Entrando in qualsiasi libreria, ci si trova spesso di fronte a volumi, talvolta ponderosi, intitolati i “100 migliori dischi del ….” dove, al posto dei puntini, si può inserire un genere musicale a piacere.
Parliamo, quindi, di un tipo di operazione che sovente si rivela piuttosto arida, trasformandosi in una sequela di recensioni postume raggruppate in un volume, per di più con la pretesa nemmeno troppo velata, da parte dell’autore, di attribuire un valore assoluto alle proprie scelte.
Ci si potrebbe legittimamente chiedere, allora, perché possa valere la pena di acquistare questo Prog Rock – 101 dischi dal 1967 al 1980: ebbene, a parte la scelta bizzarra di non voler fare cifra tonda, la differenza sostanzialmente sta soprattutto in chi lo ha scritto e nelle modalità di selezione dei dischi prescelti.
Gli autori di quest’opera sono infatti i genovesi Fabio Zuffanti, uno dei musicisti contemporanei dediti al progressive tra i più noti ed attivi nella scena italiana, e Riccardo Storti, grande esperto della materia e suo compagno d’avventura nella trasmissione televisiva Astrolabio, in onda su Teleliguria, in collaborazione con il Centro Studi per il Progressive Italiano.
In questo caso i due autori riescono a completarsi alla perfezione, per cui alla competenza tecnica del musicista si aggiunge la conoscenza enciclopedica del saggista/appassionato, dando vita ad un lavoro che, pur non avendo l’ambizione d’essere esaustivo, rappresenta uno spaccato fondamentale di un movimento musicale che, volenti o nolenti, in quegli anni non ha solo cambiato il corso della musica, ma ha costituito una vera e propria espressione culturale a sé stante, trovando un terreno particolarmente fertile nel nostro paese.
Il libro è stato inizialmente ideato dal solo Zuffanti (che, per chi lo ignorasse, è il fondatore di band come Finisterre, Höstsonaten, La Maschera di Cera e, oggi, è attivo con il progetto che porta il suo nome), il quale, scelti i 101 dischi, è ricorso al fondamentale aiuto dell’amico per completare un lavoro mastodontico che ha richiesto diversi anni di lavoro, non essendo stato lasciato nulla al caso nella descrizione di ogni album, fin nei suoi più reconditi dettagli.
Come sottolineato argutamente da qualcuno, in occasione della presentazione del libro avvenuta presso la Libreria Feltrinelli nel capoluogo ligure, di fatto le scelte effettuate da Zuffanti sono inattaccabili in quanto dichiaratamente soggettive, prive quindi dell’ambizione di trasformare un elenco di preferenze in una vera e propria classifica da imporre al lettore.
Nonostante tutto, nel fare questo, i nostri sono ricorsi ad un stratagemma, ovvero quello di non citare più di un album accreditato ad ogni singola band (o musicista): in tal modo si è evitato di saturare il libro con le intere discografie dei gruppi maggiori (King Crimson su tutti, come affermato esplicitamente parlando di In The Wake Of Poseidon), optando piuttosto per una disamina della singola opera, integrata da una panoramica su tutti i restanti lavori.
Un altro criterio utilizzato, che potrebbe far storcere il naso a qualcuno tra gli appassionati più integralisti, è stato quello ampliare lo spettro delle scelte a tutta la musica definibile progressiva in senso lato, intendendo come tale quella che all’epoca sfuggiva alle regole del pop ed alla codificata alternanza strofa-ritornello: questo ha fatto sì che il primo disco ad essere preso in esame sia stato niente meno che Sgt.Pepper dei Beatles, mentre in chiusura è stato collocato Symphonye Celtique del bardo Alan Stivell.
E’ evidente quanto questi due nomi siano d’istinto difficilmente collocabili all’interno del genere così come lo abbiamo sempre inteso, con la logica del negozio di dischi che ha la necessità di incasellare cd o vinili in un settore piuttosto che in un altro, ma è anche grazie a questo che molti, magari, scopriranno che quell’Alan Sorrenti dai più ricordato come la pop star bianco vestita che cantava Figli delle Stelle, è lo stesso autore di Aria, uno dei dischi fondamentali per l’intero movimento.
E ancora, se tra gli artisti italiani troveremo figure “insospettabili” come Battisti, Branduardi, Fortis, Lolli o, un po’ meno a sorpresa, Battiato, non mancano tutti i nomi storici più ordinariamente associabili al genere (inutile citarli), italiani e non, oltre che aperture verso il cosiddetto kraut rock, rappresentato dai dischi di Tangerine Dream, Popol Vuh e Klaus Schulze.
Il libro si occupa, quindi, per lo più di nomi noti ma senza ignorare realtà misconosciute, come diversi gruppi operanti al di là di quella che, a quel tempo, veniva definita “cortina di ferro”; anche per questo il lavoro di ricerca effettuato da Storti e Zuffanti acquisisce ulteriore valore, alla luce delle innumerevoli notizie che accompagnano anche la descrizione di album che non riscossero successo neppure all’epoca.
Per assurdo, proprio la dovizia di particolari talvolta appesantisce la lettura, specie quando si vivisezionano singoli brani spaccando il minuto ed i secondi, oppure quando l’analisi della tecnica musicale si trasforma in terreno per iniziati, risultando non sempre di facile comprensione per chi non sa tenere in mano uno strumento.
Un eccesso di zelo del tutto perdonabile, derivante da una voglia di trasmettere senza alcuna reticenza un sapere che è frutto, anzitutto, di una grande passione per la musica: Prog Rock è un libro che andrebbe letto e riletto dai più giovani, i quali avrebbero così la possibilità di scoprire che le sonorità amate dai loro genitori sono ancora più che mai attuali, nonostante i parametri odierni di misurazione del tempo sembrino farli risalire ad epoche ancor più remote.
Nel contempo, dai più attempati miei coetanei auspicherei una maggiore apertura verso quanto viene prodotto ai giorni nostri, perché il “pericolo” derivante dalla lettura un libro come questo, per gli appassionati di prog che hanno superato gli ‘anta, è proprio quello di farli ripiegare ancor più su un momento della storia musicale a suo modo irripetibile, spingendoli a trascurare per partito preso chi cerca di promulgarne la tradizione rielaborandola con un sentire più moderno.
In sintesi, la mia esortazione è: andiamo pure a goderci i concerti delle band storiche ancora attive o delle stesse tribute band, che ripropongono con rigore quasi filologico le gesta dei grandi del passato, ma non dimentichiamo mai di supportare anche chi propone musica originale, per favore …
P.S.: Non riuscendo a resistere alla tentazione di individuare un album mancante in Prog Rock (sempre in ossequio a quella soggettività nelle scelte che sta alla base dell’opera, sia chiaro), un giochino che coinvolgerà fatalmente chiunque lo avrà tra le mani, indico Before And After Science di Brian Eno, datato 1977: neppure questo si può definire un lavoro ortodossamente progressive ma, con i criteri di inserimento adottati, non avrebbe affatto sfigurato.
pagine 409
€25.00