Coroner – No More Color

A detta di molti il successivo Mental Vortex è stato il migliore disco dei Coroner ed è quasi sicuramente vero, ma No More Color è l’espressione massima degli inizi della band, nella quale viene espressa davvero tutta la grandezza di un thrash diverso e bellissimo.

I primi tre introvabili e costosissimi album dei Coroner sono finalmente stati rimasterizzati e ristampati dalla Century Media Records.

Gli svizzeri sono stati e sono tuttora un gruppo fondamentale, ma la storia non è stata né lineare né facile. No More Color è il terzo disco del 1989, e testimonia ciò che sono sempre stati i Coroner: un gruppo bravissimo e fuori posto. Per la media di fine anni ottanta erano una band troppo difficile per l’ascoltatore medio del thrash metal, ma se si ascolta nel 2018 questo disco, ogni trenta secondi vi verrà da dire che avete già sentito da qualche parte questo passaggio, e anche che questo bridge non è sconosciuto. Thrash molto tecnico, ma non per questo meno traboccante di passione, quello dei Coroner è stato l’asfalto posato su una strada che moltissimi hanno percorso dopo di loro. Non poteva essere di meno per un gruppo di roadies dei connazionali Celtic Frost. In No More Color ci sono momenti di autentico entusiasmo, linee melodiche di altissimo livello, e soprattutto una composizione stellare. Effettivamente per il 1989 era forse troppo, ed infatti i nostri nel 1993 incisero l’ultimo disco Grin, preceduto da Mental Vortex e chiusero per il momento la loro avventura. Nel 2010 fecero un reunion tour, e ora sono in pausa. Cosa lasciano i Coroner ? Tantissimo, basta ascoltarli e capirete perché ci sono persone che li nominano e si illuminano loro gli occhi. In poche parole, qui c’è la tecnica, la passione e la tensione musicale che uno ama nel metal, ecco questo dei Coroner è uno dei migliori metal possibili. La rimasterizzazione, in verità abbastanza scarsa, porta a galla in maniera ancora più marcata la pulizia e la bellezza dei paesaggi sonori di questi svizzeri. Una delle cose più belle dei Coroner è che non cercano scorciatoie, non fanno i furbi, ma lavorano duramente e cercano sempre vie nuove per esprimere il loro talento e l’ascoltatore. A detta di molti il successivo Mental Vortex è stato il loro miglior disco ed è probabilmente vero, ma No More Color è l’espressione massima degli inizi della band, nella quale viene espressa davvero tutta la grandezza di un thrash diverso e bellissimo.

Tracklist
1. Die By My Hand
2. No Need To Be Human
3. Read My Scars
4. D.O.A.
5. Mistress of Deception
6. Tunnel of Pain
7. Why It Hurts
8. Last Entertainment

Line-up
Tommy T. Baron – Guitars
Marquis Marky – Drums, Vocals (backing), Lyrics
Ron Royce – Bass, Vocals

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Follow The Cipher – Follow The Cipher

I Follow The Cipher sul versante commerciale hanno tutto per sfondare, su quello del sound magari peccano un po’ in personalità per puntare tutto sull’impatto (anche visivo), un dettaglio che certo non rallenterà la corsa di Ken Kängström e compagni.

I Follow The Cipher sono la band fondata da Ken Kängström, musicista che i fans dei Sabaton conoscono bene visto la sua duratura collaborazione con il gruppo guerriero svedese.

Kängström ha trovato nella bravissima e bellissima cantante Linda Toni Grahn la musa per la sua creatura e, firmato un contratto per il colosso Nuclear Blast, rilascia il primo lavoro omonimo.
Follow The Cipher è un album destinato a fare il botto tra gli amanti dei suoni bombastici e sinfonici, una raccolta di brani dall’irresistibile appeal che, se pecca in personalità (d’altronde è pur sempre un debutto), risulta uno spettacolo di suoni raffinati, dal taglio epico e dai rimandi orchestrali in un contesto moderno, supportato da una produzione che molti considereranno troppo cristallina per un album metal, ma proprio per questo inattaccabile per scalare le classifiche rock del nord e centro Europa.
L’album si snoda così tra un omaggio alla band con cui i Follow The Cipher mantengono una stretta amicizia (Carolus Rex, scritta da Kängström per i Sabaton) e tanto epic symphonic metal, con la cantante che piazza una prestazione magnifica e un songwriting che fa l’occhiolino ai gruppi storici della scena scandinava.
Valkyria, Titan’s Call, la bellissima A Mind’s Escape fanno parte di una tracklist che si rispecchia nel symphonic metal di Nightwish e Within Temptation, senza perdere nulla in potenza power metal e melodic death, in un contesto dove band come Children Of Bodom, Sabaton e primi In Flames si rivestono di una produzione moderna e dal taglio cinematografico (Play With Fire in questo senso è un piccolo capolavoro).
Follow The Cipher non deluderà i fans dei gruppi citati: il gruppo sul versante commerciale ha tutto per sfondare, su quello del sound magari pecca un po’ in personalità per puntare tutto sull’impatto (anche visivo), un dettaglio che certo non rallenterà la corsa di Ken Kängström e compagni.

Tracklist
1. Enter the Cipher
2. Valkyria
3. My Soldier
4. Winterfall
5. Titan’s Call
6. The Rising
7. A Mind’s Escape
8. Play With Fire
9. I Revive
10. Starlight
11. Carolus Rex

Line-up
Linda Toni Grahn – lead vocals
Ken Kängström – guitars & vocals
Viktor Carlsson – guitar & vocals
Jonas Asplind – bass & vocals
Karl Löfgren – drums

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Gunjack – Totally Insane

I Gunjack seguono gli insegnamenti di Lemmy in modo perfetto, ma, a differenza di altri, la personalità e la convinzione nei propri mezzi ed in quello che suonano diventa determinante per la riuscita di questa raccolta di brani.

Sarà che, ogni tanto, di sano, robusto e cattivo rock’n’roll se ne ha bisogno come il pane, sarà che in fondo Lemmy ci manca, sarà che quando lavori come questo nascono da chi ha le giuste doti e l’attitudine per non sembrare solo un clone, ma all’ascolto di Totally Insane, debutto dei Gunjack, ci si ritrova pieni di bernoccoli a causa delle capocciate provocate dal sound irresistibile e motorheadiano di questa fulminate raccolta di brani.

Il trio di rockers è composto da vecchie conoscenze della scena hard & heavy tricolore, una band pronta ad assaltare i nostri padiglioni auricolari con quello che risulta 100% Motorhead Style, con Lemmy che da lassù (o da laggiù) applaude tra una golata di whiskey ed una sigaretta.
Totally Insane è probabilmente l’album più bello che sia uscito negli ultimi anni tra quelli che rispecchiano in toto il credo musicale di chi ha inventato un genere ed un sound immortale.
I Gunjack seguono gli insegnamenti di Lemmy in modo perfetto, ma, a differenza di altri, la personalità e la convinzione nei propri mezzi ed in quello che suonano diventa determinante per la riuscita di questa raccolta di brani.
Prodotto magnificamente e suonato al meglio, l’album travolge ogni cosa spinto da una carica irrefrenabile, undici calci nelle natiche a chi pensa che suonare rock’n’roll di matrice motorheadiana sia obsoleto.
Vecchia scuola o come si dice oggi old school, mettetela come volete, ma dall’opener 4B4Y la band passa idealmente in rassegna il meglio della discografia del gruppo britannico, rivelandosi una perfetta macchina da guerra che ci rinfresca la memoria con una serie di bordate micidiali (Black Mark, Into The Fire, Old Guard) .
Mr.Messerschmitt (voce e basso), Gamma Mörser (chitarra) e M47 (batteria) hanno dato vita ad un terremoto sonoro, occhio all’inevitabile tsunami rock’nroll che vi travolgerà.

Tracklist
1.4B4Y
2.Totally Insane
3.Black Mark
4.Bloodbath
5.Into the Fire
6.Seven
7.Old Guard
8.Cry of Demon
9.Iron Cross
10.Mr.Daniels
11.Outro

Line-up
Mr.Messerschmitt – Vocals, Bass
Gamma Mörser – Guitars
M47 – Drums

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Blood Rites – Demo 1

Il black metal dei Blood Rites si rivela una morbosa, blasfema ed efficace cascata di suoni, prodotta in maniera adeguata alla bisogna ed in grado di assolvere al compito di colpire mortalmente in maniera concisa ma definitiva

Sputato fuori da chissà quale antro infernale, ecco arrivare a noi questo demo dei cileni Blood Rites, sotto l’egida della sempre attiva label portoghese Caverna Abismal.

Ovviamente il tutto rigorosamente in cassetta, in ossequio al gradito ritorno di un formato che ben si addice a sonorità crude e che, a loro modo, rifuggono la modernità: il black metal dei Blood Rites si rivela una morbosa, blasfema ed efficace cascata di suoni, prodotta in maniera adeguata alla bisogna ed in grado di assolvere al compito che la band si è proposta, quello di colpire mortalmente in maniera concisa ma definitiva, per poi tornare a rintanarsi nel sottosuolo nel quale gli interpreti più genuini del genere prosperano e si riproducono.
Dichiaratamente ispirati al sound ellenico dei primi vagiti di band seminali come Varathron, Rotting Christ e Necromantia, i tre sudamericani dimostrano di sapere il fatto loro, infiorettando ognuno dei brani con intro minacciose quanto funzionali alla causa; perché sembra facile a parole ricalcare gli stilemi di un black diretto e lineare, ma non lo è affatto all’atto pratico riuscire a renderlo in maniera così credibile. Onore ai Blood Rites, sperando di ritrovarli prossimamente alle prese con un uscita dal minutaggio più corposo.

Tracklist:
1.Holy Hate
2.Mask of Damnation
3.Dark Majestics

Line up:
Mal’EK – Guitars, Vocals
RH – Drums, Keyboards
NW – Bass

Horrorgraphy – Season of Grief

Season of Grief  alla fine si lascia ascoltare ma, quasi ad avallare l’impietosità del confronto, la band greca piazza alla fine la cover di The Rise of Sodom and Gomorrah che definisce con chiarezza la distanza siderale che spesso intercorre tra i maestri di un genere ed i loro volenterosi epigoni.

La recente uscita dei Therion, viste le sue dimensioni inusuali, dovrebbe aver placato per un po’ la sete di symphonic gothic metal degli appassionati.

Diviene così ancora più difficile per le band minori trovare nuovi spazi in un settore che di suo è già sufficientemente inflazionato, figuriamoci poi se uno dei nomi di punta se ne esce con tre ore di musica inedita.
Ci provano ugualmente i greci Horrorgraphy a ritagliarsi uno spazio, con questo lavoro d’esordio che non nasconde in alcun modo la devozione nei confronti dell’opera di Christofer Johnsson.
Il tutto avviene, ovviamente, senza che a disposizione ci siano né i mezzi né il talento per avvicinare quei livelli, ma nonostante ciò il risultato finale non è affatto deprecabile.
Dimon’s Nigh, già incrociato con altri suoi progetti come Humanity Zero e Inhibitions, si occupa di tutta la parte musicale e si avvale di tre voci, quella femminile di Marialena Trikoglou e quelle maschili di Pain e Seek.
La configurazione, sia detto con il massimo rispetto, sembra quella di una sorta di Therion dei poveri e quello che ne deriva non può che essere inevitabilmente un discreto surrogato e nulla più.
A livello compositivo Season of Grief mostra buone intuizioni, mentre la perfezione sonora ed esecutiva delle opere johnssoniane è piuttosto lontana; meglio quindi allorché gli Horrorgraphy spingono in po’ più sull’acceleratore, dato che nelle parti più evocative e rarefatte certe carenze (voce femminile e chitarra solista in particolare) tendono ad emergere più nettamente.
Season of Grief  alla fine si lascia ascoltare ma, quasi ad avallare l’impietosità del confronto, la band greca piazza alla fine la cover di The Rise of Sodom and Gomorrah che definisce con chiarezza la distanza siderale che spesso intercorre tra i maestri di un genere ed i loro volenterosi epigoni.

Tracklist:
1. In a Dark Time
2. Ghosts
3. Hauted
4. The March of the Dead
5. Hounds of Hell
6. Her Violin Sings at Night
7. Join Me in Suicide
8. Season of Grief
9. The Rise of Sodom and Gomorrah (Therion cover)

Line up:
Dimon’s Night – All instruments, Songwriting
Pain – Vocals
Seek – Vocals
Marialena Trikoglou – Vocals (soprano)