengono da Chicago ed offrono, con questo loro esordio intitolato Ego Death, uno sludge doom dai tratti piuttosto orecchiabili, almeno se raffrontati alle uscite più frequenti nel genere.

Infatti, il quartetto immette nel proprio sound una buona dose di psichedelia e, inoltre, a tratti pare di ascoltare una sorta di grunge dai toni molto più minacciosi (Slow Burn) conferiti dalle chitarre ultra ribassate e da una voce aspra.
Tutto questo consente ai Faces Of The Bog di differenziarsi sufficientemente dai canoni del genere, proprio in virtù di un indole progressiva che porta l’album su piani differenti, e in tal senso risultano emblematiche le ultime due tracce: The Weaver, che dopo una sua prima metà tooliana fino al midollo si apre in un più tradizionale e coinvolgente doom, e Blue Lotus, lungo viaggio psichedelico in cui sono nuovamente le chitarre, come sul brano precedente, a condurre le danze nella part conclusiva.
In effetti lo sludge, nel complesso del lavoro, rappresenta più una solida base su cui edificare il sound che non la sua vera essenza, ma non bisogna neppure pensare che Ego Death risulti poco profondo od ancor peggio leggero: la differenza qui la fa la capacità dei ragazzi dell’Illinois nello scovare sempre e comunque degli efficaci sbocchi melodici anche quando i brani paiono avviati ineluttabilmente avvolgersi su stessi.
Se l’obiettivo dei Faces Of The Bog era quello di comporre un album brillante e non troppo ostico all’ascolto, pur senza rinunciare ad andarci giù pesante, direi che ci sono riusciti in pieno: dal magnifico strumentale d’apertura Precipice alla già citata chiusura affidata a Blue Lotus, Ego Death scorre via intenso e soprattutto vario, ciò che, alla fine, si manifesta come il suo vero punto di forza assieme ad una scrittura che si tiene a costante distanza di sicurezza da soluzioni cervellotiche.
Un primo passo decisamente brillante.

Tracklist:
1.Precipice
2.Drifter in the Abyss
3.Slow Burn
4.The Serpent & The Dagger
5.Ego Death
6.The Weaver
7.Blue Lotus

Line-up:
Paul Bradfield – Bass
DannyGarcia – Drums/Percussion
Mark Stephen Gizewski – Guitars/Vocals
Trey Wedgeworth – Guitars/Vocals

Additional Credits:
Sanford Parker – Synth/FX

FACES OF THE BOG – Facebook

Raj – Raj

La prova dei Raj è di ottimo spessore e, trattandosi di un primo assaggio, lascia aperte interessanti prospettive di sviluppo future.

Ep d’esordio per i Raj, band lombardo/veneta dedita ad uno sludge/stoner doom davvero intrigante.

La prima cosa che balza all’occhio è la durata dei brani, imprevedibilmente brevi per gli standard del genere, mentre appare molto più in linea con le abitudini il sound, piacevolmente retrò nel suo unire pulsioni sabbathiane, a partire dalla voce (spesso filtrata) di Francecsco Menghi, con le atmosfere diluite dello sludge e la psichedelia dello stoner.

Chitarra e base ritmica contribuiscono ad erigere un muro sonoro che non stravolge i canoni stilistici conosciuti, puntando su un impatto ossessivo che il riffing dai toni ribassati rende efficace e gradevole a chi è avvezzo al genere; interessante anche il break ambient costituito dalla quarta traccia Black Mumbai, indicatore di una propensione sperimentale che forse meriterebbe d’essere maggiormente distribuita all’interno del disco.
Come detto, il suo essere rivolto al passato, a volte in maniera ostentata, non si rivela affatto una nota di demerito per il gruppo: chi suona questo genere è una sorta di medium, capace di rendere del tutto vive ed attuali sfumature sonore che a molti possono apparire datate; i Raj lo fanno con competenza e convinzione, andando a fondere talvolta il sound più psichedelico dei Doomraiser con certo doom sciamanico in voga negli anni scorsi (Omegagame ne è forse l’esempio migliore ) oppure richiamando in maniera più esplicita, ma comunque non calligrafica, il marchio di fabbrica sabbathiano (Kaluza).
Dovendo cercare il pelo nell’uovo, al netto delle citata traccia ambient, questo ep autointitolato mostra a tratti un’eccessiva uniformità compositiva e, inoltre, non sempre convince la scelta di deformare il timbro vocale; resta il fatto che la prova dei Raj è senz’altro di ottimo spessore e, trattandosi di un primo assaggio, lascia aperte interessanti prospettive di sviluppo future.

Tracklist:
1. Omegagame
2. Eurasia
3. Magic Wand
4. Black Mumbai
5. Kaluza
6. Iron Matrix

Line-up:
Marco Ziggiotti – guitars
Daniel Piccoli – drums
Francesco Menghi – vocals
Davide Ratti – bass

RAJ – Facebook

Haan – Sing Praises

Meno di venti minuti non sono mai esaustivi ma possono fornire ben più di una fugace impressione sul valore di una band: non resta, quindi, che attendere gli Haan ad una risposta di durata più consistente, ma sul fatto che facciano molto male credo non sussistano dubbi.

Arie Haan era il mio calciatore preferito nell’Olanda anni ’70 dei fenomeni guidati da Johan Cruijff, quella nazionale capace di giocare un calcio stupefacente e sfrontatamente moderno senza riuscire, purtroppo, a vincere quel mondiale che avrebbe meritato.

Haan era il classico centrocampista di lotta e di governo, in grado di spezzare le trame avversarie ma anche di ricucire il gioco con piedi educati che erano capaci, soprattutto, di scagliare autentici missili verso la porta avversaria.
Non so se la band americana che porta come monicker il suo cognome ne conosca l’esistenza, mi piace però l’idea di accomunare il quartetto di Broooklyn a quel calciatore per  la maniera naif di interpretare un genere come lo sludge punk/noise che, se fosse già esistito negli anni ’70, sono convinto che sarebbe potuto essere una perfetta colonna sonora per il “soccer” giocato dai capelloni che vestivano la maglia arancione.
Così gli Haan ondeggiano tra corse furibonde (The Cutting, Shake the Meat), guidati dalla voce abrasiva di Chuck Berrett, ad aperture sotto forma di rallentamenti preparatori alle bordate rappresentate da riff ribassati e pesanti come macigni (War Dance).
I primi tre brani vengono esauriti in circa nove minuti, più o meno la durata equivalente della conclusiva Pasture/Abuela, titolo sghembo come una traccia che non fornisce punti di riferimento certi, se non un’immersione totale in una psichedelia capace di dilatare i suoni così come certe sostanze fanno con le pupille: questo è un pezzo che rappresenta il biglietto da vista perfetto per gli Haan, mettendone in luce tutto il notevole potenziale.
Del resto i ragazzi si sono guadagnati spazio da qualche anno nella scena newyorchese, ottenendo l’apprezzamento di gentaglia della risma di Eyehategod, Whores., Cancer Bats, e Black Tusk, per citare solo i nomi più conosciuti, e direi che il tutto non può essere affatto casuale.
Meno di venti minuti non sono mai esaustivi ma possono fornire ben più di una fugace impressione sul valore di una band: non resta, quindi, che attendere gli Haan ad una risposta di durata più consistente, ma sul fatto che facciano molto male credo non sussistano dubbi.

Tracklist:
A1.The Cutting
A2.Shake the Meat
A3.War Dance
B1.Pasture / Abuela

Line-up:
Chuck Berrett – vocals
Jordan Melkin – guitar
Dave Maffei – bass
Christopher Enriquez – drums

HAAN – Facebook

Blacksmoker – Rupture

Un album davvero convincente per chi non è mai sazio di ascoltare stoner/sludge.

Secondo full length per i tedeschi Blacksmoker, band formata da musicisti esperti e provenienti da diverse realtà della scena sludge/stoner teutoinica.

Rupture non è un lavoro che si perde in preamboli, e l’ottima title track è l’idale biglietto da visita, utile a far comprendere che la reazione nei confronti di ciò che non funziona al meglio nella società odierna si può esplicitare anche attraverso una musica senz’altro robusta, ma mai scevra di un certo groove unito ad un buon impatto melodico.
Infatti, se di sludge possiamo parlare a buon titolo, quello dei Blacksmoker è più virato verso lo stoner e all’heavy metal, in tal senso prossimo alla scuola americana, piuttosto che orientato ai plumbei rallentamenti o alla e ruvidità dell’hardcore che sono spesso insiti nella scuola europea.
I ritmi così sono per lo più sostenuti e i brani sono quasi sempre provvisti di chorus memorizzabili, tra i quali spicca senza’altro la magnifica Ouroboros 68, con tanto di riuscito assolo chitarristico di matrice heavy.
Rupture è un opera avvincente dal primo all’ultimo minuto, grazie ad una scrittura lineare che, difficilmente, si perde in rivoli sperimentali o rumoristici, i quali vengono sapientemente confinati nella traccia conclusiva Room 101, certamente diversa rispetto al resto della tracklist ma non per questo di livello inferiore.
La sensazione è che i Blacksmoker siano una potenziale macchina da guerra dal vivo, in virtù del loro approccio pesante quanto diretto, e sono convinto i muri sonori che il quartetto di Wurzburg appare in grado di erigere con buona continuità mieteranno dievrse vittime.
Un album davvero convincente per chi non è mai sazio di ascoltare stoner/sludge.

Tracklist:
1. Rupture
2. Herorizer
3. Ouroboros 68
4. Huntress
5. Neglect
6. Undefeated
7. Dark Harvest
8. Pariah
9. Ghost
10. Room 101

Line-up:
Sven Liebold – Vocals, Bass
Marco Reuß – Guitar, Vocals
Boris Bilic – Guitar, Vocals
Tobias Anderko – Drums

BLACKSMOKER – Facebook

Ill Neglect / Lambs – Trisma

Due maniere diverse, ma ugualmente efficaci, di maneggiare una materia incandescente come quella del metal che, sposandosi all’hardcore, ne porta alle estreme conseguenze l’impatto virulento.

Edito da un pool di etichette transazionale, questo split mette in mostra un connubio potenzialmente esplosivo tra i tedeschi Ill Neglect e gli italiani Lambs.

Trisma, in poco meno di dieci minuti, scarica la rabbia repressa covata in una vita intera, e ciò avviene con gli Ill Neglect tramite un grind dalle sfumature sludge che a tratti può ricordare, per attitudine e per riferimenti non casuali i seminali Brutal Truth (il monicker ne riprende il titolo di uno dei brani più noti), e con i Lambs attraverso un metal estremo che sovente disorienta con repentini cambi di scenario, sempre all’insegna di sonorità comunque disturbanti e facenti capo sempre allo sludge, almeno a livello di orientamento generale.
Troviamo, quindi, due maniere diverse, ma ugualmente efficaci, di maneggiare una materia incandescente come quella del metal che, sposandosi all’hardcore, ne porta alle estreme conseguenze l’impatto virulento.
Per entrambe le band un significativo biglietto da visita da esibire in occasione dei rispettivi, ed auspicabilmente prossimi, esordi su lunga distanza.

Tracklist:
1.Cold Turkey (Ill Neglect)
2.Permanent Euphoria (Ill Neglect)
3.You, the Drawback (Lambs)
4.Unfeeling (Lambs)

Line-up:
ILL NEGLECT
Daniel Powell – vocals
Jan T-Beat – drums
Thomas Conrad – guitar
André Beyer – bass

LAMBS
Cristian Franchini – vocals
Mattia Bagnolini – drums
Gianmaria Mustillo – guitar
Steven Teverini – bass

ILL NEGLECT – Facebook

LAMBS – Facebook