Mike Tramp – Stray From The Flock

Stray From The Flock è dunque un lavoro consigliato non solo ai fans di Mike Tramp ma anche a chi ha piacere di ascoltare del buon rock melodico di matrice statunitense.

White Lion, Freak Of Nature, senza dimenticare la collaborazione con gli House of Lords sul bellissimo Sahara (1990) e la sua lunga carriera solista, arrivata con questo splendido Stray From The Flock all’undicesimo album in studio.

Parliamo ovviamente di Mike Tramp, singer di origine danese tornato con dieci nuovi brani raccolti in un album imperdibile per gli amanti dell’hard rock melodico.
Registrato all’Ark Studio in Danimarca e mixato in Svezia da Peter Masson, Stray From The Flock risulta, a detta di Tramp, un ritorno alle radici del rock’n’roll, ma diciamo che, molto probabilmente l’atmosfera che si respira è più quella di un album cantautorale, registrato su coordinate semi acustiche e arioso nel quale il vocalist dà sfoggio di tutto il bagaglio musicale che si porta dietro da anni, tra aor, west coast e rock che, come suggerisce l’artwork, disegna paesaggi da frontiera e sconfinate aree incontaminate.
La voce del cantante nordico aiuta ad immergersi in questo sogno ad occhi aperti, con l’aiuto di una raccolta di brani convincenti tra John Mellencamp ed un Tom Petty d’annata, uniti sotto l’egida di un rock melodico che solo raramente lascia le briglie e cavalca selvaggio.
Live It Out riassume le caratteristiche peculiari del nuovo album e, con Dead End Ride e One Last Mission, forma la sacra triade di Stray From The Flock che si avvale di una qualità tale da non scendere da un livello di eccellenza, consegnandoci un Mike Tramp in splendida forma.
Stray From The Flock è dunque un lavoro consigliato non solo ai fans dell’ex White Lion ma anche a chi ha piacere di ascoltare del buon rock melodico di matrice statunitense.

Tracklist
1.No End To War
2.Dead End Ride
3.Homesick
4.You Ain’t Free No More
5.No Closure
6.One Last Mission
7.Live It Out
8.Messiah
9.Best Days Of My Life
10.Die With A Smile On Your Face

Line-up
Mike Tramp – Guitars, Vocals

MIKE TRAMP – Facebook

SERENADE

Il video di Lullaby, dall’album Onirica (Revalve REcords).

Il video di Lullaby, dall’album Onirica (Revalve REcords).

Watch the brand new Serenade video Lullaby right here
Listen album on:
http://player.believe.fr/v2/3614978030654
https://www.revalverecords.com/Serenade.html
https://www.facebook.com/officialserenade/

The band was formed in 2009.
In 2012, its debut with the album “Wandering Through Sorrow” for Revalve Records, entirely written by former guitarist.
Strongly wanting to change the sound, with a new lineup, the band has gone from a gothic symphonic to a heavier metal with post-thrash, progressive and gothic influences.
Currently the band has finished recording the new album called “Onirica”, which reflects much more the components’ influences compared to the debut album.
Onirica is an ardent work by a heavy metal sound with symphonic touches and vague gothic atmospheres.
The album intents to bring the listener through an amazing journey into the dream world, hence the title “Onirica”, in the dreams and fears of the human soul.
Heavy riffs hold up catchy and dreamy melodies.
The voice ranges from lyric to modern with aggressive and soft interpretations and in two songs (“Kill Your Pain” and “Luceafarul”) is completed by the precious collaboration of Fabio Dessi, the voice of Arthemis.
Onirica is an album that proposes to keep alive the interest and the passion for metal music and hopes to break into the listener’s heart.
The band is formed by Claudia (vocals), Filippo (guitars), Alberto (guitars), Dario (bass), Leonardo (drums).
Each band’s members done and still doing many collaborations with italian and international bands and producers.
In particular, in 2015 Claudia has registered her voice in the latest Hollow Haze album “Memories of an Ancient Time” released for Scarlet Records, collaborating with Mats Leven, Rick Altzi and Amanda Somerville.

Folkstone – Diario Di Un Ultimo

Diario Di Un Ultimo è un bellissimo viaggio nei mondi costruiti dai Folkstone, i quali si confermano come uno dei più interessanti e peculiari gruppi nel panorama italiano e non solo.

Torna uno dei gruppi più interessanti del panorama underground italiano, i Folkstone, con il loro nuovo disco Diario Di Un Ultimo.

Il gruppo bergamasco, attivo dal 2004, ha fatto innamorare molti italiani e non solo del folk metal, con sonorità molto vicine al rock. I Folkstone sono forse l’anello di congiunzione tra l’underground ed il mainstream, e sono soprattutto un gruppo che regala pagine bellissime di poesia e musica in italiano. Fin dal primo disco l’ensemble folk metal ha portato avanti un discorso stilistico che ha avuto un’evoluzione incredibile, con l’importante svolta di Ossidiana del 2017, un disco che ha aperto un nuovo corso pressoché unico in Italia: con Ossidiana i Folkstone si sono avvicinati ad un forma maggiormente vicina al rock, con una spinta maggiore verso la poesia, perché i testi del gruppo sono piccoli e bellissimi componimenti, come lo sono sempre in passato ma ultimamente in maniera maggiore. L’importante per un gruppo è il progredire ed in questo i Folkstone sono bravissimi nel proseguire senza alcuna remora: Diario Di Un Ultimo è un’ulteriore e bellissimo avanzamento in un viaggio che si spera non si fermi mai. Questo disco arriva dopo alcuni cambi di formazione, e racconta il mondo visto dallo sguardo di un ultimo, un reietto agli occhi della società, uno che potrebbe essere un ribelle della montagna dei primi dischi dei Folkstone. Il gruppo mette tutto il cuore come sempre in questo lavoro pieno di vita, di canzoni e di assenza di rimpianti, del vivere questa breve vita tra valori e musica vera. Musicalmente il loro suono compie sempre nuovi passi senza mai snaturarsi, anzi forse rispetto ad Ossidiana si è sviluppato un discorso maggiormente aderente alle origini, ma al contempo c’è molto di quell’album in Diario Di Un Ultimo. I testi sono sempre introspettivi e con il cuore in direzione ostinata e contraria, aprono mondi, parlano di noi come di universi lontani e fanno vedere le cose da una prospettiva diversa e più aperta rispetto alla quotidianità. La scelta di cantare in italiano è premiante, perché si rivela qualcosa di peculiare e completamente originale: quando le parole si fondono con la musica scaturisce la magia dei Folkstone, che è davvero tanta e ti esplode nella mente e nel cuore. Come di consueto tutte le canzoni sono composte per essere vissute dal vivo, tra alcool e calore umano, sopra e sotto il palco. Chiude il lavoro I Miei Giorni, una delle canzoni più belle scritte dal gruppo, e vero e proprio manifesto di ciò che è il gruppo lombardo. Diario Di Un Ultimo è un bellissimo viaggio nei mondi costruiti dai Folkstone, i quali si confermano come uno dei più interessanti e peculiari gruppi nel panorama italiano e non solo.

Tracklist
01. Astri
02. Diario Di Un Ultimo
03. La Maggioranza
04. Elicriso ( Storia Di Un Pazzo )
05. Naufrago
06.Danza Verticale
07. La Collina
08. Una Sera
09. Spettro
10. In Assenza Di Rumore
11. Il Grammo Di Un’Ora
12. Fossile
13. Escludimi
14. I Miei Giorni

Line-up
Lorenzo Marchesi: voce
Roberta Rota: cornamuse, bombarde, voce
Maurizio Cardullo: cornamuse, flauti e bouzouki irlandesi, cittern, bombarde
Luca Bonometti: chitarre
Federico Maffei: basso
Edoardo Sala: batteria e percussioni
Marco Legnani: ghironda e strumenti a corde

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Windswept – The Onlooker

Nessuna sperimentazione, nessun avanguardismo, solo raw Black selvaggio, potente e incompromissorio creato dal mastermind dei Drudkh, Roman Saenko, che urla la sua rabbia con forza e convinzione.

Personaggio di culto della scena Black Metal, l’ucraino Roman Saenko, insegnante di storia, è realmente instancabile e continua a proporci la sua personale visione della musica estrema; lo abbiamo conosciuto con gli Hate Forest nel 2001, interessante band che sciogliendosi diede poi vita ai Blood of Kingu, attratti dalla mitologia sumera e tibetana, autori dal 2007 al 2014 di tre opere vigorose e affascinanti, assolutamente da riscoprire.

Attratto anche da sonorità dark ambient, ha creato il progetto Dark Ages, ora dismesso, in cui su base solo strumentale ha dato “vita” ad argomenti come la peste, le eresie e i sortilegi (notevolissimo A chronicle of the plague del 2006). Per la maggior parte degli ascoltatori però il suo nome significa Drudkh, personalissimo progetto black, intriso di umori folk ed atmosfere est europee; band realmente magnifica che dal 2003 con Forgotten Legends ha realizzato una serie di dischi appassionati, dal grande impatto atmosferico e dal fascino peculiare, con testi tratti dalle opere di alcuni poeti ucraini come Taras Shevchenko ad impreziosire i brani fornendo ulteriore interesse nell’ascolto. La band è ancora attiva, con costante alto livello qualitativo, nonché tacciata anche di avere idee politiche estreme, sempre comunque negate con forza da Roman. Circondato quasi sempre dagli stessi musicisti, Thurios con lui fino dagli esordi del 2003 alle keyboards, guitars e vocals, Krechet al basso e Vlad alla batteria, Saenko arso dal sacro fuoco creativo ha dato vita nel 2017 al progetto Windswept (Spazzati dal vento) per liberare una voglia black ancora più viscerale e incompromissoria; non più temi folkorici, non più atmosfere avvolgenti e care alla natura incontaminata dell’est, ma solo black senza altre influenze; raw black senza necessità di avere tastiere nella struttura delle canzoni. La band con The great cold steppe (2017) e ora The Onlooker, intervallati nel 2018 dall’ EP Visionnaire, ci sferra tre attacchi di black metal senza compromessi, potente, viscerale; il nuovo disco presenta otto brani tutti del medesimo livello qualitativo, furiosi e pregni di tremolo picking. La capacità di Roman di costruire riff è notevole, forza e coinvolgimento non mancano e ogni brano colpisce il cuore di chi ama ascoltare Black Metal. Il sapore nostalgico e potente nelle linee chitarristiche (Stargazer), ci riporta indietro nel tempo facendoci ancora una volta apprezzare quello che vuol dire suonare sincero e freddo Black. Onore alla competenza del leader che dimostra ancora una volta la sua bravura e la sua arte.

Tracklist
1. I’m Oldness and Oblivion (Intro)
2. Stargazer
3. A Gift to Feel Nostalgia
4. Disgusting Breed of Hagglers
5. Gustav Meyrink’s Prague
6. Insomnia of the Old Men
7. Times of No Dreamers & No Poets
8. Bookworm, Loser, Pauper

Line-up
K. Bass
V. Drums
R. Guitars, Vocals

WINDSWEPT – Facebook

Kamion – Gain

I Kamion si presentano in modo assolutamente convincente sulla scena underground con un lavoro robusto e tellurico come Gain, consigliato agli amanti dei gruppi citati quale riferimento.

Una folle corsa senza freni con un mastodontico mostro a sei ruote, un muro d’acciaio e sangue che spazza via ogni ostacolo.

Gain è il debutto dei Kamion, uscito autoprodotto lo scorso anno e ora promosso dall’Atomic Stuff, label nostrana con cui il quintetto veneto ha iniziato a collaborare.
Mezzora di pesantissimo heavy/thrash rock è quello che ci propone il gruppo con Gain, lavoro composto otto brani pregni di groove, ripartenze veloci e mid tempo pesantissimi.
L’opener The Reaper apre le ostilità, come un micidiale predatore aspetta il momento giusto per colpire, tra bordate metalliche, sferzate thrash metal ed attitudine heavy rock.
Bruciante e diretta, Another God va a formare un’accoppiata vincente con l’opener, ma è tutta la tracklist di Gain che non perde un colpo, tra esplosioni di nitroglicerina metallica.
I Kamion vedono al microfono una vera tigre come Dodo, singer molto conosciuto nella scena veneta, i due chitarristi e fondatori Paul e Patch e la sezione ritmica composta dal bassista Lux e dal batterista Dan a formare un combo massiccio, ispirato dalla scena metal statunitense e da band come Black Label Society, Pantera ed Alice In Chains, influenze primarie del quintetto che marchiano brani granitici come Mr.Sucker e Going Wrong.
Un grande brano è anche la conclusiva Jungle, mix perfettamente bilanciato tra le band dell’orso Zakk Wilde e di Jerry Cantrell due dei musicisti più influenti della scena metal/rock a stelle e strisce degli ultimi trent’anni.
I Kamion si presentano in modo assolutamente convincente sulla scena underground con un lavoro robusto e tellurico come Gain, consigliato agli amanti dei gruppi citati quale riferimento.

Tracklist
01. The Reaper
02. Another God
03. Queen Of Hate
04. Home
05. Mr. Sucker
06. Going Wrong
07. Escape
08. Jungle

Line-up
Dodo – Vocals
Paul – Lead Guitar
Patch – Rhythm Guitar
Lux – Bass
Dan – Drums

KAMION – Facebook

Amataster – Frammenti

Debutto col botto per la one-man band lucana. Un lavoro pressoché perfetto, un depressive black metal ricco di pathos e atmosfera, che non può e non deve passare inosservato.

Angoscia è l’unico sentimento che provo all’ascolto del debut ep degli italiani Amataster, uscito per l’italiana Masked Dead Records. Un sensazionale tuffo nella più profonda delle depressioni sonore, un viaggio introspettivo e melanconico, attraverso i più sconcertanti dolori che la vita possa causare.

La one-man band di John Poltergeist (già frontman dei depressive blacksters Eyelids) arriva dalla Basilicata e ci propone un meraviglioso Black Metal atmosferico ricco di pathos, che coinvolge totalmente l’ascoltatore, che vuole farsi travolgere da un’incalzante marea di afflizioni, affanni e sofferenze, attraverso 4 tracce della durata di poco più di venti minuti, ben architettate, quasi a voler tracciare un percorso personalmente interpretativo e assolutamente soggettivo della vita, qui dichiaratamente avara di gioie e di luce.
Così comincia l’avventura (anzi la disavventura) musicale con un brano – L’anima è in fiamme – tipicamente Black ma ricco di funeree ed annichilenti atmosfere. L’incipit delle liriche ci prepara sin da subito a quanto di più doloroso ci si può aspettare da questo disperato percorso attraverso le desolanti disillusioni della vita: “Guardate morire le vostre madri, Guardate soffrire i vostri cari, Bevo il loro sangue, lo sputo sulle vostre mani. Ora inginocchiatevi con me, piangete. Ecco questo è il dolore…” sono versi che ci raccontano molto di quanto sia il leitmotiv dell’album, soprattutto se si considera che vengono preceduti da un intro di synth che gioca meravigliosamente con una soave, ma incredibilmente melanconica, voce femminile, che introduce il Black di Mr. Poltergeist, costruito sul più tipico dei blast, e che alterna, alle oramai immancabili chitarre zanzarose, un lamento ed un pianto disperato di donna, che in maniera devastante, avvilirebbero e sconforterebbero anche l’animo più puramente ottimista.
Perché – la successiva traccia – si domanda John, e dopo un sospiro che pare provenire dai più profondi ed oscuri meandri dell’Inferno, parte un Black tiratissimo che danza armonicamente con gli insert di synth, che contribuiscono a creare un dicotomico connubio tra rabbia (il testo ne è carico sino al midollo) e ossessiva depressione. Rabbia, come detto, e furore sonoro, si avventano contro i nostri padiglioni auricolari, lasciandoci annichiliti, di fronte ad un Depressive che non ammette pause, lento sì in parte, ma pronto a reagire con impetuose sfuriate, proprio nel momento in cui l’ascoltatore sta per assopirsi, assuefacendosi all’atmosfera funerea, che permea tutto l’album…
Ferite dal passato alimentano il mio dolore” ci racconta la successiva Dono delle ombre che, immancabilmente, ci riporta al pensiero che si tratti di una possibile accusa verso una meschina vita, che congiura contro di noi, conducendoci all’odio imprescindibile verso chi ce l’ha donata. Un alchimia di mid e up tempo, sostengono l’attenzione, quasi a voler mantenere alta la nostra concentrazione sul testo, focalizzati su una consapevolezza sempre maggiore della tragicità dell’esistenza umana, che nulla merita, se non un carico incommensurabile di rabbia: “ormai sei solo un ricordo, c’è solo rabbia, in una gabbia” ; qui, nella rima baciata tra rabbia e gabbia, si individua una delle più classiche metafore sull’essenza umana, di chi la legge e la vive, nell’eterna bipartizione tra vita e prigione.
Un arpeggio che ci introduce all’ultima canzone – A.T. the Heart – accompagnato da un breve ma azzeccatissimo assolo, presentano il brano che più si avvicina al Depressive (tanto caro a molte band francesi). I lamenti strazianti di John non lasciano dubbi, sul significato della volontà di chiudere questo debutto nel migliore dei modi. Funerei passaggi , lente ed oscure atmosfere, dipingono ed affrescano l’opera del nuovo Goya della musica, principe della melodia depressiva, a cornice di una pittura che nel ‘700, portava tale nome.

Tracklist
1. L’anima è in fiamme
2. Perché?
3. Dono delle ombre
4. A.T. the Heart

Line-up
John Poltergeist – All instruments

AMATASTER – Facebook