GLASYA

Il video del singolo Heaven’s Demise.

GLASYA is a symphonic metal band fostered by the integration of several experienced musicians from the Portuguese metal scene, by the founder guitarist Hugo Esteves, the voice of Eduarda Soeiro (also in Nightdream – Portuguese official tribute to Nightwish), the keys of Portuguese-Dutchman Davon Van Dave (ex-Urban Tales, ex-Shadowsphere, ex-Heavenly Bride), solo guitarist Bruno Prates (ex-Enchantya, Paradigm State), Manuel Pinto bass (ex-Enchantya, Paradigm State) and Bruno Ramos drums (ex-My Deception).
At the end of December 2017, was published on their official Facebook and Youtube the teaser of the band’s presentation and are in full countdown for the release of the Single “Heaven’s Demise” and its Videoclip on January 10, 2018.
The theme is the first single from the upcoming EP to be released in the first half of 2018. It is characterized by its powerful orchestra and contagious rhythm, enhanced by the magnificent voice of Eduarda Soeiro. In the remaining themes of the EP you will be able to find strong melodies orchestrated by a wide cultural diversity, always embraced by the strength of the guitars, a cohesive rhythm section and the imposing voice of Eduarda Soeiro.

Facebook – https://www.facebook.com/GlasyaOfficial/
Youtube – https://www.youtube.com/channel/UCRdYZ1M0rdT6jI6GhYsdXrw

Mason – Impervious

A livello di sound poco è cambiato, il gruppo di Melbourne spara nove bordate metalliche veloci e potenti, lasciando da parte qualche sfumatura europea per avvicinarsi sempre più al thrash metal della Bay Area, scelta azzeccata visto il buon risultato.

Ci eravamo occupati dei Mason quattro anni fa sulle pagina riservata ai suoni metallici di In Your Eyes, è giunta l’ora di riparlarne su MetalEyes in occasione dell’uscita del nuovo album, questo devastante esempio di thrash metal tripallico intitolato Impervious.

La line up vede James Benson (voce e chitarra), Steve Montalto (basso) e Nonda Tsatsoulis (batteria) ancora in sella, raggiunti da Grant Burns a formare un quartetto pronto al massacro dall’alto dell’ottimo album che conferma la bontà della proposta dei Mason, una delle migliori realtà del genere a livello underground in arrivo dall’Australia.
A livello di sound poco è cambiato, il gruppo di Melbourne spara nove bordate metalliche veloci e potenti, lascia indietro qualche sfumatura europea per avvicinarsi sempre più al thrash metal Bay Area, scelta azzeccata visto il buon risultato.
Impervious così risulta un thrash metal album con i fiocchi, le influenze di Exodus, Testament e primi Metallica sono ben visibili, ma il genere è questo, prendere o lasciare.
E noi prendiamo con piacere, anche perché i Mason sanno come soddisfare i thrashers dai gusti old school, quindi si viaggia a cento all’ora o si rallenta, ma si rimane nel thrash metal classico tra solos al fulmicotone, ripartenze e frenate e chorus come da copione del genere.
Benson modula la sua voce come si faceva negli States molti anni fa e ne escono brani che sono esplosioni di watti; dopo l’intro Elios è un susseguirsi di saliscendi sulle montagne russe in compagnia del quartetto di Melbourne, che ci spacca le ossa con Burn, Tears Of Tragedy, la title track e Created To Kill.
Niente di nuovo sotto il sole australiano, ma tanta buona musica metal in arrivo a percuoterci senza pietà: i Mason sono tornati più forti che e devastanti che mai

Tracklist
1.Eligos
2.Burn
3.Tears of Tradegy
4.The Afterlife
5.Impervious
6.Cross This Path
7.Sacrificed
8.Hellbent on Chaos
9.Created to Kill

Line-up
Nonda Tsatsoulis – Drums
Jimmy Benson – Vocals, Guitars
Steve Montalto – Bass
Grant Burns – Guitars (lead)

MASON – Facebook

Steve Hackett – Wuthering Nights: Live in Birmingham

Su un nuovo album dal vivo di Steve Hackett non c’è molto da dire, soprattutto se sia chi scrive sia chi legge concorda sul fatto che i miti si possono solo venerare e mai discutere.

Su un nuovo album dal vivo di Steve Hackett ci dovrebbe essere francamente poco da dire, soprattutto se sia chi scrive sia chi legge concorda sul fatto che i miti si possono solo venerare e mai discutere.

Per cui non resta che descrivere quello che, più o meno, è contenuto in questo Wuthering Nights: Live in Birmingham, lavoro che esce anche nel formato Dvd/Blue Ray oltre a quello in doppio cd: a grandi linee ci troviamo di fronte alla scaletta che Steve, con la sua band, ha portato in tour anche dalle nostre parti la scorsa estate, rispettando la stessa ideale suddivisione in due parti, con la prima dedicata ai brani della produzione solista e l’altra a quelli storici dei Genesis.
Rispetto al concerto che ho visto in quel di Vigevano a luglio, ho potuto almeno godermi la prima parte riuscendo ad ascoltare i brani senza dovermi preoccupare di difendermi dai nugoli di zanzare che avevano reso i miei connotati simili a quelli di The Elephant Man (e credo che anche lo stesso Hackett se lo ricordi, visto che a tratti lo si vedeva gesticolare sul palco manco fosse stato il Pete Townsend dei bei tempi …).
In questa prima sessione va rimarcata la riproposizione del brano capolavoro della produzione solista del chitarrista inglese, Shadow Of The Hyerophant, qui con l’apporto sul palco della voce femminile di Amanda Lehmann, oltre a diverse altre ottime canzoni (su tutte Every Day, da Spectral Mornings) e con la chiusura affidata a Eleventh Earl Of Mar, prima delle tracce tratte da Wind And Wuthering, l’album dei Genesis omaggiato nell’occasione per il suo quarantennale.
Il secondo cd è del tutto appannaggio della produzione dello storico gruppo, con la giusta attenzione al lavoro celebrato all’uopo, un disco la cui complessiva sottovalutazione da parte degli stessi fan dei Genesis è dovuta all’inevitabile paragone con quei 5-6 capolavori usciti precedentemente piuttosto che al suo oggettivo valore; e, in effetti il motivo di curiosità è appunto la riproposizione di brani che di solito non trovano molto spazio nelle scalette dei concerti, come Blood On The Rooftops, In That Quiet Earth e One For The Vine, più quella Inside And Out che finì fuori da Wind And Wuthering per essere relegata all’Ep Spot The Pigeon, mentre non è certo una novità l’evergreen Afterglow, che va a fare compagnia alle immortali Firth Of Fifth, The Musical Box e Dance On A Volcano, con il gran finale rappresentato come sempre da Los Endos.
La band che accompagna Hackett è quella ormai rodata da tempo, con magnifici musicisti capaci di assecondarne il sempre magico tocco chitarristico: in particolare, l’idea di rafforzare diverse parti di chitarra con l’ausilio dei fiati si rivela piuttosto azzeccata, andando ad enfatizzare il sound senza penalizzarne l’intensità.
L’unico dubbio in un simile contesto è la voce di Nad Sylvan, la cui timbrica sembra più adatta ai brani risalenti all’epoca Gabriel che non a quella successiva con Phil Collins nel ruolo di cantante e, indubbiamente, nel confronto con questi due giganti il pur bravo vocalist finisce inevitabilmente per soccombere, facendo scemare in alcuni frangenti la magia evocata da molte delle pietre miliari poc’anzi citate.
In ogni caso l’opera, in qualsiasi formato la si voglia prendere in considerazione, è dedicata ai fans più accaniti che non vogliono perdersi proprio nulla del loro musicista preferito; magari qualcuno avrà da eccepire sul fatto che Steve continui a incentrare i suoi concerti principalmente sui brani dei Genesis, ma credo che ne abbia tutti i diritti, non fosse altro che per la credibilità costruitasi nel corso di una carriera sempre foriera di soddisfazioni per gli appassionati, anche grazie ad album di inediti tutt’altro che superflui per qualità e voglia di esplorare nuove frontiere sonore.
Poi sappiamo bene che la dimensione live è una sorta di rito collettivo, nel corso del quale si versa più che volentieri qualche lacrima di commozione nell’ascoltare i classici suonati da chi ha contribuito fattivamente a farli diventare tali, sperando sia chiaro a tutti che ciò può essere solo avvicinato e mai eguagliato dalle pur ottime cover band che continuano a predicare fedelmente il verbo dei Genesis.
Il mito non si discute, si ama:  appunto …

Tracklist:
Disc 1
1. Every Day
2. El Niño
3. The Steppes
4. In The Skeleton Gallery
5. Behind The Smoke
6. Serpentine Song
7. Rise Again
8. Shadow Of The Hierophant
9. Eleventh Earl Of Mar

Disc 2
1. One For The Vine
2. Acoustic Improvisation
3. Blood On The Rooftops
4. In That Quiet Earth
5. Afterglow
6. Dance On A Volcano
7. Inside And Out
8. Firth Of Fifth
9. The Musical Box
10. Los Endos

Line-up:
Steve Hackett – Guitar, Vocals
Roger King – Keyboards
Nad Sylvan – Vocals, Tambourine
Gary O’Toole – Drums, Percussion, Vocals
Rob Townsend – Saxophone, Woodwind, Percussion, Vocals, Keyboards, Bass Pedals
Nick Beggs – Bass, Variax, Twelve String, Vocals
Guests:
John Hackett
Amanda Lehmann

STEVE HACKETT – Facebook

Land Of Damnation – Demon

Primo ep per i campani Land Of Damnation, band dal sound ispirato sia dal death metal melodico che dal più tradizionale heavy metal.

Metal classico e melodic death metal, due generi uniti dal lavoro e dal talento delle storiche band scandinave che, nei primi anni novanta diedero vita alla scena death metal melodica.

Con gli anni il sound ha preso altre direzioni, amalgamandosi con i suoni moderni nati negli States grazie alle svolte stilistiche di Soilwork e, principalmente, In Flames, ma gruppi che continuano ad ispirarsi ai primi esempi di questo storico sodalizio non ne mancano certo, specialmente nell’underground.
I Land Of Damnation, per esempio, debuttano con Demon, ep di quattro brani più intro che esprime tutto l’amore dei musicisti campani per il genere: un buon inizio per il gruppo, visto il tiro dei brani che compongono l’opera.
Nata per volere dei due chitarristi che rispondono ai nomi di Adrian Beppe e Dark Tranquillo nel 2014, la band arriva solo ora al debutto con questo ep che non fa nulla per nascondere la sua natura classica, abbinata al death metal melodico dei primi In Flames e Dark Tranquillity e ad un tocco di oscurità power/thrash alla Iced Earth.
Demon, nella sua attitudine classicheggiante, riesce a toccare le corde giuste specialmente se ad avvicinarsi alla musica di cui è composto sono i fans dei gruppi citati, più ovviamente gli Iron Maiden, padrini del lato più classicamente heavy della title track e della splendida Tearing The Veil, brano top dell’album, perfetto nell’alternare atmosfere maideniane a più oscure e pressanti parti melodic death (grazie anche al growl dell’ospite Gioele Di Giacomo).
E’ più diretta la cavalcata Die, mentre il finale è lasciato alla lunga Harmonia, traccia che tanto sa di Iced Earth periodo Something Wicked This Way Comes.
In conclusione, questo si può definire un inizio promettente: Demon sa come accontentare gli amanti del genere e riesce a rappresentare al meglio un abbondante antipasto al più ricco piatto sulla lunga distanza

Tracklist
1. [Infernal] Intro
2. Land of Damnation
3. Tearing the veil
4. Die
5. Harmònia

Line-up
Adrian Peppe “Smith” – Guitar and Voice
DarkTranquillo J. “Murray” – Guitar
Michele “Svalfio” Alfano – Drums
Luigi “Towt” Smilzo – Bass

Gioele di Giacomo – Growl Vocals in “Tearing the veil”

LAND OF DAMNATION – Facebook

Zom – Nebulos

Nebulos è un disco di incontro e di sintesi di diverse maniere di intendere la musica pesante e non solo, ed è un tentativo molto riuscito.

Gli Zom sono una macchina di riff chitarristici potenti e contenenti un elevato tasso di groove dal gusto forte.

I tre americani provenienti da Pittsburgh non sono certamente un gruppo giovanile e lo si sente molto forte nel disco, hanno una grande esperienza e la usano tutta ed in maniera adeguata. In buona sostanza siamo dalle parti dello stoner fortemente imparentato con il grunge, e non tutti sanno fare questo ibrido, che è tale solo a parole, perché poi viene tutto molto naturale, siamo noi che dobbiamo sempre delimitare il territorio. Il trio è composto da Gero Von Dehn, anche nei Monolith Wielder, gruppo che abbiamo già potuto apprezzare sempre su Argonauta Records, Andrew D’Cagna dei Brimstone Coven e da Ben Zerbe, anche lui gravitante intorno ai Monolith Wielder. Gli Zom sono attivi dal 2014, questo è il loro debutto e sono molto chiari su cosa vogliono essere. Il loro suono è composto da un’importante base chitarristica, con la voce che va ad incastonarsi perfettamente con il lavoro del resto del gruppo, creando un groove molto coinvolgente, che seppur non rappresentando nulla di nuovo riesce ad essere molto incisivo e godibile. Nebulos si rivolge ad una platea ampia di amanti della musica pesante ma non solo, perché anche la componente grunge è ben presente e forma il dna di questo disco. Tutto il disco è pervaso da una consapevole malinconia di fondo, messa mirabilmente in musica e ogni passaggio ha un filo logico. Nebulos è un disco di incontro e di sintesi di diverse maniere di intendere la musica pesante e non solo, ed è un tentativo molto riuscito.

Tracklist
1. Nebulos/Alien
2. Burning
3. Gifters
4. Solitary
5. The Greedy Few
6. There’s Only Me
7. Bird On a Wire
8. Final Breath
9. New Trip

Line-up
Gero von Dehn
Andrew D’Cagna
Ben Zerbe

ZOM – Facebook