Gabriels – Over the Olympus – Concerto for Synthesizer and Orchestra in D Minor Op. 1

Il progetto di questo disco è un affrontare l’ignoto, poiché nessuno aveva mai tentato di coniugare in un concerto i synth ed un’orchestra.

Potrebbe sembrare strano, ma ci sono ancora terre musicalmente vergini e piene di rigogliosi frutti che aspettano di essere colti.

Gabriels è molto più di un musicista e qualcosa in più di un compositore, è una mente ed un corpo votati totalmente alla musica, in quanto figlio d’arte e approfondito studioso della musica sia nella sua forma musicale che in quella fisica, come la foniatria. Innumerevoli sono le sue collaborazioni e le cose che ha fatto per la musica, spaziando dalla classica al metal, passando per il prog. Il progetto di questo disco è un affrontare l’ignoto, poiché nessuno aveva mai tentato di coniugare in un concerto i synth ed un’orchestra. Innanzitutto l’ascolto ci rende chiara l’assoluta godibilità di questo connubio, poiché come dice lo stesso Gabriels nell’intervista che ci ha rilasciato, se si trova la forma giusta si può fare tutto, e questo disco ne è la dimostrazione. Il concerto è una sorta di disco sugli dei dell’Olimpo, le loro gesta e le loro vicissitudini, quindi un qualcosa che deve essere rappresentato con maestosità. Il suono moderno del sintetizzatore si sposa molto bene con l’orchestra, e ci rimanda ai fasti sperimentali del prog anni settanta, quando la sperimentazione era la centro di molti percorsi musicali, totalmente scevri da qualsiasi intento commerciale, come è questo disco. La forza, la potenza e la bellezza della musica classica si incontrano con il suono moderno del sytnh per dare vita ad un qualcosa di totalmente nuovo che delizierà le vostre orecchie. Nella composizione l’attitudine è molto metal, poiché il synth viaggia spesso veloce e racchiude in sé ciò che potrebbe fare un gruppo musicale. Si viaggia veloce, ma tutto ha un suo tempo all’interno del disco, non c’è fretta poiché tutto segue un suo percorso ben preciso, e il genio di Gabriels tiene tutto assieme molto bene. Un disco che rimanda ad epoche lontane e ad alcune più vicine, sempre con la musica e l’amore per essa al centro, essendo questo una compenetrazione totale fra pensiero umano e composizione musicale. Musica classica progressiva.

Tracklist
01. Temple Valley (Andante)
02. By The Giant’s Eyes (Moderato)
03. Titans Versus Giants (Andante Con Moto)
04. Through White Clouds (Moderato)
05. The Magical Castle (Adagio)
06. Gods (Allegretto Con Fuoco)
07. Immortals (Epico)
08. Thunderbolts (Moderato)
09. Over The Olympus (Maestoso)

Line-up
Gabriels : composer
Strings Orchestra directed by Yusaku Yamada
Violins 1:
Ayaka Suzuki
Airi Tanaka
Daysuke Watanabe
Emi Inoue
Violins 2:
Goro Hayashi
Akemi Nakano
Kyoko Otonashi
Hitomi Miura
Junko Nakagawa
Violas:
Osamu Okamoto
Noriku Sakamoto
Aimi Ishii
Cellos:
Akane Maeda
Chira Abe
Emi Kimura
Hanako Inoue
Basses:
Izumi Yamamoto
Kaori Watanabe
Iroshi Shiba
Yusaku Godai
Piano:
Giovanni Puliafito
Harp:
Masakatsu Katsura
Percussions:
Hyo Shimizu
Timpani:
Kaori Matsumoto

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Man Daitõrgul – Gulkenha

L’auspicio è che Nagh Ħvaëre prosegua il suo cammino cercando di rimediare ai punti deboli evidenziatisi all’ascolto di questo full length, anche perché in quanto espresso dal progetto Man Daitõrgul ci sono diversi aspetti positivi sui quali porre le basi per ripartire.

Non è mia abitudine esprimermi in maniera poco lusinghiera su un disco sottoposto alla mia attenzione: è vero che spesso ciò non si rivela necessario, ma il motivo è che si preferisce dalle nostre parti lasciare spazio alle opere più meritevoli evitando di dedicare tempo e spazio a quello che talvolta viene visto come una sorta di accanimento nei confronti di musicisti che, a prescindere, meritano sempre e comunque il massimo rispetto come persone e come artisti.

Quando è però il musicista stesso a richiedere una recensione, bypassando quella che è la canonica trafila della mail o del comunicato proveniente da label o agenzie di promozione, è una dovere morale quello di acconsentire anche se, non necessariamente, quanto ne verrà fuori avrà connotazioni positive, con la certezza che sia sempre preferibile per chiunque ottenere un riscontro negativo, ma articolato, piuttosto che essere ignorati.
Di questo primo full length della one man band spagnola Man Daitõrgul bisogna innanzitutto dire che siamo di fronte ad un lavoro ricco di buone idee, che vanno dal songwriting al concept stesso, con tanto di lingua immaginaria (il baaldro) creata dalla fervida fantasia di Nagh Ħvaëre, purtroppo non assecondate a dovere a livello di realizzazione a causa di oggettivi e talvolta macroscopici difetti.
Il contenuto di Gulkenha è un black metal dai connotati pagan-epic che funzionerebbe discretamente se non fosse penalizzato da suoni rivedibili e decisamente scolastici per quanto riguarda la chitarra (molto meglio il lavoro tastieristico, per quanto piuttosto lineare) e da un’interpretazione vocale piatta, con un growl recitativo in stile Bal-Sagoth poco espressivo e troppo in primo piano rispetto al sottofondo musicale; purtroppo le cose non vanno meglio quando si tenta un approccio corale con voci pulite, perché per esempio le stonature in Kħazesis Gleivarka e Gulke Nagh non possono essere ignorate, pur con tutta la benevolenza possibile.
Così, alla fine, restano da salvare alcuni interessanti spunti strumentali come l’incipit della stessa Gulke Nagh, che riesce a restituire un po’ di quell’evocatività che dovrebbe essere il tratto distintivo dell’album, almeno prima che siano nuovamente le voci a riprendere il proscenio, e il ritmato incedere di Neħvreskйgaidaŋ, che essendo la traccia di chiusura lascia se non altro un ricordo piacevole del lavoro.
Spiace doverlo dire, ma Gulkenha ha poche speranze di ritagliarsi un minimo di spazio all’interno di una scena musicale cosi vasta e il più delle volte qualificata: un peccato, perché l’idea di partenza è sicuramente valida ma tale scintilla finisce per spegnersi in una trasposizione musicale che si rivela deficitaria.
L’auspicio è che Nagh Ħvaëre prosegua il suo cammino cercando di rimediare ai punti deboli evidenziatisi all’ascolto di questo full length, anche perché, ribadisco, in quanto espresso dal progetto Man Daitõrgul ci sono diversi aspetti positivi sui quali porre le basi per ripartire.

Tracklist:
1. Ħaram am Drokelйa
2. Kħazesis Gleivarka
3. Man Daitõrgul / Slăm Iƥe Kaldrath
4. Bo Sevakaëra na Drokeŋ
5. Togul Daitõren
6. Evaƥ og Ovre Voħrænŋ
7. Gulke Nagh
8. Neħvreskйgaidaŋ

Line-up:
Nagh Ħvaëre – All instruments, Vocals

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Perfect Beings – Vier

I quattro brani, divisi in quattro splendide suite, nella versione in doppio vinile coprono ogni lato per un tuffo nel progressive d’autore, per una volta concepito fuori dalle mode del momento e più in linea con le creazioni dei mostri sacri del progressive rock settantiano.

I progsters statunitensi Perfect Beings le basi per arrivare a questo ultimo lavoro le hanno poggiate già da qualche tempo.

Ryan Hurtgen, Johannes Luley e Jesse Nason creano musica progressiva di altissimo livello da una manciata d’anni, prima con il debutto omonimo, seguito da II, licenziato nel 2015 e ora con Vier, mastodontico album di musica progressiva, come si faceva una volta.
I quattro brani, divisi in quattro splendide suite, nella versione in doppio vinile coprono ogni lato per un tuffo nel progressive d’autore, per una volta concepito fuori dalle mode del momento e più in linea con le creazioni dei mostri sacri del progressive rock settantiano.
Non fraintendetemi, Vier non è affatto un album vintage, lo spartito e la conseguente valanga di note che il gruppo ci riversa addosso ha i piedi ben piantati nel nuovo millennio, così che l’album si cibi di soluzioni moderne ma dall’approccio assolutamente tradizionale, facendone uscire qualcosa di imperdibile per gli amanti del rock progressivo.
Guedra, The Golden Arc, Vibrational e Anunnaki sono i titoli delle quattro suite, divise a loro volta in capitoli e che formano un opera d’altri tempi ma dal mood assolutamente targato 2018, tra bellissime melodie di fiati, digressioni jazzistiche, fughe rock ed un uso delle voci incantevole (Ryan Hurtgen nel suo personale approccio al canto si può certamente definire il nuovo Jon Anderson).
In tutta questa meraviglia sonora dalla durata proibitiva, se non si ha il tempo e la concentrazione necessaria per seguire l’opera nella suo lungo dipanarsi tra atmosfere sulfuree e sfumature fluttuanti, i tre musicisti navigano a vele spiegate verso una consacrazione meritata tra i raffinati e conservatori gusti degli appassionati di progressive rock, regalando la loro personalissima versione della musica di Yes, King Crimson e Genesis.
A tratti sorge il dubbio che l’atmosfera tradizionale di Vier possa far storcere il naso a chi apprezza le nuove sonorità progressive, e che i suoi arrangiamenti e le atmosfere moderne confondano i fans con più di un capello bianco, ma sono dettagli che la bellezza della musica spazza via per lasciare solo la sensazione di essere al cospetto di un album straordinario.

Tracklist
1.Guedra – A New Pyramid
2.Guedra – The Blue Lake Of Understanding
3.Guedra – Patience
4.Guedra – Enter The Center
5.The Golden Arc – The Persimmon Tree
6.The Golden Arc – Turn The World Off
7.The Golden Arc – America
8.The Golden Arc – For A Pound Of Flesh
9.Vibrational – The System And Beyond
10.Vibrational – Mysteries, Not Answers
11.Vibrational – Altars Of The Gods
12.Vibrational – Everywhere At Once
13.Vibrational – Insomnia
14.Anunnaki – Lord Wind
15.Anunnaki – Patterns Of Light
16.Anunnaki – A Compromise
17.Anunnaki – Hissing The Wave Of The Dragon
18.Anunnaki – Everything’s Falling Apart

Line-up
Ryan Hurtgen – Vocals, Piano
Johannes Luley – Guitar, Bass, Production
Jesse Nason – Keyboards
Ben Levin – Drums

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Desecrated Grounds – Lord Of Insects

Lord Of Insects è un album per gli amanti del death/thrash senza compromessi ed è a loro che va consigliato, con tutte le perplessità del caso.

Una nuova band si affaccia sul panorama estremo underground, i finlandesi Desecrated Grounds, quintetto proveniente dalla capitale attivo da tre anni e di questi tempi fuori con il primo album Lord Of Insects.

Death thrash metal con un taglio hardcore è quello che ci propongono i cinque guerrieri, una tempesta senza soluzione di continuità che unisce la potenza del death metal old school e la velocità e violenza del thrash metal suonati con un’attitudine hardcore che ne accentua la pericolosa indole estrema.
Lord Of Insects è un lavoro devastante, ma anche una prova solo a tratti convincente, così che la proposta non può che essere consigliata ai soli fans della violenza in musica.
I difetti non mancano, perché alla lunga l’album soffre di una leggera ripetitività, tipica di quando il sound è un mostro musicale estremo e senza compromessi: manca infatti nei brani quel quid che faccia in modo di ricordarsi di loro, mentre l’album si presenta come un muro sonoro invalicabile.
Il groove fa capolino solo  a tratti (Stabwound Addict) rendendo ancora più profondo il suono, mentre il growl rabbioso risulta monocorde.
Un album che per gli amanti del genere risulterà sicuramente una randellata notevole ed è solo a loro che va consigliato, con tutte le perplessità del caso.

Tracklist
1.The Story Untold
2.Awaken
3.Lord of Insects
4.Stabwound Addict
5.Sewing the Head Back
6.Filth
7.The Death in Me
8.The Manifest
9.Valve

Line-up
Keijo Loisa – Guitars
Erno Hulkkonen – Guitars
Jere Sjöblom – Bass
Jussi Salminen – Vocals
Tapio Christiansen – Drums

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