Aornos – The Great Scorn

Quello di Algras non corrisponde ad un mero collage di spunti altrui ma si rivela, invece, una maniera efficace e competente di riunire tali istanze per restituirle in una forma piuttosto personale e tutt’altro che ammiccante.

La one man band Aornos, nonostante la sua attività intensa sua racchiusa negli ultimi tre anni, non è certamente il progetto di un neofita del black metal.

Algras, infatti, è protagonista nella scena ungherese con i Frost fin dall’inizio del secolo e quindi le sue influenze primarie non possono che giungere da lontano.
A tale riguardo, prima ancora di ascoltate i contenuti di The Great Scorn, per farsene un’idea preventiva sarebbe sufficiente scorrere la tracklist dell’album uscito lo scorso anno , con il quale il musicista magiaro rendeva omaggio a diversi giganti del genere (Emperor, Satyricon, Bathory, Arctusrus e Thorns) oltre ad una non certo sorprendente digressione nel death con i Morbid Angel.
Quello di Algras non corrisponde ovviamente ad un mero collage di spunti altrui ma si rivela, invece, una maniera efficace e competente di riunire tali istanze per restituirle in una forma piuttosto personale e tutt’altro che ammiccante.
Ovviamente The Great Scorn non è un album destinato a stravolgere le gerarchie del genere, ma appare semmai la testimonianza di quanto di interessante ci sia da dire al riguardo in più parti del mondo.
Una serie di ottimi brani, tra i quali spiccano la trascinante The Kingdom of Nemesis, la teatrale title track e ed il quarto d’ora complessivo delle conclusive Funeral March for the Death of the Earth e Adamante Notare, ripagano ancora una volta la costante ricerca di nomi e volti ancora relativamente sconosciuti.

Tracklist:
1. Ad Futuram Memoriam
2. From a Higher Reality
3. The Kingdom of Nemesis
4. Trace to Beckoning Fade
5. Come and See
6. The Great Scorn
7. De Profundis
8. Funeral March for the Death of the Earth
9. Adamante Notare

Line up:
Algras – All instruments, Vocals

AORNOS – Facebook

Street Dogs – Stand For Something Or Die For Nothing

Stand For Something Or Die For Nothing è un disco che suona molto bene e fresco, inserendosi tra i migliori ascolti punk che si possano fare quest’anno.

Gl Street Dogs vengono da Boston ed incarnano molto bene ciò che significa il punk rock nella loro città.

Attivi dall’ormai lontano 2001, i nostri sono ormai dei veterani della scena, e questa esperienza si sente tutta nella loro ultima prova. Il suono è un energico concentrato di punk rock dalle forti influenze inglesi ed oi, nato nella stessa fertile atmosfera dei concittadini Dropkick Murphys. Il disco è un buon compromesso tra melodia e velocità, il tutto con cori che porteranno molta gente a volare giù dal palco e ad alzare il dito in aria cantando a squarciagola. Punk rock come questo è un qualcosa che non stancherà mai, ma che, anzi, porterà sempre nuove leve ad appassionarsi a questa musica. Gli Street Dogs sono uno di quei gruppi che viaggia e suda per conquistarsi ciò che ha, e non a caso la loro reputazione nella scena è ottima. Il disco è un bel manuale di come si possa fare punk rock orientato al passato con passione, bravura e tante melodie che ti entrano nel cuore. La musica degli Street Dogs è fatta dalla classe operaia per il divertimento della classe operaia, ma non è assolutamente musica disimpegnata. Certamente il loro punk rock è molto americano e nella fattispecie bostoniano, veloce e da cantare a squarciagola, e con quel gran cuore che contraddistingue i gruppi che vengono da quelle parti. Inoltre Stand For Something Or Die For Nothing è un disco che suona molto bene e fresco, inserendosi tra i migliori ascolti punk che si possano fare quest’anno.

Tracklist
1. Stand For Something Or Die For Nothing
2. Other Ones
3. The Comeback Zone
4. Angels Calling (feat. Slain)
5. These Ain’t The Old Days
6. Working Class Heroes
7. Lest We Forget
8. The Round Up
9. Mary On Believer Street
10. Never Above You, Never Below You
11. Torn And Frayed

Line-up
Mike McColgan – Lead Vocals
Johnny Rioux – Bass
Matt Pruitt – Guitar
Lenny Lashley – Guitar
Pete Sosa – Drums

STREET DOGS – Facebook

IMMOLATION

Il video di ‘When The Jackals Come’, dall’album “Atonement” (Nuclear Blast).

Il video di ‘When The Jackals Come’, dall’album “Atonement” (Nuclear Blast).

IMMOLATION è un nome da trent’anni sinonimo di musica estrema. La band offre un death metal oscuro, unico e creativo. Con la pubblicazione di “Atonement” lo scorso anno, gli IMMOLATION hanno dimostrato ancora una volta di essere un gruppo che non si guarda indietro, spingendo oltre i propri limiti e rimanendo una forza attiva per il futuro del genere che essi stessi hanno aiutato a definire.

La band di New York ha appena pubblicato il video di ‘When The Jackals Come’, canzone tratta dall’ultimo album “Atonement”. La regia del video è opera del chitarrista Robert Vigna.

La band ha commentato:
“Siamo entusiasti di presentare ai fan il nostro nuovo video! È una delle nostre canzoni preferite di ‘Atonement’. È molto oscura, quindi abbiamo cercato di realizzare un video che rappresentasse al meglio l’atmosfera. Speriamo che vi piaccia! ‘Their war is already won … your world will end, when the jackals come'”.

“Atonement” è stato registrato ai Millbrook Sound Studios di Millbrook, NY con il produttore Paul Orofino, e mixato e masterizzato da Zack Ohren (ALL SHALL PERISH, DECREPIT BIRTH, SUFFOCATION). La copertina è stata realizzata da Pär Olofsson (IMMORTAL, THE FACELESS, EXODUS, ABYSMAL DAWN), con disegni aggiuntivi di Zbigniew Bielak (GHOST, ENSLAVED, PARADISE LOST, WATAIN).

“Atonement” è disponibile in formato fisico (http://nblast.de/ImmolationAtonement) e digitale (http://nblast.de/ImmolationDownloads).

www.facebook.com/immolation
www.twitter.com/immolation
www.everlastingfire.com
www.nuclearblast.de/immolation

The Night Flight Orchestra – Sometimes The World Ain’t Enough

Hard rock melodico, arena rock, funky, dance, pop, fantascienza e porno soft da salette private in compagnia di fanciulle disinibite: come si può non amare i The Night Flight Orchestra?

I The Night Flight Orchestra o si amano alla follia o si odiano con altrettanta veemenza.

La band, nata su un tour bus nelle estenuanti giornate in attesa di salire sul palco e che vede coinvolti una manciata di musicisti della scena melodic death metal scandinava capitanati da quel ragazzaccio di Björn Strid (Soilwork), torna con un nuovo lavoro dopo un annetto dallo splendido Amber Galactic, confermando che questo è tutt’altro che un progetto estemporaneo, divenendo sempre più una priorità per i suoi protagonisti.
Ovviamente i deathsters duri e puri possono tranquillamente passare oltre: Sometimes The World Ain’t Enough è un altro straordinario viaggio tra la musica rock e dance a cavallo tra gli anni settanta e ottanta, una raccolta di brani dall’appeal stratosferico che fanno l’occhiolino all’hard rock melodico così come alla pop/dance, tra luci che colorano le piste da ballo direttamente dalla Febbre Del Sabato Sera e i watt sprigionati nei concerti da arena rock negli anni d’oro del pomp rock.
Comunque la si giri, si continua a guardare all’ America ed ai suoi eccessi, in un’atmosfera che più vintage di così non si può: l’opener This Time sottolinea fin da subito il concept nostalgico e rock/pop che sta dietro a questo insolito progetto.
Strid sembra nato per cantare i ritornelli delle varie Turn To Miami, Speedwagon o della splendida Barcelona, le tastiere sono macchine del tempo che ci riportano ai tempi in cui i Toto imperversavano nelle classifiche, e le ritmiche accendono luci funky e pop nelle discoteche della New York da bere e ballare.
Ovviamente avvicinarsi a questo ennesimo bellissimo lavoro vuol dire dimenticarsi completamente per un’oretta della provenienza dei sei musicisti al comando della navicella musicale (siamo sempre nell’immaginario sci-fi di serie b) The Night Flight Orchestra, per godere degli eccessi stilistici di un’era definitivamente dimenticata dai più, ma in cui la band si cala perfettamente, si diverte e ci fa divertire; d’altronde le influenze che traspaiono sono il meglio che la musica rock/pop ha regalato negli anni d’oro.
Hard rock melodico, arena rock, funky, dance, pop, fantascienza e porno soft da salette private in compagnia di fanciulle disinibite: come si può non amare i The Night Flight Orchestra?

Tracklist
01.This Time
02.Turn To Miami
03. Paralyzed
04.Sometimes The World Ain’t Enough
05.Moments Of Thunder
06.Speedwagon
07.Lovers In The Rain
08.Can’t Be That Bad
09.Pretty Thing Closing In
10.Barcelona
11.Winged And Serpentine
12.The Last Of The Independent Romantics

Line-up
Björn Strid – Vocals
David Andersson – Guitars
Sharlee D‘Angelo – Bass
Richard Larsson – Keyboard
Sebastian Forslund – Guitars, Percussion
Jonas Källsbäck – Drums

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Battleroar – Codex Epicus

I Battleroar sanno maneggiare la materia con sagacia e Codex Epicus non delude le aspettative dei fans dell’epic metal con una serie di brani in linea con le caratteristiche peculiari del genere.

Si torna a parlare di epic metal con il nuovo album dei greci Battleroar, band che ha nelle sue fila il guerriero Gerrit Mutz, inesauribile vocalist dietro al microfono dei Sacred Steel.

Il nuovo album si intitola Codex Epicus, è stato registrato ai Devasoundz Studios di Atene e vede in veste di ospite il cantante e chitarrista dei Manilla Road Mark Shelton, protagonista assoluto sulla splendida Sword Of The Flame, brano oscuro, evocativo e picco qualitativo di questo ultimo lavoro.
Il quinto album nella storia del gruppo non si discosta più di tanto dai suoi predecessori, i Battleroar sanno maneggiare la materia con sagacia e Codex Epicus non delude le aspettative dei fans dell’epic metal con una serie di brani in linea con le caratteristiche peculiari del genere.
Più ruvido rispetto a Blood Of The Legends, precedente album che aveva nel violino di Alex Papadiamntis l’arma in più per rendere ancora più malinconico ed evocativo il sound, Codex Epicus è un ottimo album che possiede tutti i crismi per non deludere i tanti epic metallers sparsi per il mondo, in attesa che la battaglia abbia inizio tra gesta eroiche e gloria perenne.
I brani lenti, epici ed evocativi sono i più gettonati dalla macchina metallica Battleroar, e The Doom Of Medusa è l’altra perla di questo lavoro, con un Mutz all’altezza della sua fama, interpretativo come forse non lo era mai stato sull’album precedente.
Il corno saluta la marcia degli eroi in Palace Of The Martyrs, mentre il crescendo di Enchanting Threnody, epica cavalcata heavy metal, è il terzo gioiellino racchiuso in questo ottimo lavoro targato Battleroar.
Promosso a pieni voti, Codex Epicus non raggiunge i livelli del bellissimo To Death and Beyond… (2008), ma non tradisce sicuramente le attese degli amanti di queste sonorità: alzate le spade e rendete gloria ai Battleroar.

Tracklist
1. Awakening the Muse
2. We Shall Conquer
3. Sword of the Flame
4. Chronicles of Might
5. The Doom of Medusa
6. Palace of the Martyrs
7. Kings of Old
7. Enchanting Threnody
8. Stronghold (CD BONUS TRACK)

Line-up
Gerrit Mutz – Vocals
Kostas Tzortzis – Guitar
Michael Kontogiorgis – Guitar
Sverd – Bass
Greg Vlachos – Drums

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