New Years Day – Unbreakable

Nel loro genere, ovvero l’incontro tra pop e metal moderno, i New Years Day sono molto bravi, con un suono molto stelle e strisce, dalla grande forza ma anche dalla grande melodia.

Nuovo album per uno dei maggiori gruppi di metal pop mondiali, i californiani New Years Day, capitanati da Amy Costello da Anaheim.

Dopo il disco precedente, Malevolence del 2015, la band ha allontanato persone molto negative che vi gravitavano intorno, hanno rinnovato la squadra e sono più forti, da qui il titolo del nuovo lavoro: Unbreakable. Il lavoro è un perfetto esempio di come si possano unire pop e metal, generando melodie molto accattivanti che vertono sulla bella voce di Amy Costello. Quest’ultima è un po’ il fulcro ed il punto di maggiore attenzione del gruppo, nel senso che intorno alla sua voce e alla sua bellezza girano i New Years Day. Il gruppo è valido, molto americano e moderno, ma senza di lei l’interesse non sarebbe certamente lo stesso. Innanzitutto possiede una voce che sa adeguarsi ai diversi registri, dal pop la metal, passando per l’elettronica, ed è brava in tutti i frangenti. Poi è molto bella e usando in maniera accattivante questa sua dote la cosa sembra funzionare. Nel loro genere, ovvero l’incontro tra pop e metal moderno, i New Years Day sono molto bravi, con un suono molto stelle e strisce, dalla grande forza ma anche dalla grande melodia: Unbreakable è un lavoro che può piacere ad un pubblico trasversale, sicuramente non a chi ama il metal estremo, ma non si può mai dire, le folgorazioni sono dietro l’angolo. Il disco è quello che vuole essere, e sicuramente in patria raggiungerà vette notevoli, specialmente nel circuito delle radio universitarie. Qui da noi è un suono che non va molto, ma tutto è possibile. Metal moderno, pop e movimento.

Tracklist
1. Come For Me
2. MissUnderstood
3. Skeletons
4. Unbreakable
5. Shut Up
6. Done With You
7. Poltergeist
8. Break My Body
9. Sorry Not Sorry
10. My Monsters
11. Nocturnal
12. I Survived

Line-up
Ash Costello – vocals
Nikki Misery – guitar
Frankie Sil – bass
Austin Ingerman – lead guitar

NEW YEARS DAY – Facebook

Opprobrium – The Fallen Entities

The Fallen Entities è un bombardamento death/thrash metal che non concede tregua, ruvido, diretto e old school, dal lavoro ritmico più vario rispetto a quello di molte altre band, ma sempre legato ad un genere che ha come base un muro sonoro massiccio e potente.

Tornano gli storici Opprobrium, band di New Orleans nata a metà anni ottanta come Incubus e trasformatasi nella devastante realtà odierna nel 1999 per volere del batterista Moyses M. Howard e del chitarrista/cantante Francis M. Howard.

The Fallen Entities è il sesto lavoro sulla lunga distanza, un bombardamento death/thrash metal che non concede tregua, ruvido, diretto e old school, dal lavoro ritmico più vario rispetto a quello di molte altre band, ma sempre legato ad un genere che fa del muro sonoro massiccio e potente la base per brani che pescano a pari misura dal thrash anni ottanta (Slayer) e dal death metal di scuola statunitense dei primi anni del decennio successivo.
Niente di nuovo rispetto a quanto fatto in passato dal duo dunque, ma è indubbio che l’impatto di brani come le telluriche Creation That Affect o la title track, brano top dell’album con la lunga e a suo modo progressiva Throughout The Centuries.
Lavoro rivolto ai fans del death/thrash più ignorante e violento, The Fallen Entities è un macigno estremo potentissimo e senza compromessi.

Tracklist
1. Dark Days, Dark Times
2. Creations That Affect
3. Wicked Mysterious Events
4. The Fallen Entities
5. Throughout The Centuries
6. Turmoil Under The Sun
7. In Danger
8. Obstructive Behaviour

Line-up
Moyses M. Howard – Drums
Francis M. Howard – Guitars, Vocals

OPPROBRIUM – Facebook

Sidechain – Sidechain

In questo lavoro c’è un po’ tutto quello che il rock ha regalato a cavallo dei due secoli, che il gruppo marchigiano fa suo e con sagacia lo amalgama in una ricetta musicale vincente e matura.

Altro nome di cui risentiremo parlare in futuro è quello dei marchigiani Sidechain.

La band, dopo gli iniziali aggiustamenti nella line up, trova l’assetto definitivo nel quartetto composto da Simone Tedeschi alla voce, Matteo Nardinocchi alla chitarra, Mario Bianchini al basso e Danilo Innocenti alla batteria.
L’ep omonimo licenziato tramite la Volcano Records presenta cinque brani molto interessanti, poco inclini a facili melodie ed incentrati sulla parte più metallica e progressiva del rock alternativo degli anni novanta.
Chi si aspetta una manciata di canzoni dal ritornello carino, magari dal taglio post grunge ed in linea con il sound radiofonico alla Nickelback, verrà invece travolto da un sound potente, che non manca di pesanti note stoner e valorizzato da un grande lavoro ritmico dai rimandi progressivi.
In questo lavoro c’è un po’ tutto quello che il rock ha regalato a cavallo dei due secoli, che il gruppo marchigiano fa suo e con sagacia lo amalgama in una ricetta musicale vincente e matura.
Si parte dal metal al moderno rock progressivo, attraverso l’alternative rock tra lo spartito dell’opener My Master, di Horrible Tentacle e soprattutto della conclusiva Flame, brano simbolo del sound Sidechain, tra Tool, Alice In Chains ed Alter Bridge.
Cinque ottimi brani (l’ep si completa con Wars Today e Last Redemption Of My Soul) che ci presentano una band avviata a dire la sua nella scena underground rock odierna.

Tracklist
1. My Master
2. Horrible Tentacle
3. Wars Today
4. Last Redemption of My Soul
5. Flame

Line-up
Simone Tedeschi – Vocals
Matteo Nardinocchi – Drums
Mauro Bianchini – Bass
Danilo Innocenti – Drums

SIDECHAIN – Facebook

KILLIN’ BAUDELAIRE

Il video di Don’t Give a Fuck.

Il video di Don’t Give a Fuck.

Da oggi è disponibile in digital download e su tutte le piattaforme streaming Don’t Give a Fuck (Bagana Records/Pirames International), il nuovo singolo dell’alternative metal band tutta al femminile Killin’ Baudelaire, tratto dall’album in uscita nei prossimi mesi. Su YouTube il video.

Don’t Give a Fuck racconta di come a volte credere di non potere uscire dalle cattive abitudini sia solo una prigione mentale. È la storia immaginata di una persona che, per uno strano scherzo del destino, si ritrova a rivivere di nuovo un giorno della propria vita in cui ha commesso un errore. Ma si rende presto conto di averlo compiuto di nuovo. E di nuovo. Perché il punto è: non è quello che fai, ma è quello che sei. La consapevolezza e la volontà di migliorarsi sono la chiave di qualsiasi progresso. Il video è ad opera, come tutti i precedenti, di Tommy Antonini.

Don’t Give a Fuck vede come autrici del testo Martina Ungarelli e Martina Riva, mentre la musica è di Titta Morganti (Mellowtoy). Il brano è stato registrato presso 33HZ Studio da Francesco Altare, mixato e masterizzato da Riccardo Parenti presso Elephant Mastering.

Le Killin’ Baudelaire sono Martina Ungarelli alla voce, Martina Riva chitarra e backing vocals, Alice Pandini basso e backing vocals, Elisa Montin alla batteria.

www.facebook.com/killinbaudelaire

www.instagram.com/killinbaudelaire

BIOGRAFIA
4 ragazze, 1 band che sta per uscire con nuovo disco. Diretto, senza compromessi, più duro che mai. Le Killin’ Baudelaire hanno suonato nei più prestigiosi festival in tutta Italia, come iDays Festival 2017, assieme a grandi nomi internazionali tra cui Linkin Park e Blink-182, si sono esibite diverse volte in Inghilterra, Austria, Germania, Svizzera e Francia e hanno partecipato all’ultima edizione del Nova Rock il 15 giugno 2018, che ha visto headliner Avenged Sevenfold e Prodigy.

Laang 冷 – “Haiyáng 海洋

Háiyáng è un lavoro a suo modo sorprendente che ritengo meriti la chance dell’ascolto da parte degli appassionati del black meno canonico e dalle provenienze esotiche.

Diverse sono le particolarità che rendono degno di un ascolto questo esordio marchiato Laang.

Intanto la provenienza geografica, anche se quella di Taiwan non è in assoluto una primizia in ambito black, ma resta comunque un qualcosa di inconsueto; oltre a questo Yáng Tāohái, il musicista che da solo ha curato questo progetto, pubblicando Háiyáng diverso tempo dopo essersi risvegliato dal coma in seguito ad un incidente stradale, ha deciso di descrivere quello stato di anticamera della morte che a suo dire ha vissuto mentre era in quello stato.
Non si può giurare che il tutto sia vero o si tratti di un puro artificio compositivo, fatto sta fatto che l’album si snoda all’insegna di un black metal sinfonico, benché molto sui generis, ricco di passaggi emotivamente rimarchevoli, inframezzati da altri di matrice puramente ambient.
In effetti ciò che colpisce del lavoro è la capacità del musicista asiatico di conferire una certa originalità alla sua proposta, proprio perché l’adesione solo parziale agli schemi del genere risente della provenienza da una scena decisamente lontana (non solo geograficamente) da quelle più conosciute: il risultato è una serie di brani dal buon impatto melodico ma effettivamente dal contenuto piuttosto vario ed evocativo, grazie anche all’apporto del pianoforte che in più di un caso si sostituisce ad un più algido synth.
Particolare è l’uso della voce che non è un consueto screaming di matrice black ma un qualcosa di più sgraziato (accentuato in tal senso da una lingua madre il cui adattamento al metal è tutto da verificare) che sembra, però, ben adattarsi al contesto drammatico che il nostro vuole evocare, la cui punta viene a mio avviso toccata con le notevoli progressioni di un brano davvero particolare come Cāngliáng.
Háiyáng è un lavoro a suo modo sorprendente che ritengo meriti la chance dell’ascolto da parte degli appassionati del black meno canonico e dalle provenienze esotiche.

Tracklist:
1. Chāoyuè Dìyù 超越地狱
2. Shēnyuān 深淵
3. Hilàng 海浪
4. Cāngliáng 蒼涼
5. Yān 淹
6. Jī 羇
7. Yun Miè 殒灭
8. Zǐdàn Kǒng 子弹孔

Line-up:
杨涛海 (Yáng Tāohai)

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