Con il nuovo ed intenso “Chapters”, gli Other Eyes Wise si propongono come una delle voci fuori dal coro del panorama alternativo moderno, amalgamando con personalità metal e progressive, alternative e core.
Questa volta i ragazzi della WormHoleDeath mi hanno messo in seria difficoltà: come inquadrare un album come Chapters?
Gli Other Eyes Wise sono una band londinese che con il debutto “Zer(o)” dello scorso anno, uscito per l’etichetta nostrana, avevano messo in mostra buone potenzialità.
Il disco, recensito su queste pagine, era piaciuto per l’ottimo approccio al metal moderno, per niente leccato, spogliato da tentazioni commerciali e colmo di digressioni provenienti da svariati generi musicali, inglobati in un unico caleidoscopio di suoni, drammatici e dalla tensione altissima, sopratutto nelle parti in cui le sfuriate metalliche lasciavano spazio a momenti di musica intimista e dall’animo rabbuiato da una melanconia rabbiosa.
Ecco che, nel nuovo album, si amplificano le qualità del gruppo: il secondo capitolo è un lavoro maturo, intenso, che non lascia spazio a nessuna tentazione commerciale, ma spinge proprio sulle atmosfere.
Le melodie, mai banali, mantengono una drammaticità di fondo che tocca l’anima e solo in pochi frangenti si aprono per far entrare un poco di luce nel sound del gruppo, con arpeggi leggermente più ariosi e la voce che si rilassa (Define The Outside).
Sono attimi di speranza, un po’ di quiete interiore della musica della band che, diciamolo, è supportata da una tecnica che aiuta ad inglobare nel sound di Chaptersritmiche di intricata musica progressiva, presa per il colletto da rabbiose parti che si avvicinano a sonorità core, moderne ma adulte, senza concedere una nota al genere amato dai ragazzini cool, in giro per le rockteche di mezzo mondo. Chaptersè un album difficile e, come tutte le opere di questa levatura, va fatto proprio cercando di carpirne messaggi e segreti, con calma e la dovuta attenzione, lasciandosi rapire da una serie di brani che portano dove l’ascoltatore deciderà di iniziare la sua avventura musicale, tra note e passaggi mai scontati, watts che irrompono violenti su basi ritmiche che definire intricate è un eufemismo.
Lasciando solo a Broken Path, primo brano dell’album che segue l’intro, una più facile assimilazione, gli Other Eyes Wise sfoderano più di un’ora di musica animata da uno spirito di rabbiosa e malinconica musica rock, ben inserita in questi tempi di mordi e fuggi, ma assolutamente incompatibile con ascolti distratti, troppo intricata la ragnatela di generi ed atmosfere cucita dal gruppo londinese: senza inventare nulla, i nostri si propongono come una delle voci fuori dal coro del panorama alternativo moderno, amalgamando con personalità metal e progressive, alternative e core, per un risultato intenso e originale.
Tracklist:
1.Intro
2.Broken Path
3.The Inevitable
4.Walls
5.Hidden Strenght
6.Define The Outside
7.What Is Difference
8.The Obstruction
9.E.C.
10.Again The End
11.Fjords
12.Live
Buon Ep per la band californiana che si rivela una bella sorpresa ed un ottimo ascolto per gli amanti dei gruppi che fecero fuoco e fiamme negli anni ’80
Los Angeles, California: tra le sfuriate estreme, il metalcore imperante e l’alternative rock, che in America è pane per adolescenti, c’è chi continua a portare alta e fiera la bandiera del metal ottantiano, tra glam, street e metal teatrale, infarcito di richiami alle band leggendarie del metal statunitense come Wasp e Lizzy Borden, senza dimenticare chi questo genere lo ha inventato, Alice Cooper, sempre troppo poco osannato per quello che poi, nella sua lunga carriera, ha regalato alla nostra musica preferita.
Questo ottimo Ep omonimo porta la firma dei Salems Lott, band nata nel 2013 ad Hollywood: quattro musicisti dal look variopinto, tra glam e horror/punk, che fregandosene delle mode si gettano nel calderone della scena metal della città degli angeli con il loro Visible Sonic Shock, molto teatrale in sede live ma comunque ottimo anche musicalmente.
Tutto il mondo Salems Lott gira intorno al cantante e chitarrista Monroe Black, dall’approccio aggressivo al microfono (la sua voce a tratti rimanda al thrash) e bravissimo con la sei corde, che spettacolarizza brani, dall’ottimo impatto, aiutato dall’altro bravissimo axeman Jett e aggiungendo alle influenze descritte ritmiche veloci, a tratti furiose, dove la voce al vetriolo avvicina non poco la band allo speed/thrash.
Tra riff esplosivi, solos da guitar hero, melodie ben inserite in un contesto che mantiene sempre altissima la tensione, l’assalto metallico del gruppo rimane per tutta la durata dell’album di ottima fattura; Wings Of Duress e No Choice To Love, danno il benvenuto nel mondo dei Salems Lott, anche se Smoke And Mirrors fa balzare sulla sedia: le velocità aumenta, l’anthem richiama generi più estremi e le due chitarre piazzano assoli taglienti come una lama alla gola.
Si torna a rocckare tra lustrini e pailettes con Black Magic, anche se sempre in un contesto oscuro, per arrivare alla canzone più smaccatamente thrash del lotto, S.S. (Sonic Shock), che aggredisce alla grande, mettendo in luce la sezione ritmica indiavolata composta da Kay al basso e Tony F. Corpse alle pelli.
Buon Ep per la band californiana che si rivela una bella sorpresa ed un ottimo ascolto per gli amanti dei gruppi che fecero fuoco e fiamme negli anni ’80: il sottoscritto consiglia l’ascolto anche ai thrashers di larghe vedute, che troveranno di che crogiolarsi tra le tracce di Salems Lott.
Tracklist:
1. Wings of Duress
2. No Choice to Love
3. Smoke and Mirrors
4. Atlas
5. Black Magic
6. S.S. (Sonic Shock)
7. Twilight Traverse
Line-up:
Monroe Black – Lead Vocals, Lead Guitar
Jett – Lead Guitar, Vocals
Kay – Lead Bass, Vocals
Tony F. Corpse – Drums
Chapter Iv è il quarto bellissimo lavoro dei romani Graal, uno splendido viaggio tra hard rock, progressive e metal.
Questo bellissimo album è la risposta perfetta a chiunque mi dovesse chiedere quali siano le origini della mia smisurata passione per la musica rock/metal: più di trentacinque anni di una fiamma che dentro di me continua ad ardere, a dispetto delle primavere che passano inesorabili e dei mille problemi che la vita porta con sé.
Lo dico da sempre, le persone che hanno la fortuna di innamorarsi della sublime arte non saranno mai sole e hanno qualcosa in più, se poi questa meravigliosa dipendenza li porta a confrontarsi con svariati generi ancora meglio, perché riusciranno ad assaporare e fare proprie le virtù insite in ogni stile musicale.
E’ così che, passate più di tre decadi a confrontarmi con tutti i generi che l’hard rock e l’heavy metal hanno regalato, davanti ad un lavoro come Chapter IV dei romani Graal è come tornare tra le braccia di una vecchia amante mai dimenticata, passionale, calda e bellissima musa ispiratrice di sogni ora romantici, ora carnali ma tremendamente autentici.
La band romana, al quarto album, festeggia dieci anni di uscite discografiche avendo licenziato il primo lavoro “Realm Of Fantasy” nel 2005, seguito da “Tales Untold” del 2007 e “Legends Never Die” del 2011.
Maturità compositiva ed assoluta padronanza del genere suonato arrivano, con quest’opera, al massimo del loro splendore e ci offrono uno spaccato di musica che miscela metal, hard rock e progressive a cavallo tra ‘70-‘80, trasportandolo nel nuovo millennio per lasciarlo finalmente libero di regalare emozioni mai sopite , tra fughe tastieristiche, chitarroni heavy, ricami folk ed una vena prog entusiasmante.
Cori perfettamente inseriti in canzoni di estrema eleganza, riff e assoli elettrici di scuola heavy britannica, tasti d’avorio che fanno il bello e cattivo tempo, come negli anni in cui spadroneggiavano signori delle keys come Jon Lord e Rick Wakeman, e gustosi inserti folk, sono il ripieno di questi undici confetti musicali che non tralasciano una vena epica e fiera tipica di cavalieri e custodi del Santo Graal.
Un Graal che forse non è una coppa come tutti credono, ma uno spartito dove racchiuse ci sono le note di brani fuori dal tempo come Pick Up All The Faults, Revenge, l’accoppiata capolavoro The Day That Never Ended / Stronger, riassunto compositivo della band dove troverete tracce di Rainbow, Uriah Heep, Yes, con qualche richiamo al blues del serpente bianco era Lord ed un’attitudine heavy sempre presente e mai doma.
L’album continua il suo viaggio tra emozioni e brividi e si arriva così alla celestiale Goodbye, altra canzone capolavoro, dove a fare capolino sono i Genesis di Peter Gabriel, sempre con un taglio da ballad metal ma marchiata a fuoco dalla discografia settantiana della band inglese.
Viviamo in tempi in cui, purtroppo, anche la musica risente della vita frenetica che la società moderna ci impone, sempre alla ricerca del nostro Graal, che poi altro non è che una pace interiore, un attimo per concederci qualcosa che aiuti a sognare: io l’ho trovato, il suo nome è Chapter IV.
Tracklist:
1.Little Song
2.Pick Up All The Faults
3.Shadowplay
4.Revenge
5.The Day That Never Ended
6.Stronger
7.Guardian Devil
8.Lesser Man
9.Last Hold
10.Goodbye
11.A Poetry For A Silent Man
12.Northern Cliff
Line-up:
Andrea Ciccomartino – Voce, Chitarra Rtimca e Acustica
Francesco Zagarese – Chitarra Solista
Michele Raspanti – Basso
Danilo Petrelli – Tastiere
Alex Giuliani – Batteria
Riedizione a cura della Underground Symphony del bellissimo album per Sebastiano Conti,che, con il monicker Bastian, raccoglie una manciata di stelle del metal mondiale per regalrci un lavoro sulla scia di Black Sabbath,Dio e Rainbow.
Lo scorso anno uscì, autoprodotto, questo bellissimo lavoro di metal classico e hard rock ottantiano ad opera del chitarrista siciliano Sebastiano Conti che, con il monicker Bastian, riunì un manipolo di stelle come vocalist del calibro di Mark Boals e Michael Vescera, entrambi ex Malmsteen, e batteristi di pari fama quali Vinnie Appice (Black Sabbath e Dio), John Macaluso (Riot, James Labrie, Malmsteen, TNT) e Thomas Lang (Paul Gilbert, Glenn Hughes).
Impreziosito dalla chitarra e dal talento compositivo del musicista nostrano, Among My Giantsesplodeva in tutto il suo splendore, una splendida opera che riproponeva i fasti dell’hard rock di metà anni ’80: un tributo al metal più nobile, di cui fu il cordone ombelicale e che portò la nostra musica preferita a viaggiare tra i decenni successivi fino ai giorni nostri.
Un sogno per Sebastiano che si realizzò, circondandosi di musicisti leggendari di cui lui è stato ed è un fan, unendoli sotto il programmatico titolo Among My Giants: un lavoro mastodontico, nel quale Conti si prese cura di tutti i dettagli, regalando ai fortunati ascoltatori più di un’ora di musica immortale.
Purtroppo, senza il concreto supporto di una label alle spalle, l’album rischiava di passare inosservato, annegato nel mare di uscite che ogni giorno si affacciano sul mercato discografico, poco incline alla qualità e molto affascinato dai generi più cool.
Finalmente qualcuno che non sia una piccola ‘zine come la nostra si è accorto di quest’opera: la Underground Symphony, storica label nostrana, ha messo nelle mani di Sebastiano una penna per la firma sul contratto ed è così che Among My Giants esce completamente rinnovato nella sua veste grafica, ma soprattutto lo si potrà trovare in qualsiasi negozio di musica, in modo che chiunque possa avere la possibilità di far suo questo splendido lavoro.
Si potranno assaporare quindi le atmosfere dell’opener Odissey, in pieno stile Black Sabbath era Tony Martin, la fantastica performance del chitarrista su brani come Hamunaptra, Magic Rhyme e Mother Earth, il blues rock di Justify Blues, jam strumentale in compagnia di Giuseppe Leggio alle pelli e Corrado Giardina al basso, le atmosfere cangianti che passano dal metallo epico di Rainbow/Dio, ai ritmi più stradaioli di Sexy Fire e che rendono il lavoro molto vario, toccando vette emozionali altissime nelle due ballad The Fisherman e An Angel Named Jason Becker, dedicata al chitarrista americano.
Un lavoro enorme, un sogno che si è realizzato per il musicista nostrano e che vede i propri sforzi ulteriormente premiati da un contratto e dal vedere la propria opera finalmente a disposizione di tutti gli amanti di queste sonorità.
Non avete più scuse, fate vostro questo album ed anche voi vi troverete “tra i giganti”.
Tracklist:
1.Odyssey
2.Mother Earth
3.Hamunaptra
4.Tamburine Song
5.Secret and Desire
6.Sexy Fire
7.Lights and Shadows
8.Justify Blues
9.Magic Rhyme
10.The Beach
11.The Fisherman
12.Song of the Dream
13.Soul Hunters
14.An Angel Named Jason Becker
Line-up:
Sebastiano Conti – Guitars
Guests:
Michael Vescera – Vocals
Mark Boals – Vocals
Vinnie Appice – Drums
Thomas Lang – Drums
John Macaluso – Drums
Giuseppe Leggio – Drums
Corrado Giardina – Bass
Ad un anno esatto dal bellissimo esordio,i Temperance sono tornati a deliziare con l’altrettanto stupefacente “Limitless”: ne abbiamo nuovamente parlato con il chitarrista e cantante Marco Pastorino.
Ad un anno esatto dal bellissimo esordio, i Temperance sono tornati a deliziare con l’altrettanto stupefacente Limitless.
Dopo averli visti dal vivo all’Angelo Azzurro di Genova, abbiamo posto qualche domanda a Marco Pastorino, come sempre gentilissimo e disponibile: la parola al talentuoso musicista.
iye Ciao Marco, è passato un anno dall’ultima intervista con cui ci presentavi la tua nuova band, fresca del bellissimo esordio, ed eccoci oggi a parlare del nuovo lavoro; in effetti siete stati velocissimi nel dare un successore al vostro album omonimo: una scelta pianificata oppure la volontà di sfruttare un momento di particolare ispirazione ?
Ciao ! E’ un piacere ritrovarci qui dopo un anno esatto. Nessuna pianificazione, non siamo mai stati bravi ma anche interessati a costruire un prodotto a tavolino. Invece ti dirò che dopo essere rientrati dal minitour in America, siamo tutti tornati in patria con una gran voglia di fare, spronati proprio da quel viaggio; così mi sono trovato con Giulio per vedere qualche idea che avevamo abbozzato proprio in quei giorni. Da lì il discorso secondo album ha preso vita velocissimamente; in pochi giorni avevamo in mano quasi metà lavoro completo e da lì le idee hanno continuato a scorrere. Qui mi fermo per sottolineare che in Limitlesssono contenute ben 13 canzoni, un po’ tante a mio parere, ma ci sentivamo in dovere di dare tutto quello che avevamo, personalmente anche una maniera carina per ringraziare chi nel 2014 ci ha seguito e ci ha permesso di suonare molto. Mettendomi nei panni di chi compra un disco, io sarei entusiasta all’idea di avere un nuovo album di Nightwish, Edguy o quant’altri, con un numero alto di ottime composizioni. Naturalmente il fatto che siano buone le nostre, non sta a me giudicarlo, ah ah
iye “Limitless” mi ha sorpreso per la qualità altissima del songwriting e per una maggiore componente elettronica, che gli fa prendere ancor più le distanze dal classico symphonicpower, ancora presente nel primo album specialmente in brani come “The Fourth Seasons” e “Lotus”.
Come il titolo fa intendere, non ci siamo posti limiti, andando anche oltre al concetto di symphonic, electronic, teutonic e cosi via ah ah. Abbiamo cercato di scrivere canzoni che ci coinvolgessero totalmente; che siano più o meno verso un tipo di sound è dovuto solo alla richiesta che la canzone stessa chiedeva. Per esempio Oblivion è un brano che io vedo come un mix tra parti più symphonic, grazie alla voce di Chiara nel chorus, il finale col solo molto melodico, mescolato a parti di voce tipicamente pop ma anche ad una delle parti di chitarra più violente dell’intero disco. Abbiamo davvero voluto dare spazio a tutto quello che ogni singola parte di canzone richiedeva, senza forzarci all’inserimento di una determinata cosa.
iye “Limitless” doma la sua parte estrema lasciandola sfogare piano piano ed uscendo prepotente dalla metà della scaletta in poi, quasi voleste preparare l’ascoltatore alla vostra furia, giocando tra bellissime melodie, un appeal irresistibile e tanto metal elegante: sei d’accordo?
La verità credo stia nel mezzo; abbiamo voluto iniziare l’album con un brano totalmente nuovo per il sound del primo album, ma allo stesso tempo, abbiamo deciso di chiudere Limitlesscon un brano, la titletrack stessa, che potesse aprirci le porte verso il futuro. In quel brano ci vedo moltissime cose che non abbiamo mai inserito prima; il finale apocalittico , che strizza l’occhio ad alcune cose vicine al power, ma anche quell’orchestrazione iniziale un po’ epica e teatrale alla Savatage e l’utilizzo di 3 voci in una determinata maniera, oltre ad uno dei testi più decisi dell’intero disco; il non amalgamarsi al sistema, essendo se stessi in ogni momento, muovendosi con le proprie forze , vivendo la vita giorno per giorno , con una spiccata personalità.
iye Squadra che vince non si cambia, con la band confermata in tutti i suoi effettivi, segno di un’amalgama perfetta anche dal punto di vista umano, con Chiara a donare al pubblico performance di assoluto livello; quanto ha influito la vostra singer sul processo compositivo di “Limitless”?
I brani di Limitless, come quelli del primo album, sono firmati in duo da me e Giulio interamente, ma è naturale che il sound Temperance è frutto di un lavoro collettivo; se non ci fosse Chiara, come non ci fossero Luca o Sandro, il risultato finale sarebbe completamente diverso. Non è solo il songwriting a fare una band, ma è lo spirito di unione che si crea quando si vive insieme per giorni, weekend, settimane in un van, aereo, studio . La forza dei Temperance sta proprio in tutti questi particolari. Non intraprenderei questo bellissimo viaggio se ci fossero altri compagni d’avventura.
iye Avete portato il vostro esordio on stage, ed ora siete tornati nuovamente a calcare i palchi promuovendo il nuovo album: che impatto pensi abbia avuto la tua nuova band sui fan del metal?
Di base cerchiamo di offrire un prodotto di alto livello soprattutto dal punto di vista live. Credo che il fatto di stare bene sul palco, dia al pubblico una serenità che propende facilmente al divertimento, che è quello che la musica dovrebbe sempre dare. E’ una gioia infinita sentire la felicità nelle persone , chiaro sintomo di quanto una serata possa essere andata bene.
iye Il primo album è stato una sorpresa, il secondo una gradita conferma, si dice sempre che il terzo sia quello della consacrazione; indubbiamente gli ottimi risultati portano anche molte aspettative nel pubblico: cominci a sentire un po’ di peso in tal senso ?
Sai, non sentiamo nessun peso. Ma tutto molto tranquillamente perché il nostro obiettivo primario non è quello di arrivare lì o la oppure costruire un album che vada in una determinata direzione e così via. In quel caso probabilmente sentiremmo la totale pressione addosso, per fare un lavoro che possa mettere d’accordo tutti, ma non è questo il nostro obiettivo. I primi due lavori sono nati belli decisi come sono venuti fuori, senza pressioni, voglia di arrivare ecc.e nessuno può sapere cosa ci porterà il futuro. E’ un po’ il lato bello della musica e dell’arte stessa; io vedo noi 5 come anime in continua evoluzione alla ricerca di emozioni di un certo tipo , ma nemmeno noi sappiamo con che cosa ci emozioneremo tra 1-2 anni.
iye Ho avuto il piacere di incontrarti in occasione del concerto all’Angelo Azzurro di Genova (show bellissimo, nonostante lo stato di salute di Chiara, debilitata dall’influenza e comunque grande esempio di professionalità) e come sempre mi hai dato l’impressione d’essere un ragazzo umile e disponibile, a dispetto dell’enorme talento che hai a disposizione: come descrive se stesso Marco Pastorino?
Ti ringrazio molto per le belle parole. Personalmente mi reputo la stessa identica persona sopra un palco, sotto di esso, e così via. E’ talmente bello incontrare buoni amici e belle persone in ogni viaggio che intraprendiamo che sarebbe un peccato sprecare l’occasione. La vita stessa è un’esperienza unica che vale la pena vivere appieno. Quest’intervista mi sta facendo diventare più filosofo del solito, ah ah.
iye Parlando dei Temperance è inevitabile che i riflettori ricadano fondamentalmente su te e Chiara, ma non vanno dimenticati gli altri tre talentuosi musicisti che sono parte integrante di questa avventura …
Forse da fuori per chi non ci conosce, può sembrare che i riflettori siano puntati verso una o l’altra persona ma, ricollegandomi al discorso di prima, i Temperance sono quello che sono grazie a tutti i membri del gruppo stesso. Ognuno è il 20% di questo sistema.
Personalmente reputo ad esempio Luca uno dei bassisti più talentuosi della scena, con un accattivante gusto rock mescolato alle sperimentazioni più moderne.
iye La scena metal continua a faticare, le band italiane sono mediamente ottime ma sempre poco considerate dagli addetti ai lavori; gli appassionati riempiono i palazzetti solo per i grandi nomi snobbando e supportando pochissimo le realtà minori. Munisciti di una sfera di cristallo per immaginare come si potrà evolvere nel futuro questa situazione …
E’ naturale che tutto continuerà a cambiare; è sempre stato così e lo sarà sempre, ma la qualità delle band viene sempre fuori e, soprattutto oggi, se una band scrive ottimi album, offre spettacoli di livello , otterrà sicuramente qualcosa di buono dall’industria musicale. Forse da questo punto di vista, la nostra generazione è avvantaggiata rispetto a quelle di 20-30 anni. Ora ognuno ha davvero la possibilità di arrivare ovunque coi propri lavori. Diciamo che sono una persona che vede sempre il bicchiere mezzo pieno e quindi lasciamo perdere i problemi che la tecnologia stessa ha portato alla musica, ah ah
iye Quando sei partito con l’idea di formare i Temperance, avresti mai pensato di riuscire in così poco tempo ad avere due bellissimi album all’attivo ed il consenso unanime di critica e pubblico?
Assolutamente no. Temperance è davvero un’esperienza nata nel giro di pochi giorni, dal nulla, senza pretese e obiettivi di sorta. Il fatto che siamo qui dopo un anno e mezzo a parlare di due album pubblicati e buoni riscontri, stupisce pure me. Se me l’avessero chiesto a settembre 2013 quando abbiamo fatto la prima prova per vedere come si poteva sviluppare un certo tipo di sound con voce femminile, non ci avrei creduto. Ma ripeto, siamo davvero felici di tutto quello che c’è attorno a questa band; si respira un’aria splendida e questo è solo l’inizio del viaggio.
iye Usciamo per un attimo un attimo dai Temperance per chiederti notizie sulla situazione in casa Secret Sphere.
Coi Secret usciremo nei prossimi giorni con la riedizione di “A Time Never Come”, completamente ri-registrato dall’attuale lineup. Ma intanto siamo proprio in questi giorni alle prese con i preparativi per il nuovo album in studio che sta prendendo vita piano piano. Diciamo pure che non ci annoiamo 🙂
iye Una domanda d’obbligo per chiudere: quali sono i progetti per la prossima estate, soprattutto per quanto riguarda la tua attività dal vivo con entrambe la band?
Progetti? Spiaggia, piscina e via ah ah. Con Secret Sphere quest’estate saremo fermi a comporre, anche un po’ per ricaricare le pile dopo aver passato più di due anni a promuovere “Portrait Of A DyingHeart”. Mentre naturalmente continueremo il supporto a Limitless con una buonissima serie di date.
Suonato e prodotto in modo egregio, “The King Of The River” è un bellissimo lavoro dove il blues del delta si unisce al rock moderno ed alla tradizione italiana
Il nostro grande fiume Po, vicino alle cui rive è stata scritta gran parte della nostra storia politica e sociale, bagna una terra di contadini così come d’industrie, di motori, cibo ed ovviamente tanta buona musica: nelle sue acque vive e regna il pesce gatto, sovrano incontrastato delle acque del fiume.
A fare da colonna sonora alle storie che si intrecciano con lo scorrere delle acque, c’è il blues rock dei The Blind Catfish, band che prende il nome proprio dal “fish monster” e che vuole essere (con successo) il cordone ombelicale che unisce il Po con un altro grande fiume, il Mississippi, vicino al cui delta è nato il blues, genere padre di tutta la musica moderna.
Suonato e prodotto in modo egregio, The King Of The River è un bellissimo lavoro dove il blues del delta si unisce al rock moderno ed alla tradizione italiana, colmo com’è di ottime canzoni, elettriche e sanguigne, dall’impronta southern e folk: dieci brani che toccano l’anima, più la riuscita ed inusuale cover di Billy Jean di Michael Jackson, trasformata dalla band di Carpi in una ballata intimista e melanconica.
Il resto dei brani alternano blues rock graffiante(Tool), a tratti raffinato e sensuale (The King Of The River), southern rock alla Blackberry Smoke (Late Night With The Cat) , ballate dai suoni roots (Lead You) ed altre dallo spirito rock (Belong To You).
Enorme il blues funky di The Ballad Of Lonely Sock, brano che si divide tra vicoli newyorkesi e saloon sporchi, di route di frontiera o strade polverose di pianura, che circonda ed accompagna il fiume nel suo lento discendere verso il mare. The King Of The River si rivela un ascolto vario, adatto a tutti i tipi di palati, dai più in linea con il genere fino a chi preferisce suoni rock, proprio per la sua varietà di atmosfere che si fondono in questa lunga suite di musica del diavolo.
Ascoltando gli straordinari ritmi di Red Pants Panda si ha davvero l’impressione che L’Emilia non sia poi così lontana dal Mississippi: debutto coi fiocchi.
Tracklist:
01. Tool
02. The Ballad Of The Lonely Sock
03. The King Of The River
04. Belong To You
05. Red Pants Panda
06. Finding Emily
07. Lead You
08. Seamonkey
09. Late Night With The Cat
10. Bananapalooza
11. Billie Jean
Line-up:
Marco Maretti
Luca Fragomeni
Pietro Pivetti
Francesco Zucchi
Federico Bocchi
Un altro album da sbattere sul muso di chi afferma che il rock è morto, e questo in particolare, in virtù del suo valore, fa davvero male, molto male.
Che in questi ultimi anni l’hard rock stia vivendo una seconda giovinezza (a livello qualitativo) non è un mistero: dai suoni classici a quelli più moderni il genere sta regalando album in linea con le produzioni passate; certo, le band ai primi posti delle classifiche come negli anni d’oro sono un ricordo, ma le varie reunion e gli ottimi ultimi lavori dei nomi storici, sommato ad una scena underground più che mai viva e di qualità, fanno sperare almeno in uno stabilizzarsi del genere su livelli di popolarità sufficienti per non andare a cercare album tra le edizioni giapponesi, come accadeva negli anni novanta e all’inizio del nuovo millennio.
Via uno, sotto l’altro, ultimamente mi capita sempre più spesso di imbattermi in gruppi usciti con lavori esaltanti: i nomi sono tanti, specialmente nella scena nazionale, a cui si aggiungono i sardi Breakin Down con il loro ultimo lavoro dal titolo Judas Kiss.
Nati nell’ormai lontano 1999 da un’idea della coppia Simone Piu (voce e basso) e Francesco Manna(chitarra), iniziano a calcare i palchi della regione come cover band, ma scrivere pezzi propri è un passo obbligatorio, così come assestare la line-up che, nel corso degli anni, vede avvicendarsi vari musicisti della scena isolana.
Il primo lavoro del gruppo esce nel 2011, quando la band vola negli states e con Fabrizio Simoncioni (Ligabue, Litfiba, Negrita tra gli altri) alla produzione incidono Miss California, che li porta in tour per l’Europa calcando inoltre palchi in compagnia di Pino Scotto, Stef Burns, Paolo Bonfanti ed Eric Sardinas.
Veniamo a Judas Kiss: l’album è uno splendido concentrato di hard rock americano, un riassunto di quello che laggiù è stato offerto negli ultimi quarant’anni di musica rock racchiuso in poco più di mezzora di suoni stradaioli, ipevitaminizzati da ritmiche adrenaliniche, watts elargiti a profusione ed un’anima southern che, quando prende il sopravvento, impreziosisce i brani, che siano nati sulle strade assolate della Sardegna o sulle route americane, poco importa.
Da sentire tutto d’un fiato, il lavoro tiene l’ascoltatore in pugno per tutta la sua durata, rapito dal tono sporco e sanguigno di Simone Piu, dalle sei corde grintose che inanellano ritmiche e solos che definirle trascinanti è un eufemismo (Francesco Manna e Mauro Eretta), e stordito dai colpi sul drumkit di Fabrizio Murgia.
Potrei parlarvi dello straordinario rock’n’roll di Babylon Rock City, del riff d’apertura del lavoro su Diamonds And Bitches, brano dal groove micidiale, delle tastiere settantiane nella semiballad The Long Goodbye, delle ritmiche stoner di Liver And Lovers e Rock’N’Roll Is Dead (Kyuss), ma in realtà non c’è una sola canzone, in questo disco, che non meriterebbe una particolare menzione. Judas Kiss raccoglie l’eredità di Lynyrd Skynnyrd, Rolling Stones, Motorhead, senza dimenticare che siamo ormai nel nuovo millennio, ed allora i Breakin Down lo ammantano di sonorità desertiche alla Kyuss, ottenendo per un risultato stupefacente.
Un altro album da sbattere sul muso di chi afferma che il rock è morto, e questo in particolare, in virtù del suo valore, fa davvero male, molto male.
Tracklist:
1.Diamonds And Bitches
2.Judas Kiss
3.Dangerous Rose
4.Blood And Blood
5.The Long Goodbye
6.Home Sweet Hell
7.Babylon Rock City
8.Liver And Lovers
9.Woman
10.Sometimes
11.Rock’n’Roll Is Dead
12.Texas Radio
Fatevi investire dalla furia sleazy/thyrash di “Black President”, secondo album dei Tornado.
Tornado, tempesta, terremoto, tsunami: calamità naturali che devastano, dove l’uomo molte volte subisce, senza potersi difendere dalla forza della natura che ribellandosi, distrugge senza pietà, troppe volte umiliata dal menefreghismo di un’umanità ingorda e presuntuosa al punto di cercare di piegare ai propri interessi le uniche leggi immutabili.
In musica le calamità sonore equivalgono alle opere dei nostri eroi metallici: spesso si parla di generi estremi o sferragliante rock’n’roll, come nel caso dei Tornado, band di origine finlandese al secondo lavoro e dedita ad una riuscita commistione di thrash metal e street/punk, o sleazy/glam come piace definirla ai protagonisti di questo “tornado” musicale a titolo Black President.
Entrati nella “cantera” della Wormholedeath, ormai una piovra che con i suoi tentacoli pesca talenti in ogni parte del mondo senza sbagliare un colpo, la band di Tampere licenzia il suo secondo lavoro, successore del debutto “Amsterdam, Helsinki” uscito nel 2011 e prodotto da sua maestà Peter Tagtgren agli ormai storici Abyss Studios, in terra svedese.
Forte come detto di un’impronta rock’n’roll, la band riesce nell’impresa di risultare personalissima ed originale, una qualità che accomuna la gran parte delle band accasatesi presso l’etichetta nostrana, schiacciando il pedale dell”acceleratore a fondo corsa per non lasciarlo più, aggiungendo un’overdose di street/thrash e punk per dieci pugni che arriveranno tremendi lasciando l’ascoltatore inerme.
Sono enormi in questo album l’attitudine e l’impatto, doti essenziali per suonare questo tipo di musica, con il supporto di una prova tutta carisma del singer Superstar Joey Severance, tra vocalizzi ora in linea con il thrash classico, ora apertamente punkizzati.
Poco più di mezz’ora per farsi demolire da ritmiche velocissime sulle quali cui la coppia d’axeman rifila solos di pura dinamite, o per sbattere le capocce su refrain potenti come trombe d’aria che travolgono tutto e tutti.
Tra le canzoni di Black President una menzione particolare va a 911 First Responder, David and Goliath, uscita anche in formato video, World Pieces, a quel massacro sonoro intitolato Ghetto Wasteland, scarica di violento thrash metal dai rimandi old school, e la cover di Dark Desire, brano degli storici Loudness.
Death Angel e Anthrax che si alleano con i Warrior Soul e in un vicolo si scontrano con i L.A Guns, sotto l’occhio attento di un tipo che, testimone del pestaggio non divide, ma lascia che il massacro si compia: sul braccio ha un tatuaggio dei Sex Pistols.
Tracklist:
01 Black President
02 Flesh Crawling Nightmare
03 911 First Responder (FDNY)
04 World Pieces
05 T-Minus 10
06 Ghetto Wasteland
07 David and Goliath
08 Under the Crimson Moon
09 Stop the Madness (Part I and II)
10 I, Individual
11 Dark Desire
Line-up:
Superstar Joey Severance – Vocals
Tommy Shred – Lead Guitar
Tim Damion – Lead Guitar
Henry Steel – Bass
NikoMcNasty – Drums
“Still A Warrior” si può certamente considerare come una delle uscite più importanti nel genere di questa prima metà dell’anno.
C’è una band che ha incarnato lo spirito heavy metal più di qualunque altra, aldilà di quello che poi è il mero successo commerciale, entrando nella leggenda e diventando un’icona del nostro genere preferito: che li si ami o li si odi, al grido di “death to false metal” i Manowar hanno regalato pagine gloriose ed epiche, raccogliendo migliaia di fans in tutto il mondo rivendicando l’orgoglio metallaro ed ottenendo una posizione di prestigio per il genere nella musica moderna.
David Schankle, fenomenale chitarrista, è stato membro della band dal 1989 al 1993, registrando il fenomenale “The Triumph Of Steel”, uno dei capisaldi della discografia del gruppo di New York.
Lasciata la band di Joey DeMaio, ha formato il David Schankle Group con cui ha inciso due full length, “Ashes To Ashes” nel 2003 ed “Hellborn” nel 2007: album di tipco heavy metal americano, dove il chitarrista dava sfoggio della propria tecnica, non rinunciando ad incendiare gli animi con brani di puri, incontaminati ed arrembanti.
In Still A Warrior, licenziato tramite Pure Steel, sono della partita l’ottimo vocalist Warren Halvarson e la portentosa sezione ritmica composta da Gabriel Anthony alle pelli e Mike Dooley al basso, per una cinquantina di minuti dove verrete catapultati in un vortice di metal old school, con la sei corde di Schankle assoluta protagonista.
Non fraintendetemi, l’album non è il classico lavoro shred, i brani si susseguono incalzanti lasciando al solo Demonic (From The Movie Jezebeth) ed allo strumentale The Hitman il proscenio all’axeman americano: il resto risulta invece una raccolta di brani bellissimi ed aggressivi, dove il lavoro chitarristico impreziosisce senza vanificarla una scorrevolezza di fondo che rende piacevolissimo l’ascolto di un puro US metal esplosivo ed epico.
Dalla title track posta in apertura, le atmosfere oscure ed epiche del metal classico suonato aldilà dell’oceano prendono il sopravvento; le orchestrazioni oscure della seguente Ressecution, la prova sontuosa del vocalist su Glimpse Of Tomorrow, l’esplosiva Fuel For The Fire e la devastante Eye To Eye, sono tacche sulla cintura del musicista americano, che non si risparmia e rifila solos tecnici ed infuocati.
L’album non ha cedimenti e, duro e melodico allo stesso tempo, arriva alla conclusione con la canzone più ariosa, Across The Line, subito dopo il power di Suffer In Silence (Agenda 21) e la cadenzata Into The Darkness.
Ritorno coi fiocchi per Dave Schankle con un album da non farsi mancare per ogni appassionato che si rispetti: Still A Warrior si può certamente considerare un album all’altezza rivelandosi una delle uscite più importanti nel genere di questa prima metà dell’anno.
Tracklist:
1. Still A Warrior
2. Ressecution
3. Glimpse Of Tomorrow
4. Demonic Solo* (From the movie Jezebeth)
5. Fuel For The Fire
6. Eye To Eye
7. The Hitman (instrumental)
8. Suffer In Silence (Agenda 21)
9. Into The Darkness
10. Across The Line
Line-up:
David Shankle – guitars
Gabriel Anthony – drums
Mike Dooley – bass
Warren Halvarson – vocals
Perfetto esempio di metal classico supportato da ritmiche dal groove modernissimo, il sound dei texani Dead Earth Politics risulta originale e alquanto convincente.
E da una decina d’anni che i Dead Earth Politics girano per gli States a far danni: la band di Austin, infatti, nasce nel 2005 per esordire in seguito con l’ep “Mark The Resistance”.
Era il 2008, e due anni dopo il gruppo licenziò il suo primo ed unico full length dal titolo “The Weight Of Poseidon”, seguito lo scorso anno dal secondo ep “The Queen of Steel”.
Con l’anno nuovo la band continua il suo ottimo lavoro, dando alle stampe l’ennesimo mini, questo bellissimo Men Become Gods, confermando l’ottima vena compositiva e l’originalità di un sound che pesca a piene mani dalla tradizione americana, per quanto riguarda il groove metal, e da quella europea amalgamandolo con straordinarie parti e solos di metal classico direttamente dalla NWOBHM e dalla vergine di ferro.
Quattro brani pregevoli, lunghi abbastanza per arrivare ad una ventina di minuti di durata complessiva, nei quali il gruppo statunitense dà sfoggio di tutte le sue capacità compositive e tecniche, così che, fin dall’opener Casting Stones veniamo travolti da ritmiche colme di groove, tra il metal moderno di band come i Lamb Of God, elementi classici portati dalla straordinaria macchina macina riff e assoli delle due asce (Tim Driscoll e Aaron Canady) ed una straordinaria predisposizione tutta americana per il southern epic metal, tra Corrosion of Conformity e Molly Hatchett (Ice & Fire), dualismo che si evince anche dalla copertina dall’illustrazione epica e le scritte moderne.
Ven Scott è un vocalist eccellente, che si trova a suo agio nelle parti dove con grinta e qualche accenno al growl segue le atmosfere più moderne dei brani, ma è dotato pure di un’estensione da vocalist metal di razza (Crimson Dichotomy); la ritmica sprizza groove potentissimo, pura lava incandescente che raffreddandosi crea un monolite pesantissimo su cui è strutturato il sound dei Dead Earth Politics (Will Little al basso e Mason Evans alle pelli).
Una band così deve assolutamente regalarci un full length al più presto: la musica dei nostri a tratti esalta, ed è un vero peccato che tutto finisca in così poco tempo.
Ed allora seguiamoli e aspettiamo fiduciosi perché con brani di questo livello e il doppio del minutaggio il risultato sarebbe clamoroso.
Tracklist:
1. Casting Stones
2. Men Become Gods
3. Ice & Fire
4. Crimson Dichotomy
Line-up:
Will Little – Bass
Mason Evans – Drums
Tim “TIMMEH!!” Driscoll – Guitars
Ven Scott – Vocals
Aaron Canady – Guitars
Sei brani di death metal contaminato da sferragliante hard’n’roll e ipervitaminizzato da ritmiche grondanti groove
Riuniti sotto la bandiera del death’n’roll, cinque musicisti nostrani assemblati dal chitarrista Emanuele Zilio (Strange Corner) debuttano con questo ottimo ep , disponibile gratuitamente in download sul sito del gruppo.
Sei brani di death metal contaminato da sferragliante hard’n’roll e ipervitaminizzato da ritmiche grondanti groove, trascinante e sacrificato sull’altare del puro massacro on stage.
La band nostrana, con l’esperienza accumulata dai protagonisti, da parecchi anni sulla scena metallica, sa come far sanguinare strumenti e padiglioni auricolari: il loro metal estremo diverte e sconquassa, macinando riff su riff, tra tradizione death ed un’attitudine rock’n’roll che deborda dalle canzoni come un fiume di note, rompendo gli argini sotto un’alluvione di watt e invade e trascinando con sé i fan di queste sonorità i quali, per salvarsi, dovranno compiere un’impresa.
Le ritmiche colme di groove, molto cool di questi tempi, sono l’arma in più del combo che, sommato al death dei maestri Entombed dell’epocale “Wolverine Blues” e a un sound panterizzato e a tratti stonerizzato, rendono brani come Contamination, Sunshine e The Game assolutamente devastanti.
Sulla ottima Franck Is Back compare qualche accenno core nei suoni di chitarra e nel ritornello, mente il resto delle tracce sballotta l’ascoltatore tra il death scandinavo ed il metal statunitense.
La band a livello tecnico non offre il fianco a critiche, partendo dall’ottima prova del singer Fla, sul pezzo sia nel growl sia nelle clean vocals comunque sempre robuste e di impatto; la sezione ritmica si dimostra un motore a pieni giri (Lispio al basso e Jenny B. alle pelli) ed enorme risulta il lavoro delle due asce (Minkio e Lele), tra ritmiche forsennate e solos di dirompente impatto hard & heavy .
L’ep, immesso sul mercato per sondare il terreno prima di un futuro full length, dimostra tutte le ottime potenzialità della band nostrana, dunque l’ascolto è consigliato agli amanti del genere; il download gratuito è una mossa azzeccata da parte del gruppo, quindi, senza indugi, fatevi travolgere da questi sei brani sexy, non ve ne pentirete.
Tracklist:
1. Contamination
2. Frank Is Back
3. Sunshine
4. The Game
5. W.A.F.S.
6. All Or Nothing
L’album è una gradita sorpresa, trattandosi di un metal melodico ricco di atmosfere dark ed ottime soluzioni elettroniche.
I Tristana di crimini virtuali ne hanno già commessi diversi: nati nella prima metà degli anni novanta, hanno dato vita inizialmente ad una serie di demo, arrivando all’esordio sulla lunga distanza nel 2003 con “Back To The Future”, primo di un trio di album completato con “Zircon Street” del 2010 e quest’ultimo lavoro uscito per Bakerteam.
Il nuovo album è una gradita sorpresa, trattandosi di un metal melodico, pregno di atmosfere dark ed ottime soluzioni elettroniche, prodotto benissimo e molto ben congegnato.
Si passa infatti da brani dalla marcata impronta dark wave, dove le soluzioni elettro/industrial e nu metal fanno da struttura portante alla musica della band, ad altri dove il death melodico prende il sopravvento, aggiungendo verve ed energia alle ottime soluzioni che la band inserisce a più riprese nel proprio songwriting.
Di buon impatto l’uso delle due voci (clean e growl) che crea un’alternanza di atmosfere tra violenza e melodia altamente riuscito, e sopra le righe appaiono le ritmiche, vero punto di forza dell’album, ora sincopate e potenti su binari nu metal, ora lasciate scorrere cavalcando fiere metalliche mai dome.
L’elettronica è inserita con ottimo gusto nella struttura dei brani, dando modo a Virtual Crime di piacere sia a chi che predilige sonorità metalliche, sia a chi è affascinato da soluzioni moderniste.
L’album parte alla grande con l’accoppiata Resurrection / Fallen, grintose canzoni dove l’estremismo del growl si scontra con linee melodiche dall’appeal elevato, la prima spettacolarizzata da un ottimo solo, la seconda orchestrata a meraviglia con tasti d’avorio che svariano tra sonorità classiche e moderne. Bloody Snow è un ottimo esempio della musica della band, le ritmiche moderniste, il ritornello melodico ed il tappeto di tastiere in sottofondo creano un ibrido affascinante tra i suoni alternative e la tradizione dark wave, mantenendo intatta l’impronta metallica, motore del brano.
Stupenda Jannies’ Dying, impreziosita dalla voce e dal talento di Chiara Tricarico dei Temperance, top song dell’intero lavoro che, da qui alla fine, si mantiene comunque su ottimi livelli, offrendo un lotto di brani che, senza essere troppo originali, risultano estremamente piacevoli.
La band slovacca si avvicina al bersaglio grosso, offrendo un prodotto ottimo sotto tutti gli aspetti.
Tracklist:
1.Resurrection
2.Fallen
3.Wasted time
4.Bloody snow
5.Beg for death
6.Jannies’s dying
7.Bella donna deadly nightshade
8.Killer
9.Lost the whole life
10.Hunting fever
11.Ending (outro)
Line-up:
Peter Wilsen- vocals
Laco Krabac- bassguitar
Dusan Homer- guitar
Andrea Almasi- keyboard
Roman Elevo Lasso- drums
Preparatevi e andate allo spettacolo, il circo è arrivato in città!
Certo che nella capitale in fatto di metal e rock non si scherza: con ancora nelle orecchie l’industrial/street/ glam dei divertentissimi Dope Stars Inc, gruppo che se fosse straniero sarebbe idolatrato da mezzo globo, ecco che mi esplode nelle orecchie Hell Over Hell, debutto di questo fantastico combo, sempre di Roma, partito alla conquista del globo con il suo spettacolo di hard rock circense, che poi non è altro che hard rock alternativo, colmo di groove e digressioni moderne, talmente ben fatto che comincio a pensare che i Sick N’ Beautiful siano davvero di un altro pianeta.
Prodotto alla grande tra Roma e Los Angeles e licenziato dalla Rosary Lane Usa, l’album è composto da un lotto di brani divertentissimi e dall’appeal esagerato: la band capitanata dalla singer Herma, dotata di una voce sensuale, piccante e tremendamente cool, spazia tra l’hard rock stradaiolo, con bordate di groove e ritmiche industrial che accentuano i ritmi, rendendoli ambigui e ipnotizzanti; senza farsi mancare nulla, i Sick N’ Beautiful affondano il colpo, piazzando solos metallici grondanti feeling dalle corde delle due asce di Rev C2 e Lobo.
Le canzoni di questo lavoro (tredici più tre interludi elettro-atmosferici) spaziano tra l’industrial/groove di Rob Zombie e l’hard rock di matrice statunitense: il look dei protagonisti amalgama il fascino da zombie futurista dell’ex leader degli immensi White Zombie alla teatralità fantascientifica dei Kiss e del glam/horror di Alice Cooper, influenze dichiarate del gruppo, nel quale personalmente ho trovato anche molte affinità con lo Slash solista di “Beautiful Dangerous”, brano in compagnia di Fergie contenuto nel primo album del chitarrista americano, e con l’alternative dei Nymphs di Inger Lorre.
Spettacolare il singolo e primo video New Witch 666, dal solo orientaleggiante e dalle ritmiche industrial/groove poggiate su un’atmosfera da grand guignol, così come le ritmiche del basso pulsante di Sick to the Bone, che sfociano nello street metal di Bigbigbiggun, l’orchestrazione futurista di Makin’Angels, la trascinante No Sleep Till Hollywoood e la sexy Queen Of Heartbreakers.
Ancora atmosfere dal lontano oriente con Pain For Pain: il basso di Bag Daddy Ray pulsa ipnotico, così come gli interventi elettronici, mentre Gates To Midnight risulta una sorta di semi ballad, originalissima, cadenzata, ammaliante ed Hell Over Hell si avvia al gran finale con (All In The Name Of) Terror Tera, dove le ritmiche originalissime e la voce maschile, questa volta protagonista, ci stupiscono con sfumature al limite del blues, in un brano dall’andamento geniale.
Album che smuove montagne, divide oceani e provoca uno tsunami di emozioni nei corpi e nelle menti … forza gente, preparatevi e andate allo spettacolo, il circo è arrivato in città!
Tracklist:
1. March of the Scolopendra
2. Sick to the Bone
3. Bigbigbiggun!
4. Radio Siren
5. Interlude – Angel of the Lord
6. Makin’ angels
7. Kastaway Krush
8. Interlude – A Swedish Rhapsody
9. New Witch 666
10. No Sleep Till Hollywood
11. Queen of Heartbreakers
12. Pain for Pain
13. Bleed on Me
14. Gates to Midnight
15. Interlude – Pots, Pans, and Empty Green Meth Cans
16. (All in the Name Of) Terror Tera
Line-up:
Herma – Vocals
Rev C2 – Guitar
Lobo – Guitar
Big Daddy Ray – Bass
Mr.PK – Drums
Tre brani che convincono per quello che si spera sia un nuovo inizio.
Band estrema con la quale vale la pena far conoscenza sono i tedeschi Profanity, dediti ad un death metal tecnico di ottima fattura: Hatred Hell Withinè un Ep di tre brani, uscito sul finire dello scorso anno (dicembre) per cui relativamente fresco di stampa.
Il gruppo di Augsburg ha festeggiato lo scorso anno i vent’anni dalla nascita, perciò chiaramente non stiamo parlando di novellini della scena estrema germanica: il suo percorso musicale si è interrotto per una dozzina d’anni tra il 2002 e il 2014, ma nella seconda metà degli anni novanta le uscite discografiche avevano mantenuto un buon ritmo fino al 2000, con l’uscita di demo, split e dei due full length “Shadow’s To Fall” del 1997 e l’ultimo “Slaughtering Thoughts” ad inizio millennio.
Quindi i Profanity si rifanno vivi per devastare padiglioni auricolari, con il loro death metal molto tecnico, gioia per i fan del metal estremo, impreziosito da velocissimi cambi di tempo, scale e funambolismi vari, il tutto mantenendo una notevole violenza di fondo grazie all’esperienza di chi il genere lo mastica da un bel po’.
Il trio è composto da una sezione ritmica mastodontica, composta da Daniel Unzner al basso e Armin Hassmann alle pelli, fenomenale nel mantenere elevato il muro sonoro del sound, su cui spicca il sontuoso axeman e belluino vocalist Thomas Sartor, , protagonista indiscusso di questi tre brani dall’impatto brutale ma magnificamente eseguiti.
Il classico pelo nell’uovo sta nello specchiarsi troppo del buon Sartor, bravissimo ma spesso cervellotico ed intricatissimo nelle sue parti, il che rischia spesso di far perdere fruibilità alle cavalcate estreme del gruppo, che di conseguenza, lasciano per strada un po’ dell’impatto prodotto dal loro sound.
Niente di imperdonabile, d’altronde il genere suonato ha tra i fan molti amanti della pura tecnica che troveranno di che crogiolarsi nei virtuosismi del leader e dei suoi compari.
Tre brani che convincono per quello che si spera sia un nuovo inizio.
Tracklist:
1. Melting
2. I Am Your Soul (You Made Me Flesh)
3. Hatred Hell Within
Line-up:
Thomas Sartor – vocals and guitars
Daniel Unzner- bass
Armin Hassmann – drums
Gli Atreides hanno tutte le carte in regola per piacere, essendo in possesso di un’ottima tecnica e di brani coinvolgenti.
La Spagna ha la sua ottima tradizione, parlando di metal classico, e in questo caso riguardante il power metal, le band come gli Atreides che si dedicano ai suoni classici sono molte e alcune davvero ottime: i Tierra Santa, gli Avalanche, i Saratoga e i famosi Mago De Oz sono solo esempi per presentarvi il quartetto proveniente da Vigo, nato da un’idea del chitarrista Dany Soengas dei thrashers Skydancer, protagonisti della scena metallica iberica con quattro full length tra il 2007 ed il 2013.
Cambio di registro per Soengas, che lascia i suoni death/thrash per un power metal dalla forte influenza nord europea, sulla scia di Stratovarius e del power metal teutonico, e il debutto della band convince alla grande, tra ritmiche mozzafiato e solos ben congeniati e melodicissimi.
Un lotto di brani dal buon piglio forma un dischetto tutt’altro che trascurabile: le vocals in lingua madre non inficiano la riuscita delle poderose canzoni e la band gira a mille, con il chitarrista sugli scudi e l’ottima performance dei suoi compari, una sezione ritmica pesante come un incudine e veloce come il vento, composta da Antonio Orihuela al basso e David Borjas alle pelli e la buona prestazione del vocalist Emi Ramírez.
Prodotto e mixato dal chitarrista con la partecipazione dell’onnipresente Josè Rubio alla masterizzazione, Cosmosrisulta un debutto avvincente, iniziando dalla grandiosa e devastante title track, seguita dalla cadenzata e Stratovarius-oriented Medianoche, dove le ritmiche impazzano tra potenza e sfuriate ed il drumming del buon Borjas spacca il drumkit.
Quinto brano e centro pieno per la band, che si butta a capofitto in uno strumentale dai solos dal sapore neoclassico, Providencia, che segue la scia di una Speed Of Light anch’essa di tolkkiana memoria, introducendo un’ottima parte atmosferica nella quale l’axeman fa cantare la sua sei corde.
Il power teutonico esce dai solchi di Cruzando El Bosque, brano in pieno stile Rage, così come nella conclusiva ed ottima Garret, finale col botto di questo gran bel debutto. Cosmosnon stupisce certo per originalità, d’altronde gli amanti del genere ciò che vogliono sentire è la musica inclusa in questo lavoro, ed allora dategli un ascolto perché gli Atreides hanno tutte le carte in regola per piacere, essendo in possesso di un’ottima tecnica e di brani coinvolgenti.
Tracklist:
1. Singularidad
2. Cosmos
3. Medianoche
4. Distancia
5. Providencia
6. Alma Errante
7. Cruzando el Bosque
8. Garret
Line-up:
D.S.: Guitars.
Emi Ramírez: Vocals
Antonio Orihuela: Bass Guitar
David Borjas: Drums
Debutto clamoroso per la symphonic metal band russa Sanctorium.
Una premessa: Iyezine non ha la presunzione di giudicare e tranciare la musica delle band, ma cerca con i pochi mezzi a disposizione e tanta passione di dare supporto a qualsiasi realtà meriti l’attenzione nostra e di chi ha voglia di cliccare su di un nostro articolo, che sia metal, rock o elettronica poco importa, viene dato spazio a tutti, dall’autoproduzione, all’album promosso da qualsiasi etichetta ci chieda una mano per far conoscere le proprie proposte.
E’ cosi che, virtualmente, si viaggia per il mondo, partendo dall’Italia e soffermandosi su qualsiasi realtà meriti, a nostro modesto parere, un minimo d’attenzione, che sia in India piuttosto che in Australia, negli Stati Uniti, nei paesi scandinavi o, come in questo caso, in Russia.
Infatti è dall’estremo est europeo che provengono i bravissimi Sanctorium, autori di un debutto sulla lunga distanza davvero riuscito.
La band nasce addirittura dieci anni fa, nel 2006 esordisce con un demo e, prima di arrivare ai nostri giorni e all’uscita di The Depths Inside, rilascia un ep e due singoli.
Il nuovo album è un bellissimo esempio di symphonic gothic metal, maturo e debordante nella sua anima più metallica, l’altra faccia della stessa medaglia dove, dall’altra parte, la componente sinfonica è veramente sopra le righe, aiutata da una bravura strumentale stupefacente.
La parte del leone la fanno i due vocalist, Dariya “Eirene” Zhukova, soprano dalla voce magnifica e Sergey Muravyov, ottimo con il suo growl possente che ricorda non poco il Nick Holmes dei primi album dei Paradise Lost, accompagnati da musicisti spettacolari e da un songwriting che, anche se non brilla per originalità, regala una manciata di perle che stupiscono per il piglio e l’assoluta qualità.
E’ così che dopo la classica intro atmosferica, la voce della Zhukova irrompe sulle note della devastante 1000 Years, la parte metallica (aggressiva e dura come l’acciaio) si amalgama alla perfezione con quella sinfonica, le due voci così distanti tra loro iniziano la loro personale battaglia, una estremamente aspra, l’altra celestiale: bianco e nero, bene e male si scambiano il palcoscenico o all’unisono riempiono il suono di atmosfere ora tragiche e drammatiche, ora sognanti, per un risultato di enorme emozionalità.
La band fa il resto, gli elementi sinfonici addomesticano la furia metallica del combo in emozionanti parti, dove le cavalcate power/death degli strumenti elettrici vengono imprigionati in ammalianti passaggi orchestrali.
La devastante Alive, seguita dalla più ariosa Spirit, la sognante Maid Of Lake (con l’ospite Anastasia Simanskaya alla voce), la symphonic death Cancer Of Earth, la più gothic del lotto Rub Al’Khali, sono i brani più riusciti di un album bellissimo, suonato, cantato e prodotto in modo superbo: lascio a chi vorrà dargli un ascolto il compito di cercare similitudini ed influenze con band più famose, perché quest’opera merita la propria individualità.
Tracklist:
1. Intro
2. 1000 Years
3. Dragonqueen
4. Alive
5. Spirit
6. Maild of Lake
7. Cancer of Earth
8. Initiation of Al’Hazred
9. Silent Cry (Ballade)
10. Rub Al’Khali
11. Prayer
Se siete amanti del southern metal, rompete il salvadanaio e correte dal vostro fornitore di fiducia, perché quest’anno di album così non ne sentirete molti.
Beh, se esiste una band per cui vale la pena parlare di super gruppo, questi sono i nostrani RebelDevil, strordinario quartetto di southern metal composto da vere leggende della scena tricolore: Dario Cappanera alla sei corde (Strana Officina), Gianluca Perotti al microfono (Extrema), Alessandro Paolucci al basso (Raw Power) e Ale Demonoid alle pelli.
Partiti intorno al 2008 da un’idea di Cappanera e Perotti, la band esordì con “Against You” portando con sé un po’ di sano metal southern, colmo di groove, direttamente dagli stati del sud, di quell’America della quale la musica della band è debitrice.
Il nuovo lavoro continua su queste coordinate ed il rock sudista, ipervitaminizzato da scariche metalliche e ingrassato da quantità letali di groove, abbinato al talento dei protagonisti, regala momenti di puro godimento, vero sballo rock’n’roll.
La tradizione southern rock, unita alla potenza del metal stonerizzato, ormai a tutti gli effetti uno dei generi più seguiti in questi ultimi anni, viene enfatizzato dal songwriting del gruppo, questa volta perfetto, e le dieci canzoni che compongono il lavoro chiamano in causa tutta l’esperienza dei musicisti coinvolti i quali, pur non facendo mistero delle loro influenze, sparano bordate di rock americano notevoli.
Black Label Society, Corrosion Of Conformity, Pantera e Down, sono le influenze che più si evidenziano nella musica di questo trascinante lavoro, che vede un Perotti straordinario sia nei brani più diretti, sia sopratutto nelle due semiballad (Alone In The Dark e Angel Crossed My Way) dove risulta perfetto anche nell’uso delle clean vocals.
Cappanera è il solito macina riff, e la sezione ritmica tutta sudore e polvere deborda con una prova “grassa” e a tratti pesante come un macigno.
Brani dai refrain entusiasmanti abbinano pesantezza e melodia, anthem di metal sudista che non oso pensare che danni potrebbero fare sul versante live (Crucifyin’ You e Freak Police da questo lato sono devastanti), vengono accompagnate da sfuriate dal sapore thrash (Rebel Youth, Religious Fantasy) che aggiungono adrenalina al clima da battaglia desertica di questo trascinante ed esaltante The Older The Bull, The Harder The Horn.
Se siete amanti del genere, rompete il salvadanaio e correte dal vostro fornitore di fiducia, perché quest’anno di album così non ne sentirete molti, garantito.
Track List:
1 – Rebel Youth
2 – Sorry
3 – Freak Police
4 – Remember
5 – Religious Fantasy
6 – The Older the Bull, the Harder the Horn
7 – Angel Crossed My Way
8 – Crucifyin’ You
9 – Alone in the Dark
10 – Power Rock ‘n’ Roll
Mettetevi comodi e partite con i Temperance per un viaggio spettacolare, che vi condurrà in questo spazio “senza limiti”.
Non era facile per i Temperance, band di Marco Pastorino dei Secret Sphere e della stupenda vocalist Chiara Tricarico, tornare in pista dopo i fasti del clamoroso debutto omonimo dello scorso anno, finito sulla mia personale playlist del 2014 come uno dei più riusciti lavori in ambito symphonic metal.
Squadra che vince non si cambia, ed allora ritroviamo la band al completo con i fratelli Capone e Liuk Abbott, supportati da Simone Mularoni (DGM) a mixare questo altro splendido esempio di metal dalle mille sfaccettature, ora sinfonico, ora con una marcata impronta elettronica, ora apertamente estremo, ma sempre irresistibile e dall’enorme appeal.
Certo è che l’effetto sorpresa che, lo scorso anno, aveva aggiunto valore ad un debutto di per sé eclatante, viene inevitabilmente a mancare ma, invece di fargli perdere qualche punto, accresce il valore di questo stupendo combo e delle loro composizioni.
Molto più presente rispetto al passato è la componente elettronica, specialmente nei primi brani, mentre quella estrema affiora piano piano, esplodendo in tutta la sua spettacolare violenza verso la metà del lavoro, andandosi ad amalgamare sapientemente con il suono sinfonico, marchio di fabbrica del gruppo nostrano.
Gran lavoro della sezione ritmica e sempre più notevole l’apporto del buon Pastorino, sia alla voce, supportando al meglio la splendida vocalist, sia nel songwriting, anche questa volta superlativo, confermandosi come uno dei maggiori talenti in circolazione, non solo all’interno dei nostri confini.
Una predisposizione melodica non comune, unita ad un uso delle linee vocali che definire perfetto è un eufemismo, fanno di Limitlessun’altra prova sontuosa e l’opera, se accostata con le ultime prove delle band più famose, dimostra come i Temperance hanno tutte le carte in regola per diventare una dei nomi di punta del metal nazionale anche al di fuori dai patri confini, insieme ai Lacuna Coil, dimostrando che, quando c’è il talento, anche i nostri musicisti possono giocarsela alla pari se non superare le realtà straniere idolatrate, a volte a dispetto dei santi, dagli addetti ai lavori.
D’altronde, come non rimanere ammaliati dalla prova di una Tricarico sempre più convincente, che ci delizia su tredici brani meravigliosi, che rappresentano la perfetta commistione tra metal e sinfonia, armonia e violenza, eleganza pop e furia metallica, in una tempesta di emozioni.
Sinceramente non riesco a nominare un brano piuttosto che un altro, mettetevi quindi comodi e partite con i Temperance per questo viaggio spettacolare, vi basterà seguire la track list per lasciarvi condurre in questo spazio “senza limiti”.
Tracklist:
1. Oblivion
2. Amber & Fire
3. Save Me
4. Stay
5. Mr. White
6. Here & Now
7. Omega Point
8. Me, Myself & I
9. Side By Side
10. Goodbye
11. Burning
12. Get A Life
13. Limitles
Due ottime ristampe edite dalla UDR Records che ripercorrono la carriera di una delle più importanti band heavy metal della storia.
Era l’alba del decennio più glorioso per i suoni metallici (gli anni ottanta), e sulla scena musicale europea, divisa ancora tra i suoni ribelli del punk e quelli patinati e spettacolari del progressive e dell’hard rock, eredità del decennio precedente, irruppero come un fulmine a ciel sereno un manipolo di band che fecero la storia della nostra musica preferita, conosciute dai posteri come le band della New Wave Of British Heavy Metal e di cui i Saxon furono una delle maggiori e più conosciute espressioni.
La band britannica, capitanata dal leggendario vocalist Peter Rodney Byford, in arte Biff, dopo l’album omonimo rifilò almeno cinque capolavori, tra il 1980 e il 1984, di cui i primi tre rimasero scolpiti nella storia dell’heavy metal: “Wheels Of Steel”, “Strong Arm Of The Law” e “Denim And Leather”, usciti nel giro di un paio di anni, tra il 1980 e il 1981 (gli altri due “Power And Glory” del 1983 e “Crusader” del 1984, leggermente inferiori ai primi tre, rimangono di una qualità altissima), fecero il botto e l’esercito sassone a suon di bombardamenti metallici conquistò i kids di tutto il mondo.
Sono passati quasi quarant’anni dalla formazione della band, nata nello Yorkshire nel 1976, e Biff è ancora qui, nel nuovo millennio, ad esaltare le truppe con queste nuove uscite discografiche che ripercorrono la carriera di una band che definire fondamentale è un eufemismo.
Via Udr Records, in attesa del nuovo dvd” Warriors Of The Road- The Saxon Chronicles II”, escono in contemporanea due compilation della band già edite ma di un’importanza assoluta.
La prima vede la riedizione della compilation Heavy Metal Thunder, originariamente pubblicata nel 2002 con l’aggiunta del Live in Bloodstock del 2014: la band, per l’occasione, risuona tutto il materiale donandogli un approccio più fresco ed in linea coi tempi, ed è così che le migliori canzoni dei primi lavori deflagrano in tutta la loro potenza metal e, se già allora erano in odore di immortalità, qui sono rese devastanti da una produzione folgorante.
Ci sono tutte i brani che hanno fatto la storia, da Heavy Metal Thunder, a Strong Arm Of The Law, passando per le monumentali Crusader, 747 (Strangers In The Night), Wheels Of Steel, Motorcycle Man e quella che personalmente ritengo la song metal con il più bel riff di tutti i tempi, Princess Of The Night.
Il live che fa da bonus cd ci consegna una band ancora sul pezzo ed esaltante quando sprigiona la sua forza su un palco: Biff stupisce per la carica che possiede intatta, e la band gira a mille tra vecchi classici e nuove canzoni che reggono tranquillamente il confronto con gli storici brani ottantiani. The Saxon Chronicles uscì nel 2003, e si tratta di un doppio dvd: il primo vede la band cimentarsi sul palco del Wacken Open Air davanti ad una marea di fan nell’estate del 2001, e non esagero nel dichiarare che è uno dei più bei concerti visti col supporto ottico, almeno per quanto riguarda il metal classico.
I Saxon appaiono in forma strepitosa, con brani classici e non che si danno battaglia sullo stage metal più famoso d’Europa con un’ambientazione (quella di Wacken non ha eguali) che esalta a più riprese, anche se si è comodamente seduti sul divano di casa.
L’aquila dei guerrieri sassoni vola alta sul palco teutonico, regalando una performance eccezionale, apprezzata non poco dall’immenso pubblico accorso a quello che, ormai una quindicina d’anni fa, fu un evento; segue un un’intervista a Byford, ad impreziosire ulteriormente questo primo dvd.
Nel secondo trovano spazio video e riprese inedite, documentari e photo gallery, insomma, tutto quello che un fan può desiderare sulla sua band preferita e, per chi non la conoscesse a sufficienza, The Saxon Chronicles rimane un ottimo modo per approfondire la storia di una della icone del metal.
Anche qui troviamo un bonus cd audio: trattasi di Rock’n’roll Gypsie, live edito nel 1989, altro ottimo testamento live dei Saxon.
Inutile dire che, a chi sfuggì l’uscita di questi due ottimi capitoli del gruppo, è consigliato l’acquisto, del resto una buona fetta della “nostra” storia è racchiusa tra questi dischetti: lunga vita all’aquila sassone.
Heavy Metal Thunder
Tracklist
CD I:
01. Heavy Metal Thunder
02. Strong Arm of the Law
03. Power & the Glory
04. And the Bands played on
05. Crusader
06. Dallas 1PM
07. Princess of the Night
08. Wheels of Steel
09. 747 (Strangers in the Night)
10. Motorcycle Man
11. Never Surrender
12. Denim & Leather
13. Backs to the Wall
CD II – Live at Bloodstock 2014
01. Sacrifice
02. Power and the Glory
03. Heavy Metal Thunder
04. Battalions of Steel
05. Motorcycle Man
06. And the Bands Played On
07. To Hell and Back Again
08. 747 (Strangers in the Night)
09. Crusader
10. Wheels of Steel
11. Princess of the Night
12. Denim and Leather
The Saxon Chronicles
Tracklist:
DVD I Wacken Open Air Festival, Germany 2001:
01. Motorcycle Man
02. Dogs Of War
03. Heavy Metal Thunder
04. Cut Out The Disease
05. Solid Ball Of Rock
06. Metalhead
07. The Eagle Has Landed
08. Conquistador (Drum Solo)
09. Crusader
10. Power And The Glory
11. Princess Of The Night
12. Wheels Of Steel (Guitar Solo)
13. Strong Arm Of The Law
14. 20,000 Ft.
15. Denim And Leather
Bonus Stuff :
Interview with Biff Byford
DVD II – Saxon on Tour
Official Videos:
01. Suzie Hold On
02. Power And The Glory
03. Nightmare
04. Back On The Streets Again
05. Rockin’ Again
06. (Requiem) We Will Remember
07. Unleash The Beast + Behind The Scenes
08. Killing Ground
Saxon on TV – Interviews, History, TV-Appearances:
01. And the Band Played On
02. Back on the Streets
03. Never Surrender
04. Denim And Leather
05. Wheels of Steel
Bonus Stuff: Text/Photo Gallery
Rock’n’Roll Gypsies – 1989 Live AudioCD
1. Power And Glory
2. And The Bands Played On
3. Rock The Nation
4. Dallas 1PM
5. Broken Heroes
6. Battle Cry
7. Rock ‘N Roll Gypsies
8. Northern Lady
9. I Can’t Wait Anymore
10. This Town Rocks
11. The Eagle Has Landed
12. Just Let Me Rock
Gli Whyzdom confezionano un ottimo album di genere, prodotto benissimo e colmo di spettacolari orchestrazioni
Chiariamolo subito: l’album in questione e la band che l’ha creato fanno parte di un genere che, a livello di novità e originalità, ha già esibito fin dalla metà degli anni novanta tutta la sua potenzialità, diventando una delle espressioni in ambito metallico più seguite dai fan, specialmente in Europa.
Difficile perciò trovare album che stupiscano sotto questi aspetti, mentre molto più facile è imbattersi in realtà che, seguendo i soliti cliché del genere, confezionino delle ottime opere di metal gotico, sinfonico e dalle orchestrazioni cinematografiche di buon appeal, virtù sposate dagli amanti di queste sonorità.
A riprova di ciò ecco il nuovo lavoro della band transalpina Whyzdom, nata nel 2007 e al terzo lavoro dopo i due full lenght “From The Brink Of Infinity” del 2009 e “Blind?”, precedente album del 2012.
Preso atto del cambio di vocalist, con Marie Rouyer che prende il posto dietro il microfono della collega Elvyne Lorient, ci immergiamo tra i solchi di questa opera sinfonica dal titolo Symphony For A Hopeless Godche, se non fa gridare al miracolo per spunti innovativi, offre più di un’ora di dinamico ed alquanto metallico gothic metal.
Se, come dei novelli cavalieri della tavola rotonda, siete alla ricerca del santo graal dell’originalità, lasciate tranquillamente perdere questo album; se, invece, il genere continua a regalarvi emozioni, allora spegnete i cellulari e fatevi prendere per mano dalla band parigina, che vi accompagnerà tra le orchestrazioni e gli ottimi spunti dell’opera in questione, dove un buon impatto metal, riuscite parti orchestrali e l’ottima ugola della singer vi regaleranno una buona scusa per stare a casa e godervi lo spettacolo.
Settanta minuti (forse, leggermente troppi) di musica a tratti spettacolare, con qualche picco e qualche piccolo cedimento, che ci sta, proprio in conseguenza della lunga durata, tra funamboliche parti orchestrali e fughe metalliche aggressive, amalgamate con buon piglio dalla band, brava nel non perdersi troppo in parti atmosferiche, ma attaccando dalla prima all’ultima nota lasciando che tutta la sua musica arrivi a noi nella forma migliore (la produzione è al top).
Tra i brani, che raggiungono tutti la sufficienza, spiccano le ottime Asylum Of Eden (la più riuscita in virtù delle ottime orchestrazioni epico/cinematografiche), seguita dalla roboante Waking Up The Titans, dai cori magniloquenti che si avvicinano ai Therion, e Where Are The Angels, anch’essa impreziosita da una spettacolare aurea epica enfatizzata dall’ottima sinfonia classica.
Senza tediarvi con le solite band di riferimento, la band francese ha confezionato un ottimo album di genere, prodotto benissimo, colmo di spettacolari orchestrazioni, ed interpretato da una brava cantante, per gli amanti del genere virtù essenziali per amare un lavoro come Symphony For A Hopeless God.
Tracklist:
1. While the Witches Burn
2. Tears of a Hopeless God
3. Let’s Play with Fire
4. Eve’s Last Daughter
5. Don’t Try to Blind Me
6. The Mask
7. Asylum of Eden
8. Waking Up the Titans
9. Theory of Life
10. Where Are the Angels
11. Pandora’s Tears