Tanin’iver – Anno Domini Nostri Satanas

Anno Domini Nostri Satanas risulta un album evil, dove alle atmosfere nere come la pece ed un’attitudine cattivissima si aggiunge una bravura strumentale oltre la media, con la chitarra ad urlare solos dolorosi e dall’impronta melodica su di una struttura classicamente black.

I Tanin’iver sono un’oscura realtà estrema proveniente dall’Australia, composta dal tastierista e cantante Skorpa e dal chitarrista e bassista Asmodeus, nome d’arte in questo nuovo gruppo del polistrumentista Aidan Cibich, conosciuto per i due album della one man band Apophis di cui vi abbiamo parlato in occasione dell’uscita dei due full length, Under A Glossed Moon del 2017 e Virulent Host uscito lo scorso anno.

Il sound del duo si allontana in modo netto dal death metal strumentale del gruppo di Cibich per abbracciare la fiamma nera del nero metallo a sfondo luciferino caro alle orde sataniche Nord europee.
Anno Domini Nostri Satanas risulta un album in cui alle atmosfere nere come la pece ed un’attitudine cattivissima si aggiunge una bravura strumentale oltre la media, con la chitarra ad urlare solos dolorosi e dall’impronta melodica su di una struttura classicamente black.
Una settantina di minuti studiati e presentati al pubblico estremo come esempio di magniloquente black metal di matrice Dimmu Borgir/primi Satyricon, forse troppi per il genere, ma bisogna dare atto al duo australiano di non perdere il confronto con le proprie importanti influenze, grazie ad una track list che non perde colpi neppure sulla lunga distanza.
Lo scream diabolico di Skorpa si eleva su di un sound che risulta un armageddon di metal estremo, con la sua dose melodica ben in evidenza , cavalcate true black metal si alternano a sinfonie metalliche devastanti e rallentamenti di gelido terrore, per poi colpire con l’arma migliore dei Tanin’iver : la chitarra di Asmodeus.
Spira il vento da nord a raggelare brani corposi e medio lunghi come Golgotha, Steed Of Lilith e The Burning Of The Second Temple con la conclusiva e strumentale …As They Do To You a a far scorrere i titoli di coda ad un lavoro largamente riuscito.
Se volete ascoltare qualcosa di veramente cattivo e morbosamente di genere, Anno Domini Nostri Satanas è un lavoro altamente consigliato, una nera perla in arrivo dall’underground estremo australiano.

Tracklist
1.Do Unto Others…
2.Thrice Cursed Are The Weak
3.Golgotha
4.Bloodlines
5.The Steed Of Lilith
6.The Burning Of The Second Temple
7.Ahura Mazda
8.Angra Mainyu
9…..As They Do To You

Line-up
Asmodeus – Guitars, Bass
Skorpa – Vocals, Keyboards

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Intervista con L’esperimento del Dr. K: alle radici dell’horror punk

Nel 1958, diretto da Kurt Neumann per la 20th Century Fox, usciva negli Stati Uniti The Fly, prima versione cinematografica de La mosca, tradotta da noi in Italia come L’esperimento del dottor K. A quel mitico horror fantascientifico si ispira il quasi omonimo gruppo genovese, che ha pubblicato da pochissimo il suo primo lavoro, in formato CD + 45 giri. Un autentico gioiellino di horror punk che guarda ai Misfits di Glenn Danzig e alla gloriosa tradizione dei B-Movies americani anni Cinquanta e primi Sessanta, non senza poi un giusto orgoglio amorevolmente underground. I brani del singolo sono quattro e diventano sei nel compact, entrambi pubblicati dalla Flamingo Records di Genova (flamingorecords@outlook.com). I pezzi del quartetto sono di una notevole intensità e freschezza, genuinità e forza, essenzialità e bellezza. Abbiamo incontrato colui che è il fondatore e vocalist de L’esperimento, Dario Gaggero, per realizzare l’intervista che segue. Chi volesse intanto acquistare questo debutto, può rivolgersi al Disco Club di Genova, oppure scrivere a kleppini@gmail.com.

Il tuo gruppo suona horror punk. Cosa sono per te horror e punk?

‘Horror Punk’ è una definizione di comodo che ho usato per far capire a un potenziale ascoltatore cosa avrebbe potuto aspettarsi, magari sbagliando. Non sono molto affezionato al termine e – francamente – non apprezzo particolarmente nessuno dei gruppi associati al genere. L’horror, in tutte le sue forme, è una mia grande passione sin dalla tarda infanzia; una passione che mi accomuna a molti degli amanti del metal, tra l’altro. Faccio parte della generazione che è cresciuta con Dylan Dog, Stephen King e H/M, quindi immagino di avere diverse affinità con i lettori di Metal Eyes. Persino la mia ‘iniziazione’ musicale è legata inscindibilmente al tema – la mia fascinazione adolescenziale con gli Iron Maiden parte dalle bellissime copertine degli album e dalle mille trasformazioni di Eddie. Se all’epoca mi accontentavo di quel che passava il convento (improbabili film dell’orrore su Italia 1, qualche raro classico che passava a tarda notte su Rai 3) col tempo ho visto (quasi) tutto il campionario horror disponibile – dal ‘Gabinetto del Dr.Caligari’ a ‘Cannibal Holocaust’, dai film messicani tipo ‘Santo vs. las Momias de Guanajuato’ al vituperato ‘Nekromantik’, da ‘Tempi duri per i Vampiri’ a ‘Le Facce della Morte’. Ancora oggi mi butto su tutto quello che trovo, nuovo o vecchio che sia: anche se molti fanno veramente pena e non hanno nessuna qualità redimente manco a cercarla col microscopio va benissimo così. A volte capita un tesoro inaspettato e ti ripaga di tutte le ore perse a guardare mostri di gomma e attori da film porno. Per fortuna alcune case specializzate stanno facendo uscire sul mercato italiano classici ‘minori’ dell’horror in edizioni curate e rispettose (penso soprattutto alle nostrane Home Movies e Midnight Factory). Diverso il caso per la letteratura di genere: a parte i superclassici tipo Edgar Allan Poe e H.P.Lovecraft – letti e riletti in italiano e in originale sino alla nausea – e l’occasionale ritorno a Stephen King e Clive Barker non mi sono tenuto particolarmente aggiornato e faticherei a citarti uno scrittore horror contemporaneo. Idem per i fumetti: gli unici che riesco a leggere con grande divertimento sono i vecchi classici della EC Comics.
Arrivati al punk, invece, la cosa si fa più complicata: diciamo che per me è la forma più immediata, grezza e vitale di rock che si possa immaginare. Potrei dirti che del punk ho sposato solo l’estetica musicale ma non sarebbe completamente onesto, anche perché dipende di che punk stiamo parlando. Se da un lato L’Esperimento del Dr.K è effettivamente un gruppo distante dallo pseudo-situazionismo alla ‘épater le bourgeois’ dei Sex Pistols (seminali e mai abbastanza lodati, checché se ne dica), dalla rabbia barricadera di Clash e derivati o dal neofascismo di gente che non voglio manco citare (vergogna!), dall’altro è molto vicino all’autoproduzione, agli spazi autogestiti e al Do It Yourself che da sempre contraddistinguono l’etica – più che l’estetica – del punk come lo intendo io. A te le conclusioni.

So che hai un grande amore per Misfits e Danzig…

Nel 1990 ho comprato ‘Legacy of Brutality’ dei Misfits (una specie di compilation di inediti remixata e in parte risuonata da Danzig stesso) e la mia vita non è più stata la stessa! Spinto inizialmente da una fascinazione solo superficiale (ah, quelle foto dei Metallica!) sono stato risucchiato in un mondo misterioso e affascinante dal quale non sono più uscito. Quelle grafiche rubate ai film horror degli anni ’50, la voce alla Elvis, il basso distorto, le foto in bianco e nero…non riuscivo a sentire altro, parlare d’altro, pensare ad altro. All’epoca per uno come me – senza fratelli maggiori e con amici che ascoltavano tutt’altro – recuperare qualche straccio di informazione su discografie e formazioni è stato tutt’altro che facile e comprare tutto quello che vedevo (e potevo permettermi) era l’unica soluzione. Come unica arma avevo nel portafogli il ritaglio di un articolo scritto da Heintz Zaccagnini per Metal Shock e cercavo inutilmente di usarlo per orientarmi in un mare magnum di bootleg e live tarocchi.
L’Esperimento del Dr.K è principalmente un mio tributo, a volte smaccato, ai Misfits e alla loro discografia. Credo fermamente che Glenn Danzig abbia creato una band senza precedenti e che il suo percorso artistico (pur con qualche appannamento, comprensibile in una carriera quarantennale) mantenga una cifra stilistica sorprendentemente valida e riconoscibile. Potete dire quel che volete sull’uomo e sul personaggio (e il suo prendersi molto sul serio a volte ha ottenuto esattamente l’effetto contrario) ma i suoi dischi sono veramente belli e la (mia) sensazione è che abbia fatto il cazzo che ha voluto sino a oggi, facendo anche un bel po’ di soldi. Non tutti i musicisti possono dire lo stesso.

Vuoi raccontarci la vostra storia?

La formazione originale de ‘L’esperimento del Dr.K’ (un trio con me alla voce e batteria) nasce nel 1997 o giù di lì. Non abbiamo mai inciso nulla e fatto un solo, disastroso, concerto. Ma l’idea di cantare i MIsfits in italiano o giù di lì mi è sempre rimasta nel cuore e dopo mille false partenze alla fine del 2017 ho tirato su una formazione nuova. La band oggi è composta da Matteo Pascotto alla chitarra, Stefano Pecchio al basso, Paolo Bottiglieri alla batteria. E da me alla voce, ovvio.

Cosa rappresenta per voi questo disco?

Per me è la concretizzazione di un sogno, realizzatosi grazie all’entusiasmo dei miei compagni di cordata e a quello – importantissimo – dei ragazzi di Flamingo Records che lo hanno co-prodotto e hanno investito tempo, denaro e tanta passione nel realizzarlo.

I tuoi progetti passati e futuri?

Anni fa cantavo nelle Formiche Atomiche (due album e un 7” all’attivo), un gruppo di pop-punk cantato in italiano che si è sciolto nel 2003. Dopo molte incertezze ho intrapreso la dura e difficile strada del blues: ho registrato un paio di dischi e collaboro tuttora con i Big Fat Mama (uno dei più antichi gruppi blues italiani, fondati nel 1979) e ho un mio progetto più vicino al rock’n’roll, gli Snake Oil Ltd (due dischi anche per loro). Mi piacerebbe registrare a breve un full lenght con L’Esperimento del Dr.K e farli suonare dal vivo il più possibile. Contattateci!

Le vostre top ten?

Invece di scriverti una roba noiosissima e dispersiva come i nostri dischi preferiti (4 x 10 = 40. Mi annoia il solo pensarci!) preferisco citarti i dieci dischi che ritengo più importanti per la realizzazione del nostro 7” d’esordio, in rigoroso ordine cronologico.

The Doors: ‘Strange Days’ (1967) – Danzig come Evil Elvis? Evil Morrison, semmai! Avvolto da un’atmosfera cupa e decadente, dalla copertina circense in poi.
Iggy & the Stooges: ‘Raw Power’ (1973) – proto-punk, proto-metal, proto-tutto. Il terzo album degli Stooges è un tale massacro sonoro che si fatica a ricordare l’anno nel quale è stato inciso.
Ramones: ‘Ramones’ (1976) – che dire? Il capolavoro del punk rock e uno degli album più influenti di tutti i tempi. Brutale nella sua primitiva separazione basso/chitarra, perfetto nella sua reinvenzione del pop e molto più ‘artistico’ di quanto comunemente si creda.
Damned: ‘Damned Damned Damned’ (1977) – dirompente esordio del quartetto inglese. Mai più così duri, mai più così efficaci.
The Misfits: ‘Static Age’ (1978) – potevo barare e citare l’opera omnia, invece mi sono trattenuto. Uscito postumo nel 1997 questo rimane il loro capolavoro.
The Cramps: ‘Songs the Lord Taught Us’ (1980) – Voodoobilly? Psychobilly? Imitati da molti ma mai eguagliati condividevano con i Misfits l’immaginario da b-movie anni ’50. Incredibili. Non se ne parla abbastanza.
Bauhaus: ‘In the Flat Field’ (1980) – primo, ossessivo, album per Peter Murphy & co. Anche se nessuno lo dice non così distanti da certi Samhain, ad esempio. Undead! Undead! Undead!
The Fuzztones: ‘Leave your mind at home’ (1984) – mini-album live per gli specialisti del garage-revival. Perfetto nella sua acida dissolutezza.
Samhain: ‘Initium’ (1984) – terminata l’esperienza Misfits Danzig opera un netto cambiamento di rotta e dimentica le accelerazioni in odor di thrash metal di ‘Earth A.D./Wolfsblood’. Non è punk, non è metal. Ma convince lo stesso.
The Mummies: ‘Never Been Caught’ (1992) – i re del lo-fi. Un’idea geniale, un disco perfetto.
a cura di Dazagthot

DODSFALL – Døden skal ikke vente

Ottimo lavoro per i norvegesi capitatati dal messicano Ishtar che, coadiuvato dall’ottimo drummer Telal, ci propongono – dopo ben 5 anni dall’ultimo full length – 9 tracks (più outro) di puro, vero e sacrosanto (si fa per dire…) satanico Black Metal Scandinavo.

Il quinto lavoro del duo originario di Bergen è decisamente da considerarsi l’album più riuscito, grazie anche ad una produzione pressoché perfetta, curata da Tore Stjerna (Mayhem, Behexen, e Watain). Rispetto al passato, cresce la padronanza degli strumenti dei Nostri e, soprattutto la chitarra di Ishtar, diviene parte fondamentale di un lavoro di grande impatto, mai alienato a schemi prefissati, mai stereotipato, né troppo scontato e né oltre misura convenzionale.

Ciò che ne emerge, è un sound decisamente personalizzato, arricchito da forti accenti melodici (ma mai troppo ruffiani), e momenti di vero e puro Thrash (come in “Svarta Drömmar” e nella successiva “Grå Himlar”), soprattutto nei mid-tempo, che inframezzano velocità, tipiche del genere, sempre guidate sapientemente da Mr.Israel (così pare essere il suo nome da “umano”). Dopo “Kaosmakt”, già si percepiva che il processo di maturazione avrebbe ben presto (si fa per dire, ci sono voluti 5 anni per vederli nuovamente approdare sulle scene con un nuovo album..) portato al lavoro definitivo. “Døden Skal Ikke Vente” è quanto di meglio un fan di Immortal, Urgehal, Tsjuder (ma non così violenti), Carpathian Forest (sebbene leggermente meno atmosferici della band di Nattefrost) possa chiedere; se poi aggiungiamo un pizzico di Taake e diamo una rapida occhiata agli svedesi Rimfrost…il gioco è fatto! Il sound sostenuto e profondamente marziale di un brano come “Kampsalmer”, pare provenire direttamente da “Northern Chaos Gods” (mi si conceda un piccolo paragone al capolavoro del 2018…). I ritmi dettati dal drummer Telal (Astaroth, Kvalvaag, Troll) sono perfetti, mai improvvisati, ed in alcuni pezzi, come detto, fanno l’occhiolino al Thrash Metal, nel medesimo istante in cui i riff di Ishtar graffiano i nostri padiglioni auricolari, tentandoci ad un headbanging, in puro stile ottantiano (ma decisamente più moderno e “fresco”). La voce di Ishtar è perfetta per il genere; va a sostituire in primis quella dei primi album, di Vassago Rex (fondatore ed unico membro ufficiale dei blacksters Arvas) ed in secundis quella di Adramelech (Svarthaueg) presente su “Djevelens Evangelie” e “Kaosmakt”. Il risultato, è decisamente più suggestivo e, con tutto il rispetto per i precedenti “screamers”, Ishtar è un gradino superiore (forse due).Una curiosità proprio su Ishtar. Le sue fortune giunsero solo quando poco più di dieci anni fa, decise che il Messico (si, perché Is – come spesso si fa chiamare – è nato a León, popolosa città situata nell’epicentro dell’immenso stato Centro-Americano) non poteva garantirgli le risorse necessarie per la lunga scalata verso il successo musicale; d’altronde, per una band Black Metal, quale altra nazione, potrebbe competere con la patria del Metallo Nero? E’ anche interessante sapere che alcuni progetti “messicani” (nonostante la distanza siderale tra la sua attuale residenza, la Svezia, e la sua terra natia) proseguono tranquillamente (i deathsters Deformate e i doom deathsters Sorrowful, ad esempio). Testi rigorosamente in norvegese (mi chiedo come potrà essere la pronuncia, viste le differenze abissali tra le due lingue) e ovviamente, unicamente improntati sui rigidi schemi del satanismo e della misantropia, fanno da cornice ad un lavoro classico nel suo genere, ma non per questo evitabile; anzi, una collezione Black che si rispetti, non può certo essere deficitaria di “Døden Skal Ikke Vente”. Che altro aggiungere? Buon acquisto!

1. Hemlig vrede
2. Tåkefjell
3. Svarta drömmar
4. Grå himlar
5. Kampsalmer
6. I de dødens øyne
7. Ødemarkens mørkedal
8. För alltid i min sjæl
9. Ondskapelse
10. Skogstrollet

Ishtar – Vocals, Guitars, Bass
Telal – Drums

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