In Twilight’s Embrace – Vanitas

Gli In Twilight’s Embrace hanno lasciato in parte la strada che li portava verso la Scandinavia per rimanere nel loro paese (la Polonia) e scovare sentieri ancora più estremi ed oscuri, una piccola svolta per il gruppo che non deluderà i loro ascoltatori.

The Grim Muse, licenziato un paio d’anni fa, mi aveva piacevolmente impressionato, dandomi la possibilità di conoscere gli In Twilight’s Embrace, gruppo polacco dal sound a metà strada tra il death metal scandinavo e il black metal suonato dalle loro parti.

Il quintetto di Poznań torna con un nuovo lavoro, questo oscuro esempio di death/black metal dalle melodie che accentuano la parte melanconica dell’anima del gruppo, intitolato Vanitas.
Un altro centro dopo l’ottimo album precedente, a mio parere più pesante e oscuro rispetto al death metal melodico dalle sfuriate black di The Grim Muse, in poche parole più estremo ed incentrato sul black death metal alla Behemoth.
Vanitas non mancherà di soddisfare chi già aveva apprezzato il lavoro precedente: la componente black si è fatta più presente, lasciando nell’ombra quella più melodica e mettendo l’ascoltatore al cospetto di un’opera dove l’oscurità è accentuata in maniera più decisa, mentre le melodie incorniciano brani pressanti come As Future Evaporates o Flesh Falls No Ghost Lift.
In conclusione, gli In Twilight’s Embrace hanno lasciato in parte la strada che li portava verso la Scandinavia per rimanere nel loro paese (la Polonia) e scovare sentieri ancora più estremi ed oscuri, una piccola svolta per il gruppo che non deluderà i loro ascoltatori.

Tracklist
1.The Hell of Mediocrity
2.Fan the Flame
3.As Future Evaporates
4.Trembling
5.Flesh Falls, No Ghost Lifts
6.Futility
7.The Rift
8.The Great Leveller

Line-up
Leszek Szlenk – Guitars (lead)
Cyprian Łakomy – Vocals
Marcin Rybicki – Bass
Dawid Bytnar – Drums

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Mortiis – Ånden som Gjorde Opprør / Keiser av en Dimensjon Ukjent

Funeral Industries e Plastichead, a poco più di vent’anni dalla prima pubblicazione, offrono la riedizione di Ånden som Gjorde Opprør e Keiser av en Dimensjon Ukjent, due lavori, usciti all’epoca per la leggendaria Cold Meat Industry, che portarono all’attenzione di una più vasta fascia di pubblico il nome di Mortiis.

Funeral Industries e Plastichead, a poco più di vent’anni dalla prima pubblicazione, offrono la riedizione di Ånden som Gjorde Opprør e Keiser av en Dimensjon Ukjent, due lavori, usciti all’epoca per la leggendaria Cold Meat Industry, che portarono all’attenzione di una più vasta fascia di pubblico il nome di Mortiis.

Per chi non ne conoscesse la storia la riassumiamo in breve: il musicista norvegese è stato uno dei protagonisti dei primi vagiti della scena black metal rivestendo il ruolo di bassista negli Emperor e partecipando ad un album seminale come Into The Nightside Eclipse.
Dopo la successiva uscita dalla band, Håvard Ellefsen (questo è il suo vero nome) ha iniziato una carriera solista dedicata all’esplorazione di sonorità di matrice ambient, innestandovi però le proprie radici black sotto forma di un’aura fortemente epica e glacialmente solenne, divenendo di fatto un precursore di quel filone che oggi viene definito Dungeon Synth.
Va detto che, all’epoca, la scelta di Mortiis fece discutere (cosa che sarà un po’ il leit motiv di tutto il suo percorso musicale, a ben vedere) un po’ perché alcuni lo consideravano una copia edulcorata di Burzum o ancora a causa del suo presentarsi truccato da troll, un qualcosa di sicuramente originale ma dall’impatto altrettanto grottesco.
Al di là di questo, e riascoltandole con piacere dopo che molta acqua è passata sotto i ponti, è innegabile il valore intrinseco di queste due opere, piuttosto omologhe per contenuti essendo uscite a distanza di qualche mese l’una dall’altra, in quanto risultano ancora oggi portatrici di un fascino ancestrale senza apparire irrimediabilmente datate, anche perché il loro minimalismo indotto dal confronto con i mezzi a disposizione oggi, finisce per aumentarne in ogni caso il fascino.
Il percorso del folletto norvegese si sposterà in seguito verso un approccio ben più modernista, andando a lambire forme di industrial dai risultati altalenanti e comunque ben lontane anche per attitudine dai lavori dei primi anni novanta.
Ben venga quindi la riedizione diÅnden som Gjorde Opprør e Keiser av en Dimensjon Ukjent, opere che lo stesso Mortiis ha deciso di riproporre dal vivo in diverse occasioni in questa fine del 2017, cosa che sicuramente farà piacere a molti ma che, sotto certi aspetti, ha l’effetto di una parziale retromarcia rispetto a quanto fatto nella fase più recente della sua carriera.
Detto ciò, ritengo che la riedizione di questi album sia quanto mai opportuna anche in veste di ideale istantanea del fermento creativo che si viveva all’epoca in Norvegia, sicuramente legato all’esplosione della scena black metal ma anche ai diversi rivoli stilistici che ne sarebbero susseguiti.

Tracklist:
Ånden som Gjorde Opprør
1.En mørk horisont
2.Visjoner av en eldgammel fremtid

Keiser av en Dimensjon Ukjent
1.Reisene til grotter og ødemarker
2.Keiser av en dimensjon ukjent

Line-up
Maks Molodtsov

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Deinonychus – Ode To Acts Of Murder, Dystopia And Suicide

Il black doom dalle forti venature depressive dei Deinonychus torna ad inquietarci, sempre sotto l’egida della My Kingdom Music.

Dopo dieci anni di silenzio ritornano i Deinonychus , band che è di fatto il progetto solista del musicista olandese Marco Kehren, giunto con Ode To Acts Of Murder, Dystopia And Suicide all’ottavo full length in un quarto di secolo di attività.

Il black doom dalle forti venature depressive torna ad inquietarci, sempre sotto l’egida della My Kingdom: nell’occasione Kehren chiama a coadiuvarlo il batterista Steve Wolz (con il quale ha in comune la passata militanza nei Bethlehem) e Markus Stock che, oltre a contribuire con le proprie tastiere, ha curato anche la la registrazione dell’album.
Con la tavola apparecchiata per l’ottenimento di un risultato importante, Ode To Acts Of Murder, Dystopia And Suicide non delude le attese: le vocals disperate su stagliano su una forma di black ragionata, spesso caratterizzata da momenti più rarefatti ed evocativi nei quali lo screamjng di Kehren diviene quasi un recitato dai toni laceranti (Dead Horse).
La differenza tra l’essere impattante emotivamente e lo scadere nel grottesco sta tutta nella credibilità del nome Deinonychus e, conseguentemente, dei musicisti che hanno lavorato alla realizzazione dell’album; Ode To Acts Of Murder, Dystopia And Suicide non cala mai in intensità, piaccia o meno l’enfasi con la quale il malessere esistenziale viene veicolato, e francamente non resta nulla di diverso da chiedere a questo ritorno se non quello di rammentarci con forza quanto sia caduca la nostra vita e fragile la nostra psiche.
In copertina, la figura stilizzata in un’oscurità quasi totale cammina sui binari in attesa, forse, di un’inevitabile fine, ma può anche rappresentare una strada obbligata della quale non si conosce né la meta né il tempo necessario per raggiungerla.
Quest’ultimo lavoro segna il ritorno di un musicista ispirato e, se qualcuno dicesse nutrisse dei dubbi, ascolti con attenzione e predisposizione questi tre quarti d’ora di musica, sui quali si staglia il drammatico doom black di For This I Silence You, traccia che spinge ai massimi livelli il senso di alienazione dalla realtà e picco di una tracklist, comunque, complessivamente inattaccabile sotto ogni aspetto.

Tracklist:
1. Life Taker
2. For This I Silence You
3. The Weak Have Taken The Earth
4. Buried Under The Frangipanis
5. Dead Horse
6. Dusk
7. There Is No Eden
8. Silhouette

Line-up:
Marco Kehren – guitars, bass and vocals

Steve Wolz – drums
Markus Stock – keyboards

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Rise Of The Wood – First Seed

Il sound di First Seed è tutto meno che una sorpresa per gli ascoltatori del genere, il gruppo orange spacca i timpani con una serie di riff scavati nella roccia sabbathiana, passati a fil di spada sopra dirigibili persi nei cieli degli anni settanta e strafatti con radici trovate sotto la sabbia nella Sky Valley.

Pesante come il mammouth raffigurato in copertina, arriva sul mercato First Seed, primo lavoro degli olandesi Rise Of The Wood, quintetto dedito ad uno stoner ispirato dall’hard rock settantiano e dalla musica desertica statunitense.

Niente di nuovo sotto il sole a picco sulle pianure sotto il livello del mare, trasformate dalla band in un meno confortevole deserto aldilà dell’oceano.
Il sound di First Seed è tutto meno che una sorpresa per gli ascoltatori del genere, il gruppo orange spacca i timpani con una serie di riff scavati nella roccia sabbathiana, passati a fil di spada sopra dirigibili persi nei cieli degli anni settanta e strafatti con radici trovate sotto la sabbia nella Sky Valley.
Potenza e melodia, molte parti acustiche, sfumature ed atmosfere che passano dal vintage al moderno con facilità sorprendente e tanto rock stonato fanno dell’album una buona partenza per i Rise Of The Wood, i quali ignorano  chi li accusa di poca personalità e vanno per la loro strada con una manciata di brani (Red Snake, Hell Yeah, Loner Jack e Rise Of The Wood) che spingono la tracklist su un livello più che buono, forte di questo alternare stoner pressante e potente e hard rock.
Nol Van Vliet e compagni giocano con i cliché del genere con buona pace di chi cerca la chimera dell’originalità: First Seed è un buon lavoro di genere, piacevole e potente il giusto per trovare consensi a prescindere se siete amanti dello stoner o fedeli ascoltatori dell’hard rock suonato negli anni settanta.

Tracklist
1.Red Snake
2.Hell Yeah
3.After This I’ll Is Never
4.Slab City
5.Hyperspeed
6.The Dark
7.Loner Jack
8.Liberate
9.war Inside
10.Rise Of The Wood
11.Faded Horizon

Line-up
Nol Van Vliet – Vocals
Jeff Teunissen – Guitars
Ronald Boonstra – Guitar
Alex Wijnhorst – Bass
Erik stolze – Drums

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