CALLIGRAM

I Calligram sono una band emergente, di stanza a Londra ma composta da musicisti dalle diverse nazionalità. Il fatto che, tra questi, il vocalist sia l’italiano Matteo Rizzardo, ci ha offerto l’occasione di fare un interessante botta e risposta nella nostra lingua. Ecco cosa ne è scaturito.

iye Ciao Matteo, il fatto di potermi rapportare con te in italiano mi consentirà di porti probabilmente qualche domanda intelligente, cosa che con il mio inglese scolastico non sarei riuscito a fare …
Il primo quesito, però, temo mi smentisca subito, per quanto doveroso: come sei finito a Londra? Lavoro, affetti o semplicemente l’Italia di oggi ti sta stretta ?

Ciao Stefano. In tutta sincerità non l’ho ancora capito. Sai, credo che i percorsi che la vita intraprende a volte sfuggano del tutto alla possibilità di comprenderli a pieno, figli come sono del caos che tutti portiamo dentro. Certo, è innegabile che l’Italia, in cui le opportunità di lavoro per i giovani non sono affatto idilliache e in cui non ci sono segnali a breve termine che facciano pensare ad un cambio di rotta, possa stare un po’ stretta, come dici tu, ma non mi sento affatto di identificare in questo il motivo che mi ha spinto a partire. La verità è che a Londra ci sono finito quasi d’improvviso, un po’ per gioco e un po’ per caso; è il viverci, come sempre, che ti frega, perché col tempo ti si attacca sulla pelle la sensazione che la città in cui ti trovi senza nemmeno sapere come in realtà non abbia fatto altro che chiamarti a sé da tutta una vita. È magia pura.

iye Dopo la famigerata “Brexit” se ne sentono di tutti i colori, spesso distorti da un’informazione daltonica e, detto con molta benevolenza, superficiale. Mi piacerebbe sapere, da qualcuno che vive la situazione dall’interno, come stanno effettivamente le cose e come sono cambiate, nel caso.

Il clamore dei primi giorni è decisamente sfumato, e con esso pure l’accozzaglia di voci profetiche che ad esso si accompagnavano, e finalmente è arrivato il silenzio. Non sono un tecnico ma credo che un’analisi lucida e oggettiva sulla questione Brexit non possa che mettere in risalto l’impossibilità di azzardare alcuna previsione su quello che potrà accadere al Regno Unito (e all’UE), perché si è trattato di un evento senza precedenti le cui conseguenze si sottraggono a qualsiasi pronostico. Vissute dall’interno, da italiano residente a Londra, Brexit non ha cambiato di una virgola la vita di tutti i giorni. Anche perché, aldilà della sterlina in discesa fin dal primo giorno post-referendum, i veri contraccolpi si potranno sperimentare solo quando l’uscita sarà effettiva, fra due anni. Da musicista, però, ho ben chiari in mente i possibili problemi che potrebbero sorgere all’atto di porre barriere in un mondo, come quello della musica, dove il contatto costante e il flusso continuo sono vitali: ripercussioni negative sulla possibilità per le band straniere indipendenti di poter venire a suonare in UK, e viceversa, e sulla capacità di distribuzione per le piccole etichette discografiche sono solo alcuni dei problemi che si dovrebbe affrontare. Ma, di nuovo, sono solo supposizioni.

iye Veniamo ai Calligram. Dai vostri cognomi (Polotto, Desbos, Smittens, Cotones, Rizzardo) si evince una provenienza geografica piuttosto eterogenea, e mi incuriosisce non poco scoprire quali strane combinazioni astrali vi abbiano fatti incontrare nella capitale inglese.

Sì, questa effettivamente è la caratteristica che balza all’occhio non appena si legge la nostra biografia: due brasiliani, un francese, un inglese e un italiano, pare quasi l’incipit di una storiella divertente. E invece è una storia fatta di sacrifici e di sudore, di cinque ragazzi che pur provenendo da parti del mondo opposte amano scrivere musica e provano a portarla in giro il più possibile. In un certo senso la band rispecchia il multiculturalismo proprio di Londra, che è un crogiolo di etnie che convergono da tutti i continenti. Ardo e Bruno erano amici fin dai tempi in cui vivevano ancora in Brasile, l’idea della band è partita da loro, poi gli annunci di ricerca su internet hanno fatto il resto, portando all’arrivo immediato di Tim, e poi al mio e a quello di Smittens. É la rete che ci ha fatti incontrare, quindi, ma è la forte alchimia creatasi da subito ad averci tenuti insieme e addirittura rafforzati.

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iye In sede di presentazione siete stati descritti come una band black metal, ed è un qualcosa che definire fuorviante è poco: basta vedere una vostra foto ed ascoltare poche note per uscire dall’equivoco, rinvenendo la corposa componente hardcore punk. Le etichette sono un male necessario per inquadrare in qualche modo l’offerta musicale di una band: voi come vi definireste, effettivamente?

La definizione più frequente nelle recensioni che finora abbiamo ricevuto è blackened hardcore, che mi trova d’accordo per sommi capi, ma immagino che qualsiasi neologismo che connetta il black metal con il crust core possa centrare il punto. Mi diverte molto la definizione che ha dato Dom Lawson di Metal Hammer, descrivendo la nostra musica come un “Flesh-flaying black metal punk rock”: in fin dei conti quello che facciamo è musica furiosa, veloce e incazzata ma la nostra attitudine, specie dal vivo, è assolutamente punk.

iye A seguito di tutto questo, quando vi esibite dal vivo, con quali tipi di band vi trovate a condividere normalmente il palco?

Nell’ultimo anno abbiamo condiviso il palco con band assolutamente fantastiche, che mi hanno aperto gli occhi su una scena underground inglese di qualità eccelsa e molto variegata – Art of Burning Water, Harrowed, Dead Harts, Ba’al, Mt Hell, Grappler, Svalbard, Surya, solo per citare alcuni esempi. I concerti in cui ci sentiamo più a nostro agio, e che fortunatamente sono sempre più frequenti in questi ultimi tempi, sono comunque quelli in cui ci troviamo a condividere il palco con band dai suoni pesanti e molto sporchi, siano essi veloci e impazziti come quelli tipici delle band crust-core oppure più lenti come quelli che caratterizzano le band doom e sludge. In fin dei conti ci lega, credo, lo stesso filo conduttore, la stessa idea di musica, la stessa ricerca sonora: la volontà di togliere groove a favore di una maniacale distorsione sonora.

iye Da dove nasce questo intreccio, comunque non così scontato, tra due generi che veicolano la rabbia in maniera opposta, l’uno (il black) tramite un atteggiamento misantropico e l’altro (l’hardcore/punk) attraverso una rabbia furente scagliata verso l’esterno?

L’idea di fondo è quella di suonare musica nel modo più violento possibile, senza fronzoli, imprecisa quel che basta per perdere ogni groove, portando la distorsione a livelli disumani. Ma perché ciò possa funzionare, senza apparire un ammasso informe di caos e rumore, serve dinamicità, e in questo senso il connubio tra punk e black metal fa esattamente al caso nostro. Con la componente punk innestiamo la furia d-beat, che è rabbia cieca, furente, scagliata in tutte le direzioni; la componente black metal invece entra in gioco nell’ibernare questa furia dentro le maglie di blastbeat asfissianti, e veicolandola attraverso le sue melodie essenziali e minimali, creando, almeno nelle intenzioni, un effetto claustrofobico devastante. Poi, ovviamente, queste sono riflessioni a posteriori, tutta filosofia spicciola che non entra in gioco, almeno consciamente, in fase di scrittura. Quello che facciamo, quando componiamo un pezzo nuovo, è semplicemente fare attenzione alla struttura e all’equilibrio della canzone, assicurandoci che le varie parti formino davvero un tutto coerente e non piuttosto un ammasso di pezzi attaccati con la colla. Penso che questa sia la sfida più grande per un musicista, far coesistere più cambi di ritmo e di sonorità in uno stesso brano facendoli apparire come naturali evoluzioni della canzone affinché essa possa mantenere così intatta la sua identità: in questo senso abbiamo ancora molto da imparare, anche se i risultati finora raggiunti fanno ben sperare, e se dovessi dire il nome di una band che al momento padroneggia alla perfezione quest’arte nominerei senza alcun dubbio gli Oathbreaker.

iye Quali sono i vocalist ai quali ti ispiri maggiormente ?

Ammiro molto George Clarke dei Deafheaven, Ryan McKenney dei Trap Them, Tompa Lindberg di At the Gates e Disfear, Jacob Bannon dei Coverge e Phil Anselmo, nonostante le infinite polemiche cui dà vita ogni vota con le sue affermazioni sempre discutibili, ma non credo di poter dire di ispirarmi a loro, perché quando canto, ispirazioni e modelli vengono meno e ciò con cui mi trovo ad aver a che fare è il mio timbro vocale, il mio modo di essere, anche sul palco: è lì che sei sempre solo con te stesso, e te la devi sbrigare coi tuoi mezzi.

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iye Anche se risiedi a Londra continui a seguire le vicende musicali italiane? Se sì, c’è qualche band che ritieni meritevole di maggiore attenzione?

Seguo sempre con attenzione lo sviluppo delle vicende musicali in Italia, che a livello di realtà underground non ha nulla da invidiare a nessuno. The Secret, ad esempio, è una band crust-grind italiana che amo alla follia, e che sta avendo anche all’estero il meritato riconoscimento, come del resto anche gli Ufomammut e i Deadly Carnage. Riferendomi più precisamente alla mia zona d’origine, la scena è viva e sempre più in salute, sono nati negli ultimi anni collettivi davvero interessanti come TrevisoPunx e VeneziaHC dalle quali sono uscite band fenomenali come gli Zeit, che vi consiglio caldamente di andarvi ad ascoltare se amate l’hardcore ultraviolento da calci sui denti, o i Messa, che sono una delle realtà più promettenti del panorama doom italiano. C’è anche un festival in provincia di Treviso, il Disintegrate your Ignorance, dedicato alle sonorità pesanti, da tenere d’occhio perché sta ottenendo anno dopo anno una caratura sempre più internazionale.

iye Ammetto d’aver curiosato sul tuo profilo facebook dove ho trovato una serie di frasi e di considerazioni , immagino di tuo esclusivo conio, che rappresentano degli assoluti lampi di genialità con un forte retrogusto amaro … Nella visione di Matteo Rizzardo il mondo è così brutto come lo si dipinge, o è anche peggio?

In realtà no, ho solo un senso dell’umorismo un po’ cinico e non mi piace prendermi sul serio. Certo, ho una vena profondamente nichilista ma mi piace anche prendermi per il culo e più in generale prendere in giro chi su facebook cerca di dare un’immagine di sé da vincenti. Prima che lo diciate voi, lo dico io: ovviamente la mia è invidia in quanto sono un perdente nato.

iye La storia dei Calligram è ancora all’inizio, sostanzialmente, ed i buoni riscontri ottenuti da Demimonde sono evidentemente uno stimolo in più per continuare su questa strada: quali saranno i vostri prossimi passi ?

A febbraio entreremo in studio di registrazione per il prossimo album, che sta già prendendo forma e ci vede tutti eccitatissimi a riguardo. Collaboreremo con Lewis Johns, che è un produttore navigato che ha già lavorato, e molto bene, con altre band che stimiamo e che riesce a dare ai lavori che produce quel tocco in più che li rende infallibili. I nuovi brani, inoltre, sono più strutturalmente maturi rispetto a quelli di Demimonde, e la ricezione avuta nei live, finora, è andata oltre ogni aspettativa. Per il resto, suonare il più possibile e interagire con nuove band rimane il nostro costante obiettivo, e possibilmente riuscire ad organizzare un tour per quest’estate.

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