Hellwitch – Syzygial Miscreancy

Che la band sapesse suonare non c’era alcun dubbio, chiaramente la proposta è più di quanto old school si possa trovare in giro, quindi questa ristampa è consigliata solo agli amanti dei suoni estremi di più datata derivazione.

Considerato dal gruppo come il loro primo full length, torna a tormentare le notti dei deathsters dai gusti old school questo piccolo gioiellino estremo uscito nel lontano 1990 targato Hellwitch.

Syzygial Miscreancy è composto da venticinque minuti di metal estremo di stampo death molto tecnico ed ovviamente di matrice statunitense.
D’altronde lo storico quartetto nasce addirittura a metà degli anni ottanta in Florida, seguendo le orme thrash metal degli Slayer ed in seguito aggiustando il tiro, così da creare un vortice di musica metallica dalla componente death.
La storia del gruppo ha visto vari stop nel corso degli anni, con una discografia incentrata su lavori minori (split e demo) ed un secondo album uscito nel 2009 dal titolo Omnipotent Convocation.
Tornata sul mercato quest’anno con un singolo licenziato dalla Pulverized records, la band che gira intorno allo storico cantante e chitarrista Patrick Ranieri, riporta in scena la sua porzione di violenza musicale, anche se solo con la ristampa del primo album, fatto di un death/thrash tecnico e marcio all’inverosimile, violentissimo, ancora orientato verso il thrash slayerano, ma tecnicamente ineccepibile, ricco di vortici ritmici composti all’inferno e solos taglienti.
Che la band sapesse suonare non c’era alcun dubbio, chiaramente la proposta è più di quanto old school si possa trovare in giro, quindi questa ristampa è consigliata solo agli amanti dei suoni estremi di più datata derivazione.

TRACKLIST
1.The Ascent
2.Nosferatu
3.Viral Exogence
4.Sentient Transmography
5.Mordirivial Dissemination
6.Pyrophoric Seizure
7.Purveyor of Fear

LINE-UP
Patrick Ranieri – Lead guitar/rhythm guitar/vocals
J.P. Brown – Rhythm guitar
Brian Wilson – Drums
Julian David Guillen – Bass (Live)

HELLWITCH – Facebook

Dead Season – Prophecies

Non solo Nevermore, anche se è indubbia la forte ispirazione del gruppo americano, ma anche echi death/black di scuola est europea e potenza death metal classica personalizzano il sound di questo ottimo combo transalpino.

I Nevermore di Warrel Dane sono state una delle band più importanti per l’evoluzione del thrash metal, con una serie di lavori imperdibili ed almeno un paio considerati autentiche pietre miliari, come Dreaming Neon Black e Dead Heart In A Dead World: questo tipo di thrash metal oscuro, drammatico e progressivo, valorizzato dalla teatrale voce del leader, possiede anche l’anima dei Dead Season, band transalpina autrice di questo mastodontico lavoro dal titolo Prophecies.

Una storia musicale iniziata più di dieci anni fa, ed un primo lavoro sulla lunga distanza licenziato tre anni fa (From Rust To Dust) contornato da una manciata di opere minori, hanno portato il quintetto francese alla pubblicazione di questo ultimo devastante lavoro, che se porta ben in vista il marchio dei maestri americani, non fa mancare una propria personalità che tradotto vuol dire: sferzate estreme al limite del death/black, un gran lavoro al microfono dove scream, growl ed una splendida voce pulita si danno il cambio, rendendo ancora più varie le atmosfere dei vari brani, ed una prova molto convincente sia a livello di songwriting che tecnico.
Un’ora di musica estrema che non smette di regalare sorprese, un anima prog che si veste di bianco e contrasta quella nera ed estrema in una battaglia che non fa prigionieri ma lascia solo cadaveri sul campo, una serie di brani formidabili e tanta violenza in musica fanno di Prophecies un ottimo album; i brani mantengono un livello altissimo e diventa davvero difficile estrapolare un paio di titoli che più impressionano, anche se Prohibition of God, Ministry Of Thruth e Sexual Binging sono quelli che più risaltano, ma sono convinto che ad un altro ascolto ne nominerei altri tre, proprio per l’elevata qualità generale dei brani che compongono Prophecies.
Non solo Nevermore, anche se è indubbia la forte ispirazione del gruppo americano, ma anche echi death/black di scuola est europea e potenza death metal classica personalizzano il sound di questo ottimo combo transalpino.

TRACKLIST
1.The New Man
2.Blood Links Alienation
3.Prohibition of God
4.Homogenetic
5.Guidestones
6.Ministry of Thruth
7.Endless War
8.Four Minutes of Hate
9.Mind Entertainement
10.Sexual Binging
11.The Dissident Part I
12.The Dissident Part II

LINE-UP
Nicolas Sanson – Bass
Grégoire Galichet – Drums
Guillaume Singer – Guitars
Julien Jacquemond – Vocals

DEAD SEASON – Facebook

Revenge – Metal Is: Addiction and Obsession

Più tradizionalmente speed rispetto all’ultimo album, Metal Is: Addiction And Obsession ci travolge con il suo tsunami di note suonate a velocità improbabili: le ritmiche funzionano, i brani si fanno apprezzare coinvolgendo e i Revenge ne escono benissimo.

Imperdibile ristampa a cura della EBM records dedicata agli amanti dello speed/thrash old school.

Dalla Colombia tornano i Revenge con uno dei loro lavori più riusciti, il devastante Metal Is: Addiction and Obsession, album uscito originariamente nel 2011.
La storica band di Medellin, può vantare una discografia infinita composta da sei album ed una marea di ep e lavori minori.
A suo tempo il sottoscritto si era occupato dell’ultimo full length del gruppo, uscito ormai tre anni fa ed intitolato Harder Than Steel, un vulcano di suoni heavy metal tra speed e thrash, una velocissima discesa senza freni nel mondo del metal più puro e tradizionale.
Harder Than Steel risultava una gran bella mazzata così come questo precedente lavoro, ancora più violento e velocissimo, fatto di otto brani più quattro bonus track che presentano il gruppo in sede live.
Si va sparati verso l’inferno con questo manifesto metallico composto da mitragliate senza tregua, a partire dall’inno Steel Metal To The Bone, passando per i vati titoli che sono delle dichiarazioni d’intenti come Metal Rules My Life (esagerata), No Speed Limit For Destruction e Fire Attack.
Potrà piacere o meno, ma il genere, oltre ad essere uno dei più puri e storici tra quelli metallici, lo si deve anche saper suonare ed i Revenge non mancano certo di tecnica, conquistando con ritmiche al limite dell’umano e solos che lasciano a terra striature infuocate come il passaggio del Ghost Rider.
Più tradizionalmente speed rispetto all’ultimo album, Metal Is: Addiction And Obsession ci travolge con il suo tsunami di note suonate a velocità improbabili: le ritmiche funzionano, i brani si fanno apprezzare coinvolgendo e la band ne esce benissimo.
Aspettiamo il nuovo lavoro di questi re dello speed metal sudamericano, le premesse sono ottime … stay (speed) metal!

TRACKLIST
1.Intro – Hell Avenger (Let’s Go to Hell and There Hail to Satan)
2.Speed Metal to the Bone
3.Plague of Death
4.Metal Rules My Life
5.No Speed Limit for Destruction
6.Addiction and Obsession
7.Satan’s Warriors
8.Fire Attack
9.Motorider
10.Fire Attack
11.Hell Avenger
12.Metal Warriors

LINE-UP
Jorge “Seth” Rojas – Bass
Esteban “Hellfire” Mejía – Vocals, Guitars
Daniel “Hell Avenger” Hernandez – Drums
Night Crawler – Guitars (lead)

REVENGE – Facebook

Sunless Sky – Doppelgänger

Un album di power metal americano su cui svetta il talento della coppia formata dal cantante Juan Ricardo e dal chitarrista Curren Murphy.

Prendete un singer talentuoso come Juan Ricardo (Wretch, Dark Arena) ed un chitarrista come Curren Murphy dei magnifici Shatter Messiah, ed ex nientemeno che di Nevermore ed Annihilator, ed avrete un massiccio, aggressivo e melodico esempio di metal americano tripallico come il nuovo lavoro dei Sunless Sky, realtà proveniente da Cleveland all’arrembaggio con Doppelgänger, secondo album che ognuno che si professi amante del metal classico d’oltreoceano è obbligato ad amare.

Brani aggressivi, tra thrash e power in puro american style, un cantante che, già sentito sull’ultimo Wretch conferma il suo valore, e trame chitarristiche da guitar hero, supportate da una sezione ritmica potente come quella composta da Kevin Czarnecki al basso e Coltin Rady, fanno dell’album un capolavoro a livello underground.
La ricetta è semplice e già dall’opener Starfall si capisce che qui c’è da divertirsi, d’altronde la band non fa altro che prendere il thrash power metal dei Vicious Rumors, amalgamarlo con atmosfere oscure di chiara ispirazione Metal Church e la sciare che i due top player facciano il resto così che da semplice album di metal a stelle e strisce, Doppelgänger diventi un piccolo gioiello tutto potenza ed attitudine.
Ancora una volta è la Pure Steel a farsi da portavoce di quello che succede in campo metal classico aldilà dell’oceano, una scena quella statunitense che non è solo composta da vecchie glorie, ma si fa vedere con band dall’alto valore qualitativo come appunto i Sunless Sky o gli stessi Wretch, tanto per non andare oltre a quello che gravita intorno a questo gruppo di musicisti che ancora una volta regalano perle di power metal come Kingdom Of Sky, Lake Of Lost Soul, Inside The Monster e la conclusiva Black Symphony.
Album da avere senza se e senza ma , fosse solo per ascoltare ancora una volta uno dei cantanti più bravi della nuova generazione nata aldilà dell’oceano.

TRACKLIST
1. Starfall
2. Doppelgänger
3. Kingdom Of Sky
4. Stone Gods
5. Lake Of Lost Souls
6. Netherworld
7. Adrenaline Junkie
8. Inside The Monster
9. Heroin
10. Black Symphony

LINE-UP
Juan Ricardo-Vocals
Curran Murphy-Guitars
Kevin Czarnecki-Bass
Coltin Rady-Drums

SUNLESS SKY – Facebook

Dethonator – Dethonator

Dethonator è un lavoro che troverà qualche orecchio ben disposto ma anche tanto ostracismo da parte dei fans del metal classico ed estremo, difficili da convincere per una band che deve ancora decidere da quale parte stare.

La Killer Metal ci fa partecipi della proposta di questa band proveniente da Londra, attiva per qualche anno sotto il monicker Kaleb e dal 2009, dopo il cambio di nome in Dethonator , autrice di due full length ed un ep.

Questo album omonimo uscì come debutto del quartetto nel 2010 e viene rimasterizzato ed in parte nuovamente registrato a sei anni dalla sua pubblicazione.
Il sound del gruppo londinese è un heavy metal che accoglie nel proprio spartito elementi all’apparenza lontani tra loro, come qualche spunto estremo di taglio death (a tratti spunta un controcanto in growl), ritmiche thrash metal e clean vocals melodiche e molto moderne, troppo per una proposta che, di fatto, mantiene una sua forte connotazione classica.
Così succede che, tra solos maideniani, atmosfere old school di matrice NWOBHM e veloci ripartenze estreme, i cori alternative metal made in U.S.A. spezzano il cordone ombelicale che tiene legato il sound del gruppo al metal duro e puro.
Non che dispiacciano, ma se non si ha l’orecchio abituato a più di un genere si finisce con arricciare il naso al cospetto di chorus patinati in contrasto con l’energia che i Dethonator non risparmiano, per un impatto ritmico che rimane aggressivo e di matrice thrash per tutto il lavoro.
I Am Thunder God, uscito come singolo, e Shadows sono i brani più diretti e riusciti di un album che troverà qualche orecchio ben disposto ma anche tanto ostracismo da parte dei fans del metal classico ed estremo, difficili da convincere per una band che deve ancora decidere da che parte stare.

TRACKLIST
1. Wreckers
2. Harbringer
3. I Am Thunder God
4. Many Have Fallen
5. Shadows
6. Dethonator
7. Morbid Skies
8. Massive Demonic Killing Spree
9. In the Place of the Skull

LINE-UP
Tris Lineker – Vocals, Guitars
Henry Brooks – Guitars
Adz Lineker – Bass, Vocals
Johnny Mo – Drums

DETHONATOR

Infernäl Mäjesty – No God

No God si presenta a noi come un mastodontico lavoro dalla durata di un’ora in cui il gruppo di Toronto ci travolge con il suo thrash/death violentissimo.

Qui si ripercorre la storia del thrash più estremo e senza compromessi sviluppatosi nella scena underground Canadese.

Gli Infernäl Mäjesty possono essere sicuramente considerati un gruppo storico nella fredda terra a nord degli Stati Uniti, il loro metal estremo distruttivo e maligno porta morte e pestilenze dalla metà degli anni ottanta, dunque la band si porta dietro un’aura leggendaria, ha attraversato trent’anni di musica metallica ed arriva più in forma che mai al traguardo del quarto album di una discografia che ha visto lunghe pause ma anche molti lavori minori.
No God si presenta a noi come un mastodontico lavoro dalla durata di un’ora dove senza compromessi il gruppo di Toronto ci travolge con il suo thrash/death violentissimo, pregno di attitudine evil e valorizzato da un lotto di brani dall’impatto devastante.
Il thrash metal degli Infernäl Mäjesty strizza l’occhio alla scena europea (Kreator), arricchito da molti elementi death e qualche spunto black, tra ritmiche furiose e cattiveria dispensata senza freni.
Licenziato dalla High Roller, l’album è curato nei minimi dettagli, prodotto e registrato benissimo, deflagrando in tutta la sua carica sin dall’opener Enter The World Of The Undead.
La produzione secca e metallica gli conferisce un tocco moderno, così pur vivendo di attitudine old school, il sound risulta una bomba nera scagliata sul mondo, mentre la violenza tout court di In God You Trust ci investe micidiale e senza pietà.
La title track ci ricorda di un mondo senza Dio, mentre la band di Mille Petrozza danza sui cadaveri con gli Slayer, e i fratelli death e black metal intonano canti di morte.
Questo ricorda la musica contenuta in un album in cui Nation Of Assassins é un inferno ritmico, e la coppia conclusiva formata da Systematical Extermination e Extinction Level Event produce una devastante propulsione atta alla più fantomatica distruzione.
Ottime le prove dei musicisti e perfetto l’inserimento di importantissimi elementi melodici che offrono riusciti spunti classici con l’egregio lavoro negli assoli e nei rari momenti atmosferici.
Uun lavoro curatissimo e sorprendete da un gruppo magari poco conosciuto dalle nostre parti ma che, nell’underground, può vantare un prezioso curriculum.

TRACKLIST
1.Enter The World Of The Undead
2. In God You Trust
3. Signs Of Evil
4. Another Day In Hell
5. Kingdom Of Heaven
6. No God
7. False Flag
8. Nation Of Assassins
9. House Of War
10. Systematical Extermination
11. Extinction Level Event

LINE-UP
Christopher Bailey – vocals
Kenny Hallman – guitar
Steve Terror – guitar
Daniel Nargang – bass
Kiel Wilson – drums

INFERNAL MAJESTY – Facebook

Heart Attack – The Resilience

Pur essendo condizionato da un’urgenza metallica più vicina ai generi maggiormente in voga in questi anni, il gruppo mantiene quelle caratteristiche essenziali per restare nelle grazie dei thrashers.

Questi primi anni del nuovo millennio verranno ricordati come il periodo del terrore, causato dagli attacchi infami dei terroristi religiosi di cui la Francia ha pagato, almeno in Europa, il prezzo più alto.

Gli Heart Attack, gruppo di thrash metal moderno proveniente da Cannes, dedica il nuovo album The Resilience proprio ai sconvolgenti fatti di pochi mesi fa, tornando su una questione politico/sociale e religiosa che indubbiamente hanno e continuano a segnare questo oscuro periodo storico.
Parto dalla copertina, di cui non parlo quasi mai, perché l’ho trovata fuori contesto e più adatta ad un gruppo classico, ma è l’unico neo di questo bellissimo lavoro che unisce thrash e metal moderno, colmo di groove e sfumature core.
Il gruppo estremo transalpino arriva al secondo lavoro sulla lunga distanza quattro anni dopo Stop Pretending, debutto più vicino al thrash metal classico ma niente paura, pur essendo condizionato da un’urgenza metallica più vicina ai generi maggiormente in voga in questi anni, la band mantiene quelle caratteristiche essenziali per restare nelle grazie dei thrashers: certo, di The Resilience si può dire tutto meno che sia un album old school, più che altro risulta un lavoro metal così come dovrebbe suonare nel nuovo millennio, ovvero un perfetto connubio tra suoni tradizionali, potenziati dal moderno incedere estremo.
Gli Heart Attack ci mettono del loro per far sì che certi brani (Burn My Flesh, Fight To Overcome, la devastante Feel The Fire) risultino delle bombe metalliche notevoli, aggredendo rabbiose, denunciando e rivoltandosi contro tutto e tutti dall’alto di una tecnica ed un songwriting inividiabili, ed una prestazione di altissimo livello, sia della sezione ritmica, con Tony Amato al basso ed aggressivo nella parte vocale, coadiuvato dal dirompente batterista Christophe Icard, mentre le sei corde fanno fuoco e fiamme (Christophe Cesari e Kevin Geyer) .
Non contento di cotanto ardore metallico, il gruppo lascia alla conclusiva title track il compito di alzare la qualità di questo gioiellino con uno strumentale che, nella sua lunga durata (più di otto minuti), mette non solo la parola fine ad un album intenso e bellissimo, ma ci consegna una traccia di thrash metal progressivo ed oscuro davvero sopra la media.
A questo punto la copertina diventa ovviamente un dettaglio, fortunatamente la musica di cui si compone The Resilience va ben oltre, facendo di questo lavoro un opera riuscita e coinvolgente.

TRACKLIST
1.Nocturnal Sight
2.Burn My Flesh
3.Congrats To People
4.Fight To Overcome
5.Sound And Light
6.When The Light Dies Down
7.Dead And Gone
8.Feed The Fire
9.Disorder
10.The Resilience

LINE-UP
Tony Amato – Bass guitars, Lead vocals
Christophe Cesari – Rhythm & lead guitars, acoustic and classical guitars, Keyboards, Back vocals
Kevin Geyer – Rhythm Guitars, Lead vocals
Christophe Icard – Drums & Percussions

HEART ATTACK – Facebook

Murkocet – Digging Mercy’s Grave

Phoenix, Arizona. Quando ormai ci eravamo arresi alla vittoria sulla scena metallica americana del metalcore, ecco che come cavalieri indomiti del new groove metal, arrivano a mettere tutto ancora una volta in discussione i Murkocet, giovane band che assalta il fortino core con un sound violentissimo, moderno ma dall’attitudine new thrash, un treno in corsa che sbaraglia la concorrenza a colpi di metal estremo di una violenza disumana.

Si può essere brutali anche suonando generi più in voga, la lezione i Murkocet l’hanno imparata dagli Slipknot, con la differenza che gli spunti chiaramente death del gruppo di Des Moines nel sound del quartetto si trasformano in ventate atomiche di thrash/groove metal.
Basta poco più di mezzora e l’inferno è servito da bordate ritmiche supportate da una carica estrema debordante, ottime e finalmente valorizzate soluzioni nu metal, rese penetranti da un songwriting notevole, una produzione adeguata ed un’attitudine brutale che si evince dall’uso vario ed a tratti animalesco della voce da parte del singer Richie Jano.
L’album parte con l’intro The Definition ed il massacro viene perpetrato dal gruppo fino a metà album, diviso in due dall’acustica Tranquil, un minuto e mezzo di accordi che ci preparano alla seconda parte, un’altra overdose di violenza che ha nel new thrash metal di California Smile l’ apice distruttivo, in Repo Man la furia iconoclasta e nella conclusiva The Beginning la potenza devastante del groove.
Nella prima parte ci avevano pensato Strip Club Massacre e Dead World a rendere la vita dei nostri padiglioni auricolari un inferno, confermando l’alta qualità della musica prodotta dai Murkocet, che si confermano una notevole macchina da guerra.
Sarà moderno, neanche troppo originale, ma il sound di Digging Mercy’s Grave è pura violenza in musica: non è poco.

TRACKLIST

1.The Definition
2.Strip Club Massacre
3.Dust Cloud
4.Tombstones
5.Dead World
6.Tranquil
7.California Smile
8.Repo Man
9.Overdose
10.Lights Out
11.The Beginning

LINE-UP

Brandon Raeburn – Bass
Mike Mays – Drums
Nate Garrett – Guitars
Richie Jano – Vocals

VOTO
7.80

URL Facebook
http://www.facebook.com/murkocetmetal/

URL YouTube, Soundcloud, Bandcamp

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO
Sarà moderno, neanche troppo originale, ma il sound di Digging Mercy’s Grave è pura violenza in musica, non perdetelo.

Full Leather Jackets – Forgiveness Sould Out

Si respira aria old school nell’album o, quanto meno, la tradizione ha la sua importanza così come la voglia rabbiosa di suonare metal, fatto bene ma con pochi fronzoli e tanta sostanza.

Una bomba questo Forgiveness Sold Out, debutto dei veneti Full Leather Jackets, che colpiscono il bersaglio con un concentrato di hard & heavy tripallico irrobustito da veloci ripartenze thrash metal, il tutto eseguito con ottima perizia tecnica e un impatto roccioso venato da atmosfere che a tratti si fanno gloriosamente epiche.

Si respira aria old school nell’album o, quanto meno, la tradizione ha la sua importanza così come la voglia rabbiosa di suonare metal, fatto bene ma con pochi fronzoli e tanta sostanza.
Ed in effetti Forgiveness Sold Out è composto da nove schiaffi metallici, tra mid tempo potentissimi come la spettacolare Steel Pirates, brani che bombardano con una serie infinita di riff scolpiti nelle tavole della legge del metal e valorizzate da un cantante, Giovanni Svaluto, con la personalità di un veterano, potente, teatrale ed epico, in poche parole un guerriero metallico.
Lo accompagnano in questa avventura targata Full Leather Jackets, Ivan Tabacchi (chitarra), Giovanni Stefani (basso) e Matteo Panciera (batteria), formando un quartetto di devastatori di padiglioni auricolari a colpi di hard rock, heavy metal e thrash.
Il bello del sound forgiato dal quartetto sta nel mantenere i piedi ben saldi nel metal classico con i riferimenti che vanno dai Judas Priest agli Iron Maiden, dai Metallica (specialmente nella ballad No Way Out), senza rinunciare ad un tocco moderno, tradotto in groove da parte di una sezione ritmica solida come l’acciaio, che dà all’album quel pizzico di originalità che ne fa un gioiellino.
Russian Roulette, Murder In The First e White Robes concludono l’album con una ventina di minuti esaltanti che hanno nel thrash alla Testament della seconda l’apice distruttivo di Forgiveness Sould Out.
Se volete della musica che vi carichi prima di andare a procurar battaglia, quest’album dei Full Leather Jackets è sicuramente una potentissima botta d’adrenalina, provare per credere.

TRACKLIST
1.Purple Mud
2.Son of Morning Star
3.The Outcast
4.Steel Pirates
5.Mr Revenge
6.No Way Out
7.Russian Roulette
8.Murder in the First
9.White Robes

LINE-UP
Giovanni Svaluto – Guitar, Vocal
Ivan Tabacchi – Guitars
Giovanni Stefani – Bass
Matteo Panciera – Drums

FULL LEATHER JACKETS – Facebook

Exiled On Earth – Forces Of Denial

Ritorno importante per un gruppo che, con un po’ di costanza in più nelle uscite, potrebbe ritagliarsi uno spazio importante nella scena nostrana.

Con gli Exiled On Earth si viaggia spediti su territori power/thrash progressivi tra tradizione e soluzioni più moderne, così che questo nuovo album non si può certo considerare old school, pur mantenendo le coordinate delle band che hanno fatto la storia del genere.

Il gruppo romano è in attività da parecchi anni, anche se dall’anno di fondazione (2000) ad oggi la sua discografia conta solo un paio di demo e due full length, compreso questo buon lavoro dal titolo Forces Of Denial.
Registrato ai 16th Cellar Studios e licenziato dalla Punishment 18, l’album non manca di infiammare per più di mezz’ora i thrashers dai gusti raffinati: l’opera si mantiene dura nell’approccio, ma elegante nei dettagli e nelle soluzioni di matrice progressive e, complice la durata, si fa ascoltare mantenendo alta l’attenzione dell’ascoltatore;
per niente prolisso dunque, difetto facile da riscontrare nel genere, essendo composto da otto brani che rivelano buone idee espresse con il giusto piglio e senza troppi ghirigori compositivi.
Impatto e tecnica, si potrebbe riassumere con queste due parole la musica degli Exiled On Earth, band capitanata dall’ottimo chitarrista e cantante Tiziano Marcozzi, unico superstite della formazione originale, oggi a guida di una squadra (Gino Palombi al basso, Piero Arioni alle pelli e Alfredo Gargaro alla chitarra) che si ritrova a meraviglia tra le cavalcate metalliche dei brani, perfetta nel cambiare tempi di gioco, mantenendo una forma canzone ed un equilibrio tra potenza thrash metal, tecnica e melodie.
Forces Of Denial è un lavoro di thrash moderno e progressivo, melodico e dalla potenza metallica che si rifà alla scena statunitense, così come nei momenti più ragionati e tecnici la mente corre ai gruppi autori di un certo modo di suonare il genere come i Control Denied ma anche i Coroner, che si fanno spazio tra le note di brani notevoli come Hypnotic Persecutions, Underground Intelligence e la splendida Into The Serpent’s Nest brano in cui Marcozzi dà prova della bravura al microfono anche su linee vocali meno aspre.
In conclusione, Forces Of Denial è un album riuscito, nonchè il ritorno importante per un gruppo che, con un po’ di costanza in più nelle uscite, potrebbe ritagliarsi uno spazio importante nella scena nostrana.

TRACKLIST
01. Forces Of Denial
02. The Glory And The Lie
03. Hypnotic Persecution
04. The Mangler
05. Vortex Of Deception
06. Underground Intelligence
07. Into The Serpent’s Nest
08. Lifting The Veil

LINE-UP
Tiziano Marcozzi – Vocals, Guitar
Gino Palombi – Bass
Piero Arioni – Drums
Alfredo Gargaro – Guitar

EXILED ON EARTH – Facebook

Norunda – Irruption

Irruption mette in luce una passione sconfinata per il genere da parte dei musicisti pari a quella dei fans di un genere lontano da regalare clamorose novità, ma sempre ben accetto.

Bastano davvero poche parole per descrivere un album come Irruption, esordio sulla lunga distanza per i thrashers spagnoli Norunda, d’altronde dell’anima old school del genere si tratta, così che musica ed ispirazioni sono sicuramente conosciute ai lettori di MetalEyes.

Il trio è una neonata realtà (2016) nata per volere di Rubén Cuerdo chitarrista e cantante, accompagnato dalla sezione ritmica composta da Pedro Mendes al basso e Marcelo Aires alle pelli: Irruption non brilla certo per originalità ma sa essere convincente, specialmente quando tra i solchi dei brani spicca la sua anima progressiva, molto voivodiana.
Per il resto con Irruption si ascolta del buon thrash metal di ispirazione americana, melodico, dai riferimenti heavy negli assoli e tranquillamente accostabile alle storiche band della Bay Area.
Con una devozione per i quattro cavalieri di Frisco quasi commovente, il trio si impegna a non annoiare l’ascoltatore lungo i cinquanta minuti di durata dell’album, che vive di veloci cavalcate, mid tempo potenti e chorus da fiammeggianti live, mentre come scritto, è quando l’anima progressiva spunta timida dallo spartito che questo lavoro si merita qualche applauso più convincente.
Forse leggermente più prolisso di quello che, scremando un paio di brani, il gruppo poteva dare in pasto agli amanti del genere, Irruption mette in luce una passione sconfinata per il genere da parte dei musicisti pari a quella dei fans di un genere lontano da regalare clamorose novità, ma sempre ben accetto.
Grazie alle ottime Dynamite, Infoxication e Sultan Killer l’album si porta a casa la sua abbondante sufficienza: come inizio per i Norunda non è affatto male.

TRACKLIST
1. Asshole in your Way
2. Dynamite
3. Face to Face
4. Hit You
5. Infoxication 6
6. Pushing to the Limit
7. Sultan Killer
8. The Only Truth
9. Violent Street
10. Into my Game

LINE-UP
Rubén Cuerdo – Vocals, guitars
Pedro Mendes – Bass
Marcelo Aires – Drums

NORUNDA – Facebook

Freakings – Toxic End

Un lavoro incendiario, che narra la fine di un mondo intossicato dai veleni e dalle guerre, qui riprodotto dal vento atomico di uno speed/thrash devastante ed assolutamente old school.

Una botta di adrenalina thrash metal direttamente dalla patria degli orologi, la Svizzera.

Precisi come i migliori meccanismi creati aldilà delle Alpi lo sono pure i Freakings, trio metallico, che della velocità e devastante furia ne fa una religione.
Attivi da quasi dieci anni, e con altri due album alle spalle (No Way Out del 2011 e Gladiator di ormai tre anni fa), Toby Straumann (basso), Simon Straumann (batteria) e Jonathan Brutschin (voce e chitarra) tornano con un lavoro incendiario, che narra la fine di un mondo intossicato dai veleni e dalle guerre, qui riprodotto dal vento atomico di uno speed/thrash devastante ed assolutamente old school, una dichiarazione di guerra contro il maltrattamento del nostro pianeta, ormai alla deriva ed al collasso.
Toxic End esplode, e come uno tsunami atomico non si ferma più, investendo con accelerazioni di una forza impressionante: la voce è al limite, le ritmiche mantengono velocità inumane e la mezz’ora a disposizione del gruppo passa veloce come il lampo.
L’opearato dei Freakings è connotato da una velocità assurda, contornata una tempesta di suoni speed che non trova barriere, continuando nella sua missione tra solos al fulmicotone, ritmiche da massacro ed un approccio live che immagino incarni il macello di cui questo trio può essere capace on stage.
Potrei nominare tutte o nessuna traccia, mi limito a consigliare quindi questo tornado sonoro agli amanti dello speed/thrash di matrice assolutamente old school che non temono di farsi intimidire dalle mitragliate riversate dai Freakings.

TRACKLIST
1.Hell On Earth
2.Future Vision
3.Violent Disaster
4.TxWxNxD
5.Toxic End
6.Friendly Fire
7.Brain Dead
8.Price Of Freedom
9.Wave Of Pain
10.Beer Attack
11.No More Excuses

LINE-UP
Toby Straumann – Bass
Simon Straumann – Drums
Jonathan Brutschin – Guitars, Vocals

FREAKINGS – Facebook

Tormentor – Morbid Realization

Il songwriting di buon livello permette all’album di non perdere mai l’attenzione da parte dell’ascoltatore, con un lotto di canzoni che arrivano subito al sodo, pesanti come incudini, violente, morbose e valorizzate da ritmiche vincenti.

Bella sorpresa questi Tormentor, gruppo tedesco che fa del thrash metal di ottima fattura e che arriva al secondo lavoro sulla lunga distanza tramite la Iron Shield.

Passati i dieci anni di attività il quartetto aveva già dato modo in passato di non passare inosservato, con il primo demo ….Lesson In Aggression sponsorizzato nientemeno che Mille Petrozza, sommo sacerdote del teutonic thrash metal.
Se il primo album (Violent World) aveva accontentato tutti, la furia che non si placa neanche in questo Morbid Realization, un fulgido esempio di thrash metal sulla scia dei Kreator.
Il bello di questo lavoro è il songwriting di buon livello che permette all’album di non perdere mai l’attenzione dell’ascoltatore, con un lotto di canzoni che arrivano subito al sodo, pesanti come incudini, violente e morbose (come da titolo) e valorizzate da ritmiche vincenti.
Certo, la devozione ai Kreator è totale, con il singer che praticamente è la copia carbone del buon Mille, ma ritengo che sia l’unico difetto dei Tormentor, perché nel complesso il Morbid Realization risulta un album ben fatto, adeguato alle attese degli amanti del genere.
Del cantante, Max Seipke (anche chitarrista) abbiamo praticamente detto tutto, non rimane che ricordare l’ottimo lavoro del suo compare Kevin Hauch e della coppia ritmica, formata dal basso di Christian Schomber e dalle pelli distrutte sotto i colpi di Thomas Wedemeyer.
L’album non ha cedimenti, con un thrash metal aggressivo che presenta ottime melodie chitarristiche, cavalcate ritmiche trascinanti (Walk Past Myself) e tanto metallo tedesco, duro come l’acciaio, perfettamente in bilico tra velocità e mid tempo pesantissimi, con una serie di brani a tratti esaltanti (la title track, Burning Empire e Forgotten) ed in grado di lasciare un’espressione maligna sul viso dei fans del thrash metal di scuola Kreator.
In conclusione, un album ben fatto, assolutamente non originale, ma con tutte le caratteristiche per piacere agli amanti del genere, a cui va il mio consiglio all’ascolto.

TRACKLIST
1. Hope
2. Kill with no Excuse
3. Morbid Realization
4. Comprehension Failed
5. Burning Empire
6. Endless Emptiness
7. Forgotten
8. Lurks in the Dark
9. Walk past myself
10. Path to the dark Side

LINE-UP
Thomas Wedemeyer – drums
Christian Schomber – bass
Kevin Hauch – guitar
Max Seipke – voc/ guitar

TORMENTOR – Facebook

Buffalo Grillz – Martin Burger King

Senza perdersi in cose e pose cervellotiche, i Buffalo Grillz sfornano un disco di grindcore come non si sentiva da tempo, diretto ben prodotto e con quel suono pieno e ben bilanciato tra i bassi e gli alti, che dovrebbe essere la pietra fondante di ogni buon gruppo grind.

I romani Buffalo Grillz danno alle stampe un geniale album di grind con un po’ di thrash qui e là.

Fondati nel 2009 da Enrico Giannone, voce degli Undertakers, e Max Marzocca batterista dei Natron, dopo varie vicissitudini relative alla formazione vedono passare Cinghio, bassista dei meravigliosi Orange Man Theory, dal basso alla chitarra. Questo disco è il terzo nella carriera di quello che si può tranquillamente definire come uno fra i migliori gruppi grind italiani, sia per la potenza espressa che per la grande ironia. I Buffalo Grillz, oltre a rifarsi al nome di una nota catena di ristoranti canadesi, fanno un grind molto potente, debitore della vecchia scuola ma con un suono assai moderno. Nei testi riversano tutta la loro grande cultura italiana e non solo, riuscendo a dare un significato più ampio loro di molti altri gruppi che si prendono molto di più sul serio. Ciò che muove i Buffalo Grillz è la stessa leva che muove noi che scriviamo queste righe, il disagio, quel vecchio e caro amico che ci fa sempre sentire a casa non facendoci mai sentire adeguati a nulla. Che poi, se il mondo è questo, come descritto mirabilmente in questo disco, forse è più normale sentirsi a disagio che a proprio agio. L’ironia dei Buffalo Grillz ha come secondo livello un’analisi impietosa della nostra società ma il tutto è fatto dai romani con un suono potentissimo, molta ironia e un grande stile. Senza perdersi in cose e pose cervellotiche, i Buffalo Grillz sfornano un disco di grindcore come non si sentiva da tempo, diretto ben prodotto e con quel suono pieno e ben bilanciato tra i bassi e gli alti, che dovrebbe essere la pietra fondante di ogni buon gruppo grind. Infatti, per dare una coordinata musicale, possiamo citare Nasum e Napalm Death, fautori di quanto appena descritto.
Si passa da un’incredibile intro a trattati di sodomia e campari, affrontando il clou della cultura italiana con un piglio da pugna al bar, con un suono che riesce sempre ad essere il protagonista assoluto, e non c’è nemmeno un secondo nel disco che non valga la pena ascoltare. Un perfetto connubio di grindcore, ironia e disagio, tanto disagio e questo disco ci piace tantissimo.

TRACKLIST
1. GG AULIN
2. LENNY GRINDVIZT
3. 66SEITAN
4. MARTIN BURGER KING
5. BEVERLY GRILLZ 90666
6. CARNE DIEM
7. FIAT FACTORY
8. CREADLE OF FINDUS
9. SCOOBY DOOM
10. FIORELLA MANNAIA
11. PONZIO PILATES
12. CAMPARI SODOM
13. PUS SPRENGSTEEN
14. LE BESTIE DI SANTANA (OUTRO)

LINE-UP
Tombinor: Insults
Cinghio: Hi Noise
Pacio: Low Noise
Mizio: Blast

BUFFALO GRILLZ – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

Malignance – Architects Of Oblivion

Un gran ritorno per un gruppo fedele al metal e che, senza tanti proclami e pose, fa un disco da riascoltare spesso, mentre fuori scorre la vera battaglia chiamata quotidianità.

Dopo quattordici da Regina Umbrae Mortis tornano i genovesi Malignance e lo fanno con prepotenza.

Nato nel 2000 dall’incontro del chitarrista Arioch, del bassista Achemar e del cantante Krieg, il gruppo muove i primi passi con un suono death thrash che lascia ben presto spazio all’attuale black, ma le influenze originarie, come potrete ascoltare nel disco, non vanno affatto perse. Nel 2001 viene rilasciato l’ep Ascension To Obscurity, per poi firmare per BOTD e pubblicare il full length Regina Umbrae Mortis, che vi consiglio di andare a recuperare perché è un disco notevole. Nel 2005 i Malignance partecipano allo spilt De Vermis Misteris, che fin dal titolo mi sembra sia chiaro di cosa si tratti, e Arioch in quel momento decide di sospendere le attività dei Malignance per dedicarsi ad altri progetti. Nel 2015 Arioch e Krieg danno nuovamente vita ai Malignance per arrivare a questo nuovo Architects Of Oblivion . I Malignance usano generi conosciuti ma li rielaborano alla loro maniera per arrivare a quello che definirei Genoan Battle Metal, perché sarebbe piaciuto ai balestrieri medioevali genovesi che andavano a conquistarsi fama e morte in battaglie lontane. Il cantato è quasi sempre pulito, a parte qualche momento di maggior concitazione, e la musica è molto potente, con composizioni di notevole intensità che hanno il gusto di metal antico e moderno allo stesso tempo. Architects Of Oblivion non si esaurisce certo in quanto detto poco sopra ed ha molte sfumature, anche melodiche, ma è sopratutto un forte concentrato di lucida potenza metal, e di quest’ultimo ne è un ottimo distillato. Basso slappato come nella vecchia scuola, chitarre che avanzano come falangi e la batteria che lancia dardi infuocati. Un gran ritorno per un gruppo fedele al metal e che, senza tanti proclami e pose, fa un disco da riascoltare spesso, mentre fuori scorre la vera battaglia chiamata quotidianità.

TRACKLIST
1.Architects of Oblivion
2.Iron of Janus
3.Nakedness of Evil
4.Hekate Kleidoukos
5.Thy Raven Wings
6.Industrial Involution
7.Hailstorm of Malignance
8.Gods of the Forsaken
9.The negative spiral of Self Indulgence
10.And then I shall fall

LINE-UP
David Krieg – Vocals
Arioch – Guitars, bass, drum programming

Live Members:
Lord of Fog – drums
Eligor – Guitars
Actaeon – Bass

MALIGNANCE – Facebook

Hellwitch – At The Rest

At The Rest e Megalopalyptic Confine funzionano bene, peccato solo per tutto il tempo perso da questa storica realtà del metal estremo americano: vedremo se questo 7″ sarà l’antipasto di prossime nuove uscite di maggiore portata.

Era il 1984 quando in Florida iniziò a circolare il nome degli Hellwitch.

Il gruppo statunitense, tra alti e bassi e soprattutto molti stop, torna tramite la Pulverised con questo ep di due brani in formato 7″ dal titolo At The Rest, continuando la tradizione che vuole il gruppo come nome storico del death/thrash aldilà dell’oceano.
Dicevamo della nascita degli Hellwitch targata anni ottanta, anche se il gruppo arriva al 1990 tra demo e singoli prima che Syzygial Miscreancy dia inizio alle vere ostilità.
Un salto temporale fino al 2009 tra ep e lavori minori, per ricordare il secondo album Omnipotent Convocation, ed un altro periodo di silenzio durato sette anni con l’uscita nel 2016 del live A Night at the 5th.
At The Rest dà un minimo di continuità alla carriera del quartetto statunitense, anche se solo per un ep di due brani che almeno risultano due belle mazzate di death metal dalle ritmiche indiavolate ed un approccio thrash che ne fanno un paio di bombe estreme niente male.
Voce al vetriolo, cattiva e maligna (Patrick Ranieri, anche chitarrista e leader storico del gruppo), sei corde tra tradizione death e rimandi al sound slayerano (J.P. Brown a far coppia con Ranieri) e sezione ritmica stile bulldozer (Brian Wilson alle pelli e Julian David Guillen al basso) imprimono al sound dei due brani proposti un’attitudine estrema consolidata nel tempo, anche se Ranieri è l’unico sopravvissuto della line up originale e la sezione ritmica risulta nuova di zecca.
At The Rest e Megalopalyptic Confine funzionano bene, peccato solo per tutto il tempo perso da questa storica realtà del metal estremo americano: vedremo se questo 7″ sarà l’antipasto di prossime nuove uscite di maggiore portata.

TRACKLIST
SIDE A
At Rest
SIDE B
Megalopalyptic Confine

LINE-UP
Patrick Ranieri – Lead guitar/rhythm guitar/vocals
J.P. Brown – Rhythm guitar
Brian Wilson – Drums
Julian David Guillen – Bass

HELLWITCH – Facebook

Deficiency – The Dawn of Consciousness

The Dawn of Consciousness è un album molto ben congegnato e sarebbe un peccato perderlo, specialmente se amate il genere in tutte le sue forme e sfumature, sia tradizionali che moderne.

E’ un periodo di grandi manovre nella scena thrash metal mondiale, il ritorno in auge del genere sta portando entusiasmo ad un movimento che sembrava irrimediabilmente spento, se non per qualche bel disco uscito nei meandri più nascosti dell’underground o per il ritorno sul mercato di una di quella manciata di band storiche, ancora in attività.

Con un bella pacca sulla spalla mandiamo a dormire i detrattori del genere e gli scribacchini che sicuramente saliranno sul carro del vincitore, ma che fino a poco tempo fa non avrebbero scritto una riga su un album come The Dawn of Consciousness, terzo lavoro dei francesi Deficiency.
L’album irrompe sulla scena underground portando una ventata di aria fresca, con una proposta che non dovrebbe lasciare indifferenti i consumatori di musica estrema in questi primi rovinosi anni di questo nuovo millennio.
I Deficiency sono Laurent Gisonna, chitarrista e cantante, perfetto nell’uso della doppia voce che passa (come in tanti gruppi dal sound moderno) dallo scream alle clean vocals, il bassista Vianney Habert affiancato dall’ultimo entrato in formazione, il batterista Thomas Das Neves, mentre la seconda chitarra è lasciata nelle mani di Jérôme Meichelbeck.
The Dawn of Consciousness è stato registrato ai Dome Studio da David Potvin e risulta un lavoro devastante, ben calibrato ed attraversato dalle due anime principali, quella moderna ed in linea con i suoni odierni e quella che guarda alla tradizione: ne esce così un’opera varia che, anche nello stesso brano, passa agevolmente da sfuriate di death/thrash melodico, vicino alle produzioni di Soilwork e Darkane, a momenti in cui l’anima old school prende il sopravvento investendoci con ventate di thrash metal alla Death Angel, qualche accenno ai più pesanti Machine Head, ma con la melodia in evidenza in molte delle tracce dell’album.
Un disco estremo che sa come arrivare al sodo senza perdere l’aspetto melodico, questa è appunto l’arma segreta di un lavoro che, con brani davvero ispirati come l’opener Newborn’s Awakening, Another Fail To Come, la bestiale The Upriser e quel piccolo gioiello strumentale che è And Now Where Else To Go, pone un bel tassello nella propria discografia.
The Dawn of Consciousness è un album molto ben congegnato e sarebbe un peccato perderlo, specialmente se amate il genere in tutte le sue forme e sfumature, sia tradizionali che moderne.

TRACKLIST
1. Newborn’s Awakening
2. Uncharted Waters
3. Another Fail To Come
4. From A Less To A Greater Perfection
5. The Upriser
6. Face The World We Experience
7. Nausera
8. And Now Where Else To Go
9. Post Knowledge Day
10. Fearless Hope

LINE-UP
Laurent Gisonna – Lead Guitar, Vocals
Vianney Habert – Bass guitar
Thomas Das Neves – Drums
Jérôme Meichelbeck – Rhythm Guitar

DEFICIENCY – Facebook

Athrox – Are You Alive?

Una band che al primo album se ne esce con una tale bordata non può che essere seguita con estrema attenzione, e tra l’altro pare sembra che sia già pronto un nuovo lavoro … ne vedremo delle belle.

Si continua imperterriti a suonare heavy metal di ottima qualità nell’underground nostrano, una musica che ha mille modi per essere interpretata e vissuta, dagli Usa al Regno Unito, dall’Asia al centro del nostro bistrattato stivale (nella fattispecie Grosseto).

E’ appunto dalla città toscana che arrivano gli Athrox, giovane gruppo formato nel 2014 e che debutta per Red Cat con Are You Alive?, una mazzata di power thrash devastante, un ritorno al metal staunitense con la M maiuscola:
il quintetto si affaccia senza indugi sulla scena metallica, con un album davvero ispirato, una produzione che ne esalta la potenza, un singer di razza e chitarre che lanciano il loro drammatico grido di battaglia tra ritmiche thrash, solos fiammeggianti ed arpeggi acustici, che stemperano i watts ma non la tensione.
Non c’è tregua in Are You Alive?: i brani, uno dopo l’altro, sono mitragliate power thrash che non fanno prigionieri, mentre il meglio della scuola statunitense ci passa davanti come in una metallica passerella.
Gli argomenti trattati, tutti d’attualità e di denuncia verso i mali che affliggono il genere umano, sono accompagnati dalla devastante potenza drammatica ed oscura della scuola a stelle e strisce, e diventa difficile scegliere un brano piuttosto che un altro tanto è alto il livello di questo lavoro.
Frozen Here,  Warstorm e Gates Of Death sono il fantastico trittico iniziale, una bomba sonora che lascia senza fiato, con Crimson Glory, Metal Church e Vicious Rumors a rappresentare le fonti di ispirazione degli Athrox, mentre  End Of Days e la title track si elevano ad esempi fulgidi della qualità insita nel metal suonato dal gruppo.
Una band che al primo album se ne esce con una tale bordata non può che essere seguita con estrema attenzione, e tra l’altro pare sembra che sia già pronto un nuovo lavoro … ne vedremo delle belle.

TRACKLIST
1. Losing Your Gods
2. Frozen Here
3. Warstorm
4. Gates of Death
5. Remember the Loneliness
6. Pretend You
7. My Downfall
8. Waiting for the Eden
9. End of Days
10. Are You Alive?
11. Obsession

LINE-UP
Giancarlo Picchianti – Vocals
Sandro Seravalle – Guitars
Francesco Capitoni -Guitars
Andrea Capitani – Bass
Alessandro Brandi – Drums

ATHROX – Facebook

Havok – Conformicide

Conformicide è una mastodontica opera estrema da più di un’ora di durata, ma che sa tenere per il collo l’ascoltatore, strapazzato dall’ottovolante su cui gli Havok lo hanno legato ed imbavagliato.

Non solo i nomi storici del genere ma, ora, anche le cosiddette seconde linee (in termini di popolarità , non certo di qualità), si mettono in testa di fare la voce grossa, ed allora veramente non c’è ne per nessuno.

E’ un dato di fatto che le band più importanti abbiano ultimamente pescato dal cilindro lavori notevoli, mentre nell’underground le nuove leve escono dall’ombra e vanno a rimpolpare le brigate in stato di guerra con sulle mostrine la scritta thrash.
Con gli Havok non si può certo parlare di nuove leve, ma l’anno di nascita (2004) ed il loro saper prendere il meglio della scena ottantiana dandolo in pasto ai fans del nuovo millennio, porta a valutarli come una delle più efficaci proposte del secolo appena iniziato.
Conformicide è il quarto full length di una discografia che si allarga come una macchia nera di adrenalinico combustibile,  composta pure da lavori minori, ed una popolarità che nel genere comincia a risultare importante.
Il nuovo album porterà altre lodi al quartetto del Colorado, una macchina da guerra dal sound ottantiano ma ben focalizzata sul presente come cura dei dettagli e dei suoni: con loro ritornano in auge ritmiche veloci ed intricate, violentissime ripartenze, voce cartavetrata e maligna come quella di un folletto metropolitano e la tecnica indispensabile per fare di un bell’album di genere un grande album metal.
E di tecnica i musicisti americani ne hanno da vendere, dalle intricate bordate ritmiche della coppia Pete Webber/Nick Schendzielos (rispettivamente basso e batteria) alle due chitarre torturate da David Sanchez (anche al microfono) e Reece Scruggs.
Conformicide è una mastodontica opera estrema da più di un’ora di durata, ma che sa tenere per il collo l’ascoltatore, strapazzato dall’ottovolante su cui gli Havok lo hanno legato ed imbavagliato, prima di partire con il thrash a tratti progressivo di F.P.C., la clamorosa Ingsoc e Circling The Drain, mentre le altre canzoni si assestano su uno stile americano d’assalto, tra Death Angel ed Exodus.
Il thrash metal sta tornando più forte e violento di prima, abbandonando le troppe influenze moderne degli ultimi anni per riabbracciare la tradizione.

TRACKLIST
1. F.P.C.
2. Hang ‘Em High
3. Dogmaniacal
4. Intention To Deceive
5. Ingsoc
6. Masterplan
7. Peace Is In Pieces
8. Claiming Certainty
9. Wake Up
10. Circling The Drain

LINE-UP
David Sanchez – Guitar, Vocals
Reece Scruggs – Guitar
Nick Schendzielos – Bass
Pete Webber – Drums

HAVOK – Facebook

Sanctuary – Inception

Inception potrà a molti sembrare un’operazione volta a riempire il tempo necessario al gruppo per creare il nuovo album, ma è indubbio che il valore di queste composizione vada ben oltre la classica operazione nostalgica.

Come ogni leggenda che si rispetti, anche la storia dei Sanctuary di Warrel Dane e Lenny Rutledge si avvolge di mistero ed un pizzico di magia.

E l’ultimo capitolo della storia di questa storica band statunitense vede il chitarrista ripulire il proprio magazzino e, tra cianfrusaglie e vecchi ricordi, trovare quello che è il sacro Graal della band e di una buona fetta dell’US power metal, i nastri su cui l’allora giovane gruppo incise quello che in gran parte andò a formare il primo entusiasmante album dei Sanctuary, Refuge Denied.
Quello che poi la storia vide scritto fu un secondo album altrettanto fondamentale (Into The Mirror Black, 1990) ed un lungo silenzio fino al 2014 con il ritorno con un album di inediti intitolato The Year the Sun Died.
Ma torniamo a questa monumentale raccolta ed alla sua storia che porta i Sanctuary, dopo il ritrovamento, ad affidare i preziosi nastri al produttore Chris “Zeus” Harris (Queensryche, Hatebreed), il quale trasforma la musica di cui si compongono in canzoni prodotte perfettamente, in linea con il metal del nuovo millennio, così da poter godere in toto della bravura di questa straordinaria band.
Accompagnato dalla copertina di Ed Repka, che richiama senza mezzi termini quella del primo album del gruppo, Inception potrà sembrare a molti un’operazione volta a riempire il tempo necessario al gruppo per creare il nuovo album, ma è indubbio che il valore di queste composizione vada ben oltre la classica operazione nostalgica.
Detto del gran lavoro fatto da Harris, in modo che il tutto non appaia la classica demo che fa a pugni con le nostre orecchie abituate alle produzioni moderne, l’album ci presenta la band al massimo della forma, magari leggermente acerba, ma con un Dane sugli scudi, teatrale e nervoso, sospinto da una carica selvaggia indomabile, ed una serie di brani che sono storia del metal statunitense alla pari con i primi lavori di Queensryche e Metal Church.
Le due tracce inedite sono all’altezza di quelle conosciute e finite su Refuge Denied: teatrali, drammatiche ed oscure, in perfetta linea con il metal suonato negli anni ottanta e diventato una tradizione classica dell’ America hard & heavy.
Curato in ogni dettaglio, Inception è accompagnato da un libretto con foto e notizie sulla scena metal di Seattle, prima che camicioni di flanella e jeans strappati arrivassero a mettere nell’ombra giubbotti di pelle e polsini borchiati.

TRACKLIST
1. Dream Of The Incubus
2. Die For My Sins
3. Soldiers Of Steel
4. Death Rider / Third War
5. White Rabbit (Jefferson Airplane cover)
6. Ascension To Destiny
7. Battle Angels
8. I Am Insane
9. Veil Of Disguise

LINE-UP
Lenny Rutledge – Guitars
Warrel Dane – Vocals
Dave Budbill – Drums
George Hernandez – Bass
Nick Cordle – Guitars (live)

VOTO
8.50

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