Rise To Fall – Into Zero

Into Zero, nuovo album dei Rise To Fall, riesce ad attirare l’attenzione per l’ottimo suono, debordante e cristallino quanto basta, mentre lascia un leggero gusto amarognolo per quanto riguarda la personalità che su questo lavoro latita.

Partono benissimo i Rise To Fall: The Descendant, brano che apre il nuovo lavoro intitolato Into Zero, ci presenta un buon death metal melodico, derivativo ma convincente, ma già dalla seconda traccia i cinque musicisti spagnoli virano decisamente verso un modern metal melodico, con doppia voce e tutti quei cliché dei quali ormai faremmo tutti a meno.

Ma facciamo un passo indietro per ricordare che il quintetto proveniente da Bilbao è attivo dal 2006 e conta già tre full length all’attivo, quindi si parla di un gruppo con l’esperienza e i mezzi per regalare opere più personali.
Into Zero è stato infatti mixato e masterizzato da Jacob Hansen nei suoi studi danesi, una firma prestigiosa per un lavoro che riesce ad attirare l’attenzione per l’ottimo suono, debordante e cristallino quanto basta, mentre lascia un leggero gusto amarognolo per quanto riguarda la personalità che su questo lavoro latita.
Il modern metal dei Rise To Fall è copiato con la carta carbone da altre decine di lavori del genere, un metal che di estremo ha solo il solito scream reso inoffensivo da clean vocals che trasformano brani di per sé discreti come Acid Drops o The Empress in canzonette da classifica rock, situazione già vissuta con le band storiche del death metal melodico come In Flames e Soilwork.
Il problema dei Rise To Fall è che non hanno la classe dei primi o un artista del calibro di Björn Strid al microfono come i secondi, e tutta la fatica profusa in sala d’incisione viene vanificata da una serie di brani carini ma che passano senza lasciare traccia.
Into Zero potrebbe rappresentare un buon inizio per una band all’esordio, ma qui siamo già al quarto album e il compitino svolto non permette di andare oltre un tiepido apprezzamento.

Tracklist
01. The Descendant
02. In The Wrong Hands
03. Acid Drops
04. House Of Crosses
05. Virgin Land
06. The Empress
07. Temptation Feeds On Our Weaknesses
08. Zero Hour
09. Effects Of The Terrestrial Syndrome
10. Survivor
11. Game Of Appearances
12. White Canvas

Line-up
Dalay Tarda – Vocals
Hugo Markaida – Lead guitars
Dann Hoyos – Lead guitars
Javier Martin – Bass
Xabier del Val – Drums

RISE TO FALL – Facebook

Magnum – Live At The Symphony Hall

Un’altalena tra brani storici e nuove perle fanno di questo live un appuntamento imperdibile per i fans dei Magnum che, dal vivo, si confermano un gruppo ancora in grado di suonare come pochi hard rock melodico di gran classe.

Gli storici melodic rockers Magnum stanno diventando un appuntamento fisso sulle pagine di MetalEyes e questo nuovo album live conferma il buon periodo del gruppo inglese, lo scorso anno sul mercato con il ventesimo album della sua carriera, Lost On The Road To Eternity.

Il tour di supporto all’ultimo lavoro ha portato Tony Clarkin, Bob Catley, il bassista Al Barrow e i due nuovi membri, il tastierista Rick Benton e il batterista Lee Morris, sul palco della Symphony Hall di Birmingham il 18 Aprile 2018, città da cui partirono nel lontano 1972 .
Ovviamente l’atmosfera dell’evento è palpabile, i Magnum giocano in casa la seconda volta dopo vent’anni e vincono facile la partita con i loro fans grazie ad un’ottima forma, specialmente della coppia d’assi Clarkin/Catley che, a dispetto degli anni che passano inesorabilmente, regalano una performance degna della loro fama, assecondati dai loro compagni.
Ovviamente il momento clou del live è la salita sul palco di Tobias Sammet, mastermind di Edguy ed Avantasia che, come nell’album, duetta con Catley sulla title track dell’ultimo lavoro.
Si tratta di un brano di un’altra categoria, che potrebbe tranquillamente far bella mostra di sé in un greatest hits dei Magnum, così come gli altri brani tra storia e leggenda che il gruppo inglese ha regalato all’hard rock melodico mondiale (Vigilante, How Far Jerusalem, The Spirit e When The World Comes Down).
Un’altalena tra brani storici e nuove perle come Crazy All Mothers fanno di questo live un appuntamento imperdibile per i fans dei Magnum che, dal vivo, si confermano un gruppo ancora in grado di suonare come pochi hard rock melodico di gran classe.

Tracklist
CD1
1. When We Were Younger
2. Sacred Blood ‘Divine’ Lies
3. Lost on the Road to Eternity
4. Crazy Old Mothers
5. Without Love
6. Your Dreams Won’t Die
7. Peaches and Cream
8. How Far Jerusalem

CD2
1. Les Morts Dansant
2. Show Me Your Hands
3. All England’s Eyes
4. Vigilante
5. Don’t Wake the Lion (Too Old to Die Young)
6. The Spirit
7. When the World Comes Down

Line-up
Tony Clarkin – guitars
Bob Catley – vocals
Rick Benton – keyboards
Al Barrow – bass
Lee Morris – drums

MAGNUM – Facebook

Tytus – Rain After Drought

Vera macchina da guerra hard & heavy, i Tytus non fanno prigionieri e si confermano come una delle più convincenti realtà del genere.

I Tytus sono tornati e fanno male….. tanto male!

La band proveniente da Trieste, dopo aver distrutto mezzo pianeta con la micidiale detonazione provocata dal primo lavoro intitolato Rises (uscito tre anni fa), da il via ad un secondo bombardamento sonoro, questa volta licenziato dalla Fighter records ed intitolato Rain After Drought.
Rain After Drought è un concentrato di musica metallica che vede riff, solos, ritmiche potenti come un caccia torpediniere in primo piano: chitarra, basso e batteria al servizio del dio del rock, epico per certi versi, quasi eccessivo all’apparenza, ma in realtà perfetto nel suo glorificare un sound primitivo e dannatamente coinvolgente.
Se il primo album raccontava di una catastrofe legata all’avvicinamento della Terra al Sole, causato anche dalle dieci esplosioni contenute in Rises, Rain After Drought è uno tsunami biblico di metal/rock a non lasciare scampo.
Fin dall’opener Disobey veniamo travolti da queste nuove dieci tracce, tra riff mastodontici, solos taglienti e cavalcate strumentali di scuola Maiden (Rain After Drought Pt.1).
Vera macchina da guerra hard & heavy, i Tytus non fanno prigionieri e si confermano come una delle più convincenti realtà del genere.

Tracklist
1.Disobey
2.The Invisible
3.The Storm That Kill Us Hall
4.Our Time Is Now
5.The Dark Wave
6.Death Throes
7.Rain After Drought PT.1
8.Rain After Drought PT.2
9.Move On Over
10.A Desolate Shell Of A Man

Line-up
Ilija Riffmeister – Vocals & Guitars
Mark SimonHell – Guitars
Markey Moon – Bass
Frank Bardy – Drums

TYTUS – Facebook

A Pale Horse Named Death – When the World Becomes Undone

Il ritorno degli A Pale Horse Named Death è bellissimo ed assolutamente imperdibile per gli amanti del sound nato tra le vie di Brooklyn una trentina d’anni fa.

Quello che nel 2010 sembrava un progetto estemporaneo, nel corso degli anni è diventato uno dei gruppi più interessanti del panorama doom/gothic statunitense, dal sangue di tipo 0 negativo.

Sal Abruscato, ex tra gli altri di Type 0’Negative e Life Of Agony, ha continuato a percorrere la strada aperta dal guru del genere Peter Steele con i A Pale Horse Named Death, arrivati con questo ottimo When the World Becomes Undone al terzo full length in meno di dieci anni.
Masterizzato da Maor Appelbaum (Faith No More,Yes, Sepultura, Halford) questo nuovo mastodontico lavoro del gruppo newyorkese risulta l’ennesimo grattacielo eretto sopra piani di musica metal/rock dalla struttura doom, tra i quali si aggirano anime grunge, hardcore e metal che non trovano pace.
Un’ora di metallo si trascina tra i resti di un mondo messo a nudo e ormai allo sfascio, con un lento incedere che a tratti lascia che la rabbia prenda il sopravvento, con schizzi di oscuro hardcore che sferrano colpi mortali all’atmosfera gotica e disillusa dell’album.
Quei muri sonori, che sono la firma del doom metal suonato nella grande mela, tornano a far tremare le membrane di casse lasciate nella polvere del tempo prima che il nuovo millennio vedesse la luce, cimiteri dimenticati tra i quartieri di una metropoli oscurata dal male e che portano sulle lapidi i titoli di brani come la title track, Feel In My Hole, Lay With The Wicked, Splinters e che vedono girare tra la terra smossa velate forme sonore dalle somiglianze con Type 0 Negative, Life Of Agony, Alice In Chains e Danzig.
Il ritorno degli A Pale Horse Named Death è bellissimo ed assolutamente imperdibile per gli amanti del sound nato tra le vie di Brooklyn una trentina d’anni fa.

Tracklist
1.As It Begins
2.When the World Becomes Undone
3.Love The Ones You Hate
4.Fell in My Hole
5.Succumbing to the Event Horizon
6.Vultures
7.End of Days
8.The Woods
9.We All Break Down
10.Lay with the Wicked
11.Splinters
12.Dreams of the End
13.Closure

Line-up
Sal Abruscato – Vocals, Guitars
Eddie Heedles – Guitars
Eric Morgan – Bass
Joe taylor – Guitars
Johnny Kelly – Drums

A PALE HORSE NAMED DEATH – Facebook

Pressor – Weird Things

Pesanti come macigni, i quattro brani che compongono questo ep non lasciano scampo: nel genere i Pressor sono un gruppo sicuramente da seguire nelle sue prossime mosse.

La lava scende inesorabile dalla lontana Russia e brucia migliaia di chilometri, violentando l’ovest per poi esplodere in un fragoroso boato stoner sludge metal.

Pesantissimo, stonato e psichedelico arriva, trasformando tutto in un letale magma metallico il nuovo lavoro dei Pressor, combo russo dalla discografia che dal 2012 si dipana in ep e split.
Formata da musicisti dal passato doom/death e black metal, la band sforna l’ennesimo e monolitico tsunami di magma vulcanico intitolato Weird Things, composto da quattro brani aperti dal lento incedere della monolitica Heavy State, oppressivo ed ossessivo episodio che sfocia nella più dinamica title track, stone nell’indole pur mantenendo intatta l’anima estrema della proposta.
Gli strumenti formano un muro sonoro invalicabile e Tripping Deep torna a rallentare la corsa, valorizzata da ottimi intrecci ritmici.
Tastiere settantiane fanno da tappeto a Hexadecimal Unified Insanity, traccia conclusiva e brano più americaneggiante del lotto, salutandoci prima d’essere fagocitati dall’onda lavica alzata dai quattro rockers russi.
Pesanti come macigni, i quattro brani che compongono questo ep non lasciano scampo: nel genere i Pressor sono un gruppo sicuramente da seguire nelle sue prossime mosse.

Tracklist
1.Heavy State
2.Weird Things
3.Tripping Deep
4.Hexadecimal Unified Insanity

Line-up
Stas – guitar, vocals
Anton – guitar, vocals
Denis – bass
Danya – drums

PRESSOR – Facebook

https://noname666.bandcamp.com/

Sulphur Aeon – The Scythe Of Cosmic Chaos

Questo lavoro si colloca tra le migliori produzioni del genere, ad uso e consumo di chi ha storto il naso per la svolta “dark/gotica” dei sempre fondamentali Behemoth.

Dal più profondo abisso dell’inferno arriva ad oscurare il cielo di questa fine d’anno 2018 The Scythe Of Cosmic Chaos, ultimo di tre mostruosi parti estremi dei deathsters tedeschi Sulphur Aeon.

Un terremoto che a livello underground non lascia scampo, un death metal alimentato da maligne presenza black in un’atmosfera da girone infernale: questo lavoro si colloca tra le migliori produzioni del genere, ad uso e consumo di chi ha storto il naso per la svolta “dark/gotica” dei sempre fondamentali Behemoth.
The Scythe Of Cosmic Chaos porta in sé quell’attitudine senza compromessi che è di molte band che si muovono nei meandri del metal estremo, quindi ancora più violento, oscuro e diabolico degli ultimi spartiti dello storico gruppo polacco.
Il genere è quello, un minimo di confronto con la band di Nergal è quasi dovuto, ma i Sulphur Aeon non sono sicuramente un gruppo da archiviare come cloni di realtà più famose, in questi cinquantun minuti di musica esce prepotentemente il talento estremo del gruppo che si traduce in cascate di riff che bruciano nell’inferno, fiumi di note che creano vortici e mulinelli dove se si cade, si apre una porta per la casa del demonio intento a suonare un death metal maligno, tra potenti mid tempo, atmosfere blasfeme ed un tocco di oscura e gotica ispirazione che ne alza il valore compositivo.
Otto anni dopo l’inizio dell’attività e dopo due album che mettevano le basi per qualcosa di più grande (Swallowed by the Ocean’s Tide del 2013 e Gateway to the Antisphere del 2015) la band tedesca arriva al suo apice compositivo con The Scythe Of Cosmic Chaos, lavoro letteralmente da adorare e ricoo di autentiche perle estreme come Yuggothian Spell, Veneration Of The Lunar Orb e Lungs Into Gills e di magnifiche atmosfere morbose e diaboliche.

Tracklist
1.Cult of Starry Wisdom
2.Yuggothian Spell
3.The Summoning of Nyarlathotep
4.Veneration of the Lunar Orb
5.Sinister Sea Sabbath
6.The Oneironaut – Haunting Visions Within the Starlit Chambers of Seven Gates
7.Lungs into Gills
8.Thou Shalt Not Speak His Name (The Scythe of Cosmic Chaos)

Line-up
T. – Guitars, Bass
M. – Vocals
D. – Drums
S. – Bass
A. – Guitars

SULPHUR AEON – Facebook

Monuments – Phronesis

I Monuments possiedono quelle caratteristiche che in parte coprono i difetti riscontrabili in tutte le opere del genere e Phronesis, da questo punto di vista, ha dalla sua richiami al nu metal che imprimono quella verve in più all’ascolto.

Il metalcore ha iniziato da almeno un paio d’anni l’ involuzione fisiologica di quei generi che trovano il successo, rimangono nei favori degli ascoltatori per un periodo più o meno lungo per poi cadere in uno stato creativo comatoso, provocato dalle centinaia di band tutte uguali che le label sparano a mitraglia sul mercato alla ricerca della gallina dalle uova d’oro.

Il metal moderno melodico quindi, lascia alla sua anima più estrema e violenta (il deathcore) la gloria qualitativa, per provare invece a raggiungere i più giovani con opere sempre più melodiche e chiuse nella solita formula da tempo abusata fino alla noia.
Si salvano da tutto questo i Monuments, quintetto londinese al terzo lavoro sulla lunga distanza per Century Media, una garanzia di qualità anche in questo genere, grazie ad una produzione scintillante e ad un lotto di brani che ben esprimono il concetto di metal core, con ritmiche sincopate e dalla ottima tecnica, chorus puliti e dal sicuro appeal e un uso discreto della canonica dicotomia vocale.
Gratificati da un successo che li vede girare l’Europa anche in questo anno per supportare il nuovo lavoro, i Monuments hanno dalla loro quelle caratteristiche che in parte coprono i difetti riscontrabili in tutte le opere del genere e Phronesis, da questo punto di vista, ha dalla sua richiami al nu metal (Leviathan) che imprimono quella verve in più all’ascolto.
Per il resto siamo perfettamente in sintonia con i dettami ben conosciuti, ed anche questo ultimo lavoro targato Monuments troverà estimatori tra gli amanti di queste sonorità mentre verrà totalmente ignorato da tutti gli altri.

Tracklist
1.A.W.O.L
2.Hollow King
3.Vanta
4.Mirror Image
5.Ivory
6.Stygian Blue
7.Leviathan
8.Celeste
9.Jukai
10.The Watch

Line-up
Olly Steele – Guitar
Adam Swan – Bass
Chris Barretto – Vocals
John Browne – Guitar
Daniel ‘Lango’ Lang – Drums

MONUMENTS – Facebook

Cóndor – El Valle del Cóndor

Il sound del quintetto colombiano amalgama in modo sagace gli elementi dell’heavy/death/doom, e li modella lasciando che le atmosfere si dilatino senza perdersi troppo, potenziate da mid tempo potenti ed un rantolo di matrice death nel cantato.

Arrivati al quarto lavoro sulla lunga distanza, i Cóndor si presentano come una delle realtà più presenti nella scena metal underground della capitale colombiana Bogotá.

Il gruppo, infatti, in cinque anni di attività ha dato vita a tre lavori, prima che La Caverna Records licenziasse questo ultimo album incentrato su un doom/death metal dai risvolti heavy e old school.
Una proposta assolutamente underground ma che mantiene una sua forte personalità: il sound del quintetto colombiano amalgama in modo sagace gli elementi dei tre generi citati, li modella lasciando che le atmosfere si dilatino senza perdersi troppo, potenziate da mid tempo potenti ed un rantolo di matrice death nel cantato.
L’album si apre con una lunga intro strumentale dal titolo Obertura, con le chitarre che sprigionano riff dissonanti e carichi di watt, mentre El Paramo De Pisba accelera le ritmiche avvicinandosi al death metal.
La Cuchilla Del Tambo è un breve brano strumentale che funge intermezzo prima che Santa Rosa De Osos apra squarci doom/death metal, in un contesto ritmico dai molti cambi di tempo.
El Valle del Cóndor ha nei molti strumentali, come Cabeza de Buitre, i momenti più riusciti e si conclude con le note folk della title track a suggellare un buon lavoro in arrivo da una scena ancora tutta da scoprire come quella colombiana.

Tracklist
1.Obertura
2.El Páramo de Pisba
3.La Cuchilla del Tambo
4.Santa Rosa de Osos
5.Aw’tha
6.Gudrún
7.Cabeza de Buitre
8.Raudo es el Cauca
9.El valle del Cóndor

Line-up
Andrés Felipe López Vergara – Drums, Vocals
Francisco Fernández López – Guitars
Antonio Espinosa Holguín – Guitars, Vocals
Alejandro Solano Acosta Madiedo – Bass
Jorge Eduardo Canal Corredor – Guitars, Vocals

CONDOR – Facebook

Gotthard – Defrosted 2

Defrosted 2 è un viaggio emozionate nella storia dei Gotthard nonché un ulteriore testimonianza del valore del gruppo svizzero, tra rock e blues e armonie acustiche di rara intensità.

La morte di un personaggio e vocalist straordinario come il compianto Steve Lee avrebbe piegato chiunque, non Leo Leoni che, presi per mano i suoi Gotthard, ancora una volta ha navigato tra le acque malinconicamente oscurate dal dramma e con un nuovo singer dietro al microfono (il bravissimo Nic Maeder) li ha portati verso una nuova vita artistica e a questo Defrosted 2, live acustico che immortala la band in una raffinata e sanguigna versione acustica.

Accompagnata dal quartetto d’archi The G-Strings e con il prezioso supporto delle cantanti Maram El Dsoki e Barbara Comi, la band svizzera regala una performance eccellente, con una raccolta di brani che ripercorre l’intera carriera, tra cover e accenni a grandi classici del rock impreziosito e reso assolutamente imperdibile da un’atmosfera rock blues.
Una menzione particolare va a Maeder, cantante sanguigno e assolutamente perfetto per il sound degli storici rockers, qui in una versione ancora più sentita che dà vita ad una prova che strappa emozioni e sa essere elegante ma allo stesso tempo graffiante, da vero interprete blues’n’roll.
Defrosted 2 non presenta solo versioni acustiche ma spesso cerca nuove strade per proporre classici della storia dei Gotthard, da Anytime, Anywhwere e Sister Moon, da Miss Me a Right On e Lift U Up.
C’è tempo per una versione davvero originale di Smoke On The Water dei Deep Purple e di due inediti, tra cui Bye Bye Caroline, scritta a due mani con Francis Rossi, leader dei leggendari Status Quo, da cui è stato tratto un video.
Defrosted 2 è un viaggio emozionate nella storia dei Gotthard nonché un ulteriore testimonianza del valore del gruppo svizzero, tra rock e blues e armonie acustiche di rara intensità.

Tracklist
1. Miss Me
2. Out On My Own
3. Bang
4. Sweet Little Rock ‘N’ Roller
5. Beautiful
6. Feel What I Feel
7. Hush
8. Remember It’s Me
9. Stay With Me
10. Tequila Symphony
11. Mountain Mama
12. Why
13. C’est La Vie
14. One Life One Soul
15. Tell Me
16. Starlight
17. Sister Moon
18. Right On
19. Lift U Up

Line-up
Nic Maeder – Vocals
Leo Leoni – Guitar
Freddy Scherer – Guitar
Marc Lynn – Bass
Hena Habegger – Drums

GOTTHARD – Facebook

Hollow – Between Eternities of Darkness

Echi di Nevermore, Queensryche, Morgana Lefay e Tad Morose sono presenti in questo splendido ritorno firmato Hollow, un lavoro che mette in primo piano sentimenti, emozioni, dubbi e paure e le trasforma in musica, tragicamente metallica, potente ma dall’impatto melodico straordinario.

Sono passati vent’anni da quando gli Hollow del polistrumentista Andreas Stoltz licenziarono Architect Of The Mind, bellissimo lavoro che vedeva la band svedese alle prese con un power progressive metal potente e melodico, sulla scia di Nevermore e Morgana Lefay.

La Rockshots Records non si è fatta scappare l’opportunità di mettere il suo marchio su questo inaspettato ritorno intitolato Between Eternities of Darkness, scritto, cantato e suonato da Stoltz con l’aiuto del batterista Stalder Zantos.
Mixato e masterizzato da Ronnie Björnström ai Enhanced Audio Productions in Svezia, l’album racconta il periodo difficile e drammatico di una famiglia normale, un periodo oscuro che non cancella il ricordo di tempi migliori, raccontato per mezzo di un emozionante viaggio nel metal progressivo che, come da tradizione del combo, si divide tra il concetto melodico ricco di tensione, oscuro e drammatico del metal statunitense e quello potente, roccioso e power suonato in Scandinavia a cavallo dei due secoli.
Echi di Nevermore, Queensryche, Morgana Lefay e Tad Morose sono presenti in questo splendido ritorno firmato Hollow, un lavoro che mette in primo piano sentimenti, emozioni, dubbi e paure e le trasforma in musica, tragicamente metallica, potente ma dall’impatto melodico straordinario.
La bravura tecnica del mastermind svedese non si discute, ma è la parte compositiva che lascia senza fiato, trasformando Between Eternities of Darkness, in una raccolta di brani drammatici, spettacolari nelle parti progressivamente ritmiche e da brividi nelle parti cantate.
Fate Of The Jester, Pull Of The Undertow, le splendide Hidden e Calling regalano insieme a tutta la tracklist grande musica metal, di livello superiore alla media per maturità artistica e songwriting: il ritorno degli Hollow è qualcosa più di una gradita sorpresa.

Tracklist
1.Travel Far
2.Fate of the Jester
3.Down
4.Pull of the Undertow
5.Shadow World
6.Hidden
7.Calling
8.The Road I’m on
9.Death of Her Dream
10.Say Farewell

Line-up
Andreas Stoltz – Vocals and Guitar
Stalder Zantos – Drums

HOLLOW – Facebook

Slap Guru – Diagrams Of Pagan Life

Un album intenso, con il blues e la psichedelia a dettare atmosfere e tempi, per questi quattro musicisti scaraventati quasi indietro di mezzo secolo da una macchina del tempo ma in grado di regalare ottima musica rock.

Gli Slap Guru sono un gruppo hard blues psichedelico madrileno: il loro primo lavoro intitolato Cosmic Hill uscì un paio di anni fa per la Andromeda Relix ed ora tornano sul mercato con il full length Diagrams Of Pagan Life, per la Sixteentimes Music.

Il sound proposto richiama le band hard rock degli anni settanta, e tutto in questo album è fortemente legato ai primi anni del decennio più importante della storia del rock, andando se vogliamo ancora più a ritroso e sconfinando nella decade precedente.
Led Zeppelin, Cream e Bad Company, strafatti di psichedelia e sostanze illegali, si materializzano in questo viaggio del quartetto spagnolo, composto da dodici brani che formano un’unica jam di retro rock in grado di portarci su altri mondi, spaziando tra blues e rock psichedelico e a tratti progressivo.
Diagrams Of Pagan Life è rivolto agli amanti dei suoni vintage, l’aria che si respira è in tutto e per tutto quella degli anni a cavallo tra gli anni sessanta e settanta, e l’impatto di quest’opera, dalla copertina alla musica prodotta, è assolutamente e volutamente retrò, quindi assolutamente fuori portata se non siete più che fans della musica suonata in quel periodo, ma che in tal caso sa regalare momenti di grande rock, con brani come My Eerie Universe, Contemporary Blankness e Streams On A Plain.
Un album intenso, con il blues e la psichedelia a dettare atmosfere e tempi, per questi quattro musicisti scaraventati quasi indietro di mezzo secolo da una macchina del tempo ma in grado di regalare ottima musica rock.

Tracklist
01.Çk-üsa
02.Diagrams Of Pagan Life
03.My Eerie Universe
04.Into The Gloom
05.To Forget Is To Forgive
06.Contemporary Blankness
07.Earth Cycles
08.The Same Old Way – Diagrams Of The Solar System
09.A Daily Loser – Dropping Electrons In A Hydrogen Atom
10.A Wornout Tool – Diagrams On A Blaze
11.Streams On A Plain
12.An-ühataN-üda

Line-up
Valerio ‘Willy’ Goattin – Voices, electric & acoustic guitars
Alberto Martin Valmorisco – Electric & classic guitars, sitar, baglama, cosmic frequency collector
Javier Burgos Labeaga – Bass
Jose Medina Portero – Drums, percussion

SLAP GURU – Facebook

Vision Quest – Vision Quest

Un buon esempio di rock melodico, impreziosito da parti progressive che seguono la storia, regalando una serie di brani dalle melodie rock di stampo aor ma nei quali non manca l’energia.

Il melodic rock trova l’ennesimo progetto tutto italiano a valorizzare tutti gli aspetti che ne decretarono il successo mondiale negli anni ottanta, i Vision Quest, band nata da diversi anni e composta da Guido Ponzi alla voce, Marco Bartoli alle prese con tastiere e basso ed Emiliano Belletti alla chitarra.

Il loro monicker riprende il titolo di un film uscito nel 1985 ed intitolato appunto Vision Quest e che nella colonna sonora vedeva all’opera, oltre a Madonna, nomi del calibro di Journey, Foreigner, John Waite, Sammy Hagar e Dio.
Aiutati da un buon numero di ospiti, i Vision Quest danno vita ad una rock opera divisa in due parti, The Kingdom e The Journey, che raccontano le vicende di Orion e dell’ancella Avathar.
Licenziato dalla Rockshots, l’album risulta appunto un buon esempio di rock melodico, impreziosito da parti progressive che seguono la storia, regalando una serie di brani dalle melodie rock di stampo aor ma nei quali non mancano energia hard rock ed appunto splendide parti in cui il progressive d’autore valorizza la musica che racconta le vicende dei due protagonisti.
Un’ora di musica che celebra il periodo ottantiano e la parte più melodica delrock con una raccolta di brani che vede nella prima parte le splendide The Sacred Crown e The Immortal svettare sulle altre tracce, mentre nella seconda, dedicata alle vicende che vedono protagonista Avathar, si parte alla grande con l’arena rock di Evil Laughter e continuando l’ascolto ci si imbatte nelle splendide trame melodico progressive di Lost In Time.
Questo ottimo debutto omonimo si rivela quindi un lavoro imperdibile per gli amanti del rock melodico e dei gruppi ai quali inevitabilmente la band si ispira.

Tracklist
PART 1: THE KINGDOM
1.The Quest Begins
2. Medieval Hero
3. The Sacred Crown
4. Valley Of The Lost
5. The Eve Of The Battle
6. Avathar
7. Immortal

PART 2: THE JOURNEY
8.Evil Laughter
9. Eternal Love
10. Master Of Hopes
11. All These Years
12. Lost In Time
Bonus Track: “Dragon Of Tomorrow”, “The Run”

Line-up
Guido Ponzi – lead and backing vocals
Marco Bartoli – keyboards, bass guitars, instruments sequencing
Emiliano Belletti – electric guitars

Guests musicians :
David Putney – speech in The quest begins
Silvia Saccani – vocals and backing vocals in Eternal Love
Mirko Pratissoli – sax solo in Avatar and Lost in Time
Ilaria Cavalca – piano in Avatar and The Eve of the Battle
Stefano Riccò – acoustic guitar in The Eve of the Battle
Luke “Hollywood” Barbieri – metal guitars in Eternal Love, Lost in Time, All these Years
Johnatan Gasparini – guitar lead in Master of Hopes
Alfredo Pergreffi – clean guitar in Eternal Love
Helder Stefanini – drums

VISION QUEST – Facebook

Metal Church – Damned If You Do

In questo ultimo album le atmosfere dark sono presenti così come le accelerazioni di scuola thrash metal, e le melodie incastonate in assoli e chorus che hanno fatto scuola permettono ai Metal Church di ripresentarsi in buona forma.

I veterani Metal Church pubblicano il loro dodicesimo album e si torna così a parlare della storia del metal statunitense.

Infatti la band americana è forse la più indicata quale pioniera di un sound diventato marchio di fabbrica dell’heavy metal classico made un U.S.A., dalle tinte dark, drammatico e thrashy, ma sempre con un occhio attento alle melodie.
Diversi gruppi hanno costruito intere carriere con le regole che i Metal Church hanno definito fin dai primi anni ottanta passando alla storia metallica con lavori leggendari che, per quanto riguarda la band di Kurdt Vanderhoof, sono scritti sulle tavole della legge dell’heavy metal (The Dark, Blessing In Disguise e The Human Factor su tutti).
Dodici album non sono neppure così tanti, ma la qualità dei lavori licenziati è rimasta elevata per oltre trent’anni e i vecchietti terribili del metal classico a stelle e strisce non mancano all’appuntamento con i loro fans neppure questa volta.
Il ritorno del batterista Stet Howland dopo i gravi problemi di salute che gli impedirono di subentrare immediatamente a Jeff Plate, è la novità che si porta dietro questo nuovo lavoro, per il resto tutto funziona alla grande e Damned If You Do risulta l’ennesimo buon lavoro; potente e melodico.
In questo ultimo album le atmosfere dark sono presenti così come le accelerazioni di scuola thrash metal, e le melodie incastonate in assoli e chorus che hanno fatto scuola permettono ai Metal Church di ripresentarsi in buona forma.
L’album parte con la title track, brano che segna il percorso assolutamente ovvio e privo di sorprese di questo lavoro, alternando mid tempo, armonie pregne di oscure melodie e sfuriate metalliche sulle quali Mike Howe ruggisce e graffia da par suo.
Damned If You Do è un album che nei suoi perfetti automatismi regala canzoni di alto livello come The Black Things, Guillotine e Monkey Finger, quindi in grado di soddisfare gli amanti del gruppo e del metal classico d’oltreoceano; dal vivo i Metal Church continuano ad essere una macchina da guerra, mentre in studio si confermano come gruppo ancora lontano dalla quiescenza compositiva.

Tracklist
1. Damned If You Do
2. The Black Things
3. By The Numbers
4. Revolution Underway
5. Guillotine
6. Rot Away
7. Into The Fold
8. Monkey Finger
9. Out Of Balance
10. The War Electric

Line-up
Mike Howe – Vocals
Kurdt Vanderhoof – Guitars
Stet Howland – Drums
Steve Unger – Bass
Rick Van Zandt – Guitars

METAL CHURCH – Facebook

Death Waltz – Born To Burn

I Death Waltz guardano avanti e, pur non nascondendo ispirazioni ed influenze, licenziano un buon lavoro provando a farsi spazio nella scena underground nostrana.

I bresciani Death Waltz si definiscono semplicemente una band “metal” e fanno bene, sarebbe forse troppo lungo etichettare il sound del loro primo lavoro come melodic death, thrash, heavy metal.

Nata ormai quattro anni fa, la band lombarda arriva a licenziare il primo lavoro dopo alcuni cambi di line up e la solita gavetta in giro per i locali della provincia bresciana, prima che questo roccioso, metallico e melodico Born To Burn veda la luce e venga promosso dalla Ad Noctem Records.
Questi undici brani che formano quaranta minuti di musica, vedono la band impegnata nel proporre metal che prende ispirazione tanto dal melodic death metal, quanto dall’heavy, potenziando a tratti l’atmosfera con sferzate thrash che velocizzano le ritmiche ed estremizzano il sound.
Ne esce un lavoro piacevole, grezzo e melodico, attraversato da armonie che richiamano i Sentenced di Down, i Maiden ed in generale il thrash metal, ma che trovano una loro strada, sicuramente ancora più da personalizzare in futuro.
Born To Burn risulta quindi un buon ascolto, un tocco moderno in qualche arrangiamento non manca e dona a brani come Blood Moon, Dream e Samarra quel che basta per essere inserito nel metal del nuovo millennio.
I Death Waltz guardano avanti e, pur non nascondendo ispirazioni ed influenze, licenziano un buon lavoro provando a farsi spazio nella scena underground nostrana.

Tracklist
1.Intro
2.Juliet
3.Blood Moon
4.Beast
5.Death Waltz
6.Dream
7.This Is War
8.Samarra
9.Born to Burn
10.Riot
11.Asylum

Line-up
Jacopo “Jack” Polonioli – Drums
Mirko “J” Scarpellini – Guitars
Diego Dangolini – Bass
Stefano “Stef” Comensoli – Guitars
Alberto Scolari – Vocals

DEATH WALTZ – Facebook

Black Paisley – Perennials

Che si parli di ballate o ruvide canzoni hard rock, i Black Paisley non sbagliano un colpo e ci regalano un album splendido, consigliato senza riserve agli amanti del classic rock e del rock melodico.

Ottimo lavoro all’insegna dell’hard rock più classico e d’autore con gli svedesi Black Paisley, band di rocker D.O.C. che, dopo aver iniziato la sua avventura nel 1998, licenzia il suo nuovo lavoro dal titolo Perennials.

Nato appunto vent’anni fa come cover band, il quintetto proveniente da Stoccolma decide di puntare sulle proprie canzoni e direi che la scelta è stata azzeccata vista la qualità dei brani che compongono anche questa nuova raccolta di brani, che si muovono eleganti e ruvidi tra l’hard rock dei due decenni più importanti per il genere, tra il mood classico degli anni ottanta e quello più groove del decennio successivo.
La sfida a singolar tenzone la vince sicuramente l’anima ottantiana del sound di Perennials, con la band che sfoggia una freschezza compositiva invidiabile ed un lotto di brani che non lasciano scampo, tra graffiante hard rock di scuola Bryan Adams, impreziosito da sfumature west coast, accenni hard blues di marca Coverdale e rock melodico raffinato ed impreziosito da cori sempre all’altezza.
I rockers svedesi sfoggiano così un songwriting invidiabile e la grande presa che le canzoni hanno sull’ascoltatore sottolineano la cura che i Black Paisley hanno messo in questo bellissimo lavoro.
Che si parli di ballad (Without You) o ruvide hard rock song (Mother, Step Back) la band non sbaglia un colpo e ci regala un album splendido, consigliato senza riserve agli amanti del classic rock e del rock melodico.

Tracklist
1.I Want Your Soul
2.Day by Day
3.Out of My Life
4.Alone
5.Think
6.Sometimes
7.Step Back
8.Trying
9.Secret
10.Miss Me
11.Once in a Lifetime
12.Without You

Line-up
Stefan Blomqvist – Lead vocal and guitar
Ulf Hedin – Guitars
Jan Emanuelsson – Bass
Robert Wirensjö – Keyboards
Mikael Kerslow – Drums and Percussion

BLACK PAISLEY – Facebook

Perpetual Fate – Cordis

I Perpetual Fate giocano con il rock alternativo e lo sanno fare molto bene, fanno trasparire le loro influenze ma le assecondano con una già spiccata personalità.

Dopo tre anni di attività e qualche aggiustamento nella line up, i Perpetual Fate licenziano il loro primo lavoro sulla lunga distanza, che segue l’ep uscito lo scorso anno intitolato Secret.

E’ la sempre attenta Revalve Records a prendersi cura di questo prodotto, che si può senz’altro inserire nell’universo del rock alternativo, di questi tempi valorizzato dalle molte uscite con passaporto italiano.
E la scena alternative tricolore trova un’altra ottima ragione per essere considerata come una delle più attive della vecchia Europa, con la qualità dei prodotti che si alza piano ma con costanza.
I Perpetual Fate puntano molto sulla voce della cantante Maria Grazia Zancopè, ottima interprete degli undici brani che compongono quasi un’ora di musica rock moderna e melodica, con le chitarre che a tratti graffiano, qualche accenno di groove nelle ritmiche e tastiere presenti con suoni che si ispirano a quelli elettronici della new wave.
Tra l’alternanza di potenza e melodia di brani dall’ottimo appeal come l’opener Rabbit Hole, Smothered, la splendida Cannibal, la metallica The Land (con la partecipazione di Michele Guaitoli e Marco Pastorino) ed il singolo Rainfall, si muove un gruppo dall’approccio personale e convincente, forte di un lotto di belle canzoni, prodotte benissimo ed anche per questo dalle elevate potenzialità.
I Perpetual Fate giocano con il rock alternativo e lo sanno fare molto bene, fanno trasparire le loro influenze ma le assecondano con una già spiccata personalità.

Tracklist
1.Rabbit Hole
2.Enslavement
3.Smothered
4.The Path (I See You)
5.Cannibal
6.Mark Any Youth
7.Rainfall
4:28
8.The Land
3.Eternal Destiny
10.When They Cry
11.A Word Between You and Me

Line-up
Maria Grazia Zancopè – Voice
Gianluca Evangelista – Guitar
Massimiliano Pistore – Guitar
Diego Ponchio – Bass
Marco Andreetto- Drums

PERPETUAL FATE – Facebook

Nattravnen – Kult Of The Raven

Kult Of The Raven è l’ennesimo gioiello estremo nato dal talento di questi due grandi musicisti uniti sotto il monicker Nattravnen.

Dall’unione di due loschi personaggi dal talento estremo come il vocalist Kam Lee (ex-Death, ex-Massacre, The Grotesquery) e il polistrumentista Jonny Pettersson (Heads For The Dead, Wombbath, Henry Kane) non poteva che uscire grande musica oscura dai rimandi death/black.

Ispirato dalla leggenda del Night Raven, Lee ha scritto il concept che sta dietro a questo bellissimo album, mentre Pettersson, confermando il suo immenso talento, sfoggiato nei mostruosi lavori di Heads For The Dead e Wombbath (usciti in questi ultimi mesi) ha dato vita ad un mostruoso esempio di metallo oscuro e terrificante.
Death metal, atmosfere black e doom, creano un’atmosfera pregna di malevolo metallo estremo, con l’oscurità che si tocca con mano in queste nove tracce che compongono quest’opera maligna e dannata.
Accompagnato dalla splendida copertina creata da Juanjo Castellano e licenziato dalla Transcending Obscurity di Kunal Choksi (anche ideatore del logo del gruppo), Kult Of The Raven è un album in cui l’oscurità e il terrore scorrono sulla pelle dell’ascoltatore, circondato ed avvolto dal maligno incedere di brani nei quali la potenza del death metal viene intrisa di orchestrazioni horror black e i momenti di matrice doom non fanno che aumentare il senso di oppressione che attanaglia capolavori di musica nera come la pece.
Kam Lee regala un’interpretazione spaventosa in tutti i sensi, mostruoso quando il growl prende il sopravvento, da brividi quando i toni si fanno atmosferici e malati.
Dal primo all’ultimo brano si entra in un mondo di malvagia oscurità, i corvi banchettano con le nostre anime al suono debordante delle varie The Night Of The Raven, Upon The Sound Of Her Wings e The Anger Of Despair When Coping With Your Death, picco e sunto compositivo di questo bellissimo lavoro.
Kult Of The Raven è l’ennesimo gioiello estremo nato dal talento di questi due grandi musicisti uniti sotto il monicker Nattravnen.

Tracklist
1.The Night Of The Raven
2.Suicidium, The Seductress Of Death
3.Corvus Corax Crown
4.Upon The Sound Of Her Wings
5.Return To Nevermore
6.From The Haunted Sea
7.The Anger Of Despair When Coping With Your Death
8.Kingdom Of The Nattravnen
9.Kult Av Ravnen

Line-up
Kam Lee – Vocals and lyrics
Jonny Pettersson – All instruments

NATTRAVNEN – Facebook

The Black Crown – Entropy

Un suono malinconico e dalle atmosfere dark si muove tra crescendo emotivi di scuola Tool in questo buon lavoro, tra bassi pulsanti come cuori carichi di disagio, sfuriate metalliche di chitarre urlanti ed atmosfere dark rock dal buon groove, impreziosite da armonie pianistiche di delicato rock gotico.

I The Black Crown sono un progetto nato da un’idea del musicista campano Paolo Navarretta.

Il primo album intitolato Fragments fu licenziato dalla label statunitense Zombie Shark Records un paio di anni fa ed ora i The Black Crown tornano con Entropy, una raccolta di brani dal sound che ripercorre certo metal moderno e progressivo in voga in America negli anni novanta e nei primi anni del nuovo millennio.
Un suono malinconico e dalle atmosfere dark si muove tra crescendo emotivi di scuola Tool in questo buon lavoro, tra bassi pulsanti come cuori carichi di disagio, sfuriate metalliche di chitarre urlanti ed atmosfere dark rock dal buon groove, impreziosite da armonie pianistiche di delicato rock gotico.
L’album entra nel vivo dopo l’intro Venus: la tooliana Path che ci porta al centro delle visioni musicali del gruppo, con un Navarretta convincente nella parti vocali ed un sound che, anche nella successiva Furious, risulta un crescendo di emozionante musica alternative dal piglio dark.
Le ispirazioni che hanno aiutato Navarretta alla creazione di questo lotto di brani sono da rinvenire appunto in Tool, A Perfect Circle e Nine Inch Nails, poi sapientemente miscelate con suoni ed arrangiamenti di matrice dark rock per creare una musica malinconica come nella splendida Seeking, canzone che si poggia su un giro di piano di scuola Katatonia, unica concessione alla scena europea.
Entropy scivola via liquido e duro, drammatico e melodico, con ancora la pacata Consequences e la più nervosa Fade che scrivono la parola fine in un lavoro consigliato senza remore ai fans delle band citate e agli amanti del rock alternativo dalle tinte più oscure.

Tracklist
1.Venus
2.Path
3.Furious
4.Cage
5.Habit
6.Seeking
7.Turnaround
8.Consequences
9.Somewhere
10.Fade

Line-up
Alessandro Pascolo – Drums
Enzo Napoli – Bass
Antonio Vittozzi – Guitar
Paolo Navarretta – Vox & Guitar

THE BLACK CROWN – Facebook

Althea – The Art Of Trees

Una cascata di note che non mantiene prigionieri gli Althea in un determinato spazio temporale, ma permette loro di muoversi a piacimento tra il rock progressivo di ogni epoca.

E’ incredibile come la musica sia capace di troncare ogni parola superflua e dare sempre una risposta, zittire tutti e regalare a coloro che la colgono una via di fuga al piattume di una società con poche certezze e tanta stupidità.

Drammi che lasciano posto ad una sequela di frasi senza capo ne coda e che l’uomo saggio dovrebbe ignorare, cercano risposte tra le trame splendide di opere come il secondo lavoro su lunga distanza degli Althea dopo le meraviglie progressive di Memories Have No Name, licenziato un paio di anni fa e tornato lo scorso anno in versione fisica tramite la Sliptrick Records, etichetta che licenzia anche questo bellissimo The Art Of Trees.
Dario Bortot e compagni, da band collaudata, non cambiano di molto il proprio sound rispetto al primo lavoro. gli Althea hanno un loro approccio alla musica progressiva che li fa riconoscere immediatamente, sempre supportati da produzioni ed arrangiamenti di livello superiore e da un’alternanza tra le parti metalliche e quelle più soft che, oltre ad essere assolutamente personali, sono anche il loro maggior pregio.
Una musica delicata, raffinata ed elegante, supportata da un talento melodico straordinario si muove sinuosa tra le partiture progressive dei brani: una cascata di note che non mantiene prigionieri gli Althea in un determinato spazio temporale, ma permette loro di muoversi a piacimento tra il rock progressivo di ogni epoca.
Gli Althea sono bravi a non lasciarsi attrarre troppo da soluzioni cervellotiche e, invece di limitarsi ad esibire al mondo le loro capacità tecniche, lasciano che siano le emozioni scaturite dalla voce di Bortot e dalle splendide melodie di brani come One More Time, Evelyn, The Art Of Trees e Away From Me a prendere per mano l’ascoltatore accompagnandolo in questo bellissimo viaggio a ritroso in una vita che potrebbe essere quella di ciascuno di di noi.

Tracklist
01. For Now
02. Deformed to Frame
03. One More Time
04. Today
05. Evelyn
06. Not Me
07. The Shade
08. The Art of Trees
09. Away From Me feat. Michele Guaitoli
10. Burnout

Line-up
Dario Bortot – Guitars, Keys & Synths
Alessio Accardo – Vocals
Sergio Sampietro – Drums
Andrea Trapani – Bass

ALTHEA – Facebook

Silver Dust – House 21

Un mix di Type O Negative, Sisters Of Mercy e Secret Discovery in versione Grand Guignol, con qualche passaggio estremo e modern metal: un buon ascolto per gli amanti dei suoni gothic/dark del nuovo millennio.

Il mondo del rock da Grand Guignol si arricchisce di un altro spettacolo, questa volta offerto da un quartetto di artisti, musicisti ed eleganti anime nere chiamato Silver Dust, capitanato dal chitarrista e cantante Lord Campbell che, tramite la Escudero Records, licenzia la seconda opera della sua carriera intitolata House 21.

Dieci brani (più la cover del classico Bette Davis Eyes portato al successo dalla cantante Kim Carnes e che vede come ospite Mr.Lordi), è quello che ci propongono questi alternative gothic rockers francesi, saliti sul palco di un virtuale teatro nei sobborghi parigini per dar vita al concept di House 21, in un’atmosfera di grigio e nebbioso mondo gotico, animato da accenni al metal moderno, danze tribali ed arrangiamenti magniloquenti che a tratti arricchiscono il sound.
I Silver Dust cercano di variare le atmosfere rimanendo legati ad un mood horror rock convincente, anche se la moltitudine di sfumature che compongono il mondo musicale creato dalla band a tratti porta leggermente fuori tema.
The Unknown Soldier, Forever e The Witches Dance sono i brani migliori di questo mix di Type O Negative, Sisters Of Mercy e Secret Discovery in versione Grand Guignol, con qualche passaggio estremo e modern metal: un buon ascolto per gli amanti dei suoni gothic/dark del nuovo millennio.

Tracklist
1.Libera Me
2.The Unknown Soldier
3.House 21
4.Forever
5.Once Upon A Time
6.La La La La
7.Bette Davis Eyes (feat. Mr.Lordi)
8.This War Is Not Mine
9.The Witches Dance
10.It’s Time
11.The Calling

Line-up
Lord Campbell – Vocals, guitar
Tiny Pistol – Guitars, vocals
Kurghan – Bass
Mr.Killjoy – Drums

SILVER DUST – Facebook