Il rock australiano è stato e rimane un caso a sé stante nel quadro musicale internazionale.
Se da una parte è nato, anche e soprattutto, importando quanto si andava facendo nel mondo anglofono, per un altro verso, ciò ha messo capo molto spesso ad una attenta e personale opera di rielaborazione e di trasformazione artistica di codici e veicoli espressivi, nati altrove e rimodellati in maniera creativa e originale.
Va altresì detto che numerosi solisti o gruppi aussie hanno dovuto prima o poi, per potere emergere e farsi strada, attraverso platee più vaste, emigrare, per ovvie ragioni principalmente nella Gran Bretagna (qualcuno pure in America). A Canterbury, sul finire degli anni Sessanta, finì Daevid Allen, fondatore come noto dei Gong, solo per fare qui un probante ed illustre esempio.
Quando si parla di Australia, giustamente, i primi nomi a venire in mente sono quelli dei Bee Gees e degli AC/DC. Tuttavia, anche di altri si deve parlare. Gli anni Settanta hanno visto nascere i Jet (fra glam rock e AOR), gli hard-doomsters Buffalo (i Black Sabbath australiani), i Rose Tattoo (emuli di Angus Young e compagni, attivi anche in Inghilterra, all’inizio con il nome di Tatts), la Little River Band (che nell’arco della sua sterminata discografia – ben 28 titoli! – ha saputo passare dal pop-soft rock più di maniera ad un ottimo AOR pomp sulla scia di Styx, Yes e Foreigner), i Cold Chisel (con nove album di r ‘n’ b in carniere tra il 1974 e il 1989, da Adelaide).
In realtà, fin dagli anni Sessanta, il rock è stato presente in Australia. Il beat è stato importato dagli Easybeats e dai Master’s Apprentices. Grande prog è quindi venuto, nella decade successiva, con i romantici Aleph (1977: tra Yes e Starcastle, con belle melodie, americaneggianti), fusion-progsters quali Sebastian Hardie e Windchase (tre grandi dischi, tra il 1975 e il 1979, fra Camel e Santana), gli Spectrum (passati dal singolare country psichedelico-avanguardistico degli esordi al progressive con Moog della maturità), i Galadriel (un solo e raro vinile, nel 1971, di psych-blues leggero), gli Headband (anche loro del 1971 ed analoghi a tanti gruppi West Coast), i Rainbow Theatre (molto ridondanti, quasi musical, per via degli eccessi di archi e fiati), i Bakery (1971: jazz rock, difficile da reperire), i Chetarca (più orientati sul rock & roll, con momenti anche alla Tom Jones), l’unico long playing del polistrumentista Chris Neal (1974: un bel prog classicheggiante e tastieristico, alla Mike Oldfield, con drum machine), i Mackenzie Theory (due interessanti lavori di jazz rock molto sinfonico tra il 1973 e il 1974, entrambi per la Mushroom, con una viola elettrica impegnata a citare John Cale dei Velvet Underground) ed i Kahvas Jute del grande Bob Daisley – destinato alla fama con Ozzy Osbourne, Gary Moore, Uriah Heep e Rainbow – sospesi tra l’eredità dei Black Sabbath e quella degli Atomic Rooster, riscritta in una chiave più underground: per loro un solo album, Wide Open, uscito per la Infinity nel 1971, con intriganti frangenti hard-blues e proto-fusion.
Fondamentale, in Australia, anche la scena elettronica. Gruppo di punta sono stati i Cybotron, nati nel 1975, per iniziativa di Steve Maxwell Von Braund. I primi due album erano ancora acerbi, nella loro un po’ ingenua e derivativa psichedelia (Cybotron del 1976 e Colossus del 1978). Dopo il live Saturday Night (1979), il gruppo realizzò il proprio capolavoro con il penultimo disco, Implosion, letteralmente dominato da un coinvolgente space rock elettronico, in cui gli echi cosmici di matrice teutonico-kraut rock si combinavano con l’amore per i paesaggi sonori delineati da Klaus Schulze, primi Ash Ra Tempel e Tangerine Dream. Ancora un disco, il sintetico e new wave oriented Abbey Moor (1981) e quindi un immeritato scioglimento. L’eredità dei Cybotron è stata raccolta, in tempi a noi più recenti, dai Brainstorm (da non confondersi con quelli tedeschi degli anni Settanta): gruppo di space rock elettronico innamorato dell’astronomia e della sua storia (Keplero in particolare). Tra i loro non pochi lavori, il migliore resta forse il terzo Tales of the Future (1997). I Brainstorm inoltre hanno contribuito al tributo collettivo agli Hawkwind di Daze of the Underground (2003).
Tuttavia, il più celebre ed importante gruppo di prog rock australiano rimangono gli Aragon, i quali incisero per la piccola Ugum – volenterosa e piccola label inglese, responsabile anche di ristampe dei Twelfth Night – il loro capolavoro, nel 1988: Don’t Bring the Rain, intarsiato di belle atmosfere marillioniane. Più moderno e neo-prog il sound dei tre lavori successivi, pubblicati dalla purtroppo disciolta olandese SI Music – Rocking Horse (1990), il mini Mouse (1991) e The Meeting (1992) – e il malinconico epitaffio The Angel’s Tear, registrato anch’esso nel 1990 ed edito, in seguito, per la Labra d’Or.
Dal 1974 al 1978 furono attivi a Sidney gli storici Radio Birdman, gli Stooges d’Australia: due LP per la Sire e poi sporadiche riformazioni da parte di questo gruppo seminale, che ha lasciato segni e profondi e indelebili nel punk australiano (gli X e i Saints, anche se questi secondi si trasferirono in Inghilterra e punk lo furono davvero per poco) e nel post-punk. Autentici maestri in questo secondo filone furono, sorti dalle ceneri dei Boys Next Door, i Birthday Party di Nick Cave. Trasferitosi in Gran Bretagna anche lui, il cantautore australiano ha in seguito avviato, si sa, una notevole carriera mainstream, prima di fondare pochi anni fa i Grinderman, esponenti del rock alternativo di marca aussie sulla scorta dei connazionali Died Pretty e Go Betweens. Indimenticabili, citati anche nella enciclopedia di Dennis Meyer, gli storici Midnight Oil, vero e proprio trait-d’union fra UK punk e US hard. Una band longeva ed importante, da riascoltare con la dovuta attenzione.
Fenomenali, in linea con i Birthday Party, sono stati poi i Crime and the City Solution, formidabili nel proporre un post-punk sperimentale ed intriso di dark, dissonante e debitore tanto verso Captain Beefheart quanto nei riguardi dei Père Ubu. Più morbide, ammalianti e dai risvolti talvolta cosmici, le atmosfere sognanti di grandi band della Australia anni ’80, come Church, Stems e Scientist. Nel caso di questi ultimi troviamo ancora una volta l’eredità dell’Iggy Pop meno addomesticato. Quanto ai Church, rispetto ai primi lavori risulta forse preferibile il più maturo e completo Forget Yourself (2003), quasi progressivo nei suoi rimandi a Robert Fripp, Adrian Belew, U2 e Eno, disco di space-dark atmosferico e moderatamente sintetico, con fascinosi pad ambientali.
Se Hoodoo Gurus ed Hard Ons sono stati in quel decennio l’equivalente del Paisley Underground, ancora meglio hanno fatto i Dead Can Dance, di Lisa Gerrard e Brendan Perry, tra gothic dark stile prima Siouxie-Cocteau Twins e tastiere ambient, dai tocchi medievaleggianti e rinascimentali, non senza opportune ed azzeccatissime incursioni in territori afro (prima di perdersi nella world music, il cui successo ha veramente inghiottito fior fiore di artisti altrimenti preparati).
Molto popolari nel corso degli anni Ottanta sono stati in Australia gli INXS (nel periodo 1980-1984 synth-rock alla Ultravox, successivamente hard pop di spessore), i gradevolissimi Icehouse e Flash and the Pan (ambedue padrini del techno-pop nell’emisfero australe), i Men at Work (in bilico tra new wave e AOR alla Cristopher Cross) e i Real Life dell’indimenticato singolo Send Me an Angel, con uno dei giri di sintetizzatore più belli e famosi della storia.
Oggi, la scena metal e rock australiana è più viva che mai, in linea con la sua grande tradizione. In ambito sleazy-street, abbiamo i Dead Daisies (che in Australia fanno base), i Wolfmother (alfieri del ritorno al più grintoso e sanguigno hard settantiano), i meravigliosi Night Terrors (tra i migliori esponenti odierni dello space rock hawkwindiano: futuristici, siderali ed oscuri), Red Shore e Thy Art Is Murder (campioni del death-core), i Tame Impala (in vero alquanto sopravvalutati ed assai commerciali nel settore del pop neo-psichedelico, di Perth), i grandiosi Vanishing Point (tra AOR e prog metal sinfonico), i Mournful Congregation (signori del funeral doom), i Foetus (i Nine Inch Nails australiani, sorti nel lontano 1981), i Dirty Three (post rock strumentale, da Melbourne) ed i Pirate, realmente entusiasmanti, nel loro inimitabile mix di Rush e Voivod, King Crimson e primi Pink Floyd.
Particolarissimo il caso dei validi Mortification, una band cristiana, che si muove abilmente fra le scuole thrash e death statunitensi, il groove metal dei Pantera e il grindcore dei Napalm Death. Sono nati nel 1987, vicino a Victoria, e tuttora attivi. Altri nomi storici nel dominio del thrash – e a livelli di statura mondiale – sono stati i pionieristici Armoured Angel, Mortal Sin ed Hobbs Angels of Death. A loro deve molto l’ottima scena thrash australiana di oggi: i fenomenali (anche sul piano del songwriting) e tecnicissimi Meshiaak, gli speed-metallers Harlott ed il trittico di band scoperte da Punishment 18 Records, ossia Envenomed, In Malice’s Wake e Hidden Intent, testimonianza di una grande e promettente vitalità espressiva. Si sono purtroppo sciolti – ma hanno fatto la storia – i fantastici The Berzerker, in assoluto tra gli inventori del cyber-grind e dello speed-core industriale, mentre restano sulla breccia invece i Destroyer 666, perfetti nella loro capacità di sapere incrociare il black con il thrash, i Sodom con gli Aura Noir, i Destruction con gli Slayer. Grande black, invece, con gli estremamente prolifici Drowning the Light: occulti, lovecraftiani e vampireschi, certo non distanti dalle atmosfere dei connazionali Striborg e degli americani Xasthur. Membri dei Drowning the Light hanno inoltre operato pure sotto altre single, tra cui quella dei Black Funeral.