Jx Arket – Meet Me Abroad

Meet Me Abroad è un disco da assaporare a lungo, ci sono momenti di vero entusiasmo e di grande coinvolgimento, e non capitava da tanto di sentir coniugare in questa maniera l’emocore e l’hardcore, per delle emozioni che lasciano il segno.

Disco oltremodo entusiasmante per questa giovane band torinese. Prendete il miglior emocore anni novanta, un po’ di post hardcore e tanta urgenza pienamente hardcore e avrete un qualcosa che si avvicina a questo disco.

I Jx Arket esordiscono con molti botti, pubblicando un disco che fa cantare, puntare il dito in alto e buttarsi dal tavolo della cucina per fare stage diving con i vicini di sotto. Intensità, partecipazione, tanta rabbia e tanto amore, non è facile equilibrare questi elementi, ma i torinesi ci riescono molto bene e vanno anche oltre. Tutte le canzoni sono notevoli, il cuore della loro musica è oltreoceano, ma ci sono momenti pienamente europei, e in realtà si viene sempre stupito dalle loro soluzioni sonore. La melodia è l’asse portante della musica dei Jx Arket, e viene declinata in modi disparati con l’energia che rimane sempre molto alta. Pur essendo stato fondato solo nel 2016 il gruppo ha un disegno musicale ben preciso, ed infatti è attualmente impegnato in un tour europeo che sicuramente gli procurerà del seguito: Meet Me Abroad è un disco da assaporare a lungo, ci sono momenti di vero entusiasmo e di grande coinvolgimento, e non capitava da tanto di sentir coniugare in questa maniera l’emocore e l’hardcore, per delle emozioni che lasciano il segno. Un disco che folgora e che farà gridare moltissimo sotto al palco. Questo album è un piccolo capolavoro, ed è stato possibile anche grazie all’opera di persone come Marco Mathieu, bassista dei Negazione e tanto altro, ancora in coma dopo un grave incidente motociclistico, ma lo spirito continua anche in dischi come questo, ed è un’eredità che nessun incidente potrà mai cancellare.
L’underground è bello grazie a cose come questo disco.

Tracklist
1. I’ll be the one
2. Just another sad song
3. Aokigahara
4. Rooms
5. Day off
6. Fragments
7. Jonathan Livingstone
8. Happines is not for us
9. Last words from the broken

Line-up
Andrea Mazzocca and Bruno Consani – guitars. Davide Giaccaria – voices
Marco Mei – drums
Paolo Brondolo – bass

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Displeased Disfigurement – Origin of Abhorrence

Origin Of Abhorrence risulta il classico lavoro che troverà estimatori solo nei fans accaniti del genere, mentre gli ascoltatori occasionali troveranno solo decine di riff uno sopra l’altro, growl animalesco a decantare torture e varia macelleria con poca personalità.

Attivi da più di quindici anni, i Displeased Disfigurement sono passati dal death metal classico degli esordi (anche se non ci sono opere a testimoniarlo) ad un più brutale e mastodontico brutal death, iniziando a massacrare e torturare con il debutto Extermination Process, uscito quattro anni fa.

Tornano oggi questi sudafricani con il loro secondo lavoro, un massiccio e devastante album di brutale metallo tutto squartamenti e torture intitolato Origin of Abhorrence.
Il quartetto ha dalla sua un’ottima tecnica esecutiva, le chitarre cuciono riff su riff e la sezione ritmica è un martello pneumatico che si accende nel cervello degli ascoltatoti, il problema sta nel songwriting ripetitivo fino allo sfinimento e per nulla personale.
Origin Of Abhorrence risulta il classico lavoro che troverà estimatori solo nei fans accaniti del genere, mentre gli ascoltatori occasionali troveranno solo decine di riff uno sopra l’altro, growl animalesco a decantare torture e varia macelleria con poca personalità per pensare di intaccare la reputazione dei gruppi cardine del genere.
Mezz’ora di massacro senza soluzione di continuità è dunque quello che ci offrono i quattro deathsters sudafricani, un album onesto ma nulla più.

Tracklist
1.Intro
2.Parasitic Devourment
3.Malignant Misery
4.Infernal Machine
5.Analgestic Subjection
6.Human Cattle
7.Lock Down
8.Illuminated Race
9.Injected Suffering

Line-up
Darius Wilken-Guitar /vocal
Dominic Vorster-Bass/vocal
Mitch Wilken-Guitar
Riaan Els-Drums

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OBSCURE DEVOTION

Il lyrics video “The Sign Of Pain”, dall’album “Ubi Certa Pax Est” (Dark Horizons/Third I Rex).

Il lyrics video “The Sign Of Pain”, dall’album “Ubi Certa Pax Est” (Dark Horizons/Third I Rex).

Bunker 66 – Chained Down In Dirt

Con un approccio che privilegia il thrash metal più ruspante, satanico e punk e, in anni nei quali regna il bello ed il patinato anche nel metal estremo, per gli amanti della vecchia scuola Chained Down In Dirt è un album da non perdere.

Ci vanno giù duro i Bunker 66, trio di origine siciliana che torna con un nuovo album tramite la High Roller Records, etichetta specializzata nei suoni metallici old school.

E di vecchia scuola si tratta , a ben ascoltare il nuovo lavoro del gruppo messinese, che ci colpisce con ferocia con otto diretti al volto potenti come il loro thrash metal pregno di black ‘n’roll, senza fronzoli, scarno e violento.
Attivo dal 2009 il trio ha già una discreta discografia alle spalle, con tre full length ed una serie di lavori minori tra split e addirittura due compilation, segno di convinzione ed entusiasmo,
Il loro sound è quanto di più old school troverete in giro per la penisola: la produzione segue infatti l’atmosfera ottantiana ed assolutamente underground del progetto, e Chained Down In Dirt risulta così una mazzata niente male per chi è ancorato al sound di gruppi come Venom e Sodom.
La copertina (bellissima) segue di pari passo l’aura vintage dello stile proposto dai Bunker 66 e, all’accensione della miccia, l’opener Satan’s Countess parte a razzo con un ipotetico one/two/three di matrice rock ‘n’ roll che dà il tempo alle sfuriate dal flavour motorheadiano di molti dei brani che compongono l’album.
Con un approccio che privilegia il thrash metal più ruspante, satanico e punk e, in anni nei quali regna il bello ed il patinato anche nel metal estremo, per gli amanti della vecchia scuola Chained Down In Dirt è un album da non perdere.

Tracklist
1. Satan’s Countess
2. Black Steel Fever
3. Chained Down In Dirt
4. Taken Under The Spell
5. Her Claws Of Death
6. Wastelands Of Grey
7. Power Of The Black Torch
8. Evil Wings

Line-up
D. Thorne – Bass & Vocals
J.J. Priestkiller – Guitars & Backing vocals
Dee Dee Altar – Drums &Backing vocals

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Contra – Deny Everything

Nel complesso i Contra offrono una prova onesta nella quale le ruvidezze vocali, la produzione un po’ sporca ed un songwriting non troppo vario finiscono per non offrire momenti particolarmente esaltanti come neppure deprecabili.

Contra è il nome di questa band di Cleveland che ci propone il suo primo full length a base di un roccioso stoner doom.

Deny Everything si  intitola come l’ep uscito l’anno scorso, i cui brani confluiscono ovviamente nel nuovo lavoro così come quelli contenuti in Son Of Beast, esordio datato 2015.
Ne deriva un album che, di fatto, è una summa di quanto composto finora dal trio dell’Ohio, con l’aggiunta di tre inediti; nel complesso i Contra offrono una prova onesta nella quale le ruvidezze vocali, la produzione un po’ sporca ed un songwriting non troppo vario finiscono per non offrire momenti particolarmente esaltanti come neppure deprecabili.
In fondo qui stanno le chiavi di lettura necessarie per godere di gran parte dello stoner odierno, ovvero l’essere naturalmente propensi all’ascolto di un suono grezzo, dai risvolti psichedelici e discretamente tetragono nel suo incedere.
Dalla loro i Contra possiedono quell’insana attitudine tipica delle band americane, che li rende simpaticamente brutti sporchi e cattivi, ma il loro essere spontaneamente sgraziati finisce talvolta per ritorcerglisi “contro” (gioco di parole inevitabile) anche per una tracklist nella quale, forse, solo Snake Goat e Dr.Goldfoot possiedono quel quid in più per farci andare poco al di là di un effimero quanto gradevole ricordo.

Tracklist:,
1. Human Buzzsaw
2. Snake Goat
3. Altered Beast
4. The Gorgon
5. Humanoid Therapy
6. Son of Beast
7. Bottom Feeder
8. 100 Hand Slap
9. Dr Goldfoot
10. Shrimp Cocktail

Line-up
Aaron Brittain – Drums
Adam Horwatt – Bass/Guitar
Chris Chiera – Guitar
Larry Brent – Vocals

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