Stoned Jesus – Stormy Monday EP

Ristampa dell’EP Stormy Monday del 2011, la Heavypsychsounds ci fornisce un’ottima occasione per poter avere in casa uno dei primi lavori della band ucraina in formazione completa.

A meno di sei mesi dall’uscita del precedente The Harvest il trio ucraino si ripropone al pubblico con la ristampa dell’EP Stormy Monday, datato 2011, che ripropone la title track in due diverse versioni, una cover dei californiani Red Temple Spirits (Bear Cave) e una canzone insolitamente veloce, quasi punk hardcore della durata di 2 minuti.

Interessante e estremamente gradevole l’inizio di Stormy Monday, esempio di amore disilluso. Da cantare in solitario quando le cose vanno male o si è contrariati.
Bear Cave è una ballata triste e sconsolata, il cui inizio è accompagnato solo da chitarra acustica e voce, piuttosto sofferente. E il testo può essere sia una metafora della vita dell’uomo, sia semplici parole sconnesse di un uomo che vive isolato. A metà l’esplosione sullo stile di Eye Of Every Storm dei Neurosis. Lacerante nelle interiora, piena di rassegnazione, espressa anche attraverso suoni sporchi, manifestazione di una registrazione non proprio efficace. Tributo buddista al nulla.
Drunk And Horny inneggia al puro divertimento, canzone da non cantare alla propria metà, ma piuttosto da serata in cui ci si vuole caricare per andare a rimorchiare, per finire in modo decisamente rovinoso.
Nella extended version gli assoli di chitarra alternano note psichedeliche con tratti decisamente più progressive, anche se rimane un movimento di sottofondo, riff stoner doom che poi sono quelli che chiudono la canzone.
Un album stoner decisamente più tendente alla psichedelica, ma vista la durata e il numero di canzoni, ad uso di collezionisti.

TRACKLIST
1. Stormy Monday (edit)
2. Bear Cave
3. Drunk And Horny
4. Stormy Monday (extended)

LINE-UP
Igor Sydorenko- chitarra, voce, campionamenti
Sergey Sliusar – basso
Vadim Matiiko – batteria
Sergey Nesterenko – tastiere, mix

STONED JESUS – Facebook

Zippo – After Us

After Us è forse il disco più diretto della loro discografia, un gradino ancora più alto di una già magnificente produzione.

Torna la band pescarese veterana della scena pesante italiana.

Quarto disco per uno dei migliori gruppi stoner sludge dello stivale, in attività dal 2004, quando questi generi di musica non erano ancora popolari come ora.
After Us è un disco di grande qualità, come tutte le opere degli Zippo, con ancora qualcosa in più rispetto agli altri lavori. Ascoltandoli si ha un’impressione di grande solidità, di potenza sempre sotto controllo, con un forte retrogusto grunge, specialmente nei momenti maggiormente melodici.
Otto canzoni per circa quaranta minuti di distorsioni, riverberi psichedelici pesanti e voli heavy.
Questo è anche il primo disco non concept del gruppo, ma è ispirato alla vita di tutti i giorni, cosa assai più complicata di una storia di fantasia. Gli Zippo stupiscono sempre, non sono mai ovvi, e hanno una graniticità davvero notevole.  After Us è forse il disco più diretto della loro discografia, un gradino ancora più alto di una già magnificente produzione. Una sicurezza.

TRACKLIST
1. Low Song
2. After Us
3. Comatose
4. Familiar Roads
5. Adrift (Yet Alive)
6. Stage 6
7. Summer Black
8. The Leftovers

LINE-UP
Dave – Vocals
Sergente – Guitar
Stonino – Bass
Ferico – Drums

ZIPPO – Facebook

Hollow Leg – Crown

Un disco praticamente perfetto, un’opera incentrata sul serpente Set che sta dominando il mondo, un suono che come un serpente si snoda e torna su stesso, per alzarsi verso il cielo.

Un disco praticamente perfetto, un’opera incentrata sul serpente Set che sta dominando il mondo, un suono che come un serpente si snoda e torna su stesso, per alzarsi verso il cielo.

Terzo disco per gli Hollow Leg, secondo su Argonauta Records. Rispetto a ad Abysmal del 2013 la ricerca di un suono che possa essere infestato da vari generi continua. La base di impasto è lo sludge stoner, ma questo disco, come gli Hollow Leg stessi, sono fortemente southern, sia per la loro provenienza floridiana che per la loro musica. La produzione perfetta, anche grazie alla masterizzazione di Sanford Parker dei Corrections House, mette in primo piano questo miracolo sonoro, che senza tanti effetti od acrobazie toglie la patina a qualcosa di davvero antico e lo rende in musica. Tutto il disco non ha un momento di cedimento, la lancetta rimane sempre in alto, creando un’atmosfera davvero unica. Un altro grosso valore di Crown è la ragione per la quale è stato concepito. Questo disco parla di Set e di come il dio serpente sta dominando il mondo. La sua dominazione è sottile, eppure è sotto i nostri occhi in qualsiasi momento della nostra vita. Le stigmate del serpente sono possessione e schiavitù, che sono le parole d’ordine del nostro sistema economico e di vita. Solo il serpente può mangiare la sua corona, e noi lo riforniamo quotidianamente di energia. Tutto ciò lo ritroviamo in Crown, un disco che ha davvero un peso specifico, una forza incredibile, come un gas che passa sotto le porte ed arriva ovunque. I riferimenti possono essere trovati volendo, ma gli Hollow Leg sono unici e questo disco lo conferma. La prima edizione sarà limitata a 250 copie in vinile colorato.

TRACKLIST
SIDE A
1.Seaquake
2.Coils
3.The Serpent in the Ice
4.Atra
5.Side B
6.Electric Veil
7.Seven Heads
8.New Cult

LINE-UP
Brent
Tim
Scott
Tom

HOLLOW LEG – Facebook

Desert Hype – SweP

Non cercate troppo lontano, la buona musica è più vicino di quanto pensiate.

Sicilia e Sardegna, oltre ad essere le nostre isole maggiori e due tra le più belle regioni della nostra bistrattata penisola, hanno in comune una scena hard rock che non ha niente da invidiare a paesi più blasonati; se poi si parla esclusivamente di rock alternativo e stoner, le band da seguire con attenzione, protagoniste di lavori sopra le righe, sono molteplici e richiamano a più riprese la scena statunitense del ventennio a cavallo tra gli anni novanta e la musica di Seattle, ed il decennio successivo con il successo dello stoner suonato nella Sky Valley.

Non vi sto ad elencare i gruppi che, a più riprese, hanno fatto sobbalzare dalla poltrona questo inguaribile vecchietto, amante di più o meno tutte le svariate forme prese, nel corso degli anni, dal metal e dal rock, ma vi assicuro che la musica di qualità la si crea anche da noi, basta saperla cercare.
Ed allora il traghetto ci aspetta, un saluto agli amici e si parte per la Sardegna, scalo ad Olbia e giù verso cagliari per incontrare i Desert Hype, trio stoner junk rock del capoluogo, nato nel 2011 e con all’attivo tre ep; l’esordio omonimo dello stesso anno e Sgattagheis, doppio ep del 2013.
2016, è giunto il momento di licenziare il primo full length, questo ottimo SweP, un monolite di suoni stoner, dal mood punk alternative e noise, che riversa sull’ascoltatore una valanga di lava elettrica, stupendamente alternative, ma, e qui sta il bello, di una presa disarmate.
Basso grasso che spacca i timpani, pelli che si strappano sotto i colpi di una forza inesauribile, chitarra che vomita watts a profusione e tante buone idee, sono le virtù principali di questo splendido lavoro, che non ne vuol sapere di scendere sotto una media altissima e soprattutto spacca che è un piacere.
Come detto i suoni variano tra il mood che rimane desertico per tutta la durata, come persi in sconfinate pianure di sole sabbia e pietre, e piccole oasi di alternative rock, che ci danno modo di sopravvivere nel lungo peregrinare in questa sconfinata valle di suoni rock pescati a piene mani dalle terre d’oltreoceano e fatte proprie dai tre musicisti sardi.
Parto dalla fine perché Ponies Over Olympic Ceremony 2012, posta prima dell’outro, è un piccolo capolavoro di rock stonato, una lunga e lisergica jam tra stoner e noise che vi ridurrà a povere amebe peggio di un’overdose di LSD.
Ma SweP non finisce qui, con l’opener Flying Shit che se la prende comoda e prima di esplodere gioca con il basso come una mangusta col cobra, mentre ScioScio e la title track ci danno il benvenuto nel trip del gruppo, con la chitarra che parla, urla, grida, torturata da Mirko Deiana, mentre il basso di Andrea Demurtas pulsa facendo sgorgare sangue dai nostri poveri padiglioni auricolari.
Joint And Wine Superballad 3000 è uno strumentale da brividi, dove il gruppo sfodera gli artigli ed il talento e sale in cattedra il drummer Daniele Moi, prima che un’acustica drogata sia la protagonista di DoDo (Dead Like A).
Blues punkizzato, rock’n’roll ruvido vicino al garage risulta Spiders On The Floor Tom, mentre con Trp1 si torna a perdersi nel desertico labirinto di suoni creati ad arte dai Desert Hype per destabilizzare, confondere, mettere al tappeto senza pietà.
Non cercate troppo lontano, la buona musica è più vicino di quanto pensiate e SweP è un’altro ottimo esempio di come la nostra scena cominci davvero a fare la voce grossa, rivelandosi non solo una buona alternativa a quelle più famose, ma assoluta protagonista del rock di questo inizio millennio.

TRACKLIST
1. Flying Shit
2. ScioScio
3. Desert Hype
4. Joint And Wine Superballad 3000
5. DoDo (Dead Like A)
6. Spiders On The Floor Tom
7. Trip1
8. Ponies Over Olympic Opening Ceremony 2012
9. Seacows B******s

LINE-UP
Andrea Demurtas – basso/voce
Mirko Deiana – chitarra
Daniele Moi – batteria

DESERT HYPE – Facebook

Birth Of Joy – Get Well

Per chi vuole qualcosa in più della nostalgia.

Fragorosa e potente band olandese dedita ad un vitaminico sound anni settanta.

I Birth Of Joy scavano dentro all’infinito tunnel della psichedelia anni sessanta e settanta, e portano alla luce riff importanti e gemme di vecchio stile rivestito di un moderno acciaio.
Non c’è solo il recupero dell’antichità poichè il loro pregio maggiore è un suono molto compatto e con un organo che detta il viaggio a chitarra e batteria, rendendo il tutto molto vicino alla psichedelia californiana anni sessanta. Il loro calore su disco deriva dalla grande esperienza dal vivo, hanno suonato molti concerti soprattutto in Europa e non solo. Get Well è ben bilanciato e ben composto, suona bene e ha un impianto molto solido. Sesto disco che dovrebbe essere quello di una consacrazione che meritano ampiamente, poiché sono davvero godibili.
Per chi vuole qualcosa in più della nostalgia.

TRACKLIST
01 Blisters
02 Meet me at the bottom
03 Choose sides
04 Numb
05 Midnight cruise
06 Carabiner
07 Those who are awake
08 You got me howling
09 Get well
10 Hands down

LINE-UP
Kevin Stunnenberg – Vocals & Guitar.
Bob Hogenelst – Drums & backing vocals. Gertjan Gutman – Organ & Bass.

BIRTH OF JOY – Facebook

Ramachandran – Marshmallow

La definizione di power tiro calza a pennello per questro gruppo, che fa della potenza la sua arma preferita, ma non l’unica, dato che sono vari i registri musicali qui padroneggiati.

Esordio per questo gruppo toscano sulla sempre più attiva Taxi Driver Records.

Attitudine decisamente punk per questo trio che cala nei territori stoner con un ascia in mano per fare dei bei macelli. La loro proposta musicale è appunto uno stoner rock suonato con la giusta dose di lo fi e tanta furia. Non sempre i Ramachandran vanno sparati a mille all’ora, ma le cose migliori le offrono quando vanno a tavoletta. L’album è un lavoro sul funzionamento del cervello, e ha dinamiche molto interessanti ed originali. Lo stesso nome del gruppo è un omaggio ad uno dei più influenti neuroscienziati indiani. I testi si abbinano benissimo alla musica che risveglia in maniera adeguata i nostri neuroni assopiti. La definizione di power tiro calza a pennello per questo gruppo, che fa della potenza la sua arma preferita, ma non l’unica, dato che sono vari i registri musicali qui padroneggiati. Un debutto più che positivo per un gruppo capitanato dalla forte voce di Sara Corso che è un gran sentire, ottimamente coadiuvata da Andrea Ricci alla chitarra e da Andrea Torrini alla batteria.

TRACKLIST
1.Bandura
2.Cotard
3.Kraepelin
4.Samo
5.Vilayanur
6.Mischel

LINE-UP
Sara Corso – Voice –
Andrea Ricci – Guitar –
Andrea Torrini – Drums –

RAMACHANDRAN – Facebook

Rinunci A Satana ? – Rinunci A Satana ?

Si può rinunciare a Satana ? Ma certo che no, ovvio.

Si può rinunciare a Satana ? Ma certo che no, ovvio.

E allora tuffiamoci di nascosto nella musica carnale dei Rinunci A Satana dalla fatal Milano. Per non andare lontano dal marchi di fabbrica i Rinunci A Satana ? fanno un originalissimo blues rock stoner da vere ligere. Accordi satanici, musica scorrevole ed irresponsabile ai vizi, per un gruppo tanto semplice quanto bravo. Non sono in realtà tanti, sono solo in due, e sono Damiano Casanova (Il Babau e i maledetti cretini), chitarra, e Marco Mazzoldi (Fuzz Orchestra e Bron y Aur), batteria. I due hanno però le idee chiare, e piace molto loro fermarsi agli incroci tra i generi ad aspettare il nero signore. Se volete qualcosa tipo gli ultimi gruppi fighi che fanno blues rock, siete fuoristrada, qui c’è genuina passione ed il linguaggio musicale scelto è l’ossatura per far risaltare la melodia e la linea sonora, vera regina di questo progetto. Queste canzoni strumentali sono lo sfogo di due grandi musicisti che hanno voglia e musica da vendere, e accasandosi su Wallace Records sanno dove andare. Disco dalle molte curve e fortunatamente quasi senza rettilinei, porta in un inferno blues molto caldo e vivo, da dove non vorrete più uscire.

TRACKLIST
1.Stone
2.Effetto Benny Hill
3.Ostenda
4.Le Notti di Riccardo Neropiù
5.Rinunci a Satana?
6.Gatling

LINE-UP
Damiano Casanova : Chitarra.
Marco Mazzoldi : Batteria.

RINUNCI A SATANA ? – Facebook

ELEVATORS TO THE GRATEFUL SKY

Sandro Di Girolamo ci ha parlato dei suoi Elevators To The Grateful Sky, del loro passato e del presente che si chiama Cape Yawn, capolavoro stoner/psichedelico in uscita in questi giorni, buona lettura.

Sandro Di Girolamo ci ha parlato dei suoi Elevators To The Grateful Sky, del loro passato e del presente che si chiama Cape Yawn, capolavoro stoner/psichedelico in uscita in questi giorni, buona lettura.

iye Ciao Sandro, raccontaci come nasce il progetto Elevators To The Grateful Sky.

Ciao Alberto, anzitutto, grazie mille per questa intervista e per le gentili parole che hai sempre speso nei confronti degli ETTGS. Il progetto nasce nel 2011, da un’idea mia e di Giuseppe Ferrara (chitarra). Entrambi suonavamo in un duo brutal death (munito di drum machine), Omega. Forse, perché stanchi di portare avanti un qualcosa di così veloce e tecnico o semplicemente rapiti da un genere così incredibile come quello dello stoner-rock e l’heavy psych, abbiamo deciso di fondare gli Elevators to the Grateful Sky. Subito alla batteria si è unito, Giulio Scavuzzo (ex-Horcus), e alla chitarra solista, Giorgio Trombino (con cui suonavo già nel gruppo swedish death Undead Creep e il quale vantava e vanta la sua presenza e “paternità” in/di numerose altre band: Haemophagus, Sergeant Hamster, Furious Georgie, Assumption, The Smuggler Brothers. Proprio lui, infatti, è abbastanza apprezzato all’interno della scena palermitana, per la sua versatilità nel comporre musica e suonarla con i più svariati strumenti).

N.B. E’ qualcosa che non ho mai detto in giro, però ricordo esattamente il giorno … stavo al pc e mi imbattei in ‘Whitewater’ dei Kyuss, metto play e ascolto. Dopo l’intro parte il riff principale, mi aggrappai alla sedia e subito pensai: “Ma che cos’è questa roba fichissima!? E’ questo il mood che ho sempre ricercato! Devo assolutamente fare anch’io questo genere!”. Da lì in poi, la storia si conosce…

iye Cloud Eye è stato un esordio clamoroso per il gruppo: quali sono stai i riscontri ottenuto tra il pubblico e gli addetti ai lavori?

L’album è piaciuto davvero tanto e ha avuto anche un ottimo riscontro sia da parte della critica che del pubblico. Ci sono arrivate un fiume di recensioni (italiane ed estere) estremamente positive e fatto varie interviste. Molti magazine, su tutti uno dei nostri preferiti, Rumore, ci hanno più volte, dato spazio al loro interno. Non possiamo che ringraziare sempre tutti coloro che ci supportano e ci aiutano nel difficile compito di diffondere il più possibile la nostra musica (ovviamente tra queste tante persone, ci sei anche tu, Alberto).

iye Musica desertica, splendidamente psichedelica, un’amalgama del meglio che un certo tipo di rock ha regalato negli ultimi decenni, senza dimenticare il periodo settantiano: sei d’accordo con questa definizione di quel disco?

Assolutamente. Cloud Eye, per quanto anch’esso ricco di citazioni facenti l’occhiolino ad altre “atmosfere” non proprio inerenti al rock desertico in senso stretto, di sicuro pecca di questa maggiore “affiliazione” a quel particolare genere sviluppatosi dagli anni ’70 in poi e che ha trovato la sua evoluzione in Palm Desert e Seattle.

iye Il nuovo lavoro lascia in disparte le sfumature grunge di Cloud Eye per nutrirsi di suoni rock’n’roll e garage, mantenendo quella vena psichedelica che è il vostro marchio di fabbrica.

Esatto, come dicevo prima, se Cloud Eye rimaneva ancora fortemente legato a una particolare “dimensione musicale”, con Cape Yawn abbiamo alzato un po’ il tiro, puntando a qualcosa di più miscelato e personale, come hai detto tu nella recensione dell’album: “liquido”. Ovviamente è importante mantenere, quelli che chiami “marchi di fabbrica”. Personalmente penso che, nell’arte in generale, se non si è capaci di dire “la propria” e a “proprio modo”, si può tranquillamente smettere di suonare/scrivere/dipingere ecc … passando ad impiegare il proprio tempo in altro. Non vorrei essere polemico, ma sento il bisogno di dirlo, è capitato più volte, che abbiano esclamato sul nostro conto, le classiche frasi: “non comunicate nulla di nuovo”, “siete derivativi” (P.S. sentiteli bene i dischi prima di dire la vostra e scrivere sommarie parole). Cari signori, io non capisco invece, dove tutta questa “grande novità” la troviate in gruppi (e ce ne sono a bizzeffe) facenti parti sempre della stessa scena stoner-rock e da voi acclamati e portati in gloria. Riff banali, scontati, scopiazzati, personalità inesistente, suoni stantii, composizione dei brani inconcludente. Non mi sembra che questi nostri colleghi si sforzino più di tanto nel cercare questa tanta agognata “innovazione” o che s’impegnino nel tentativo di esprimere la loro personalità. Noi nel nostro piccolo, cerchiamo di farlo, con tutto ciò che potrete sentire all’interno delle nostre canzoni (es. la parte funky di Mongerbino). La cosa comunque fondamentale, e chiudo, è che questa nostra ricerca non viene stimolata sicuramente dal ricevere il benestare del boss della ‘zine “di turno”, bensì, tutto ciò lo facciamo solamente perché ci va e vogliamo dire la nostra divertendoci e giocando con le note e i suoni. E’ stato e sarà sempre così, che piaccia o dispiaccia, che riesca o no. (P.S. ma poi innovazione, innovazione … ma a un certo punto fanculo, se una cosa è bella, è bella! L’importante è questo!)

iye A mio parere gli anni settanta nella vostra musica sono rappresentati da una vena doorsiana, cosa ne pensi?

Ovviamente le atmosfere dei Doors intrise di trip mistici e oscuro surf-rock trovano larga diffusione nella nostra musica. Probabilmente anche alcuni testi e metriche che compongo richiamano un certo mondo della California di qualche decennio fa. Personalmente apprezzo molto Gleen Danzig, quindi il richiamo può starci tutto (visto le cose in comune con Jim Morrison). Comunque, le influenze inerenti ai ‘70s sono molteplici, non ci basterebbe un’intervista per elencarle!

iye La title track è uno strumentale da brividi, come nasce un brani di questo tipo?

Bella domanda! Guarda non saprei risponderti sul fatto di come “nasce un brano di questo tipo”, ma posso dirti come questo è nato! I riff principali sono stati scritti da me e Giuseppe per poi essere revisionati, armonizzati e implementati da Giorgio e Giulio (anche con l’ausilio di strumenti come il sassofono). Abbiamo registrato, prima una pre-produzione casalinga e poi suonato più e più volte, rendendo la natura della strumentale, sicuramente più “jammata”. Quando componiamo, riflettiamo un po’ su ciò che vorremmo esprimere con quella canzone. Dobbiamo raccontare una storia, particolari stati d’animo, luoghi, persone, che caratterizzano un definito periodo della nostra vita. Proprio Cape Yawn è l’inno perfetto per le nostre “gite”, qui nei dintorni di Palermo (Monte Pellegrino e la costa di Barcarello su tutti). Guardare il tramonto in compagnia degli amici, bere una birra, fumarsi una sigaretta, pensando ad amori passati o impossibili … magari, il tutto avvolto da questa malinconia provocata dall’incertezza per il futuro della nostra terra, cullati dalla bellezza e poesia del nostro paesaggio (spero che dal video che ho realizzato, si capisca tutto ciò). In questo caso, le melodie richiamanti un triste surf-rock, condite da chitarre ovattate e sassofono riverberato, restituivano al meglio un simile mood. Questa è Cape Yawn, “Capo Sbadiglio”.

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iye Laura è un altro strumentale dedicato a Mark Sandman, frontman dei Morphine: a che cosa è dovuto questo omaggio?

Tutti e quattro siamo degli sfegatati fan dei Morphine. Penso che sia impossibile quantificare le volte in cui ho ascoltato capolavori come “Good”, “Yes”, “Cure for Pain” ecc … Mark Sandman è stata una persona davvero determinante per l’evoluzione della musica rock targata 90’s. Una leggenda. A mio avviso non esisteranno mai più gruppi, con un sound, un appiglio e un groove come il combo di Boston. Proprio il full “Good” mi ha fatto compagnia in un periodo non proprio allegro della mia vita (coincidente con la composizione di Cape Yawn). La semplicità, ma nello stesso la “portata e pesantezza” delle parole del compianto Sandman hanno scavato in noi tutti qualcosa di veramente indimenticabile. Gli hanno dedicato una scalinata a Palestrina, il minimo che potessimo fare noi sarebbe stato scrivere qualche secondo di sassofono in chiave “Dana Colley”. Non so dovunque tu sia, però Mark, ti ringraziamo con tutto il cuore per quello che ci hai trasmesso con la tua arte.

iye La copertina di Cape Yawn è stata disegnata da te: quella del grafico è solo una passione alternativa a quella per la musica, o qualcosa di più?

Di solito ci lavoro part-time. In questi anni non so più quante grafiche ho realizzato (una volta feci pure un inchiostrazione per gli Hooded Menace). Quasi tutte per i gruppi della scena di Palermo, non vorrei esagerare, ma alla stragrande maggioranza delle band della mia città ho fatto o un logo o un artwork o qualcos’altro. Principalmente però, mi sto laureando in Ingegneria Edile-Architettura. Ogni tanto lavoro pure come free-lance in studi di progettazione per la realizzazione di rendering 3d. Cerco per adesso di guadagnare un po’ di soldini, per il gruppo e anche per avere la libertà di poter uscire la sera e devastarmi di birra e Jägermeister al Pub; per chi vuole, mi trova quasi sempre al Krust in via Dante, 19 (qui a Palermo). Passo praticamente le mie serate sbevazzando, a parlare di musica e a sparare cazzate!

iye L’album finora è stato stampato in vinile dalla HeviSike Records, ne è prevista l’uscita anche nel formato cd?

A quanto pare, no. Probabilmente, invece, è prevista l’uscita di Cloud Eye in vinile. Rimanete sintonizzati sul nostro profilo facebook per news e quant’altro.

iye Con nomi quali Elevators To The Grateful Sky, Haemophagus, Sergeant Hamster, spesso collegati tra loro, è giusto parlare dell’esistenza di una vera e propria scena in quel di Palermo?

Questi gruppi sono indissolubilmente legati dal fatto che ci suoni Giorgio. Ora, che non me ne voglia, visto che lui evita sempre di parlare di queste cose e mi richiama più volte e più volte quando lo faccio io, perché eticamente è abbastanza da presuntuosi e spacconi. Però questa volta parlerò, poco importa se mi crederanno o meno e che a lui piaccia o no. Giorgio Trombino oltre che ad essere una persona magnifica, unica, è uno dei miei più cari amici, con cui ho condiviso i giorni e la musica è sicuramente uno dei più grandi talenti dell’underground siciliano (personalmente anche d’Italia per non parlare d’Europa, se vogliamo proprio esagerare). Non è cosa di tutti i giorni incontrare un così poliedrico musicista, nell’ambito degli ascolti, del gusto compositivo (qui si passa da John Coltrane ai Pungent Stench, per farvi capire) e che suoni praticamente TUTTI gli strumenti. Ecco Giorgio. L’ho detto e l’ho fatta grossa, adesso ci odieranno ehehe. Comunque ricordo tutto ciò, per ricollegarmi al fatto che molte cose che sentite provenire dalle nostre parti, sicuramente sono di un certo livello proprio perché c’è il suo zampino. Ad ogni modo, molti sono i gruppi che pur soffocati dalle difficoltà che contraddistinguono la diffusione della musica underground nella nostra città, sono riusciti a canalizzarle per creare un sound personale e di un buon livello. Su tutti (oltre ai progetti del signor Trombino, che avevo già citato): Balatonizer, Airfish, Kali Yuga, La Banda di Palermo, Bigg Men, Cadaver Mutilator, ANF, FUG, Throne of Molok, Stesso Sporco Sangue, Terrorage, Favequaid ecc…

iye La vostra musica è colma di riferimenti a più generi, ma quale tra questi vede Sandro Di Girolamo come suo vero e proprio fan?

Direi quasi tutti, trasversalmente. Certamente, gruppi come: Kyuss, QoTSA, Morphine, Danzig, Yawning Man, Fu Manchu, Captain Beefheart, Melvins, Electric Wizard, Goatsnake, Sleep, Church of Misery, (un po’ banali come citazioni, comunque) ecc… li porto sicuramente nel cuore. Ultimamente ascolto davvero tanto gli Arctic Monkeys. Apprezzo enormemente il talento e le capacità compositive e comunicative di Alex Turner (pure se è ormai diventato il frutto dell’image styler – “lo zio Homme”). In playlist ho quasi sempre “Favorite Worst Nightmare” e “AM”. Ci sono davvero delle belle canzoni (sottolineo, canzoni, non tracce o pezzi) e quando vedo alcuni loro live, non posso che essere (sanamente e costruttivamente) invidioso del loro successo. Arrivare a quei livelli lì, sarebbe davvero un sogno che si avvera. Non chiederei altro.

iye Per finire, quali sono i vostri progetti sul versante live?

Stiamo cercando di organizzare un mini-tour in Inghilterra, visto oltretutto che Giuseppe oramai vive e lavora come infermiere specializzato a Stoke-on-Trent, in pianta stabile (esatto il luogo di nascita di “gentaglia” come il leggendario Lemmy e Slash). Volevamo pianificare qualcosa per Maggio, ma probabilmente il tutto verrà posticipato. Se qualcuno è in grado di darci una mano, per favore, non tardi a contattarci! Per il resto, grazie ancora per questa bella intervista! Ricordiamo che Cape Yawn, sarà disponibile via Hevisike dall’11 Marzo in poi. Spero che tutte le persone sintonizzate, possano sentirlo e apprezzarlo. Magari non è il disco della vita, ma sicuramente è un prodotto sincero, fatto con impegno e passione. Se volete approdare nel nostro mondo, Cape Yawn e l’astronave che vi ci porterà!

Mountain Tamer – Mountain Tamer

Mountain Tamer hanno dentro di loro una fortissima matrice doorsiana, soprattutto per la composizione, per quella capacità musicale che fa viaggiare il nostro cervello su spiagge ventose e su pianeti lontani.

Esordio per questo gruppo californiano che stupisce davvero molto.

I Mountain Tamer sono di Santa Cruz, California e fanno una musica che lievita fra psych pesante, fuzz, stoner e puntate in qualcosa di più duro. In definitiva fanno un disco davvero potente ed impressionista, pennellando i più disparati stati mentali. I Mountain Tamer hanno dentro di loro una fortissima matrice doorsiana, soprattutto per la composizione, per quella capacità musicale che fa viaggiare il nostro cervello su spiagge ventose e su pianeti lontani. Lo stile passa dagli anni settanta ad un sentimento più grunge, soprattutto nella maniera di insistere su taluni passaggi tipica degli anni novanta. La qualità è altissima, e il gruppo non sbaglia una nota, rendendo questo disco un momento davvero piacevole. Ci sono anche momenti più duri e sono notevoli poiché si amalgamano benissimo con le parti più psych. Mountain Tamer è un compendio di psichedelia moderna, con una progressione notevole. Il disco è buono anche per mettersi e passare un momento maggiormente lounge, se così si può dire. Un ottimo debutto e uno dei migliori dischi del buon catalogo dell’Argonauta Records.

TRACKLIST
1.Mindburner
2.Knew
3.Dunes Of The Mind
4.Vixen
5.Wolf In The Streets
6.Sum People
7. Satans Waiting
8.Pharosite

LINE-UP
Andru – Guitar – Lead vocals/loud noises)Casey Garcia(Drums/vocals/art design) Dave Teget(Lead Bass/vocals/private security)

MOUNTAIN TAMER – Facebook

Elevators To The Grateful Sky – Cape Yawn

Gli Elevators To The Grateful Sky si confermano come una magnifica realtà fuori dagli schemi prefissati del rock attuale, con un altro capolavoro che li eleva a gruppo di culto.

Elevators To The Grateful Sky, Sergeant Hamster, Haemophagus, Undead Creep, per molti saranno nomi poco conosciuti, ma per chi segue l’underground e le ‘zine di riferimento come la nostra, sono tasselli musicali che formano un mondo metal/rock, nella regione più a sud della nostra penisola, la Sicilia.

In quel di Palermo vivono e si riproducono questi virus di musica del diavolo, che hanno nel loro dna molti dei generi di cui il nostro mondo è composto, dal più estremo death metal, allo stoner, dal doom all’hard rock settantiano, tutti suonati in modo originale, per niente scontato, miscelandoli a dovere con garage, psichedelia, progressive e tanto rock’n’roll.
Cloud Eye, primo lavoro dei fenomenali Elevators To The Grateful Sky, licenziato nel 2013 e finito inesorabilmente nella mia play list di quell’anno, seguiva il primo ep omonimo e vedeva la band di Sandro Di Girolamo (ex Undead Creep) alle prese con un capolavoro di musica desertica, psichedelica, matura, probabilmente favorita da un caldo territorio che richiama le aride distese che si trovano sul suolo americano e che hanno influenzato quarant’anni di rock.
Al fianco di Di Girolamo troviamo sempre Giuseppe Ferrara alla sei corde, Giulio Scavuzzo alle pelli e Giorgio Trombino, chitarra e basso, per il secondo viaggio nel mondo di questa musica senza barriere, ancora una volta persi in un universo sonoro, colorato come un arcobaleno di generi uniti tra loro e che vivono in perfetta simbiosi nello spartito del gruppo siciliano.
Cape Yawn perde leggermente le sfumature grunge per avvicinarsi molto al garage, specialmente nei primi brani, Ground e Bullet Words, che partono sgommando e l’elettricità è subito altissima, le ritmiche rock’n’roll della prima lasciano il posto a quelle stonerizzate della seconda, pregne di riff estrapolati dal decennio settantiano, mentre garage rock e stoner compongono la inyourface All About Chemistry, in un’improbabile ma affascinante jam fra Miracle Workers e Fu Manchu.
Scaldata l’atmosfera, il gruppo da Dreams Come Through in poi dà letteralmente spettacolo, la sabbia calda brucia i piedi, la bocca si inaridisce e veniamo scaraventati in pieno deserto: A Mal Tiempo Buena Cara accompagnata da un riff sabbatiano, ci inonda di doom psichedelico, Di Girolamo canta come un Morrison intrippato per i Kyuss ed il disco prende il volo per non scendere più dal livello di capolavoro.
Kaiser Quartz e la monolitica I, Wheel, su un altro album sarebbero top songs, ma nel mondo Elevators, queste due perle di doom/stoner, vengono solo prima della title track, il brano perfetto, liquido, ipnotico, tremendamente sensuale, come un serpente sinuoso che disegna il suo corpo sulla sabbia, entra in noi e ci avvelena di psichedelia, con un intervento di sax nel finale che è un colpo di grazia alle nostre menti perse in questo arcobaleno.
Laura è uno strumentale dedicato a Mark Sandman, frontman dei Morphine, altro nome importantissimo per lo sviluppo di Cape Yawn, mentre l’hard rock di Mountain Ship e Unwind , sorta di outro liquida, chiudono questo ennesimo capolavoro del gruppo siciliano.
L’album è stato stampato solo in vinile ed è accompagnato dalla splendida copertina disegnata da Di Girolamo, che si dimostra artista a 360° come la sua splendida musica, mentre gli Elevators To The Grateful Sky si confermano come una magnifica realtà fuori dagli schemi prefissati del rock attuale, con un altro capolavoro che li eleva a gruppo di culto.

TRACKLIST
1. Ground
2. Bullet Words
3. All About Chemistry
4. Dreams Come Through
5. A Mal Tiempo Buena Cara
6. Kaiser Quartz
7. I, Wheel
8. Mongerbino
9. Cape Yawn
10. We’re Nothing at All
11. Laura (one for Mark Sandman)
12. Mountain Ship
13. Unwind

LINE-UP
Sandro Di Girolamo – voce, percussioni
Giorgio Trombino – chitarra, basso, sax contralto, conga, tastiere, voce
Giuseppe Ferrara – chitarra
Giulio Scavuzzo – batteria, darbouka, tamburello, percussioni, voce

ELEVATORS TO THE GRATEFUL SKY – Facebook

Funeral Mantra – Afterglow

Tornano con un contratto per la Sliptrick Records! ed il primo full length i Funeral Mantra, così che il loro sound possa finalmente esplodere e travolgere con l’inferno di lava doom/stoner contenuto nelle tracce di questo ottimo Afterglow.

Avevamo parlato molto bene un paio di anni fa di questa band romana, in occasione del loro primo demo autoprodotto, un esordio composto da quattro brani inediti, dopo qualche anno di gavetta come cover band.

Tornano con un contratto per la Sliptrick Records! ed il primo full length i Funeral Mantra, così che il loro sound possa finalmente esplodere e travolgere con l’inferno di lava doom/stoner contenuto nelle tracce di questo ottimo Afterglow.
Prodotto da Luciano Chessa, già al lavoro con i fenomenali Helligators, La Menade e i Graal, l’album conferma le ottime impressioni avute all’ascolto del passato demo, ora la band risulta davvero una pericolosa macchina da guerra doom/stoner, migliorando molto in personalità e lanciando sul mercato un potentissimo esempio di musica sabbatica, desertica e stonata.
Che il genere sia questo, prendere o lasciare, non fa una piega, è come lo si suona che fa la differenza e la band romana, senza tanti giri di parole spacca che è un piacere, limitando di molto divagazioni psichedeliche e jam acide care a molti gruppi di stoner classico, ed elargendo potentissime bordate di doom settantiano, hard rock e groove come se piovesse.
La prova sopra le righe del vocalist Dude, una via di mezzo tra un orso ferito e Zakk Wylde e l’ottimo songwriting, confermano che siamo davanti ad un gruppo notevole, nel genere uno dei migliori dell’underground dello stivale.
Riff che potrebbero essere usati per demolire palazzi in disuso, solos giunti fino a noi dai lontani anni settanta, ritmiche colme di sano groove stoner, fanno di Afterglow un lavoro annichilente per impatto ed affascinante nelle atmosfere, che mantengono inalterata la coltre di nebbia portata dal vento, che si insinua nella nostra stanza direttamente da cerimonie sabbatiche dove viene rievocato il gotha del genere mondiale, gruppi in cui ci siamo imbattuti negli ultimi quarant’anni di musica rock.
Detto che le quattro tracce presenti sul demo fanno bella mostra di se anche su Afterglow ( arrembante Parsec, monolitica Funeral Mantra, varia e dal gusto alternative Gravestones Reveries, una botta alla Black Label Society, Drifting) le altre sei composizioni arricchiscono il mondo Funeral Mantra di songs trascinanti, irresistibili nel loro coniugare un genere tosto e senza compromessi, come quello suonato, ad un immediato appeal tra i brani e con l’ascoltatore, grazie alla fruibilità e alla freschezza di brani dal notevole carisma come Dimensions Onward, l’irresistibile e ritmata In These Day, la muscolosa Brainlost, tranciata a metà da una frenata e da un assolo creato per sconvolgere, e la titletrack, chiusura psichedelica di un album debordante.
Per chi non conoscesse il gruppo capitolino e vuole i soliti nomi di riferimento, allora avvicinatevi senza indugi a questo lavoro, perché al suo interno ci troverete Black Label Society, Black Sabbath, dirigibili zeppeliniani, Grand Magus, Cathedral, Kyuss e Pentagram; mi fermo qui e vi invito a far vostro questo Afterglow, non lo toglierete dal lettore per tanto, tanto tempo.

TRACKLIST
1. Soulstice
2. Dimension Onward
3. Gravestone Reveries
4. Brainlost
5. In These Eyes
6. Funeral Mantra
7. Parsec
8. Counterfeit Soul
9. Drifting
10. Afterglow

LINE-UP
Vikk- Bass
Richard- Guitars
Randy- Guitars
Simone “Dude”- Vocals
Marco “Karonte”- Drums

FUNERAL MANTRA – facebook

Kingfisher – The Greyout

Un ottimo esordio per una band più che promettente

I Kingfisher, formazione a cinque dove a farsi notare fin da subito è la presenza di tre bassisti, vengono dalla Lombardia e debuttano, dopo l’ep del 2014 con gli undici brani di The Greyout. Il lavoro, folle punto di incontro fra alternative metal, alternative rock e stoner, esplode nei timpani con la forza di mille granate, grazie anche all’ottimo lavoro di Andrea Cajelli in sala di registrazione e di Giulio Ragno Favero per quanto riguarda il processo di mastering.

La partenza bruciante e fulminante di Red Circle, correndo sui colpi di batteria e basso, scalcia con energia, introducendo l’altrettanto fiammante Sentient (intrigante il cuore leggermente più scuro e pacato) e le influenze stoner, dirottate su terreni estremamente metal, di Worm Tongue (bassi e batterie feroci come mitragliatrici).
L’aggressività iniziale di The Greyout, sviluppandosi poi su melodie più strutturate (ma non rinunciando a scalciare come un cavallo pazzo), lascia che a seguire siano i pugni nello stomaco sferrati da Even In Decay (provate a non essere rasi al suolo dalla forza d’impatto della seconda parte) e la breve strumentale Oneiric (decisamente più pacata, contenuta e delicata).
A ritornare a far ruggire i bassi ci pensa Eleven che, affidandosi ad architetture più complesse e cerebrali, rallenta i tempi e si tuffa in sonorità a metà fra stoner e southern metal.
Bizarre, infine, precipitando in complessi incastri di batteria e bassi, cede il compito di chiudere allo sfrecciare di Scent Of Reckoning, all’assalto sonoro dell’altrettanto distruttiva Relentless e all’ipnotico concludere della più distesa, melodica e matematica Mandala.

Il debutto dei Kingfisher, granitico, compatto e carico di energia, colpisce per la sua forza d’impatto, per il suo suono e per la sua intensità. Gli undici brani presentati, infatti, quasi non lasciando la possibilità di tirare il fiato nemmeno per un secondo, si susseguono, tirati, come ordigni esplosivi sempre pronti a brillare. A rovinare un pochino l’entusiasmo è la troppa omogeneità dei brani, ma, tolto questo difetto, tutto fila decisamente liscio. Un ottimo esordio per una band più che promettente.

TRACKLIST
01. Red Circle
02. Sentient
03. Worm Tongue
04. The Greyout
05. Even In Decay
06. Oneiric
07. Eleven
08. Bizarre
09. Scent Of Reckoning
10. Relentless
11. Mandala

LINE-UP
Davide Scodeggio
Alessandro Croci
Emanuele Nebuloni
Renato Di Bonito
Matteo Barca

KINGFISHER – Facebook

Kaross – Two

La caratteristica maggiore e migliore dei Kaross è di saper generare un muro di suono cono un groove particolare e che ti uncina subito per non lasciarti.

Monolite sonico che cade nelle lane svedesi per conquistare il globo.

Questo disco ha una storia non semplice ma un finale per fortuna lieto. Two avrebbe dovuto vedere la luce nel 2013, ma per problemi con la loro precedente etichetta i Kaross non hanno potuto pubblicare il disco. Così succede cò che doveva succedere, ovvero il gruppo si riprende indietro i diritti per pubblicare il disco, che preceduto da due singoli vedrà la luce nel febbraio del 2016.
Il disco, il seguito di Molossu del 2007 è un potentissimo concentrato di stoner, sludge, rock and roll, un agglomerato ad altissima densità di groove. La caratteristica maggiore e migliore dei Kaross è di saper generare un muro di suono cono un groove particolare e che ti uncina subito per non lasciarti. Immaginatevi i Black Label Society più concreti, i Fu Manchu più convinti e i Black Sabbath con tanti watt in più. Two è un gran disco di un ottimo gruppo che pur essendo in giro dal 2002 non ha mai sfornato tante cose, ma tutte di una qualità eccezionale. Questo disco è del 2013 ma avrà ancora cose da dre negli anni futuri. I cuori di chi fra di voi ama la musica pesante saranno stra felici nell’ascoltare questo disco che ha seriamente rischiato di non vedere mai la luce, e sarebbe stato bruttissimo per tutti.

TRACKLIST
01. Burn Witch Burn
02. Borderline
03. The Lake, The Beach
04. The Evil
05. TWO
06. I Call The Shots
07. All Cream Is Gone
08. Hyde
09. Fawn
10. Dirty Beer

LINE-UP
Magnus Knutas – Lead Vocals
Kalle Sjöstrand – Lead Guitar
Patrik Olsson – Bass, backing vocals
Mojje Andersson – Drums, backing vocals

KAROSS – Facebook

Ape Machine – Coalition Of The Unwilling

La produzione è sontuosa e tutto funziona alla perfezione, e il quartetto di Portland ci regala la sua migliore prova.

Suono potente e psichedelico totalmente calato negli anni settanta, eseguito con grande passione e talento. Ma se ci fermasse a questo piano sarebbe fare un’ingiustizia agli Ape Machine.

La loro musica è fortemente anni settanta ma è rielaborata da un gusto moderno che la arricchisce ancora di più. La psichedelia pesante la fa da padrone in Coalition Of The Unwilling, insieme ad uno stile compositivo di ampio respiro che rende questo disco un piccolo gioiello per gli amanti di certe sonorità che vengono da lontano ma che non si sono mai perdute.
Negli Ape Machine convivono elementi dei Clutch con scatti alla Mastodon, e schitarrate più pro, il tutto in salsa psych.
La produzione è sontuosa e tutto funziona alla perfezione, e il quartetto di Portland ci regala la sua migliore prova.
Disco da meditazione psichedelica.

TRACKLIST
1. Crushed From Within
2. Disband
3. Give What You Get
4. Under This Face
5. Ape’N’Stein
6. Never My Way

LINE-UP
Caleb Heinze – Vocals
Ian Watts – Guitar
Brian True – Bass
Damon De La Paz – Drums

APE MACHINE – Facebook

Mutonia – Wrath Of The Desert

Wrath Of The Desert conferma tutto quello che di buono si era detto e scritto sul gruppo laziale in occasione del primo lavoro

Magari vi siete lasciati sfuggire il debutto di questa band laziale, uscito lo scorso anno, un ottimo esempio di stoner rock, legato ancora da un filo sottilissimo al rock alternativo, secondo amore del gruppo, dopo gli esordi come band punk.

Magari siete esterofili incalliti e pensate che nel nostro paese lo stoner non viene suonato come negli States.
Magari questa volta, incuriositi e convinti dalle mie umili righe, darete un ascolto a Wrath Of The Desert, secondo lavoro dei Mutonia, trio della provincia di Frosinone, con un talento innato nel creare atmosfere desertiche, stonate e allucinate.
Non hanno perso tempo i Mutonia, e dopo i buoni riscontri del precedente Blood Red Sunset, tra Aprile e Giugno di quest’anno si sono rinchiusi in studio, per continuare il viaggio, persi nel deserto della Sky Valley in compagnia delle anime perdute che, all’imbrunire, sotto l’effetto del sole e di erbe dalle proprietà terapeutiche, ma dagli effetti collaterali stonati, compaiono tra i rovi portati dal vento caldo, o tra i pugni di sabbia che scivola tra le dita, mentre le note grasse dei brani di Wrath Of The Desert, invitano a danzare ciondolanti tra scorpioni e serpenti a sonagli.
Il trio non perde un’oncia della sua carica rock, ma, rispetto al primo lavoro, è forte l’atmosfera rituale che aleggia nelle songs che compongono quest’altro bellissimo omaggio al rock statunitense degli ultimi anni, interpretato da tre musicisti, Matteo De Prosperis (chitarra e voce), Fabio Teragnoli (basso) e Maurizio Tomaselli (batteria) che in quanto a feeling e attitudine ne hanno da vendere.
E allora ecco che questa raccolta di nuovi brani, spazza il deserto come la tromba d’aria che raffigurata nella copertina( illustrata da Sara Terpino), mette in subbuglio il lento trascorrere del tempo, quasi fermo nel luogo invivibile per antonomasia, almeno per l’uomo.
To Three To Four, aperta dal basso pulsante ed ipnotico del buon Teragnoli, ci invita ancora una volta lungo l’arida terra dove la band trae ispirazione, subito è tangibile la totale metamorfosi del gruppo, che lascia alle spalle come detto gli ultimi accenni all’alternative e si ripresenta come una perfetta macchina stoner, confermata dal singolo Lonely Soul, un brano che sprizza Queen Of The Stone Age da tutti i pori.
Come nel primo album la sensazione di jam si insinua in noi come un serpente nella tana di un ratto, si succedono brani dal forte impatto come Meth e Thunderstone, ma il flash sabbatico e rituale di Among The Gale And The Desert, risulta il colpo mortale all’ultimo neurone sano, bruciato da questo magnifico trip, che lento e inesorabile sale alla testa e porta con se immagini allucinate di chi visse quei luoghi, ed ormai è perso tra la polvere portata dal vento.
Coward alterna agitazione ritmica a frenate doom settantiane, mentre il finale dell’album è lasciato a The Prodigal Son, hard rock stonato e devastante ed una delle song più lineari del disco.
Wrath Of The Desert conferma tutto quello che di buono si era detto e scritto sul gruppo laziale in occasione del primo lavoro, ora tocca a voi supportare questi figli del deserto, che hanno tutte le carte in regola per non far rimpiangere i maestri americani, ottima conferma.

TRACKLIST
1. To Three To Four
2. Lonely Soul
3. Still (Yourself)
4. M.E.T.H.
5. Thunderstorm
6. Among The Gale And The Desert
7. Meat For Voltures
8. Coward
9. The Prodigal Son

LINE-UP
Matteo De Prosperis – guitar/vocals
Fabio Teragnoli – bass
Maurizio Tomaselli – drums

MUTONIA – Facebook

Isaak – Sermonize

Sermonize è l’avanguardia della Genova Pesante e lo sarà per un bel pezzo.

Tornano impetuosamente gli Isaak, gran gruppo genovese di stoner rock e tanto altro.

Sermonize è a partire dalla fantastica copertina di Richey Beckett un disco potente e fresco, con un fortissimo gusto di southern. Personalmente quando ascolto gli Isaak mi sembra che siano stati fra i pochissimi gruppi che abbiano recepito pienamente la lezione dei Kyuss, ovvero rendono benissimo la sensazione di deserto che era nella musica degli americani. Infatti questo disco ha un groove desertico e caldo che lo rende speciale. Di gruppi stoner o dintorni ve ne sono moltissimi, ma la sensazione di movimento e di compattezza che hanno questi genovesi lo hanno in pochi. La loro musica compie evoluzioni melodiche immersa nella calda sabbia del deserto e quando meno te lo aspetti scatta fuori dalla sua tana per azzannarti alla gola, ed ucciderti dolcemente. Già il disco di debutto era stato ottimo, ed ancora prima i Gandhi’s Gunn, la loro incarnazione pre Isaak, erano passi avanti. Sermonize porta il discorso ad uno se non due livelli superiori, sia per la composizione diventata più dura e personale, che per l’esecuzione più intensa che mai.
Gli Isaak hanno acquistato malizia e scaltrezza, riuscendo a rendere il disco un fortino senza punti deboli, dove tutti fanno il loro compito alla perfezione suonando uno stoner rock che in Italia non fa nessuno e che avrà sicuramente molta eco anche all’estero, visti anche i numerosi concerti fuori dai nostri confini che hanno fatto.
Sermonize colpisce a fondo e come un’endorfina ne vorresti ancora ed ancora.
Melodie e compattezza, sono questi i punti di forza del disco, che si può ascoltare su livelli differenti, ponendo l’accento su di un giro di chitarra o su una rullata particolare, se non sulla gran voce di Giovanni Boeddu in costante crescita . Da registrare l’entrata nel gruppo di Gabriele Carta al basso al posto di Massimo “ Maso “ Perasso, l’uomo Taxi Driver che proprio insieme agli Isaak fa parte di quel gruppo di persone che hanno fatto tanto per la Genova pesante, portando grandi gruppi e proponendo ottima musica in maniera accessibile a tutti.
Sermonize è l’avanguardia della Genova pesante e lo sarà per un bel pezzo.

TRACKLIST
1 – Whore Horse
2 – The Peak
3 – Fountainhead
4 – Almonds & Glasses
5 – Soar
6 – Showdown
7 – Yeah (Kyuss)
8 – Lucifer’s Road (White Ash)
9 – Lesson n.1
10 – The Frown Reloaded
11 – The Phil’s Theorem
12 – Sermonize

LINE-UP
Giacomo H Boeddu :Vocals
Andrea Tabbì De Bernardi : Drums / Vocals
Francesco Raimondi : Guitars
Gabriele Carta : Bass

ISAAK – Facebook

VOID OF SLEEP

Dopo aver recensito il loro ottimo album New World Order, mi sono venutee in mente alcune domande da porre ai Void Of Sleep, che sono a mio avviso uno dei gruppi più interessanti attualmente in Italia. E chiacchierando con loro l’interesse aumenta molto …

iye Come è nato New World Order?

Burdo: Come anche il precedente lavoro è nato dalla collaborazione e dal bagaglio di tutta la band, a differenza di prima però, questa volta abbiamo voluto concentrarci su un argomento comune per tutto l’album, che coinvolgesse il nostro songwriting fondendo le parole e la musica in un unico mood: volevamo fare qualcosa di diverso dal nostro primo album, qualcosa di più oscuro ma anche trionfante e disperato, volevamo più cattiveria, ma anche più melodia, volevamo insomma estremizzare le nostre peculiarità, compresa la parte progressiva del nostro suono, così quando ho presentato agli altri l’idea del concept siamo partiti con le idee chiare.

Gale: L’ idea del concept che ha avuto Burdo ci è subito piaciuta, anche perché, come ormai credo si sia capito, siamo fan degli anni 70, del prog e della psichedelia e molti gruppi che amiamo hanno fatto concept-album in quegli anni; questo non significa che avevamo la pretesa di rifare uno di quei capolavori, ma diciamo che misurarsi con un tipo diverso di scrittura poteva essere una sfida affascinante, e lo è stato.

iye Pensate che attraverso musica come la vostra ci possa essere un cambiamento in positivo nella gente?

Burdo: Beh, personalmente non credo, noi abbiamo solo scritto di un argomento che troviamo “diabolicamente” affascinante, esprimendo nostre opinioni e metafore … è una storia insomma, ognuno può vederci quello che vuole, non abbiamo la presunzione di insegnare nulla a nessuno.

iye La situazione dell’underground in Italia è migliore o peggiore rispetto al passato?

Burdo: Onestamente non so bene cosa risponderti … sicuramente è cambiata, come sono cambiati i tempi: da un lato il web ha sicuramente aumentato le possibilità di essere ascoltati ed ha “livellato” almeno un minimo questo gap rispetto al passato, ma dall’altra parte ormai ci sono migliaia di band, molte più che in passato, molte più mode anche tra le nicchie … è difficile, almeno per me, capire se ci siano più lati positivi o negativi … fatto sta però che il tasso qualitativo dell’underground italiano negli ultimi anni credo sia piuttosto buono … mancano un po’ le opportunità, forse.

iye Avete suonato in Europa? Cosa pensate delle scene estere?

Gale: Abbiamo suonato qualche data in Europa e ne faremo sicuramente altre 4-5 a marzo ma non abbastanza per avere un’ idea delle varie scene, ci sono state date più fortunate ed altre meno, come d’ altronde in Italia, ci è capitato di suonare davanti a 3 persone, davanti a 50/100 spettatori come a 2-300 o addirittura a 1000. Non credo si possa generalizzare e parlare di scene che “funzionano” meglio di altre.

iye Come porterete in giro un progetto importante come New World Order?

Gale: I nostri sono semplici concerti dal vivo, nient’ altro che quattro persone con i propri strumenti che ripropongono nella maniera più fedele possibile i brani degli album; non ci sono basi, non ci sono visuals, non ci sono luci particolari, non che siamo contro a quel tipo di show, anzi, ma attualmente proponiamo dei concerti “canonici”. Per quanto riguarda la scaletta, al nostro release party al Bronson abbiamo suonato New World Order per intero ed in sequenza, nei prossimi concerti tenderemo a suonarne più brani possibili compatibilmente con i tempi di esibizione che avremo a disposizione dai locali ma suoneremo sempre almeno due brani da Tales, perché comunque il primo album ci rappresenta ancora, ci sono grandi canzoni che ci divertiamo a suonare dal vivo e anche i “fan” si aspettano di sentire qualcosa.

iye Quali sono le vostre fonti di informazione sui fatti e soprattuttto sulla storia occulta mondiale?

Burdo: Non posso citarti fonti particolari, come dicevo prima è una storia, non un trattato o una relazione, io ho letto diversi libri a riguardo e ho la mia visione della vita e di quello che mi succede intorno, mi sono fatto le mie idee, chi ascolta l’album può ragionarci sopra e decidere come crede, oppure semplicemente godersi la musica.

iye Come definireste la vostra musica?

Burdo: Ho notato che le etichette di genere su di noi cambiano un po’ da un disco all’altro, con New World Order ci definiscono Progressive Sludge Metal, a me sta bene, non sono mai stato molto portato a catalogare la musica.

Gale: Etichettare la nostra musica è complicato, lo è anche per noi, ci sono tanti elementi e tanti stili, anche distanti, che convivono in essa. In diverse recensioni dicono cose che ci fanno molto piacere e cioè che stiamo costruendo un sound personale, originale, questo per me è il miglior complimento che ci possano fare, l’ ho già detto molte volte, non abbiamo la pretesa di inventare niente di nuovo ma secondo me ogni band ha il dovere morale di non essere un semplice clone di qualcun ma di cercare la propria identità.

iye Progetti futuri?

Gale: In primis suonare il più possibile per promuovere l’ album, di sicuro ci piacerebbe fare un bel tour magari di spalla a qualche band che stimiamo, sarebbe bello anche riuscire a suonare in qualche festival importante e fare un tour fuori dall’ Europa, comunque quello che ci interessa attualmente è diffondere la nostra musica,  crescere come band e migliorarci sempre, sia come compositori, sia come esecutori, sia come musicisti in generale.

MAvoidofsleep

Blind Marmots – Blind Marmots

Il disco omonimo dei Blind Marmots potrebbe piacere agli amanti di vari generi, ma soprattutto a chi vuole divertirsi ascoltando musica che non appesantisce.

Nella vita bisognerebbe , almeno in teoria, prendere una decisione e schierarsi.

I Blind Marmots lo hanno fatto con decisione : fanno musica pesante e rumorosa, si drogano bevono e soprattutto sono molto autoironici. I ragazzi in questione sono veterani della scena alternativa padovana, e come loro stessi affermano erano partiti per suonare stoner rock e hard rock anni 70, poi gli abusi hanno preso il potere ed il tutto è diventato CrossStoner…
Cosa sarebbe lo crosS toner ? E’ un miscuglio di stoner, sludge, noise, grunge e qualcos’altro, suonato veloce e senza generi inibitori.
Sia quel che sia è la musica che fanno i Blind Marmots, ed è molto divertente e piacevole.
Nonostante molti cambi di formazione, e diverse vicissitudini i nostri sono arrivati a pubblicare questo primo disco, mettendolo in download gratuito sul loro bandcamp .
Come valore aggiunto i nostri sono molto auto ironici e ciò si riflette sui testi, che sono divertenti come la musica e soprattutto c’è aria di spensieratezza, e non è poco.
Il disco omonimo dei Blind Marmots inoltre potrebbe piacere agli amanti di vari generi, ma soprattutto a chi vuole divertirsi ascoltando musica che non appesantisce.
Un buon debutto.

TRACKLIST
1.LETHAL CYCLE OF THE MARMOT
2.TE SACO LA MIERDA
3.DESPISE
4.EAT THE MAGGOTS
5.INSIDE THE WOOD
6.KILL YOUR PARENTS
7.KALEIDOSOUP – MADCHILDREN

LINE-UP
carlo toffano – lead guitar
thomas corelli – guitar
ale “teuvo” segantin – voice
luca campagnaro – drums
pietro gori – bass guitar

BLIND MARMOTS – Facebook

Greus – Greus

Grassi giri di chitarra che si impastano perfettamente con una batteria incessantemente impetuosa ed incalzante.

I Greus sono un gruppo con un dna molto promettente e confermano quanto di buono ci si aspettava guardando la pur spartana line – up.

I Greus sono solo in due, ma che duo: Edu Rodriguez già batterisa nei Moho, nume tutelare dello stoner in terra iberica, e Ivan Ruiz in passato nei Moksha e nei guerrieri hardcore vecchia scuola XMilk, indimenticabili per furia e coerenza.
I due si sono uniti per far musica pesante con composizioni intricate ed assai intriganti.
Dopo poco più di due anni suonando solo dal vivo, si sono chiusi negli studi Cal Pau Recordings con il sig. Santi Garcia, mastro produttore di gran parte dei capolavori Bcore.
Il risultato è molto originale, distorto sia nel suono che nella composizione, davvero interessante e ricco di spunti.
I due musicisti in questione sono due persone che non vogliono e non devono dimostrare nulla, ma solo fare musica che li diverta e che possa divertire l’ascoltatore, e ci riescono in pieno.
Come recita il loro comunicato stampa, ed è raro dare ragione ad un comunicato stampa, i Greus fanno un album di cui Toni Iommi, almeno quello pre senescenza, ne sarebbe molto fiero e ci potrebbe anzi suonare.
Grassi giri di chitarra che si impastano perfettamente con una batteria incessantemente impetuosa ed incalzante.
Un disco oscuro che affascina e che fa venire voglia di camminare senza luce in bui cunicoli, labirinti creati dalla nostra mente. In questo disco omonimo però non si trova solo l’oscurità ma anche tanta deviazione sonora ed imprevedibili costruzioni soniche.

Tracklist:
1 Brou De Cultiu
2 Engrudo
3 Mitocondria
4 El NO Yo
5 Cervical 3

Line-up
Edu Rodriguez – Drums.
Ivan Ruiz – Guitar.

GREUS – Facebook

88 Mile Trip – Through the Thickest Haze

Nove tracce che formano una dannata e pesante jam attraversata da vene dove scorre il blues più marcio e stravolta, come da copione, da dosi illegali di erbe e funghi.

Il Canada è terra di foreste che si perdono per chilometri, inverni che non finiscono mai, con il freddo che attanaglia ed una natura a suo modo difficile, in molti casi estrema, come il deserto, lontano migliaia di miglia, ma mai così vicino, raccontato dallo stoner rock degli 88 Mile Trip.

Il gruppo di Vancouver licenzia il suo primo album sulla lunga distanza dopo aver dato alle stampe un ep omonimo nel 2013 (anno di fondazione del gruppo) e addirittura un live album, sempre dello stesso anno e dal titolo “Live in the DTES”.
Giunge il momento, anche per loro, di sfornare il primo full length e Through the Thickest Haze arriva puntuale in questa metà dell’anno travolgendoci con la sua carica rock stonata, molto settantiano nell’approccio, senza grossi picchi ma lineare e dalla buona fruibilità.
Senza nessuna concessione alla psichedelia, l’album risulta un monolite di ritmiche hard rock desertiche; le canzoni tengono ad assomigliarsi un po’ troppo tra loro (forse l’unico difetto dell’album), ma le atmosfere da viaggio allucinato tra fumo e alcool, persi nelle desolate lande dove sole e caldo annebbiano la mente più che un joint, sono assicurate dall’ottima attitudine del quintetto canadese che, da buon Caronte, ci accompagna per le strade bruciate dell’America più vera, quella che noi amiamo di più.
Nove tracce che formano una dannata e pesante jam attraversata da vene dove scorre il blues più marcio e stravolta, come da copione, da dosi illegali di erbe e funghi, è ciò che ci propongono gli 88 Mile Trip, fieri paladini del rock settantiano amalgamato ai suoni desertici degli anni novanta.
E’ così che, tra le note dei vari capitoli di questo viaggio tra le nebbie della mente, vi imbatterete in richiami alle band cardine del genere, dagli stranominati (quando si parla di stoner) Black Sabbath, ai Kyuss e Fu Manchu.
Le canzoni scorrono piacevolmente e non ci si annoia tra le spire di questo Through the Thickest Haze, fino ad arrivare al capolavoro Song Of The Dead, stoner blues da applausi in cui l’hammond crea un alone di mistico discendere nei meandri di un rito stonato, che band come gli 88 Mile Trip continuano imperterrite a consumare.
Per concludere, un buon lavoro, gli amanti del genere sono invitati all’ascolto e troveranno di che crogiolarsi tra le note di Through the Thickest Haze.

Tracklist:
1. The Repressed
2. 20 & 8
3. Serpent Queen
4. Call to Rise
5. Burn the Saints
6. The Awakening
7. I’m Not Mad (I’m Just Disappointed)
8. Song of the Dead
9. Sacred Stone

Line-up:
Darin – Bass
Eddie – Drums
Hugo – Guitars
Casey – Guitars
Dave – Vocals

88 MILE TRIP – Facebook