Alpha Wolf – Fault

Gli Alpha Wolf non inventano nulla, ma riescono a fondere fra loro in maniera molto originale degli elementi che sono esistenti ma che non sempre facili da legare.

Alpha Wolf sono un gruppo australiano che pone in maniera notevole la violenza in musica.

Fault è il titolo del loro ultimo ep, pubblicato dopo vari demo e dopo il debut album Mono del 2017 su Greyscale Records. Mettiamo subito una cosa in chiaro: questi australiani sono una delle cose più interessanti uscite negli ultimi anni in campo metalcore, il loro groove è devastante e hanno anche un pizzico di deathcore nel loro suono, e qualcosa anche del nu metal. Ogni canzone è una lama affilata che taglia chirurgicamente l’obiettivo, non scappa nulla, tutto è molto intenso e studiato per creare devastazione dal vivo. Gli Alpha Wolf non inventano nulla, ma riescono a fondere fra loro in maniera molto originale degli elementi che sono esistenti ma che non sempre facili da legare. Non manca la melodia nelle loro composizioni, tutto è funzionale ad una violenza sonora che si manifesta in forme e modi differenti a seconda del momento e delle cose che si vogliono esprimere. La tensione è sempre alta, succede sempre qualcosa nelle loro canzoni, la voce graffia e culla in maniera ossessiva, ci sono repentini cambi di tempo, la cadenza non è velocissima ma è devastante. Nell’affollato panorama attuale del metalcore gli Alpha Wolf sono uno dei gruppi dalle maggiori peculiarità e dalle molte possibilità che le mostrano in questo ep che dovrebbe essere quello che li farà notare nel mondo, anche grazie al fatto che esce per una sussidiaria della Nuclear Blast, la Sharptone Records. Come biglietto da visita non è per niente male anzi, finalmente un disco metalcore molto potente e con influenze diverse. Fault è un ep da gustare fino in fondo, magari andando anche a riscoprire il loro disco precedente.

Tracklist
1. No Name
2. Spirit Breaker
3. Russian Roulette
4. Fault
5. Sub Zero
6. The Lonely Bones

Line-up
lochie
scottie
john
sabian
mitch

ALPHA WOLF – Facebook

Inferi – The End of an Era | Rebirth

Death melodico scandinavo e technical death metal si fondono nelle trame veloci ed intricate degli Inferi, che hanno confezionato un’opera estrema molto interessante.

Tornano sul mercato i deathsters statunitensi Inferi, al sesto full length della loro carriera, iniziata una dozzina d’anni fa con il debutto Divinity in War.

La band, proveniente dalla patria del country (Nashville, Tennessee), ci propone da anni il suo melodic death metal tecnicissimo, tempestoso e alimentato da una furia travolgente.
The End of an Era | Rebirth è composto da una decina di esplosioni sonore dove la parola d’ordine è velocità supersonica, una estremizzazione del sound dei Children Of Bodom, band più vicina agli Inferi di quanto si possa pensare.
Death melodico scandinavo e technical death metal si fondono nelle trame veloci ed intricate degli Inferi, che hanno confezionato un’opera estrema molto interessante.
Un sound che non lascia tregua, e da Gatherings in the Chamber of Madness si viene travolti da una tempesta di note che incollano l’ascoltatore alla poltrona colpendolo con micidiali frustate melodic death suonate a mille all’ora.
Il bello è che il gruppo non perde mai la bussola e l’ascolto se ne giova, tra solos sempre più veloci in cui non mancano melodie di matrice scandinava e le ritmiche dettano l’andatura inumana di tracce violentissime come A New Breed Of Savior, The Warrior’s Infinite Opus e Cursed Unholy.
Quasi un’ora di funambolismi, scale, salite e discese a velocità proibitive e ritmiche forsennate, il tutto pervaso da un talento melodico sorprendente.

Tracklist
1.The Ruin of Mankind
2.Gatherings in the Chamber of Madness
3.The Endless Siege
4.A New Breed of Savior
5.Sentenced to Eternal Life
6.The War Machine Embodiment
7.The Warrior’s Infinite Opus
8.Quest for the Trinity
9.Forged in the Phlegethon
10.Cursed Unholy

Line-up
Malcolm Pugh – Guitars
Mike Low – Guitars
Spencer Moore – Drums
Andrew Kim – Bass
Stevie Boiser – Vocals

INFERI – Facebook

Eveline’s Dust – K.

Il ritorno sul mercato degli Eveline’s Dust dopo tre anni si intitola K, ed è un concept album, come da tradizione nelle discografie dei gruppi progressive, incentrato su un argomento sicuramente importante e delicato da trattare come la malattia.

Periodo di ottime uscite per quanto riguarda la musica progressiva suggellate da questo splendido lavoro, il terzo per la band toscana degli Eveline’s Dust, quartetto molto apprezzato dagli amanti del progressive rock e dagli addetti ai lavori per i suoi due album precedenti, il debutto Time Changes, uscito nel 2013, e The Painkeeper, ultima opera targata 2016.

Il ritorno sul mercato dopo tre anni si intitola K., un concept album come da tradizione nelle discografie dei gruppi progressive, incentrato su un argomento sicuramente importante e delicato da trattare come la malattia.
La band tramite la sua musica ed i racconti dei protagonisti (gli Eveline’s Dust si sono rivolti alla Lega Italiana Fibrosi Cistica ONLUS, trovando molti membri disposti a condividere le proprie esperienze) ha dato vita ad un album davvero emozionante, raccontato dai protagonisti, che vivono in maniera diretta o indiretta la malattia.
K. è di fatto la protagonista di solo due brani, il resto fa parte di quanto raccolto dalle varie esperienze arrivate al gruppo che sagacemente ha creato una colonna sonora da cui emergono, comunque, consapevolezza e speranza, lotta e voglia di vivere, accantonando invece le troppo facili e scontate sensazioni di pietà e commiserazione, lasciando alla musica il compito di fedele compagna per chi non smette di sognare e lottare.
Il sound che il gruppo toscano ha creato per questo importante e difficile album si nutre di elementi progressivi tradizionali come è nel DNA del gruppo. prog rock di alto livello, che si aggira tra meandri jazzistici e a tratti metallici, mai troppo forzati, sempre cercando nelle emozioni le note giuste per sorprende chi ascolta.
Federico Avella al sax e flauto e Lorenza Catricalà alla voce sono gli ospiti che valorizzano questo splendido lavoro che per una quarantina di minuti ci accompagna tra lo spartito creato dagli Eveline’s Dust, ricco di ispirazioni ai grandi della musica progressiva passata e presente, ma con una classe ed una personalità encomiabili.
A New Beginning è l’opener che ci fa accomodare prima che l’album entri nel vivo, con prog song del calibro di Hope, Lost In A Lullaby e la conclusiva Rain Over Gentle Travellers, dove King Crimson, Yes, Genesis e Porcupine Tree forniscono alla band l’ispirazione per raccontare tramite sonorità emozionanti e testi che squarciano cuori, la storia di K., della sua famiglia e delle tante persone che vivono la drammatica esperienza di questa malattia.

Tracklist
1. A New Beginning
2. Fierce Fear Family
3. Hope
4. K.
5. Lost In A Lullaby
6. Faintly Falling
7. Rain Over Gentle Travellers

Line-up
Lorenzo Gherarducci – Guitars
Nicola Pedreschi – Keyboards, Vocals
Marco Carloni – Bass
Angelo Carmignani – Drums

EVELINE’S DUST – Facebook

POSTMAN

Il video di “Chemical Sunny Day”.

Il video di “Chemical Sunny Day”.

PostMan è il nuovo progetto solista di Antonio Furlanetto, musicista e autore di Portogruaro (VE). PostMan vede per la prima volta Antonio al lavoro su materiale proprio originale, sulla scia di David Gilmour, Pink Floyd, David Bowie e il miglior rock d’autore di matrice anglosassone.

Il primo brano che vede la luce è Chemical Sunny Day, registrato agli Artesonika Recording Studio di Pordenone, con Ivan Moni Bidin (Produzione, Mixing e Mastering).

Disponibile il video ufficiale a cura di Luca Nespolon.

Line up:
Antonio Furlanetto – Voce, Chitarre
Ivan Moni Bidin – Basso, Piano
Domenico Marin – Batteria
Marco Zanon – Tastiere, Synth

Marianas Rest – Ruins

Ruins va ben oltre le già elevate aspettative, proiettando i Marianas Rest ai vertici di una scena melodic death doom che, in Finlandia, pare davvero attingere ad un filone aureo apparentemente inesauribile.

Dopo un primo album splendido come Horror Vacui, pubblicato nel 2016, c’era una certa attesa per una sorta di prova del nove che per una band è il secondo full length, quello che ha il compito di consolidare e magari evolvere quanto di buono già mostrato in occasione dell’esordio.

Ruins in realtà va ben oltre le aspettative, proiettando la band finlandese ai vertici di una scena melodic death doom che, nella terra dei mille laghi, pare attingere ad un filone aureo apparentemente inesauribile.
I Marianas Rest si presentano con Kairos, un brano che per ritmica ed interpretazione vocale mostra più di una inclinazione black che ben si sposa con l’incedere ricco di tensione, addolcita con il contributo melodico di un sempre superbo lavoro chitarristico; la successiva canzone, The Spiral, è un’altra delle travi portanti del lavoro, in virtù di uno sviluppo a tratti più pacato ma altamente drammatico.
Dopo aver regalato un quarto d’ora di musica magnificamente intensa il gruppo finnico continua a sciorinare brani che non lasciano spazio ad indugi o riempitivi: i ritmi tendono mediamente ad accelerare senza che, però, il senso di malinconia che pervade l’intero lavoro finisca per essere messo in secondo piano; tra queste tracce spicca una trascinante Unsinkable, che appare l’ideale sintesi di un sound che collega al meglio il tragico incombere dei migliori Swallow The Sun con la vocazione melodica degli Insomnium.
Quando si arriva al termine di un’altra gemma come Restitution, ben più che soddisfatti di quanto già ascoltato, con la traccia conclusiva Omega l’archiviazione di Ruins come ottimo disco viene messa in discussione visto che tale valutazione rischia di apparire persino ingenerosa: il brano capolavoro trova spazio proprio in coda, con il suo crescendo emotivo irresistibile che conduce ad un finale dominato da un lunghissimo e commovente assolo di chitarra.
Come l’aquila, che è il simbolo ed il nome in lingua madre della loro città, Kotka, i Marianas Rest spiccano un maestoso volo verso le vette più altre del genere, sedendosi con pari dignità allo stesso tavolo di quelle band che hanno rappresentato la naturale quanto inevitabile fonte d’ispirazione.

Tracklist:
1. Kairos
2. The Spiral
3. Hole in Nothing
4. The Defiant
5. Unsinkable
6. Shadows
7. Restitution
8. Omega

Line-up:
Harri Sunila – Guitars
Nico Mänttäri – Guitars
Jaakko Mäntymaa – Vocals
Nico Heininen – Drums
Niko Lindman – Bass
Aapo Koivisto – Keyboards

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