Profundum – Come, Holy Death

Ogni attimo è finalizzato al completamento di un percorso che porta verso una fine più invocata che temuta, con la tensione che non viene mai lasciata scemare.

I Profundum sono una di quelle misteriose band che periodicamente sbucano da qualche oscuro anfratto esibendo in maniera magnifica sonorità disperatamente malsane e funeree.

Come spesso avviene in questi casi, tra l’altro, le uniche notizie certe sono la provenienza statunitense (San Antonio), il fatto che Come, Holy Death sia il loro full length d’esordio che segue l’ep dello scorso anno What No Eye Has Seen, e che si tratta di un duo formato dai misteriosi LR e R, anche se diversi indizi mi fanno ragionevolmente ritenere che quest’ultimo sia, in effetti, il Ryan Wilson titolare del pregevole monicker The Howling Void.
Inoltre, le note promozionali ci fanno sapere che i Profundum traggono la loro ispirazione dai fondamentali primi lavori degli Emperor per poi sviluppare un’idea di musica oscura, ferale e nel contempo maestosa.
Indubbiamente, chi ha ben presente le sonorità di In The Nightside Eclipse può trovarsi d’accordo con tale affermazione, fermo restando che il sound dei californiani propende in maniera decisiva verso il funeral doom, lasciando che le sfuriate di matrice black siano solo una delle componenti del sound e non quella preponderante.
Fatte le debite premesse, si può tranquillamente dichiarare Come, Holy Death come una delle sorprese dell’anno quando si parla di sonorità in grado di evocare un senso di struggimento misto ad angoscia e ottundente dolore: mi spingo oltre, affermando che forse mai nessuno, almeno nell’ultimo decennio, è riuscito a realizzare con tale efficacia il connubio atmosferico tra il black metal ed il funeral.
L’album non è particolarmente lungo, con i suoi otto brani dalla durata media di cinque minuti ciascuno che vanno a creare, però, un flusso unico nel corso del quale soffocanti rallentamenti si legano in un abbraccio mortale alle repentine accelerazioni grazie alla solennità delle tastiere: la voce di LR è un growl che sovente si tramuta in uno screaming mai troppo esasperato, comunque restando sempre nei limiti di una certa intelligibilità.
Come, Holy Death, proprio per tutte queste caratteristiche,  non possiede picchi né punti deboli, perché non c’è un solo secondo sprecato indugiando in passaggi interlocutori: qui ogni attimo è finalizzato al completamento di un percorso che porta verso una fine più invocata che temuta, con la tensione che non viene mai lasciata scemare. Obbligato a scegliere un brano emblematico, opto per Unmoved Mover, abbellito da un misurato tocco pianistico, ma ribadisco che anche le altre sette tracce non sono affatto da meno.
Profundum è un altro nome da segnare con il circoletto rosso in egual misura, sia per per gli appassionati di black atmosferico sia per quelli di funeral doom.

Tracklist:
1. Sentient Shadows
2. Unmoved Mover
3. Antithesis
4. Tunnels to the Void
5. Storms of Uncreation
6. Into Silences Ever More Profound
7. I Have Cast A Fire Upon The World
8. Illuminating The Abyss

Line-up:
LR – vocals
R – all instruments

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The Watchers – Sabbath Highway

I The Watchers sono come un tornado in mezzo al deserto, un vortice di sonorità hard & heavy che si abbattono sulla campagna americana, un twister selvaggio dal titolo Sabbath Highway.

Torniamo indietro fino alla metà degli anni novanta, il decennio più importante della storia del metal/rock dopo gli anni settanta, facciamoci ancora del male con i primi lavori di Zakk Wilde e dei suoi Black Label Society, aggiungiamoci i Soundgarden di Louder Than Love e i Corrosion Of Conformity nella versione più stonerizzata (Wiseblood/America’s Volume Dealer) ed avremo ottenuto una ricetta musicale da veri Masterchef del rock, oppure saremo molto vicini alla proposta di questi clamorosi rockers statunitensi, i The Watchers.

Sabbath Highway, ep uscito qualche tempo fa, ci consegna un gruppo davvero interessante, pronto per licenziare il primo lavoro sulla lunga distanza che si preannuncia come una bomba sonora, almeno per chi apprezza queste sonorità.
Niente di nuovo, chiariamolo subito, ma senz’altro convincente, con i Sabbath che compaiono nel titolo e fanno da padrini al quartetto composto da Tim Narducci alla voce, Jeremy Von Eppic alla chitarra, Cornbread al basso e Carter Kennedy (Orchid) alla batteria.
Esaltanti ed irresistibili, i The Watchers sono come un tornado in mezzo al deserto, un vortice di sonorità hard & heavy che si abbattono sulla campagna americana, un twister selvaggio dal titolo Sabbath Highway.
E selvagge sono le note che escono a tratti violente dalla title track o dalla monumentale Call The Priest, spettacolare brano tra Soundgarden e Black Sabbath, dove Narducci fa il Cornell d’annata.
I nostri picchiano duro anche in Today, veloce come una Harley lanciata all’impazzata e nella conclusiva Just A Needle, mid tempo potente e cadenzato, un carro armato hard rock con la scritta B.L.S. sulla fiancata.
Ripple Music è l’etichetta responsabile dei danni inferti ai padiglioni auricolari degli amanti del genere da parte del gruppo, in attesa di un full length che si preannuncia dinamitardo.

Tracklist
1.Sabbath Highway
2.Requiem Intro
3.Call The Priest
4.Today
5.Just A Needle

Line-up
Carter Kennedy – Drums
Cornbread – Bass
Jeremy Von Eppic – Guitars
Tim Narducci – Vocals

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Iron Monkey – 09 13

09 13 è una prova potentissima e molto violenta, che fa ben capire perché come questo gruppo sia stato uno dei più amati del genere, e mostra anche quanto ancora possano dare alla musica estrema.

Torna con una formazione diversa uno dei gruppi fondamentali nella storia dello sludge, pubblicando un album pesantissimo e bellissimo.

Con gli inglesi Iron Monkey ci eravamo lasciati nel 1999, quando si sciolsero dopo aver pubblicato due album devastanti come Iron Monkey e Our Problem, grondanti sangue e uno sludge metal imbastardito con il noise e con il metal, il tutto farcito da un groove marcio.
Nati a Nottingham e fieramente parte di quella scena, pubblicarono il primo album omonimo nel 1996 con la piccola Union Mill, e il disco venne ristampato l’anno successivo dalla concittadina Earache, il massimo all’epoca per chi volesse farsi devastare le orecchie. Gli Iron Monkey avevano e hanno un retroterra punk hardcore e ciò lo si può sentire anche ora, riuscendo ad unire ciò con altri elementi per un mix unico. La linea genealogica porta sicuramente ai Black Sabbath per quanto riguarda i riff, inoltre i ragazzi di Nottingham hanno sviluppato un qualcosa che dall’altra parte dell’oceano veniva su quasi uguale ad opera degli Eyehategod o dei Crowbar per certi aspetti. Bisogna però mettere subito in chiaro che il suono degli Eyehategod e degli Iron Monkey ha ben poco in comune se lo si ascolta, poiché gli inglesi hanno una maggiore linea melodica nascosta sotto un cumulo di pesantezza, mentre gli americani sono maggiormente legati alla jam come metodo di composizione.
Questo album non è affatto un tuffo nel passato, questa è una nuova fase nella vita della band: sono cambiati i componenti, nel 2002 è morto Johnny Morrow per un attacco di cuore, essendo gravemente malato ai reni, ed il suo posto alla voce è stato preso da S. Briggs dai Chaos Uk, il quale aveva suonato con Morrow nei My War. Rispetto a Morrow, Briggs possiede una voce meno potente e cavernosa, ma più adatta a pezzi maggiormente veloci. Uno dei pregi del gruppo, e che è fortemente presente su 09 13, è l’assoluta mancanza di pianificazione della canzone, si parte e poi si vedrà dove si arriva, per cui si alternano pezzi più lenti e pesanti ad altri veloci, quasi hardcore sludge, con il risultato di dare una mazzata incredibile all’ascoltatore. Gli Iron Monkey sono sempre pesanti e dal suono unico, ed in questo disco riescono a completare alcuni discorsi che nei lavori precedenti erano rimasti solo in nuce. 09 13 è una prova potentissima e molto violenta, che fa ben capire perché questo gruppo sia stato uno dei più amati del genere, e mostra anche quanto ancora possa dare, anche se in pratica l’unico membro originario rimasto è il chitarrista Robert Graves.

Tracklist
1.Crown of Electrodes
2.OmegaMangler
3.9-13
4.Toadcrucifier – R.I.P.PER
5.Destroyer
6.Mortarhex
7.The Rope
8.Doomsday Impulse Multiplier
9.Moreland St. Hammervortex

Line-up
JIM
LEGENDARY STEVE WATSON
BRIGGA

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Regardless Of Me – The Covenant

The Covenant è un album da non perdere, drammaticamente ruvido, oscuro e colmo di musica che rompe gli argini e sgorga libera dai vincoli di genere.

La Sleaszy Rider è una delle label che ultimamente hanno contribuito in maniera importante allo sviluppo del metal underground nella vecchia Europa, con uno sguardo sempre attento alla scena italiana, fucina di ottime realtà dal metal classico a quello estremo.

I lombardi Regardless Of Me, freschi di firma con l’etichetta greca, sono un quartetto attivo da una decina d’anni, con due full length alle spalle (The World Within del 2009 e Pleasures And Fear uscito sei anni fa) e hanno calcato i palchi assieme a nomi importanti del panorama metal mondiale come Meshuggah, Fear Factory, Children Of Bodom e molti altri, prima di arrivare all’importante contratto ed all’uscita di The Covenant.
La band nostrana ha un suo particolare approccio al dark/gothic metal, infatti il sound di The Covenant è in generale moderno e cool, ma non risparmia puntate estreme, un uso sagace della componente alternative, sconfinando in atmosfere trip hop, ed una buona dose di elettronica, che a tratti si nobilita di tappeti liquidi e sfumature dai richiami ai Lacuna Coil.
La bravura strumentale, che aiuta la band nelle parti più vicine al death metal progressivo, è la ciliegina sulla torta di un album originale e ben strutturato, vario nel suo mantenere la componente dark/gothic cercando di non soffermarsi troppo su soluzioni abusate e cercando sempre un proprio tocco personale.
Anche l’uso della doppia voce è perfetto, con la voce femminile di Arys Noir che si scambia o si accompagna con il growl di Mr.Dark, che non disdegna passaggi rap style, in un’atmosfera drammatica ed oscura che pervade le tracce di The Covenant.
Il singolo Losing You, Nothing Can Last Forever, la splendida ed estrema Amore Nero, l’alternative dark/rock violentato da dosi massicce di metal di This Broken World, con il gran lavoro chitarristico sotto forma di assoli di ispirazione heavy/prog, fanno di The Covenant un album da non perdere, drammaticamente ruvido, oscuro e colmo di musica che rompe gli argini e sgorga libera dai vincoli di genere
La data di uscita suggerita dall’etichetta è il 31 ottobre, un ottimo modo per accompagnare musicalmente la notte di Halloween …

Tracklist
1.The Covenant
2.We Are
3.Losing You
4.Nothing Can Last Forever
5.Neurotic Trains
6.A Different Way
7.Amore Nero
8.This Night
9.This Broken World
10.Weightless
11.Blue Apocalypse

Line-up
Arys Noir – Vocals
Mr Dark (Emiliano Sicilia) – Rap, Growls and Screams, Vocals,11 Strings Guitar, Programming
The Grand Duke (Niccolò Parrini) – Fretless Bass Guitar, 7 Strings Bass guitar, effects, piano and keyboards
Simon “Bullet” Whites – Drums, Percussions, Effects

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