Doom Heart Fest. II con Evadne, Tethra, Lying Figures e The Holeum

Credo che tutti convengano sul fatto che bisognerebbe erigere un monumento a chi, rischiando anche del proprio a livello economico, si lancia nell’impresa di organizzare concerti doom in Italia, visto un ritorno di pubblico quasi sempre non altezza delle aspettative e soprattutto del valore del band proposte.

A maggior ragione, personalmente, lo faccio quando la persona in questione è un amico come Alberto Carmine, con il quale condivido una passione quasi (anzi, del tutto …) patologica per il genere in questione: è proprio grazie a “Morpheus”, anima della pagina facebook Doom Heart, che è stato possibile rivedere all’opera in Italia dopo diversi anni gli spagnoli Evadne, autori con A Mother Named Death di uno dei migliori dischi degli ultimi anni in ambito death doom melodico.
Il Doom Heart Festival è arrivato dunque alla sua seconda edizione (nella prima, tenutasi l’anno scorso al Blue Saloon di Bresso, gli headliner erano stati i Marche Funebre) rilanciando a livello di presenze internazionali con la chiamata anche degli altri iberici The Holeum e dei francesi Lying Figures, e con i padroni di casa Tethra nuovamente a completare il cast.
L’onere (e l’onore) di ospitare la serata è stato questa volta The One di Cassano d’Adda, locale che si è rivelato adatto per questo target di concerti, anche grazie alle buone sonorità delle quali hanno potuto godere tutta le band.
Purtroppo il poco agevole viaggio, di questi tempi, dalla nostra Genova (dalla quale mi sono mosso assieme ad altri due partner di MetalEyes come Massimo e Alberto, e ad un appassionato di musica a 360° come Roberto) mi ha consentito di vedere solo la seconda metà dell’esibizione dei The Holeum, sotto forma di due lunghi brani davvero di grande spessore dal punto di vista esecutivo ed emotivo.
Questa band, di formazione recente ma composta da musicisti piuttosto esperti, ha finora all’attivo il solo full length Negative Abyss, uscito due anni fa e senz’altro convincente nel suo combinare la malinconia del doom con il cupo incedere del migliore post metal; il valore di quel lavoro è stato confermato anche nei venti minuti di esibizione alla quale abbiamo assistito, nel corso dei quali è emersa l’imponente presenza scenica del vocalist Pablo.
A seguire è stato il turno dei Lying Figures, band di Nancy postasi prepotentemente all’attenzione degli appassionati con il magnifico album The Abstract Escape: la proposta dei transalpini si è rivelata molto più aspra e nervosa rispetto a chi li ha preceduti e il tutto, unito ad una spasmodica intensità, ha davvero avvolto il locale di un’aura quanto mai oscura ed opprimente.
Il sound dei Lying Figures non è certo di immediata assimilazione, quindi a maggior ragione va dato loro atto d’essere stati in grado di coinvolgere anche chi, tra i presenti, probabilmente non ne conosceva la produzione: anche qui il contributo di un frontman interpretativo e versatile come Thibault si è rivelato il classico valore aggiunto.

Il compito di precedere gli headliner è toccato ad una realtà consolidata della scena nazionale come i Tethra, i quali, purtroppo, hanno dovuto affrontare diversi contrattempi sopraggiunti a ridosso della data, per cui, tra defezioni, infortuni e quant’altro hanno deciso di onorare comunque la serata pur dovendosi esibire in formazione necessariamente rimaneggiata. Questo non ha impedito a Clode e ai suoi compagni di offrire un set breve ma valido, improntato più sull’album d’esordio che non sul più recente Like Crows On The Earth. Nonostante tutto il vocalist non intende affatto mollare la presa ma, anzi, rilancia, con il reclutamento di nuovi musicisti che sembra essersi concluso con l’imminente ingresso nella line-up di nomi piuttosto noti nella scena.

A questo punto mancavano solo gli Evadne per mettere il punto esclamativo su una serata di ottima musica e i ragazzi spagnoli non hanno certo deluso le aspettative: del resto era difficile aspettarsi qualcosa di differente dagli autori di dischi magnifici come The Shortest Way e, soprattutto, A Mother Named Death.
Certo, chi vuole trovare il pelo nell’uovo ha gioco facile nel rinvenire nel suond degli Evadne diversi richiami ai maestri Swallow The Sun, ma chi pensa di anteporre la ricerca dell’originalità alla profusione di emozioni in un genere come il doom direi che ha decisamente sbagliato indirizzo.
Cioè che conta sono le canzoni, e autentiche gemme sonore come Abode of Distress, Heirs Of Sorrow e Colossal sono in grado di condurre chiunque in una sorta di deliquio emotivo che è, ovviamente, un qualcosa che non potrà mai essere prerogativa di un semplice copista.
Albert, Jose è e compari sono dei magnifici musicisti, capaci di interpretare al meglio il genere nella sua veste più melodica ed evocativa, e chi era presente sabato sera al The One lo ha potuto constatare di persona, godendo di un set dedicato quasi per intero all’ultimo lavoro, con la sola One Last Dress for One Last Journey a rappresentare il precedente full length.
Detto ciò, a livello di coinvolgimento posso dire d’aver provato sensazioni del tutto simili a quelle conseguenti ai concerti dei Saturnus o dei Clouds, e credo che questo spieghi tutto più di tante altre parole.

In definitiva, questo ennesimo sforzo organizzativo da parte di Alberto ha fornito i frutti sperati a livello qualitativo ma, purtroppo, non dal punto di vista della risposta del pubblico e tutto questo, nel bene e nel male era ampiamente prevedibile.
E’ grazie alla pervicacia che rasenta la visionarietà di persone come lui che chi ama un genere di nicchia come il doom ha la possibilità di vedere dal vivo le proprie band preferite, ma è chiaro che con questo andazzo tali opportunità rischiano di farsi sempre meno frequenti (con quale spirito i Saturnus, per esempio, tornerebbero in Italia dopo che nel loro ultimo concerto a Collegno – giusto 3 anni fa – i presenti erano a malapena una ventina?), fino a costringere gli appassionati a doversi sobbarcare qualche viaggio oltre confine; al riguardo sono curioso (o forse sarebbe meglio dire timoroso) di scoprire quel potrà essere la risposta del pubblico in occasione del concerto dei Mournful Congregation programmato il 5 dicembre a Milano.
Vi saprò dire …

Duncan Evans – Prayers for an Absentee

La vena folk di Duncan Evans si è spostata verso una forma di cantautorato ancora più evoluto, ed il risultato è Prayers for an Absentee, uno dei dischi più belli ed intensi ascoltati quest’anno.

Svestiti definitivamente i panni vittoriani di Henry Hyde Bronsdon , l’ex chitarrista degli A Forest Of Stars, Duncan Evans, punta con decisione sulla sua carriera solista, ben avviata con il full length Lodestone del 2013.

Rispetto a quegli esordi, la vena folk del musicista inglese si è spostata verso una forma di cantautorato ancora più evoluto, all’interno del quale si possono rinvenire le più disparate fonti di ispirazione delle quali lascio volentieri l’individuazione alla sensibilità ed alla conoscenza di ognuno, perché ogni brano di questo splendido lavoro, intitolato Prayers for an Absentee, deve essere ascoltato ed assimilato senza alcun condizionamento.
Quella di Evans è infatti una cifra stilistica personale, ed è chiaro che se personalità iconiche come quelle di Nick Cave o di Leonard Cohen possano a tratti balenare nell’immaginario di ciascun ascoltatore, ciò deriva dal fatto che nulla si crea o si distrugge, e la capacità dell’artista di spessore superiore è appunto quella di modellare e dare nuove sembianze a forme già preesistenti.
Se l’opener Bring Your Shoulder si rivela trascinante fin dal suo incipit e dal chorus (non a caso la canzone è stata scelta per girare un video) , quella vena di allegria che si tende a percepire è in realtà del tutto illusoria, visto che i testi, colti, introspettivi e profondi, vanno in tutt’altra direzione sposandosi ancora meglio con il lirismo toccante di brani come Us And Them And You And Me, I Know e Christabel, ma parliamo solo degli episodi da me prediletti in quanto più vicini ad un personale sentire; infatti Poppy Tears non è da meno grazie ad una struttura melodica di fluidità stupefacente, e le stesse Borderlands Prayer, Trembling e Time sono canzoni che da sole nobiliterebbero qualsiasi altro lavoro.
Nonostante l’impronta sia quella di un progetto solista, Duncan Evans si avvale in toto del supporto di una band vera e propria, formata da musicisti i quali ne esaltano l’ispirato songwriting che lo rende, oggi, uno dei più credibili ed efficaci artisti in grado di raccogliere il testimone da quei giganti citati in precedenza; un tale approdo, del resto, può sorprendere solo chi continua a pensare che i musicisti dal background metal siano un’indistinta accozzaglia di illetterati buzzurri.
Al di là degli steccati di genere, Prayers for an Absentee trova un suo diritto di cittadinanza al’interno di MetalEyes semplicemente perché si tratta di uno dei dischi più belli ed intensi pubblicati quest’anno, e questo basta ed avanza per raccomandarne l’ascolto a chi rovista incessantemente nel pozzo senza fondo contenente le nuove uscite, allo scopo di ricavarne qualcosa dal grande impatto emotivo.

Tracklist:
01. Bring Your Shoulder
02. Borderlands Prayer
03. Us And Them And You And Me
04. Trembling
05. Poppy Tears
06. I Know
07. Christabel
08. Time

Line-up:
Duncan Evans
Ol Jessop
Kev Reid
Phil Cullumbine
Dershna Morker

DUNCAN EVANS – Facebook

SOUND STORM

Il video di To The Stars (Rockshots Records).

Il video di To The Stars (Rockshots Records).

Symphonic epic metallers Sound Storm have just unleashed the brand new video and single of the song “TO THE STARS”.
SOUND STORM – To The Stars (Official Music Video)
The song was mixed and mastered once again by the renowned Joost Van Den Broek (Epica, Ayreon, After Forever and many more) at Sandlane Recording Facilities in The Netherlands.

This is the first official release with the new line-up made of:
Chiara Tricarico – Vocals
Andrea Racco – Vocals
Valerio Sbriglione – Lead and Rhythm Guitar
Elena Crolle – Piano, Keyboards and Arrangements
Massimiliano Flak – Bass
Rocco Mirarchi – Rhythm Guitar
Mattia Rubino – Drum

Sound Storm will be on tour in September and October alongside the mighty Haggard on the upcoming “Bards of Symphony and Metal” tour
Tue 18 Sep – Essen, Turock (GER)
Wed 19 Sep – Z7 , Pratteln (SWI)
Thu 20 Sep – Substage, Karlsruhe (GER)
Fri 21 Sep – Backstage, München (GER)
Sat 22 Sep – Hellraiser, Leipzig (GER)
Sun 23 Sep – Bi Nuu, Berlin (GER)
Mon 24 Sep – Markthalle, Hamburg (GER)
Tue 23 Oct – Szene ,Wien (AT)
Thu 25 Oct – Form Space, Cluj-Napoca (ROM)
Fri 26 Oct – Quantic, Bucharest (ROM)
Sat 27 Oct – TBA, Sofia (BUL)
Tue 30 Oct – Dom Im Berg, Graz (AT)
Wed 31 Oct – Dagda Live Club, Retorbido (ITA)

The new single “TO THE STARS” is available for download and streaming on the major digital platforms:
http://smarturl.it/SoundStorm

For further info and news:
www.sound-storm.it
facebook.com/soundstormworld
instagram.com/soundstormworld
youtube.com/powerofsoundstorm
www.rockshots.eu

Cast The Stone – Empyrean Atrophy

Il non essere proprio dei novellini fa dei Cast The Stone un esempio assolutamente credibile, lasciando che la passione per il genere unita all’esperienza produca swedish death di altissimo livello.

I deathsters statunitensi Cast The Stone sono attivi dal lontano 2002 come progetto nato dalle menti di Derek Engemann (Scour, ex-Cattle Decapitation), Mark Kloeppel (Misery Index) e Jesse Schobel (Scour).

Il loro unico lavoro Dark Winds Descending fu licenziato nel 2005 e la speranza di rivedere sul mercato estremo un altro album targato Cast The Stone si era affievolita col passare degli anni.
Invece i tre musicisti, accompagnati dall’ottimo vocalist Andrew Huskey e con Dan Swanö alla produzione, tornano con questa mezz’ora di death metal scandinavo che si rifà in toto a quanto fatto dal guru svedese con gli Edge Of Sanity nella prima parte di carriera (Unorthodox, The Spectral Sorrow).
Ovviamente, il non essere proprio dei novellini, fa dei Cast The Stone un esempio assolutamente credibile, lasciando che la passione per il genere unita all’esperienza produca swedish death di altissimo livello.
In mezz’ora scarsa ma intensa, la band americana si lascia indirizzare verso la giusta via dal maestro svedese e ne esce un granitico pezzo di metal estremo scandinavo, rigorosamente marchiato a fuoco dai primi anni novanta, estremo e melodico come nella migliore tradizione.
Ottimo e convincente il growl di Huskey, in effetti simile a quello di Swanö del periodo citato, di gran classe le parti melodiche che ricamano oscure tracce death metal come The Burning Horizon, commovente la somiglianza con i leggendari Sanity nella diretta A Plague Of Light e dura e pura la title track, swedish death di origine controllata.
La cover di JesuSatan, originariamente incisa dagli Infestdead, chiude questo ep assolutamente da archiviare come lavoro old school e genuino tributo ad un genere che continua, malgrado lo scorrere del tempo, a regalare grande musica estrema.

Tracklist
1.As the Dead Lie
2.The Burning Horizon
3.Standing In the Shadows
4.A Plague of Light
5.Empyrean Atrophy
6.Jesusatan (Infestdead cover)

Line-up
Andrew Huskey -vocals
Derek Engemann-bass/vocals
Jesse Schobel-drums
Mark Kloeppel-guitar/vocals

CAST THE STONE – Facebook

Electric Boys – The Ghost Ward Diaries

The Ghost Ward Diaries è un robusto e sano disco di hard rock, con buone melodie e molte canzoni che potrebbero essere tranquillamente dei singoli e, soprattutto, un disco molto divertente e ben fatto.

Gli svedesi Electric Boys sono un gruppo di hard rock, con forti radici negli anni sessanta e settanta, in giro dal lontano 1988 per separarsi nel 1994 e, quindi, riformarsi nel 2009 per riproporsi ancora molto validi come testimonia questo buona ultima uscita.

Il loro giardino è l’hard rock tendente al glam, più classico rispetto agli Hanoi Rocks con i quali condividono il chitarrista e cantante Conny Bloom e il bassista Andy Christell. In mezzo a tutto ciò i nostri non hanno perso l’attitudine hard rock e, anzi, con l’avanzare degli anni migliorano, anche se il music business è cambiato moltissimo dai tempi del loro debutto Funk-O-Metal Carpet Ride, prodotto dal celeberrimo Bob Rock, che arrivò al numero venti di Billboard e fu in heavy rotation su Mtv. Molte cose sono cambiate, ma non la qualità e la passione del combo svedese, che anche grazie ad una buona produzione produce un album che soddisferà anche i palati più fini dell’hard rock. I testi possiedono anche una discreta dose di ironia, il che rende il tutto ancora più piacevole, così come il ricorso assai gradevole alle voci e cori femminili, il tutto sempre in maniera credibile. Gli svedesi sono anche piacevoli dal vivo, come possono testimoniare i passeggeri della crociera Monsters O f Rocks, a cui i nostri hanno preso parte nel 2017, riscuotendo un ottimo successo. The Ghost Ward Diaries è un robusto e sano disco di hard rock, con buone melodie e molte canzoni che potrebbero essere tranquillamente dei singoli e, soprattutto, un disco molto divertente e ben fatto. L’hard rock di qualità è un genere che non morirà mai grazie a gruppi come gli Electric Boys.

Tracklist
01. Hangover In Hannover
02. There She Goes Again
03. You Spark My Heart
04. Love Is A Funny Feeling
05. Gone Gone Gone
06. Swampmotofrog
07. First The Money, Then The Honey
08. Rich Man, Poor Man
09. Knocked Out By Tyson
10. One Of The Fallen Angels

Line-up
Conny Bloom – Guitaris, Vocals
Andy Christell- Bassist
Franco Santunione – Guitars
Niclas Sigevall – Drums
Jolle Atlagic – Drums

ELECTRIC BOYS – Facebook

Ash Of Ashes – Down The White Waters

Album che piacerà agli amanti dei suoni folk metal, epici e black, Down The White Waters ci chiede di riservare un po’ del nostro tempo alle sue composizioni, così da ritrovarci in un altra dimensione, galleggiando in un mare di emozioni pagane ed epiche.

Cultura pagana ed heavy metal, un connubio che negli anni ha donato grande musica epica, poi attraversata da tempeste estreme arrivate dal grande nord.

Epic folk metal dai rimandi pagani è a grandi linee il sound del duo tedesco Ash Of Ashes, al debutto con Down The White Waters, lavoro degno di menzione in virtù dell’esibizione di un buon talento nel creare mid tempo epici e guerreschi in un contesto atmosferico.
Ovviamente la parte metal è di derivazione viking black, poi alleggerita da una valanga di melodie che lasciano spazio anche agli ascoltatori di generi meno estremi, grazie anche alla voce evocativa, che duetta per gran parte dell’album con quella di stampo estremo.
In Down The White Waters l’epicità si tocca con mano, l’alternanza tra parti viking black metal, folk e melodic death è l’arma con cui il duo conquista le terre nemiche, creando un’atmosfera leggendaria.
Molto belli sono i brani che riescono a far convivere tutte le anime del sound sotto la spessa coltre di epicità: la band sorprende per il songwriting di buon livello già dal primo album, con picchi come Flames Of The Horizon, Sea Of Stones e gli ultimi due movimenti prima della chiusura: le splendide The Queen’s Lament (The Lay Of Wayland) e Chambers Of Stone (The Lay Of Wayland).
Album che piacerà agli amanti dei suoni folk metal, epici e black, Down The White Waters ci chiede di riservare un po’ del nostro tempo alle sue composizioni, così da ritrovarci in un altra dimensione, galleggiando in un mare di emozioni pagane ed epiche.

Tracklist
01. Down The White Waters
02. Flames On The Horizon
03. Ash To Ash
04. Sea Of Stones
05. Springar
06. Seven Winters Long (The Lay Of Wayland)
07. In Chains (The Lay Of Wayland)
08. The Queen’s Lament (The Lay Of Wayland)
09. Chambers Of Stone (The Lay Of Wayland)
10. Outro

Line-up
Skaldir – Vocals, guitars, keyboards, bass
Morten – Lyrics, vocals

ASH OF ASHES – Facebook