Nahum – And the Chaos Has Begun

And the Chaos Has Begun è un ottimo ascolto per chi ama queste sonorità, suonato bene ed estremo il giusto per portarlo dal vivo e confezionare per gli astanti un massacro death/thrash dalll’alto tasso guerresco

Torna il gruppo nativo della Repubblica Ceca, che prende il proprio monicker dal chitarrista Tomash Nahum e lo fa con un altro assalto death/thrash dall’impatto dannoso come una bomba atomica.

Secondo lavoro dunque per il la band di Ostrava, dopo The Gates Are Open del 2012, rigorosamente autoprodotto e di cui la Musick Attack Production ne cura la distribuzione.
Non molto lungo ( un bene in questi casi) ma compatto e sferragliante come un carro armato sul campo di battaglia, il nuovo lavoro colpisce nel segno, ignorante il giusto per piacere ai fans del thrash classico, ma dirompente e potentissimo per fare la gioia degli amanti dei suoni estremi, And the Chaos Has Begun non disdegna solos dal sapore classico, ottime cavalcate metalliche dove l’eclettica voce di Pavel Balcar, passa con disinvoltura dal growl ad un ruvido scream di estrazione black/thrash cattivissimo.
Poco più di mezzora di caos primordiale, una tromba d’aria che si abbatte sull’ascoltatore tra ritmiche a palla, doppia cassa a manetta ed un lavoro chitarristico di ottima fattura.
Dal singolo Raging Chaos, veniamo travolti dall’enorme forza bruta del quintetto ceco, che senza compromessi parte all’assalto, senza lasciare tregua, Vomit the Darkness e Creator of Emptiness continuano il massacro, ora con ritmiche thrash che colpiscono il bersaglio, ora lanciando dinamitarde bordate di death metal, il tutto molto statunitense come scuola di appartenenza e la battaglia continua, senza esclusione di colpi.
Slayer, i Testament di Low, Malevolent Creation ed Exodus, escono dalle bocche di fuoco del gruppo, che, prima di avventurarsi in crescendo estremi, ci prepara al peggio con arpeggi oscuri ( Funeral of Age ) o con marziali marce guerrafondaie, alla conquista del nemico ( Under Fire).
Ottima la prova dei musicisti, su cui spiccano le due asce (Tomash Nahum e Michal Kapec) e d’impatto la sezione ritmica, che non concede tregua (Jan Balcar al basso e Tom Brighter alle pelli).
And the Chaos Has Begun risulta così un ottimo ascolto per chi ama queste sonorità, suonato bene ed estremo il giusto per portarlo dal vivo e confezionare per gli astanti un massacro death/thrash dalll’alto tasso guerresco, un ascolto è obbligato.

TRACKLIST
1. Raging Chaos
2. Vomit the Darkness
3. Creator of Emptiness
4. Funeral of Age
5. Damned
6. The Clash of the Fury
7. Under Fire
8. Rotten Lies
9. www (World Wide War)

LINE-UP
Tomash Nahum Guitars
Pavel Balcar Vocals
Jan Balcar Bass
Tom Brighter Drums
Michal Kapec Guitars

NAHUM – Facebook

Vanden Plas – Chronicles of the Immortals: Netherworld II

Un gruppo del genere nobilita il metal in senso lato e dovrebbe vedere i suoi lavori ben conservati sulla mensola di ogni appassionato, a prescindere dal genere preferito. Arte senza se e senza ma.

Tornano a distanza di un anno i grandiosi Vanden Plas con la seconda parte del concept tratto da Le Cronache degli Immortali, trilogia fantasy scritta da Wolfgang Hohlbein, fan della band a cui tempo fa propose la trasposizione in musica della sua opera.

L’album è clamoroso, come d’altronde la prima parte e come negli anni la band di Kaiserslautern ci ha abituato, iniziando dallo stupendo debutto Colour Temple, uscito nel 1994, per proseguire nel corso del ventennio con una serie di album dalla qualità superiore, forse poco considerata, specialmente dagli addetti ai lavori, colpevoli molto spesso di rincorrere le new sensation del genere lasciando le briciole ai veri artisti dello spartito.
Poco male, il gruppo tedesco nel corso degli anni ci ha deliziato con album straordinari (su tutti The God Thing del 1997 e Christ O del 2006) e non contento ha portato la propria arte sul palcoscenico di un teatro, per reinterpretare opere immortali come Jesus Christ Superstar, The Rocky Horror Show e La Piccola Bottega degli Orrori.
La storia su cui la band ha creato questo stupendo arabesco di suoni vede come protagonista Andrej Delàny, cavaliere immortale che trova, al ritorno nel suo paese di origine situato in Transilvania, solo distruzione e morte.
L’unico sopravvissuto alla strage (Frederic) lo informa che il colpevole è un cardinale, alla guida di tre cavalieri dalle armature dorate e che tra i pochi sopravvissuti, fatti prigionieri c’è anche suo figlio.
Inizia così l’avventura, che vedrà i due sulle tracce dei cattivi, tra mille avventure e scontri, in cui Andrej scoprirà di essere parte di una stirpe di cavalieri immortali, diretti discendenti dei vampiri transilvani.
L’album, come la prima parte, non fa che ribadire l’immenso talento del gruppo, con un Andy Kuntz sontuoso, interprete magnifico delle avventure dei nostri eroi, che sommato alla bravura strumentale dei fratelli Andreas e Stephan Lill (rispettivamente batteria e chitarra), al basso di Torsten Reichert e ai tasti d’avorio del fenomenale Günter Werno, fanno dei Vanden Plas un gruppo di inestimabile valore, alle prese con un’opera che ci investe con una valanga di emozioni.
Diviso in nove visioni, l’album si apre con My Universe, dove la voce teatrale di Kuntz ci introduce alla seconda parte del concept, accompagnata da un poderoso riffone metallico a far coppia con le tastiere di Werno.
Si entra nel cuore dell’opera e il gruppo incanta, Godmaker’s Temptation e Stone Roses Edge sono prog metal songs teatrali e sontuose, magnifico il lavoro dei tasti d’avorio nella seconda che concede un refrain molto Dream Theater ed una sezione ritmica ruvida.
Blood Of Eden emoziona in un turbine di suoni tra pianoforte, fiati e violoncello ed una voce femminile che accompagna Kuntz, nel dialogo tra il cavaliere e la sua defunta consorte e si va via, con la mente persa in quei luoghi nascosti da una spessa coltre di nebbia, portati dalle scale musicali del gruppo che continua a deliziare con atmosferiche parti melodiche e fughe dure come l’acciaio, dove la doppia cassa spinge sull’acceleratore e lo spirito metallico esce, immortale come il protagonista, in tutta la sua leggendaria fierezza (The Last Fight).
La conclusiva Circle Of The Devil, musicalmente risulta un sunto di tutto il ben di dio racchiuso in questo lavoro, parte orchestrale che lascia spazio alla furia metallica per tornare ai suoni dell’opener, per una conclusione degna di un’opera dall’elevato tasso qualitativo.
Un gruppo del genere nobilita il metal in senso lato e dovrebbe vedere i suoi lavori ben conservati sulla mensola di ogni appassionato, a prescindere dal genere preferito. Arte senza se e senza ma.

TRACKLIST
1. Vision 11even- In My Universe
2. Vision 12elve- Godmaker’s Temptation
3. Vision 13teen- Stone Roses Edge
4. Vision 14teen- Blood of Eden
5. Vision 15teen- Monster
6. Vision 16teen- Diabolica Comedia
7. Vision 17teen- Where Have the Children Gone
8. Vision 18teen- The Last Fight
9. Vision 19teen- Circle of the Devil

LINE-UP
Torsten Reichert – basso
Andreas Lill – batteria
Stephan Lill – chitarre
Günter Werno – tastiere
Andy Kuntz – voce prog metal

VANDEN PLAS – Facebook

Cerebric Turmoil – Neural Net Meltdown

Neural Net Meltdown è un album che troverà estimatori per chi apprezza il metal estremo tecnicissimo, trovando in esso spunti esaltanti come nelle intricate parti di alcuni brani.

Nati dalle ceneri dei Chaosphere, nel 2006 i Cerebric Turmoil iniziano la loro attività nella scena estrema e aiutati da una notevole tecnica strumentale, si buttano a capofitto nella scena brutal death, basato sulla tecnica.

Neural Net Meltdown è il loro primo lavoro sulla lunga distanza ( anche se l’album dura solo mezzora), dopo che il gruppo di Berlino ha rilasciato lungo la sua decina d’anni di vita due demo ed un paio di split, il primo nel 2008 insieme ai Defeated Sanity, ed il secondo, una sorta di compilation in cui apparivano una manciata di gruppi della scena come Tears of Decay, Very Wicked, Fetocide e Johnston.
Che i musicisti sappiano suonare i propri strumenti è un dato di fatto, così come l’indubbia capacità di amalgamare death metal, grindcore e soluzione al limite del jazz e il risultato ad un primo ascolto risulta clamoroso, proprio per l’elevata capacità strumentale dei protagonisti.
Rimane un po’ di rammarico per la totale mancanza della forma canzone, importantissima secondo il sottoscritto, anche nel metal più estremo e cerebrale, in questo lavoro avvulsa nelle intricate parti che la band vomita letteralmente sull’ascoltatore, che non trovando punti di riferimento, si trova a vagare nel labirintico spartito di Neural Net Meltdown senza meta, completamente stravolto dalla valanga di note suonate dal gruppo tedesco.
Peccato perchè le potenzialità ci sono tutte, il brutal death del gruppo risulta devastante e le buone idee non mancano, sono solo un po troppe. così da creare a tratti un songwriting leggermente confuso.
Nel genere, quello che per un neofito può sembrare un dettaglio, fa la differenza tra un album sufficiente ed uno notevole, per capirci, molte volte non basta solo saper suonare alla grande uno strumento per piacere a chi ti ascolta.
Neural Net Meltdown rimane comunque un album che troverà estimatori in chi apprezza il il metal estremo tecnicissimo, trovando in esso spunti esaltanti come nelle intricate parti di Twitching Eye Staccato, Discordian Equilibrium, Soul Famine e Vile Effect Momentum.
Molta tecnica ma emozioni zero, alla prossima.

TRACKLIST
1. Introduction
2. Twitching Eye Staccato
3. Secluded Out of Touch by Avoiding Mankind
4. Metaphysics (Skit)
5. Discordian Equilibrium
6. Grotesque Dreaming
7. Soul Famine
8. Bitstorm
9. Tangled in Trial and Error Scenarios
10. Vile Effect Momentum

LINE-UP
Marcus Klemm – Drums
Marte “McFly” Auer – Guitars
Chris – Reese Vocals
Fux – Bass (tracks 2, 7, 9, 10)

CEREBRIC TURMOIL – Facebook

Avatarium – The Girl With The Raven Mask

Doom metal classico ai massimi livelli che non manca di affascinare ed esaltare nei brani in cui la band lascia le briglie e lo stallone metallico può finalmente cavalcare libero, sulle praterie che hanno visto le chiome al vento di Raimbow, Uriah Heep, Black Sabbath e Blue Öyster Cult.

Nella tempesta di suoni vintage, che hanno caratterizzato gli ultimi anni di produzione hard rock e metal, gli Avatarium si posizionano molto in alto nelle preferenze degli amanti dei suoni di ispirazione classica e settantiana, grazie all’esplosivo debutto omonimo, uscito un paio di anni fa, bissato dal nuovo lavoro, questo monumento al doom classico che risulta The Girl With The Raven Mask.

D’altronde la Nuclear Blast ci ha messo lo zampino già dal primo album, troppo importante una band che vede nella propria line up musicisti dalle enormi capacità capitanati dallo storico bassista dei Candlemass, Leif Edling, un nome che è sinonimo di grande musica del destino ( Krux, Leif Edling, Abstrakt Algebra, Witchcraft), accompagnato in questa nuova avventura da Lars Sköld alle pelli( Tiamat), Marcus Jidell alla sei corde (Royal Hunt, Evergrey, Candlemass), Carl Westholm alle tastiere ( Krux, Leif Edling, Abstrakt Algebra, Candlemass) e dalla bellissima voce della singer Jennie-Ann Smith.
Doom metal raffinato risulta la proposta del gruppo svedese, che amalgama sapientemente il sound del primo lavoro con quanto fatto nell’ep seguente dello scorso anno (All I Want) dove era forte una componente melodica e rock, che la band sviluppa in questo ottimo nuovo album, per un risultato che metterà d’accordo un po’ tutti i fans della musica del destino dai rimandi classici.
Tastiere dal taglio leggermente progressivo, sono la principale caratteristica del sound di questi nuovi brani, dove le ritmiche settantiane e la voce passionale della vocalist, rendono omaggio ad una buona fetta dei gruppi storici, che ci hanno accompagnato tra in quel decennio  e nel successivo.
E’ uno tsunami di suoni ipnotici, una liturgia doom psichedelica dove ogni strumento, aiutato da un’ottima produzione esce potente e cristallino, contribuendo a rendere The Girl With The Raven Mask un’opera che non fa rimpiangere il clamoroso debutto, ma ne è il legittimo erede.
Inutile sottolineare la prova di musicisti dal curriculum invidiabile e sarei ripetitivo nel glorificare la prova di Jennie-Ann Smith, singer dotata di un carisma straordinario, perfetta per il genere suonato dal gruppo.
Meno monolitico e più vario del suo famoso predecessore, l’album ha, nei picchi qualitativi scalati da brani come, The January Sea, Pearls And Coffin, Ghostlight e Run Killer Run, spettacolare hard rock tra Uriah Heep e Raimbow la massima espressione del gruppo svedese.
Doom metal classico ai massimi livelli che non manca di affascinare ed esaltare nei brani in cui la band lascia le briglie e lo stallone metallico può finalmente cavalcare libero, sulle praterie che hanno visto le chiome al vento di Rainbow, Uriah Heep, Black Sabbath e Blue Öyster Cult.
Acquisto obbligatorio per gli amanti di queste sonorità.

TRACKLIST
1. Girl With The Raven Mask
2. The January Sea
3. Pearls and Coffins
4. Hypnotized
5. Ghostlight
6. Run Killer Run
7. Iron Mule
8. The Master Thief

LINE-UP
Jennie-Ann Smith: Vocals
Marcus Jidell: Guitars
Leif Edling: Bass
Lars Sköld: Drums
Carl Westholm: Keyboards

AVATARIUM – Facebook

ChaosWolf – Templo de Palabras Muertas

Black metal crudele. ruvido e misantropico, atmosfere old school che si stagliano nell’oscurità illuminata da due occhi diabolici, quelli di Chaoswolf.

Black metal crudele. ruvido e misantropico, atmosfere old school che si stagliano nell’oscurità, illuminata da due occhi diabolici, quelli di Chaoswolf, vocalist e padrone di questa one man band, che vede agli ordini dell’artista messicano in sala d’incisione due musicisti come Senectus e Berserker, volta a diffondere il male, il disordine ed il caos lungo le terre del Centro America.

Scrive musica dal 2007 Chaoswolf, da quando licenzia il demo Lycanthropic Passages and Mystic Blackness, da allora una serie di demo ed un primo full length uscito un paio di anni fa, The Fall of the Idols.
Cantato nella sua lingua madre, il nuovo lavoro è un classico esempio di black metal old school, che riprende la tradizione scandinava( Darkthrone), con qualche sfumatura che richiama i Necromantia, comunque sempre tenendo altissima la tensione, brutale, oscura e malvagia.
Produzione vecchia maniera, screaming catacombale, ed attitudine misantropica fanno da concept alla musica del singer messicano, un demone liberato dalle catene, che lo legavano al pavimento di una caverna al centro della terra, ed ora libero di destabilizzare con il suo efferato esempio di musica estrema, completamente devota al all’oscurità.
Templo de palabras muertas, è il classico disco che arriva in ritardo di almeno vent’anni, pregno di attitudine vecchia scuola e senza compromessi, risultando comunque un buon prodotto per i fans più oltranzisti del genere.
D’altronde la scena underground è lungi da non considerare opere del genere, specialmente quando vivono di passione come questo lavoro.
Le atmosfere non concedono tregua e Templo de palabras muertas risulta così un omaggio al true black metal, dove Orgasmortem (o de la Libido Perpetua), El discurrir de un cáncer del ser e la conclusiva The End of Black Metal Paradise, risultano le songs più convincenti di un’opera only for fans.

TRACKLIST
1. La escisión de Ouróboros
2. Orgasmortem (o de la Libido Perpetua)
3. Irreverencia (o el evangelio negro de la VeraLux)
4. Tanatema
5. La muerte de Calvarium Funestus (o el gesto irónico de su sepultamiento)
6. El retorno de lo reprimido
7. El discurrir de un cáncer del ser
8. Extraducción a lo inconsciente
9. Wings of Paradox (In the Cynic Valley)
10. The End of Black Metal Paradise

LINE-UP
Chaoswolf – Vocals
Berserker – Session Drums, Guitars
Senectus – Session Guitars, Bass, Drums

CHAOSWOLF – Facebook

Infamy – The Blood Shall Flow

The Blood Shall Flow si distingue per il sound che non concede tregua, quaranta minuti di assalto sonoro senza compromessi

La Terror From Hell, protagonista di un gran lavoro nel riesumare chicche metalliche, specialmente nei generi estremi, ci propone l’unico full length degli Infamy, quartetto proveniente da Los Angeles con all’attivo solo due demo, oltre ovviamente a questo lavoro uscito originariamente nel 1998, anno in cui, purtroppo perse la vita il bassista e cantante Joshua “Jagger” Heatley.

Il gruppo ad oggi risulta attivo, anche se l’ultima uscita discografica risale al lontano 2001 con il demo Burning Vengeance, poi il nulla.
Ma veniamo a questo buon full length, dallo stile che non può che essere americano, brutale e oscuro come la tradizione insegna, cadenzato e potente, attraversato da accelerazioni, chitarroni ribassati ed un growl uscito direttamente dall’antro più buio dell’inferno.
Niente di clamoroso, ma dall’impatto violento ed evil, The Blood Shall Fall riassume il sound prodotto dalla costa losangelina negli anni d’oro del death metal, alter ego della scuola scandinava e per molti re/tiranno di tutta la musica estrema.
The Blood Shall Flow si distingue per il sound che non concede tregua, quaranta minuti di assalto sonoro senza compromessi, magari per alcuni fin troppo statico nel sound, ma per i fans del genere un assatanato esempio della forza bruta proposta dal gruppo californiano.
L’opener The Maggots Are in Me, Onslaught of Carnage, Salem’s Burning e la title track, non fanno che confermare lo stato di grazia del genere in quegli anni e gli Infamy si aggiungono ai gruppi che seguivano con buoni risultati le devastanti opere di Immolation, Deicide e dei sovrani Morbid Angel.
Il lavoro in questione merita sicuramente una rivalutazione da parte degli amanti del genere, sia i giovani fans che quelli più attempati a cui all’epoca sfuggì questa uscita.

TRACKLIST
1. The Maggots Are in Me
2. Bodily Disembowelment
3. Onslaught of Carnage
4. Cranial Implosion
5. Putrid Infestation
6. Salem’s Burning
7. Mass Cremation
8. Lacerated
9. The Blood Shall Flow
10. Cryptobiosis

LINE-UP
Mark “Shark” Casillias – Guitars
Joshua “Jagger” Heatley – Bass, Vocals
Memo Mora – Vocals, Guitars
James Grijalva – Drums

https://www.youtube.com/watch?v=KM95UO0nihs

Bed Of A Nun – Waiting For A Visit

Profondo e maturo, scritto da musicisti di indubbia esperienza e talento, Waiting For A Visit lascia che le emozioni ci invadano

Arrivano all’esordio tramite Pure Rock Records, costola della label tedesca Pure Steel dedicata al rock, i Bed Of A Nun, creatura di quel genio musicale che è Günter Maier, ex chitarrista e leader degli Stygma IV prima e Crimson Cult poi, accompagnato in questa poetica avventura da Lem Enzinger ex Schubert e No Bros alla voce, Peter Bachmayer alle pelli e Alex Hilzensauer al basso.

Dimenticatevi il metallo progressivo dei clamorosi Stygma IV o il sound doom classico dei Crimson Cult, la nuova identità del chitarrista sposta le coordinate della sua musica verso lidi rock, molto poetici e melanconici, interpretati dal tono sofferto e cantautorale del singer, per un viaggio nella mente di un malato, solo con il suo dolore, i ricordi e la prossima vicinanza alla morte.
Trame acustiche che riempiono di suoni intimisti e tragici i brani, l’elettricità della sei corde che entra, con dolcezza nel sound altrimenti drammaticamente lieve del disco, sono le caratteristiche principali di quest’opera, che ha momenti davvero intensi, d’autore, molto emozionali nella sua tristezza di fondo.
A tratti la rabbia per quello che non è stato prende il sopravvento e ne escono song dal taglio rock velatamente progressivo (la bellissima Downstairs) e si esprime in tutta la sua potenzialità l’enorme talento di Maier, questa volta solo ed esclusivamente al servizio dei brani di Waiting For A Visit.
Ancora Deathless While, altro brano dall’elevata elettricità che scaturisce in ritmi sincopati, ed aperture melodiche spazzate via dal solos heavy di Maier, ma rimangono episodi di un lavoro che poggia le sue fondamenta sulla romantica poesia che, le trame acustiche e l’interpretazione vocale sono le indiscusse protagoniste, regalando tragiche perle come Rebel Boy, Autumn Train e The Last Song, terzetto dall’alto potenziale melanconico e chiusura di un album animato da sentimenti ed emozioni, al quale l’uomo magari non dà peso nel corso della propria vita, ma con cui prima o poi ci si deve confrontare.
Profondo e maturo, scritto da musicisti di indubbia esperienza e talento, Waiting For A Visit lascia che le emozioni ci invadano: un album che propone musica atmosfericamente forte, ancora più intensa proprio per la capacità di far male rimanendo legata a suoni acustici, ma dall’impatto emozionale di un carro armato.
Dove compare il chitarrista austriaco c’è sempre grande musica, bentornato Günter.

TRACKLIST
1. frozen
2. Jesus on a bicycle
3. Howl
4. face in the clouds
5. what is…
6. downstairs
7. marble beauty
8. deathless while
9. bullet thoughts
10. rebel boy
11. autumn train
12. the last song

LINE-UP
Günter Maier – guitars
Lem Enzinger – vocals
Peter Bachmayer – drums
Alex Hilzensauer – bass

BED OF A NUN – Facebook

VV.AA. – Transcending Obscurity – Label Sampler Vol.1

Un’importante veduta sull’enorme lavoro che la Transcending Obscurity sta facendo per supportare al meglio il mondo metallico, specialmente in un’area dallo smisurato potenziale come quella dell’Asia meridionale.

Chi segue le pagine metal sulla nostra webzine sa che, pur portando all’attenzione dei lettori le uscite più importanti del nostro genere preferito, diamo molto spazio all’underground e, aiutati in questo dalla Transcending Obscurity di Kunal Choksi, scoprendo ottime e il più delle volte sconosciute realtà, soprattutto provenienti dai lontani e misteriosi paesi asiatici.

Quest’anno la label indiana ha ampliato i suoi orizzonti, mettendo sotto contratto anche parecchie band europee, così da diventare sempre più un punto di riferimento per gli amanti del metal/rock, a cui stanno stretti i soliti nomi, cercando tra il sottobosco musicale ottime alternative.
Esce dunque, in concomitanza con le feste natalizie, questa esauriente panoramica sui gruppi che la label ha proposto in questi ultimi dodici mesi e tutte quelle che fanno parte del roster, un regalo inaspettato ma gradito, con molte band ancora da scoprire e molte di cui abbiamo già ampiamente parlato su Iyezine.
Più di cinquanta gruppi, ognuno con la propria musica da presentare, molti davvero bravi, rappresentativi più o meno di tutti i generi che compongono l’universo della nostra musica preferita, qualcuno ormai realtà consolidata come i Rectified Spirit, presenti con il nuovo The Wasteland sulla mia playlist riassuntiva dei dieci migliori album dell’anno che va a terminare, altri spuntati come perle in un’ostrica, protagonisti di lavori bellissimi.
In questo fantastico, tortuoso ed affascinante viaggio incontrerete l’underground dei paesi asiatici, dall’India, al Pakistan con un assaggio della musica di gruppi dal notevole spessore qualitativo come gli Albatross ed il loro heavy metal progressivo, il death metal di Gaijin, Winterage e Third Sovereign, il brutal dei Biopsy, il thrash metal dei bravissimi Against Evil e Armament, l’originalissimo black metal dei devastanti Heathen Beast e del loro Trident, così come il black sinfonico ed epico dei Diabolus Arcanium e l’heavy metal dalle riminiscenze alternative dei pakistani Blackhour.
Ma la Transcending Obscurity non si è fermata sul confine del proprio paese, allungando i suoi artigli su ottime realtà europee, australiane e made in U.S.A, mettendo in mano una penna per la firma a band clamorose come i deathsters francesi Affliction Gate, i Paganizer della piovra Rogga Johansson, la one man band australiana The Furor ed i deathsters americani Fetid Zombie di Mark Riddick.
Insomma, qui viene esibita una buona fetta del meglio che l’underground estremo e classico mondiale ha offerto in questi mesi: una importante veduta sull’enorme lavoro che la Transcending Obscurity sta facendo per supportare al meglio un  mondo metallico sempre vivo e rigenerato da chi al metal ci crede veramente e che, con passione, dedizione e ottima professionalità, sta raggiungendo risultati clamorosi.
La raccolta come già detto è in free download, perciò niente scuse ed immergetevi in questa oceano di note metalliche, navigherete in acque agitate ed oscure, a tratti tranquille solo all’apparenza, ma assolutamente affascinanti … lunga vita alla Transcending Obscurity.

TRACKLIST
1. Deceased (US) – Graphic Repulsion (Death/Thrash Metal)
2. Paganizer (Sweden) – Souls for Sale (Death Metal)
3. Affliction Gate (France) – Devising Our Own Chains (Death Metal)
4. Abyssus (Greece) – Remnants of War (Death Metal)
5. Sathanas (US) – Satan’s Cross (Death/Thrash Metal)
6. Fetid Zombie (US) – Lure of the Occult (Death Metal)
7. Norse (Australia) – Pest (Dissonant Black Metal)
8. The Furor (Australia) – Summoned Obscurity (Black/Thrash Metal)
9. Preludium (Poland) – Sins of Mankind (Spiritual Black/Death Metal)
10. Seedna (Sweden) – Downward Spiral (Live) (Atmospheric Black Metal)
11. The Whorehouse Massacre (Canada) – A.C.S.-4 (Sludge/Doom Metal)
12. The Dead (Australia) – Disturbing the Dead (Sludge/Death Metal)
13. Drug Honkey (US) – Weight of the World (Hypnotic Doom Metal)
14. Albatross (Mumbai, India) – The Empire of Albatross (Heavy Metal)
15. Third Sovereign (India) – Devolution of Mortality (Death Metal)
16. Dormant Inferno (Mumbai, India) – Deliverance (Doom Metal) 11:02
17. Insane Prophecy (Guwahati, India) – The Nihilistic Force of Fear and Ire (Black Metal)
18. Dionysus (Pakistan) – Rain (Black/Doom Metal)
19. Gaia’s Throne (Pune, India) – Crisis (Sci-fi Heavy Metal)
20. Orion (Mumbai, India) – Oh Sweet Ebullition (Progressive Death)
21. Djinn and Miskatonic (Bangalore, India) – Book of the Fallen (Doom Metal)
22. Solar Deity (Mumbai, India) – Circling the Moon (Black Metal)
23. Multinational Corporations (Pakistan) – L.P.C. (Grindcore/Crust)
24. Fragarak (Delhi, India) – Cryptic Convulsion (Technical Death Metal)
25. Halahkuh (Pune, India) – Break the Shackles (Death/Thrash Metal)
26. Wintergate (Jaipur, India) – A Wreath of Mist (Old School Death Metal)
27. Primitiv (Mumbai, India) – World War Zero (Death Metal)
28. Against Evil (Vizag, India) – War Hero (Heavy Metal)
29. Rectified Spirit (Guwahati, India) – Winter in Thine Eyes (Progressive/Heavy Metal)
30. Armament (Kolkata, India) – Gas Chamber (Thrash Metal)
31. Eccentric Pendulum (Bangalore, India) – Resisting Another Equation (Progressive Metal)
32. Biopsy (Mumbai, India) – Fractals of Derangement (Brutal Death Metal)
33. Killibrium (Mumbai, India) – Mental Illusions (Death Metal)
34. Gaijin (Mumbai, India) – Dead Planet (Technical Death Metal)
35. Heathen Beast (India) – The Carnage of Godhra (Black Metal)
36. Diabolus Arcanium (Chennai, India) – Of Fire and Ashes (Epic Black Metal)
37. Blackhour (Pakistan) – Wind of Change (Heavy Metal)
38. Zero Gravity (Indore, India) – Screaming Agony (Death Metal)
39. Toxoid (New Delhi, India) – Demon Lust (Black Metal)
40. Wired Anxiety (New Mumbai, India) – Heavily Sedated (Brutal Death Metal)
41. Elemental (Indore) – Inhuman Purge (Death Metal)
42. Falcun (Kolkata, India) – Eye of the Storm (Heavy Metal)
43. Knight (Assam, India) – The Ventriloquist (Heavy Metal)
44. Gypsy (Kolkata, India) – The Shoemaker (Heavy Metal)
45. Sceptre (Mumbai, India) – Hate Infested (Thrash Metal)
46. Exalter (Bangladesh) – Nuclear Punishment (Thrash Metal)
47. Amorphia (Kerala, India) – Leiber Code (Thrash Metal)
48. Dirge (Pune, India) – Swamp (Doom/Sludge Metal)
49. Irritum (Pakistan) – Voice in the Night (Doom Metal)
50. The Grim Mage (Bangalore, India) – Celestial Scrimmage (Doom Metal)
51. Darkrypt (Mumbai, India) – Abstract Submission (Death Metal)
52. Strangulate (Kolkata, India) – Humanity’s End
53. Godless (Hyderabad, India) – Infest (Death Metal)
54. Homicide (Bangladesh) – Hades (Brutal Death Metal)
55. Bonefvcker (Delhi, India) – Ad Infinitum (Death Metal/Grind)
56. Violent Upheaval – Ghar Wapsi (Crush the Agenda) (Grindcore)
57. The Infernal Diatribe (Kolkata, India) – Morbid Evocation (Black Metal)
58. Necrolepsy (Bangladesh) – Engorging the Stillborn (Death Metal)
59. Tyrannizer (Mumbai, India) – Bloodstain (Death/Thrash Metal)
60. Evil Conscience (Kolkata, India) – Grim Shutdown (Death Metal)
61. Ragnhild (Pune, India) – Taven Tales (Viking/Death Metal)
62. False Flag (Pune, India) – Mediacracy (Crust/Punk/Grind)
63. Dead Exaltation (Pune, India) – Fallacy (Death Metal)
64. Eclipse (Guwahati, India) – Dreams of Midnight (Power Metal)
65. Deathscent (Jaipur, India) – Brave Enough (Death/Thrash Metal)

TRANSCENDING OBSCURITY – Facebook

Tibosity – Bimbocracia

Non un disco imprescindibile, ma sufficiente per allietare le giornate dei grindsters più morbosi.

Un tuffo nel grindcore con gli spagnoli Tibosity, dall’originale concept sull’obesità, la brutta alimentazione e tutti gli effetti collaterali che ne conseguono.

Il gruppo formato da membri di varie band della scena estrema, come Pesta Porcina, Infected Flesh e Christ Denied, ci assale con questo devastante esempio di grindcore, colmo di groove, dal growl di un maiale impazzito e dal senso stomachevole di cibo ingurgitato senza soluzione di continuità.
Niente che non sia pasto per chi di metal estremo al limite si nutre ogni giorno, una mezz’ora di schifezze accompagnate da un sound che mantiene alto il groove, senza accelerare troppo e in alcuni casi rallentando di molto per poi ripartire cercando di sfruttare al massimo le proprie potenzialità.
Qualche brano si eleva dal resto, per merito di buone ritmiche ed il basso pieno ( Keep on Dancing in a Fat World, McDonald’s Apocalypse), ma l’album rimane un’opera ad uso e consumo di un ristretto numero di appassionati.
Una decina d’anni di attività e un lavoro rilasciato nel 2011 (Sweet Home Carbonara) sono il curriculum di questa band, che non mancherà certo di soddisfare gli amanti del genere.
L’album è prodotto benissimo e la chicca finale La Maratón del Gordo, song che si allontana dal concept musicale del gruppo per regalare una tradizionale marcetta in versione metal, alza il valore dell’intero lavoro.
Non un disco imprescindibile, ma sufficiente per allietare le giornate dei grindsters più morbosi.

TRACKLIST
1. Associació de Tibosos Antivegans
2. En Karl Va al Gimnàs
3. Arre So Boche
4. Accidents Tibosos al Parc d’Atraccions
5. Bimbocracia
6. Addictes al Pàdel i a l’Isostar
7. Cercle Viciós de Bulímia i Coprofàgia
8. Runner
9. Ofegat amb Donetes Nevats
10. Infortunis Tibosos al Parc Aquàtic
11. Keep on Dancing in a Fat World
12. Lapidat al Buffet Lliure de l’Àrea de Guissona
13. Mc Donald’s Apocalypse
14. Surfin’ Llobregat
15. Menú de Tres Plats, Postre i Cafè amb Sacarina
16. La Maratón del Gordo

LINE-UP
Roger B. : Guitar
Roger S. : Vocals, Drums
Roger P. : Bass, Back Vocals

TIBOSITY – Facebook

In Memory – LaKrima

Un’opera che mette d’accordo fans dai gusti prog con chi ama i nuovi suoni dai rimandi sinfonici guidati da bellissime sirene dall’ugola d’oro.

Perso nelle note dell’ultimo, meraviglioso lavoro dei prog metal nostrani Eldritch, ecco che faccio mia l’opera dei toscani In Memory, gruppo fondato dai fratelli Ginanneschi, dove Dario è alle prese con il drumkit e Rudj, da un po’ di anni alla corte di Terence Holler e Eugene Simone, è il chitarrista.

Non una band di giovine nascita, gli In Memory sono al terzo lavoro sulla lunga distanza di una storia iniziata a cavallo del millennio, con vari cambi nella line up e due lavori, licenziati nel lontano 2003 il primo (Intoxicating Mind) e otto anni fa il secondo (Glyptic).
Era il 2007 infatti, quando la band diede alle stampe il suo secondo lavoro, otto anni che non sono passati invano visto la qualità della musica proposta, un ottimo esempio di prog metal, molto melodico e dalle sfumature gothic, non troppo accentuate ma presenti, anche per l’ottima interpretazione della vocalist Cristiana Musella che fa per un’attimo dimenticare le ormai troppe cantanti dallo stile classico per procurare brividi rock, sentiti, emozionali, ma pur sempre rock oriented.
La musica del gruppo livornese ha nel dna il prog metal, questo è sicuro, ma lo dissemina di atmosfere dark, dall’aura intimista, che non se ne va neppure nei brani più metallici, contornando la sua proposta di sfumature grigiastre, lasciando il sound in mano agli strumenti rock e relegando le tastiere ad accompagnatrici non troppo invadenti e suonate dall’ospite Gabriele Caselli (ex Eldritch, ora negli Ensight, protagonisti del bellissimo esordio Hybrid, uscito in questi giorni).
Alternando brani di prog power metal, ad altri dove la stupenda voce della singer è protagonista emozionando non poco, galleggiando su acque ferme, ma buie, Lakrima regala attimi di musica raffinata che si confronta con cavalcate metalliche dal buon impatto, suonate con l’ottima padronanza di mezzi a disposizione dei musicisti ed un songwriting maturo ed equilibrato.
La forza dell’album è proprio quella di mantenere la stessa atmosfera sia nelle parti più ruvide, sia in quelle dall’alto potenziale melodico, che non finiscono mai di regalare spunti emozionali dal buon potenziale dark/gothic: ne esce un’opera che mette d’accordo fans dai gusti prog con chi ama i nuovi suoni dai rimandi sinfonici guidati da bellissime sirene dall’ugola d’oro.
My Strenght, The Past Of Steel, la title track, Sweet Deceiver e She sono esempi di come la musica del gruppo toscano, guardi al prog( Eldritch e DGM ), come al dark/gothic di Lacuna Coil e The Gathering, rivelandosi una gradita sorpresa ed un’altra band da sottolineare nel vasto panorama metallico nazionale.

TRACKLIST
01. Buried Alive
02. Dust
03. LaKrima
04. Inexorable
05. Beautiful Doubt
06. My Strength
07. The Past Of Steel
08. Sweet Deceiver
09. Still Alive
10. I’m So Excited
11. She
12. The Jewel Of My Life

LINE-UP
Emiliano di Rosa – Bass
Dario Ginanneschi – Drums
Rudj Ginanneschi – Guitars
Cristiana Musella – Vocals

IN MEMORY – Facebook

Stonewitch – The Godless

Il quintetto si ispira alla discografia di mezzo dei Cathedral immettendo nel proprio monolitico sound iniezioni di Witchfinder General e Saint Vitus, per un vero ed ottimo tributo al doom classico.

Il successo commerciale dello stoner, fratellino del doom, ha distolto lo sguardo sulla pura musica del destino, che per circa un decennio ha avuto il suo momento di gloria con le opere di Cathedral, Solitude Aeturnus, Revelations e per via di questo il ritorno in auge di vecchie glorie come i Pentagram.

Nell’underground il lento incedere del sound sabbathiano più classico trova però terreno fertile e le sorprese per i gli amanti del genere non mancano di certo.
La Terror From Hell, etichetta specializzata nei suoni classici, ristampa in cassetta il primo demo di questa ottima band transalpina, composto da cinque brani di doom metal che riportano a l sound di quella che io considero la più grande band del genere, i Cathedral del sacerdote Lee Dorrian.
Inutile spiegare l’importanza della band britannica ed il carisma innato del proprio leader, primo vocalist  dei grindsters Napalm Death e poi cerimoniere della cattedrale, autrice di capolavori indiscussi come l’esordio Forest Of Equilibrium dell’ormai lontanissimo 1991.
Il quintetto, formato da ex membri di Acarus Sarcopt e Manzer, si ispira alla discografia di mezzo della band britannica ( The Carnival Bizarre) immettendo nel proprio monolitico sound iniezioni di Witchfinder General e Saint Vitus, per un vero ed ottimo tributo al doom classico.
Tra i brani proposti la title track e la splendida e “dorriana” Miry Green Dome Arise, nella parte centrale del lavoro, accentuano le buone impressioni suscitate dall’opener Death Seed, con riffoni che colano sangue spesso come lava, solos scolpiti nella riccia del monte Fato e la voce del singer Serge, che ricorda non poco quella ruvida e declamatoria del buon Dorrian.
Un gruppo sicuramente da seguire e ascolto consigliato agli amanti del doom; sembra che la band nel prossimo anno licenzierà il secondo demo, sempre per Terror From Hell, dunque orecchie aperte e seguiteci, noi ci saremo.

TRACKLIST
1. Death Seed
2. The Godless
3. Miry Green Dome Arise
4. Wintery Falls
5. The Godless (reprise)

LINE-UP
Joss – Bass
Cédric – Drums
Aymeric – Guitars
Romain – Guitars, Bass
Serge – Vocals

STONEWITCH – Facebook

Cemetery Fog – Towards the Gates

Musica affascinante, almeno per chi è ancora innamorato del sound catacombale dei primi anni novanta.

Un’altra ottima ristampa licenziata dalla nostrana Terror From Hell, label specializzata nei suoni estremi classici, risulta questo quarto lavoro del trio finlandese, abituato a passeggiare tra cimiteri avvolti nella spessa coltre di nebbia che raffredda le ossa e sveglia le anime dei defunti.

Il gruppo attivo dal 2012 aveva precedentemente dato alle stampe un terzetto di demo per la Iron Bonehead Productions, che si era occupata di rilasciare anche questo ep rigorosamente in vinile, ora uscito in versione cd per l’etichetta vicentina.
I Cemetery Fog sono J. Filppu,J. Väyrynen e V. Kettunen e fanno death metal dai richiami doom/dark, un genere che, nei primi anni novanta regalò pietre miliari come i primi album di Katatonia, Paradise Lost e My Dying Bride ed il loro Towards The Gates sembra in tutto per tutto un disco uscito in quel periodo.
Produzione sporca, atmosfere dark e funeree, lunghe parti di lento ed oscuro doom/death che, se non lascia granché in personalità, punta tutto sulle atmosfere, creando musica dall’elevato fascino.
Il cuore di questo lavoro sono tre brani mediamente lunghi, composti da riff lenti e mortiferi, giri pianistici melanconici e il growl sofferto, accompagnato talvolta da clean vocals che sinceramente sono il punto debole della musica del gruppo di Hamina.
Molto meglio quando il growl oscuro si erge sul lento incedere del sound e sembra davvero di perdersi in oscuri cimiteri, dove tra la nebbia, le statue tombali si ergono e richiamano angeli caduti, malinconici altari innalzati per l’altro mondo, un sofferto e drammatico passaggio dalla vita alla morte, che non lascia nessuna speranza e ci avvolge nella più tragica oscurità.
Tra le songs spicca Shadow of Her Tomb, notevole marcia verso l’oblio del purgatorio, brano che nella track list di quel capolavoro che è As The Flower Withers, primo full length della sposa morente, avrebbe fatto la sua figura.
Musica affascinante, almeno per chi è ancora innamorato del sound catacombale dei primi anni novanta, nel frattempo aspettiamo buone nuove, godendoci questo salto nel tempo.

TRACKLIST
1. Intro
2. Withered Dreams of Death
3. Embrace of the Darkness
4. Shadow of Her Tomb
5. Outro – Towards the Gates

LINE-UP
J. Filppu – Guitar, Vocals
J. Väyrynen – Guitar
V. Kettunen – Drums

CEMETERY FOG – Facebook

Ephemeral Ocean – The Efflorescence

La giovane band proveniente da Mosca licenzia un ottimo esempio di death metal dall’incedere doom, oscuro e drammatico, in linea con le produzioni di metà anni novanta, con un particolare gusto per melodie malinconiche e buone digressioni progressive.

Immaginate l’inquietudine che può suscitare la maestosa oscurità dell’oceano in una notte dove solo i lampi di una tempesta in lontananza, lasciano trasparire un poco di luce tra il buio del cielo e del mare, dove noi, nel mezzo galleggiamo, mentre l’oscurità ed il mare profondo aspettano un nostro attimo di debolezza per inghiottirci nel buio più profondo, metafora dell’animo umano, sempre più attratto dalla parte più oscura, drammatica e, molte volte malvagia.

Questo quadro inquietante può trovare la propria espressione in musica tra le note del primo full length dei death doomsters russi Ephemeral Ocean, arrivati al debutto dopo aver dato alle stampe Honour in the Mask, ep dello scorso anno.
La giovane band proveniente da Mosca licenzia un ottimo esempio di death metal dall’incedere doom, oscuro e drammatico, in linea con le produzioni, di metà anni novanta, con un particolare gusto per le melodie malinconiche e buone digressioni progressive.
L’album si sviluppa in sette movimenti dove armonie acustiche, andamenti rallentati e sfuriate estreme, sono ben congegnate ed accompagnate da un growl cavernoso ed una voce pulita all’altezza della situazione, molto espressiva e dai rimandi dark/prog.
I brani sono molto suggestivi, nel genere ben delineati e per nulla scontati, grazie ad una buona varietà di umori che pur mantenendo i colori su tonalità nere, rendono l’ascolto piacevole anche per chi non è propriamente un’anima oscura.
Si entra subito nell’aurea drammatica dell’opera con l’opener The Semblance of Eternal Mist, una death metal songs scritta su di un arcobaleno dai colori di un nero intenso che piano, si attenuano verso un grigio, come quando i lampi di luce schiariscono e ci fanno vedere le ombrose nuvole sopra di noi.
E’ un attimo, un battito di ciglia, in Inanimate Diary torniamo a galleggiare nell’immenso del mare e del cielo, la splendida voce pulita introduce il brano che di colpo vira ancora verso territori estremi, dalle ritmiche pressanti di nuovo aggrediti dal canto estremo di Dmitriy Stempkovskiy, protagonista di un’ottima interpretazione anche con le clean vocals.
Lullaby to Our Grudges risulta il brano più bello e struggente del lotto, insieme alla conclusiva No Will, quasi dieci minuti dove il gruppo russo affronta demoni, tra sfuriate estreme e armonie dark prog, con risultati davvero notevoli per teatralità, atmosfere e l’innato talento per i suoni melanconici e drammatici.
Le influenze si riscontrano nei primi lavori dei gruppi diventati icone del genere come Katatonia e Opeth, con riff e solo che richiamano i Dark Tranquillity, nelle parti più death oriented, anche se la band le inserisce in un contesto proprio, con ottima personalità, così che The Efflorescence risulti un ottimo ascolto per gli amanti del genere.
Gruppo dalle indiscutibili capacità gli Ephemereal Ocean vanno seguiti con attenzione, al prossimo giro potrebbero regalarci grosse soddisfazioni, consigliati.

TRACKLIST
1. The Semblance of Eternal Mist
2. Inanimate Diary
3. One More Carnation
4. Lullaby to Our Grudges
5. Angel That Conducted
6. Black Cobra
7. No Will

LINE-UP
Alexey Kostovitskiy – Guitars/Synths
Dmitriy Stempkovskiy – Vocals
Roman Vedeneev – Bass
Efim Burak – Drums/Percussion
Anton Garm – Guitars

EPHEMEREAL OCEAN – Facebook

Stielas Storhett – Drownwards

Drownwards vive di momenti davvero intensi come in Constant, Spyglass, la cavalcata metallica Ode To My Slaves e la conclusiva TMS, ma sono certo che, se scrivessi queste righe fra un paio di mesi citerei altri brani, altri momenti, altri attimi di questo bellissimo ed emozionante lavoro.

Che la Wormholedeath negli ultimi anni sia diventata un punto di riferimento per il metal underground, specialmente in ambito estremo è un fatto, ma non contenta riesce nella non facile impresa di scovare realtà di un certo spessore in ogni parte del mondo, a livello musicale e non solo.

Mai un gruppo o un album che non abbia una elevata maturità, anche concettuale e atmosferica, lasciando in noi l’impressione di valutare molto attentamente tutti gli aspetti di un’artista e non solo la bravura strumentale o l’appeal che il lavoro svolto può avere sugli appassionati.
Premessa dovuta e complimenti fatti per il nuovo acquisto dell’etichetta nostrana, la one man band proveniente dalla Russia Stielas Storhett, creatura oscura e drammatica del polistrumentista Damien T.G, fresco di firma per la label italiana.
Certamente non un novellino, il musicista russo arriva così al terzo full length, di una carriera solista iniziata circa una decina d’anni fa con il primo album, Vandrer… e proseguita con Expulsè del 2011, con in mezzo un paio di spilt e un mini cd.
Veniamo a Dronwards, nuova opera che alternando black metal, atmosfere dark ed un tocco progressivo dal taglio moderno, riempie le orecchie di ottima musica colma di atmosfere drammatiche, intimiste, a tratti rabbiose come sa essere il black metal, contornandolo da un’aura di eleganza, anche quando la forza d’urto del metal estremo si fa pressante, regalandoci bellissimi momenti dove le note che galleggiano nelle acque tranquille del post metal dai contorni darkeggianti riescono a tenere comunque alta la tensione, che esplode come un vulcano nelle tragiche cavalcate metalliche.
Ottimo il lavoro sulle voci, che si alternano e riempono di varie sfumature i passaggi di quest’opera oscura, d’impatto lo scream, stupenda e molto personale la voce pulita.
Un album da far vostro con la dovuta calma, la musica di Damien T.G non nasconde assolutamente le proprie influenze, girando intorno a chi, del genere è stato maestro indiscusso (primi Opeth e Katatonia), ma interpretando il tutto con molta personalità e quel quid moderno nel sound, che ottiene i maggiori consensi da parte del sottoscritto.
Un sali e scendi di colori e sfumature che hanno il nero come base per il proprio quadro musicale, tenendo sempre per le briglie la parte estrema, non ammorbidita ma resa ancora più tragica dalle parti melodiche e quando una voce femminile, entra nel cuore di songs come la notevole Null (The Last Journey), le emozioni diventano tangibili, travolgendoci di drammatica passionalità.
Prodotto benissimo, Drownwards, vive di momenti davvero intensi come in Constant, Spyglass, la cavalcata metallica Ode To My Slaves e la conclusiva TMS, ma sono certo che, se scrivessi queste righe fra un paio di mesi citerei altri brani, altri momenti, altri attimi di questo bellissimo ed emozionante lavoro, fatelo vostro.

TRACKLIST
1) Gasp For Change
2) Playfields Of Gods
3) Null (The Last Journey)
4) Just Walking Around
5) Constant
6) Spyglass
7) Backdoor Mate
8) Ode To My Slaves
9) Omnivores
10) Tms

LINE-UP
Damien T.G. – Everything

STIELAS STORHETT – Facebook

Degial – Savage Mutiny

Non un disco imperdibile, ma un buon esempio di come la scena underground continui a sfornare nel metal estremo lavori che guardano con assoluta devozione ai maestri, magari senza troppa personalità, ma con abbondante attitudine ed impatto.

I Degial of Embos, attivi dal 2004 al 2006 nella scena estrema svedese e autori di due demo si sciolsero per ritornare come Degial lo stesso anno e da qui ripartire per portare nel mondo il verbo del death metal old school, contaminato da iniezioni di blasfemia black in un delirio di musica oscura e cattiva.

L’esordio in formato ep arrivò nel 2010 seguito dal primo full length, Death’s Striking Wings nel 2012.
Sono passati tre anni e la band nell’anno di Satana 2015, tornano tramite Sepulchral Voice Records con questo oscuro Savage Mutiny, un concentrato di death/black dissacrante e blasfemo.
Growl cartavetrato proveniente direttamente da qualche catacomba, ritmiche che variano dal classico thrash alla primi Slayer, al black dei connazionali Dissection, fanno da avvisaglia per la proposta del gruppo che guarda al sound di matrice old school, senza compromessi, in uno tsunami di atmosfere infernali, con la morte e la blasfemia come uniche compagne nel metal primordiale della band.
Nessuna concessione ad orpelli inutili, si parte in quarta e non ci si ferma più, in questa mezzora abbondante di suoni provenienti da più parti del mondo musicale estremo.
Morbid Angel, un po’ di death scandinavo e tanto death/thrash anni ottanta, fanno da cornice a questo altare al maligno, grezzo, ruvido e tremendamente ignorante, ma che a tratti sprigiona una violenza riscontrabile solo negli act più efferati della nostra musica preferita.
Aiutati da un paio di personaggi della scena estrema come Set Teitan (Dissection, Watain), Pelle Åhman (In Solitude / Invidious) e lasciate in mano a Gottfrid Åhman (In Solitude / Invidious / Degial) registrazione e mixing del disco, la band risulta un concentrato di torture estreme in musica, dove come strumenti di dolore vengono usati brani devastanti come Uncoiling Chaos, Revenants e Sanguine Thirst, tracce migliori di questo lavoro.
Non un disco imperdibile, ma un buon esempio di come la scena underground continui a sfornare nel metal estremo lavori che guardano con assoluta devozione ai maestri, magari senza troppa personalità, ma con abbondante attitudine ed impatto.

TRACKLIST
1. Doomgape
2. Savage Mutiny
3. Uncoiling Chaos
4. Deathsiege
5. Pallor
6. Revenants
7. Sanguine Thirst
8. Transgression

LINE-UP
Hampus Eriksson – Guitars, Vocals
Rickard Höggren – Guitars
P.J – Bass
Emil Svensson – Drums

DEGIAL – Facebook

Inhuman – Conquerors of the New World

Un album difficile, forse apprezzabile solo da chi stravede senza riserve per il death metal più tecnico

Il death metal è di per se un genere difficilissimo da suonare, magari agli ascoltatori superficiali le note estreme di cui è composto possono sembrare un’accozzaglia di suoni, ma il feeling e la bravura strumentale devono obbligatoriamente camminare a fianco di attitudine ed impatto, per far sì che una band abbia quel qualcosa in più.

Se poi si scende nell’ala tecnica del genere, la linea che passa tra un’opera straordinaria ed un clamoroso flop è sottilissima.
Gli Inhuman provengono dal Costa Rica, si sono formati quattro anni fa e sono al secondo lavoro, successore del debutto Course of Human Destruction, uscito nel 2013.
Il loro sound si può sicuramente considerare un esempio di technical death metal, a suo modo devastante e strabordante di cambi di tempo, forse troppi.
Molto bravi i musicisti, su questo non ci piove, ma purtroppo in molti di questi brani, manca la forma canzone, elemento importantissimo anche per un genere estremo come il death.
Possiamo sicuramente dire che il troppo stroppia, anche se non tutto è da buttare, le idee ci sono, ma sono esposte in modo confusionario, almeno in gran parte delle tracce che compongono Conquerors of the New World.
Buono e d’impatto il growl del vocalist Sergio Munoz e tecnicamente sufficiente il lavoro della sezione ritmica (Carlos Venegas al basso e Eduardo “Tato” Chavez alle pelli), mentre la chitarra inciampa in una produzione che non le dà il giusto spazio, relegandola a poco più di un soffio nella tempesta di suoni creato dal gruppo.
Si salvano gli ultimi due brani, The Chalice, e la lunghissima Stabbed to Death, che in virtù di un songwriting più ragionato, alzano la media della musica proposta dal gruppo costaricano.
Un album difficile, forse apprezzabile solo da chi stravede senza riserve per il death metal più tecnico.

TRACKLIST
1. Conquerors of the New World
2. Soulless Dead Eyes
3. Hold Your Crucifix
4. Extermination by Depopulation
5. Feed on Human Flesh
6. America Rises
7. The Chalice
8. Stabbed to Death

LINE-UP
Sergio Munoz – Vocals
Jonathan Sanchez – Guitar
Carlos Venegas – Bass
Eduardo “Tato” Chavez – Drums

INHUMAN – Facebook

Lucid Recess – Alive And Aware

Siamo in territori cari al moderno rock alternativo, mantenendo però un mood progressivo, come capita in molte delle band uscite negli ultimi tempi e che prendono spunto dalle opere di Tool e dei gruppi alternative più maturi

L’India non è solo paese di metal estremo o classico, ma nell’underground, vivono e si generano realtà musicali che si dedicano ad ogni genere di cui si può vantare il metal/rock e infatti ecco che, a portare alta la bandiera dell’alternative ci pensano i bravissimi Lucid Recess, band di Guwahati al secondo lavoro, che segue il debutto Engraved Invitation di cinque anni fa.

Il trio è composto dai fratelli Barooa, Amitabh voce e basso e Siddharth alla sei corde e responsabile di registrazione, mixaggio e masterizzazione di questo Alive And Aware.
Completa la line up il batterista Partha Boro,per una band che risulta un’autentica sorpresa, dall’alto di un songwriting ispirato e maturo, dal sound che mantiene per tutta la sua durata un approccio molto intimista ed elegante, non mancando di elettrizzare con buone sfuriate che si avvicina al metal.
Siamo in territori cari al moderno rock alternativo, mantenendo però un mood progressivo, come capita in molte delle band uscite negli ultimi tempi e che prendono spunto dalle opere di Tool e dei gruppi alternative più maturi (gli indimenticabili Creed, per esempio, o gli A Perfect Circle) creando musica che, con calma e il dovuto tempo per essere assimilata, lascia la piacevole sensazione di essere al cospetto di un gruppo di buon spessore.
Si può scrivere di tutto su questo lavoro, ma è indiscutibile la voglia dei Lucid Recess di uscire da spartiti banali, per un approccio intellettuale alla materia, i brani, anche nei momenti leggermente più metallici, mantengono quel quid di progressiva eleganza che affascina, accompagnati dall’interpretazione al microfono di Amitabh molto sentita, senza strafare, ma artisticamente perfetta.
Gli strumenti in mano ai musicisti indiani, si trasformano nelle calde voci di sirene ammaliatrici e veniamo così ipnotizzati per un’oretta di musica sognante, sempre in bilico tra l’urgenza del rock alternativo e le atmosfere dilatate del rock progressivo, in un viaggio musicale dove non mancano le sorprese, senza però uscire dai binari del genere suonato.
Non mancherà di piacere questo lavoro ai rockers moderni, magari lascerà qualcosa indietro per i fans del classico prog, ancorati allo scoglio che li lega a vecchi dinosauri settantiani, ma brani come The Clock That Is Us, Metamorphosis, Island e la conclusiva suite Sphere of Nothingness, dimostrano come il gruppo, riesce nell’intento di rispecchiare il rock moderno, staccato da cordoni ombelicali ormai obsoleti, creando musica non solo suonata bene, ma che emoziona … provateli, meritano.

TRACKLIST
1. Dead Deep End
2. The Clock That Is Us
3. Wireless Junkies
4. Madness
5. Metamorphosis
6. You May Have Everything
7. Time Walk
8. What Made This Burn
9. Island
10. Changes Are Sold
11. Sphere of Nothingness

LINE-UP
Amitabh Barooa – Vocals, Bass
Siddharth Barooa – Guitars, Backing Vocals
Partha Boro – Drums, Percussion

LUCID RECESS – Facebook

Tarot – The Warrior’s Spell

Un disco per chi ha ancora nelle orecchie il rock duro vecchia scuola, una stupefacente macchina del tempo che porta indietro negli anni fino ai primi settanta, per risalire di un po’ ma senza superare i primi anni del decennio successivo.

The Warrior’s Spell è una compilation che riassume, in quasi settanta minuti di musica, il credo del musicista australiano, conosciuto come The Hermit, che in questa mastodontica opera di hard rock d’ispirazione purpleiana, raccoglie i suoi tre mini cd usciti finora per la Heavy Chains Records.

Non solo profondo porpora, ma Rainbow ed Uriah Heep, sono le fonti primarie da cui il musicista si abbevera, costruendo su di loro un sound totalmente devoto alla causa del rock dal sapore vintage.
Un disco per chi ha ancora nelle orecchie il rock duro vecchia scuola, una stupefacente macchina del tempo che porta indietro negli anni fino ai primi settanta, per risalire di un po’ ma senza superare i primi anni del decennio successivo.
Produzione ad hoc per non scendere a compromessi e via tuffandosi in questo trip temporale che vi porterà tra i solchi di In Rock o Salisbury, Machine Head o Rising, imprigionati in questa gabbia di suoni che anche le band citate non suonano più da anni.
Rimane l’alto fascino che una proposta del genere suscita, almeno in chi queste avventure musicali le ha più o meno vissute e con un po di nostagia ritrova quei suoni che poi sono i colpevoli dell’amore incondizionato per la musica dura e tutto il rock in generale.
Certo è che il polistrumentista australiano ci sa fare, ed i brani sono molto belli e non si fatica ad arrivare in fondo alla tracklist, seguendo percorsi musicali che se non portano a camminare sulla Starway To Heaven, seguono arcobaleni di Blackmoriana memoria, in un susseguirsi di suoni capitanati da tasti d’avorio lordiani e perle che da Very’eavy Very’umble, primo straordinario lavoro degli Uriah Heep, prendono linfa vitale.
Non manca una certa vena psichedelica, che rende le songs una bellissima colonna sonora per tirare fuori dal vecchio sacchetto in pelle, cartine ed un po di quella vecchia erba rinsecchita, ormai dimenticata, ma compagna di lunghe serate in compagnia di questi suoni, vecchi amici ed ispiratori di una ribellione intima che non muore neanche dopo tanto tempo, risvegliata dalle note di Eyes In The Sky, Leaving This Place, Life And Death, inni ad un’era passata e da molti dimenticata.
Un’opera che aldilà del valore musicale è un tributo ad uno dei periodi più fruttosi a livello qualitativo della storia del rock, ascoltatelo.

TRACKLIST
1. The Watcher’s Dream
2. Twilight Fortress
3. The Wasp
4. Eyes in the Sky
5. The Warrior’s Spell
6. Street Lamps Calling
7. Leaving This Place
8. Mystic Cavern
9. Dying Daze
10. Life and Death
11. Sound the Horn
12. Vagrant Hunter
13.Take A Look Around
14. Leaving This Place

LINE-UP
The Hermit Vocals, Guitars, Organ, Keyboards

Instigator – Bad Future

La prova sulla lunga distanza potrebbe essere un passo più deciso, per ora questo 7′ rimane ad esclusiva dei soli fans del metal old school e delle band da cui gli Instigator traggono ispirazione.

Si aprono le porte dell’inferno e dalle viscere del girone più lontano e buio spuntano gli Instigator, autori di questi quattro brani licenziati, appunto, dalla Gates Of Hell records in edizione limitata in vinile.

La band svedese autrice di un solo demo nell’ormai lontano 2010, ci scaraventa nel suo mondo, tra horror e sci-fi, ed il 7′ in questione, dall’assoluto impatto old school, lascia intravedere buone potenzialità, anche se la produzione è un po troppo vintage.
Old school senza compromessi, un heavy metal dai tratti speed tra voci cartavetrate, falsetti che richiamano il re diamante e tutto il metal horror/satanico direttamente dagli anni ottanta.
Il gruppo sa creare atmosfere soffocanti e i brani, dall’opener Anabolic, sono circondati da un’aurea diabolica e blasfema che a tratti risulta suggestiva, manca però un riff che entri in testa, una linea melodica che faccia alzare l’orecchio, specialmente nelle prime due songs, la già citata Anabolic e Inseminoid.
Le cose migliorano con la seconda parte, che vede il gruppo alle prese con Black Magic e Undetectable, la prima vede un metal veloce, alla primi Slayer/Venom, con uno stacco a metà brano ed una voce teatrale dal buon effetto, che da varietà alla song, mentre la seconda è il classico brano tra Venom e new wave of british heavy metal, questa volta con un ottimo riff portante e dal mood che torna su argomenti fanta/horror.
Dopo cinque anni dal primo demo, direi che la band non ha lasciato intravedere grossi passi avanti, le influenze sono tutte nell’old school di matrice ottantiana, anche se qualche spunto lascia intravedere buone discrete potenzialità.
La prova sulla lunga distanza potrebbe essere un passo più deciso, per ora questo 7′ rimane ad esclusiva dei soli fans del metal old school e delle band da cui gli Instigator traggono ispirazione.

TRACKLIST
Side A
1. Anabolic
2. Inseminoid
Side B
3. Black Magic
4. Undetectable

LINE-UP
Persecutioner – Bass
Transgressor – Drums
D. Retaliator – Guitars
D. Slaughter – Guitars
Hiroshima – Vocals

GATES OF HELL – Facebook

Desecresy – Stoic Death

Album estremo per intensità e atmosfere, Stoic Death risulta un lavoro davvero ben fatto e sicuramente il punto più alto della discografia del gruppo finlandese, meritando molto di più che un distratto ascolto

Torna il duo finlandese composto dal polistrumentista Tommi Grönqvist e dal vocalist Jarno Nurmi, che sotto il monicker Desecresy continuano imperterriti il loro lento discendere nell’abisso del metal estremo, con questo Stoic Death, successore del buon Chasmic Transcendence, uscito lo scorso anno e di cui Iyezine vi aveva illustrato le caratteristiche.

Un bel passo avanti risulta il nuovo lavoro per la band di Helsinki, Stoic Death licenziato anch’esso per l’arcigna Xtreem (un monumento per il death metal underground), accentua le virtù del precedente lavoro, lima qualche difetto e si accinge a conquistare nuovi fans, risultando un muro sonoro niente male, vorticoso e soffocante il giusto per mantenere inalterata la buona dose di forza bruta tra death metal e doom.
Sempre brutale e senza compromessi il growl di Nurmi e di sicuro effetto i suoni della sei corde, che creano un mulinello pericolosissimo di suoni lancinanti, molto scandinavi come nella tradizione del death nord europeo dei primi anni novanta.
Ancora più estremo nei rallentamenti di stampo doom/death che, come nell’album precedente, ricordano a grandi linee gli Asphyx, in generale il mood del disco non si discosta dalla musica creata fin qui dai Desescresy, ma il tutto risulta più convincente e ben congegnato.
Come una lunga suite estrema i brani si succedono, oscuri e pressanti, regalando momenti di soffocante e diabolico death metal, riff che si ripetono e sfiancano come in un rituale oscuro, dove la forza metallica, viene accompagnata dalla inesauribile e monolitica potenza lavica della musica del destino, in un sabba nero come la pece e labirintico, traumatico e doloroso.
Remedies of Wolf’s Bane da il via alla lunga passeggiata verso la morte e la band va subito all’attacco, risultando uno dei brani più veloci del disco, l’inizio della seguente The Work of Anakites continua a martellare, fino a metà brano dove una parte lentissima, smorza non di poco la velocità e da qui in poi si entra nel mondo di questo Stoic Death.
Riff che arrivano direttamente da un altro mondo, frenate che lasciano sulla strada note bruciate da bruschi rallentamenti, e chitarre torturate all’inverosimile, creano labirinti dove non esiste altro modo che perdersi e sono parte importante di tracce ipnotiche come Passage to Terminus, Sanguine Visions e Cantillate in Ages Agone.
Album estremo per intensità e atmosfere, Stoic Death risulta un lavoro davvero ben fatto e sicuramente il punto più alto della discografia del gruppo finlandese, meritando molto di più che un distratto ascolto, consigliato.

TRACKLIST
1. Remedies of Wolf’s Bane
2. The Work of Anakites
3. Passage to Terminus
4. Abolition of Mind
5. Sanguine Visions
6. Funeral Odyssey
7. Cantillate in Ages Agone
8. Unantropomorph

LINE-UP
Jarno Nurmi – Vocals
Tommi Grönqvist – Guitars, Bass, Drums

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