Spectrale – ▲

L’ascolto di quest’album dovrebbe essere obbligato per tutti quelli che sostengono di amare la musica, ma sicuramente rimarrà ad esclusiva di pochi, noi comunque ci godiamo questo primo bellissimo rituale acustico donato dagli Spectrale.

Seguendo le varie scene underground, in tutti questi anni abbiamo avuto la fortuna di conoscere non solo band fuori dal comune, ma soprattutto etichette che fanno del portare a conoscenza di più persone possibili grande musica di qualsiasi genere si tratti.

Una di queste è sicuramente la label transalpina Les Acteurs de L’ombre Productions, che si cura di molte realtà estreme della scena del proprio paese con passione ed ottimo fiuto.
E’ così che le opere che l’etichetta ci propone all’attenzione hanno tutte un qualcosa per cui vale la pena soffermarsi all’ascolto, fuori dai soliti cliché e tutte valorizzate da enorme personalità.
Avevamo fatto la conoscenza degli Spectrale, band dal sound prevalentemente acustico, in occasione del bellissimo split in compagnia di altre due realtà dell famiglia Les Acteurs De L’ombre, gli In Cauda Venenum e gli Heir.
Giunge così anche per la creatura di Jeff Grimal il momento di licenziare il primo full length, questo , dal titolo che rispecchia il concept esoterico ed ipnotico della musica del chitarrista francese, misteriosa ed a suo modo estrema.
Credo che non ci sia assolutamente dubbi sulla natura estrema dei brani contenuti sull’album, ovviamente non si parla di sfuriate black o death metal, ma di ricami acustici che si muovono sinuosi tra le corde delle chitarre, creati dalla mente e dalle dita di questi straordinari musicisti che come maghi ci ipnotizzano e portandoci in mondi paralleli, lontano dagli isterismi di una società sempre più malata e vicino il più possibile a quello che ognuno di noi chiama Dio.
Quarantacinque minuti di musica estrema perché va aldilà dei soliti ascolti, ci invita a fermarci e per un po’ viaggiare al di sopra del mero mondo materiale sulle note delle stupende Attraction, la meravigliosa e pink floydiana Magellan e le due parti di Monocerotis suggestivi attimi musicali di questa splendida ed originale opera.
Gli Spectrale vanno oltre, l’ascolto di ▲ dovrebbe essere obbligato a tutti quelli che sostengono di amare la musica, ma sicuramente rimarrà ad esclusiva di pochi, noi comunque ci godiamo questo primo bellissimo rituale acustico donato da Jeff Grimal e soci.

Tracklist
1.Andromede
2.Contract
3.Attraction
4.Landing
5.Magellan
6.Monocerotis Part1
7.Monocerotis Part2
8.▲
9.Retour Sur Terre

Line-up
Jeff Grimal – Guitar
Léo Isnard – Drums,guitar
Xabi Godart – Guitar,noise
Raphael Verguin – Cello

SPECTRALE – Facebook

Cordis Cincti Serpente – Cenobitorium

In Cenobitorium l’ambient assume una forma minacciosa e disturbante, materializzando di fatto quella sensazione di disagio derivante dall’incombere di una qualche avversità.

Aprirsi a sonorità come quelle offerte da questo progetto denominato Cordis Cincti Serpente dovrebbe essere normale per chi predilige le forme musicali più oscure e meno convenzionali.

In Cenobitorium l’ambient assume una forma minacciosa e disturbante, materializzando di fatto quella sensazione di disagio derivante dall’incombere di una qualche avversità.
Chi sta dietro a questo progetto non si è risparmiato nel creare e reperire suoni che restano in sottofondo rispetto a quelli quotidiani, quasi a voler creare una sorta di parallelismo tra un mondo emerso brulicante di effimera vita ed uno sommerso nei cui anfratti si celano entità in procinto di risvegliarsi da un sonno durato eoni (in fondo il bello di simili ascolti è proprio quello di ricevere degli input diversi a seconda della sensibilità del singolo).
Volendo esemplificare, le coordinate di Cenobitorium rimandano ai lavori meno “rumorosi” della Cold Meat Industry, la cui pesante eredità è stata raccolta da diverse etichette, tra le quali l’italiana Industrial Ölocaust Recordings che sta offrendo uscite di un certo spessore.
La descrizione delle tre lunghe tracce sarebbe superflua quanto stucchevole, ma va citato doverosamente il rischio di erosione psichica derivante dall’ascolto prolungato della prima parte di Cenobitorium, con le sue malevole campanelle che si sovrappongono a sinistri scricchiolii e versi distorti provenienti da chissà quale forma di vita.
Se qualcuno fosse incuriosito da questa sommaria descrizione sappia che l’opera è reperibile in formato cassetta, in numero limitato, presso il sito della Industrial Ölocaust Recordings (http://cardinium.com/product/ior-tk-x/)

Tracklist:
Side A
Cenobitorium I
Cenobitorum II
Side B
Cenobitorium III

CORDIS CINCTI SERPENTE – Facebook

Shibalba – Psychostasis-Death Of Khat

L’operato dei Shibalba è strettamente consigliato a chi condivide con i tre musicisti la fascinazione esercitata dall’aura mistica delle discipline orientali.

Può stupire il fatto che un’opera come questo Psychostasis-Death Of Khat dei Shibalba sia stata pubblicata da una label come la Agonia Records che, normalmente, è dedita a generi estremi come black o death, visto che qui siamo in presenza invece di un’ambient dark trance, meditativa e sciamanica (citando letteralmente la scheda di presentazione).

L’apparente scollamento trova una sua spiegazione nel dato che due dei tre musicisti coinvolti nel progetto sono attivi da anni nell’ambito del black metal, trattandosi di Acherontas V.Priest, leader degli ellenici Acherontas, e Karl NE/Nachzehrer, che ha guidato fino allo scorso anno gli ormai disciolti svedesi Nåstrond; ai due si aggiunge il meno conosciuto Aldra-Al-Melekh.
Del resto non è neppure così infrequente l’incursione di musicisti dal background estremo in territori sperimentali, così come abbastanza spesso i risultati sono più che soddisfacenti; quella degli Shibalba è una proposta ovviamente rivolta ad un’audience differente da quella canonicamente dedita al metal o comunque, dotata di una grande disponibilità ad accogliere istanze sperimentali.
Psychostasis-Death Of Khat è fondamentalmente un prolungato (forse troppo) flusso sonoro nel quale rumore dronico, campane tibetane e invocazioni assortite si sovrappongono, offrendo a tratti momenti notevoli (l’acustica Reanimation of Akh che va a lambire la forma canzone e la minacciosa Opening the Shadow Box) ma restando quasi costantemente nell’alveo di un’ambient pesantemente ammantata di un’aura meditativa, strettamente connessa con la visione del mondo tipica delle filosofie orientali.
L’operato dei Shibalba, pertanto, è strettamente consigliato a chi condivide con i tre musicisti la fascinazione esercitata dall’aura mistica di tali discipline.

Tracklist:
1. Phychostasis-Death of Khat
2. Ihag Mthong
3. Kaoshikii Mahayana
4. Aether Ananda Aiwass
5. Naljorpa
6. Reanimation of Akh
7. Five Points of Desire
8. Orgasmic Inebriation
9. Opening the Shadow Box
10. Svarna Khecari Mudra

Line-up:
Acherontas V.Priest
Aldra-Al-Melekh
Karl NE/Nachzehrer

SHIBALBA – Facebook

Empty Chalice – Emerging is Submerging – The Evil

Le sonorità offerte da A. lavorano ai fianchi, costringono a pensare e lasciano un retrogusto amaro, rivelandone la grande profondità e la capacità di incidere sullo stato d’animo dell’ascoltatore.

Nello scorso dicembre avevamo parlato di Music For Primitive, album uscito a nome Gopota, creatura musicale che vede coinvolti Antonio Airoldi e e Vitaly Maklakov.

Il primo (che qui si firma come A.) si ripropone oggi alla nostra attenzione con il secondo atto di questo progetto denominato Empty Chalice, con il quale continua imperterrito l’opera di disturbo sonoro brillantemente proposta in quell’occasione.
Emerging is Submerging – The Evil mostra tratti più inquietanti che minacciosi e qui l’ambient opprime stendendosi come un velo di cenere sulle nostre percezioni sensoriali, proiettando nella mente un immaginario grigio ed opalescente.
Le vibrazioni sonore creano un flusso che potrebbe essere la riproduzione dell’ansito di un pianeta entrato nei suoi ultimi millenni (se non secoli) di vita, ma anche quello di chi sta rannicchiato nel proprio guscio, rifiutando di confrontarsi con un’umanità che precipita inconsapevole verso la sua estinzione; dico potrebbe, perché il bello di un espressione musicale così ermetica è proprio la sua capacità di offrire diverse chiavi di lettura che possono differire non poco a seconda della sensibilità di chi ascolta.
L’album, che esce per l’etichetta Industrial Ölocaust Records, si snoda lungo un’ora di ambient che vive di un rumorismo meno accentuato, specialmente nelle prime due tracce Look Into My Eyes e Muffled Scream, arrivando persino ad offrire dei barlumi melodici sotto forma di parti corali disturbate da campionamenti ed effetti nella magnifica Sidereal, episodio più breve del lotto.
Molto più caratterizzate da pulsioni death industrial sono invece Emerging Is Submerging e Stolen Breaths and Destroyed Hope, titoli che restituiscono in maniera piuttosto evidente quel senso di soffocamento che paradossalmente aumenta a dismisura, allorché si cerca appunto di emergere venendo ricacciati verso il basso da una realtà divenuta insostenibile.
Emerging is Submerging – The Evil è un esempio eloquente di quanto una musica che si muove nel solco degli album della mai abbastanza rimpianta Cold Meat Industry possa essere ben più annichilente e, a suo modo violenta, di molti dischi di metal estremo; le sonorità offerte da A. lavorano ai fianchi, costringono a pensare e lasciano un retrogusto amaro, rivelandone la grande profondità e la capacità di incidere sullo stato d’animo dell’ascoltatore.

Tracklist:
1.Look into my eyes
2.Muffled Scream
3.Sidereal
4.Emerging is submerging
5.Stolen breaths and destroyed hope

Line-up:
A.

EMPTY CHALICE – Facebook

GlerAkur – The Mountains are Beautiful Now

Questa è musica che travalica i generi, andando a scandagliare la sensibilità di un pubblico il cui sentire, inevitabilmente, da un certo momento in poi si muoverà in perfetta sincronia con quello dell’autore, raggiungendo quello che è il fine ultimo dell’arte, almeno nell’accezione più alta che noi conosciamo.

Abbiamo fatto conoscenza con i GlerAkur poco più di unno fa, parlando dell’ep Can’t You Wait, con il quale il musicista islandese Elvar Geir Sævarsson aveva messo in mostra la sua innata sensibilità artistica.

The Mountains Are Beautiful Now è un album che contiene musica composta inizialmente per l’opera teatrale Fjalla-Eyvindur & Halla, tratta dall’opera di Jóhann Sigurjónsson definita tra le più importanti testimonianze letterarie fuoriuscita dall’isola in epoca moderna.
A Sævarsson era stato proposto inizialmente di fare uscire un lavoro contenente la fedele riproduzione della musica utilizzata per la rappresentazione al National Theatre (dove il nostro lavora come fonico) ma, in seguito, il tutto è stato realizzato rendendolo un album slegato in qualche modo dall’aspetto visivo e registrato da una band vera e propria.
Ciò che ne scaturisce è un’opera magnifica che, senza smarrire la sua indole originaria di supporto alle azioni degli attori sul palco, offre circa tre quarti d’ora di musica ambient con ampie aperture atmosferiche e diverse incursioni da parte di sonorità più robuste, accentuate dall’utilizzo contemporaneo di una doppia batteria.
Una scelta, questa, della quale si evince la ragione d’essere ascoltando la già edita Can’t You Wait, con il suo fantastico crescendo percussivo, e la conclusiva Fagurt er á fjöllunum núna, che nella seconda metà esplode in un delirante death-industrial; per il resto, salvo la più tenue HallAlone, le meravigliose Augun Opin e Strings si avvalgono di atmosfere prevalentemente acustiche che avvolgono l’ascoltatore, trasportandolo nei paesaggi unici di una delle terre più particolari ed affascinanti del pianeta.
Lo stesso sound targato GlerAkur del resto non potrebbe che arrivare dall’Islanda, una nazione che, proporzionalmente al numero di abitanti, ha prodotto un numero consistente di musicisti in grado di segnare la scena musicale contemporanea (Bjork e Sigur Ros su tutti) grazie a proposte realmente peculiari ed innovative.
Fortunatamente Sævarsson ha seguito il suo istinto che lo ha spinto a completare questa operazione dalla quale è scaturita una gemma preziosa come The Mountains are Beautiful Now: questa è musica che travalica i generi, andando a scandagliare la sensibilità di un pubblico il cui sentire, inevitabilmente, da un certo momento in poi si muoverà in perfetta sincronia con quello dell’autore, raggiungendo quello che è il fine ultimo dell’arte, almeno nell’accezione più alta che noi conosciamo.

Tracklist:
1.Augun Opin
2.Can’t You Wait
3.HallAlone
4.Strings
5.Fagurt er á fjöllunum núna

GLERAKUR – Facebook

Sándor Vály – Young Dionysos

Suono come logos creatore, immanente e fuoriuscito da una volontà di potenza di un musicista davvero capace e totale in grado di fare, se vogliamo ridurlo a qualche genere, un ambient drone molto potente e magniloquente, un magma che entra sottoterra e poi fuoriesce da qualche altra parte, ancora più potente e devastatore.

Come giustamente afferma lo stesso multi strumentista, Young Dionysus non è un disco concepito per intrattenere, chi cerca divertimento può recarsi altrove.

Vály è uno sciamano che porta la sua musica nel cosmo attraverso l’atto di suonare tutto ciò che incontra con piglio metal e punk. Urgenza, sangue, ansia e paura, ma anche un immenso immaginario che come in un rito orfico sprigiona la sua forza primordiale per far espandere il suono nell’etere. Con questa musica si torna all’origine catartica della musica, quale musa ispiratrice per l’uomo, essendo in grado di agire sulla totalità psichica dell’essere umano. Suono come logos creatore, immanente e fuoriuscito da una volontà di potenza di un musicista davvero capace e totale in grado di fare, se vogliamo ridurlo a qualche genere, un ambient drone molto potente e magniloquente, un magma che entra sottoterra e poi fuoriesce da qualche altra parte, ancora più potente e devastatore. Dentro Young Dionysus possiamo trovare una scrittura musicale di altissimo livello, senza confini e senza limiti, e uno dei pregi maggiori di Vály è di riuscire a tessere un discorso coerente nonostante l’immensità della materia, e il pericolo di debordare grazie al suo talento. Accade invece che il disco sia molto coerente con il suo enunciato, e si dipani davanti agli occhi, ma soprattutto dentro al cervello di chi è disposto ad accogliere un cosmos più che un’opera musicale. Stupisce anche la grande accessibilità del linguaggio musicale di Vály, che come un medium riesce a farsi tra sé stesso e il suo sterminato universo musicale, scrivendo un disco davvero bello ed originale. Si viene rapiti dalla bravura e dall’attitudine metal del musicista, e capita che a volte durante i concerti spacchi il pianoforte a colpi di ascia, nella stessa maniera nella quale rompe le convenzioni musicali.

Tracklist
1. Young Dionysus
2. Drumwork
3. Overture
4. Vine Song
5. Bacchanale

EKTRO RECORDS – Facebook

Go Ask Alice – Perfection Is Terrible

Se la perfezione è terribile, almeno musicalmente i nostri il rischio lo corrono avvicinandovisi pericolosamente, tramite la proposta di di sonorità cristalline a cavallo tra l’elettronica e l’ambient, dai tratti pacati ma non prive di repentini slanci melodici.

Primo passo discografico per questo trio di musicisti romani denominato Go Ask Alice, i quali raccolgono i brani composti in questi anni riversandoli su questo breve lavoro, sicuramente interessante e di buona fattura relativamente al tipo di sound proposto, intitolato Perfection Is Terrible.

Nelel vita di tutti i giorni, nelle molteplici attività ed i diversi ruoli che la vita offre in sorte, personalmente vedo la ricerca verso un costante miglioramento come un qualcosa di positivo, che spinge le persone a non accontentarsi di un’aurea mediocritas, ma dall’altra, se subentra in tutto questo un aspetto maniacale diviene una sorta di patologia in gradodi rovinare l’esistenza in maniera irrimediabile; una frase come Perfection Is Terrible riassume tutto questo proprio perché, pensandoci bene, il raggiungimento di tale stato equivale alla fine di un qualsiasi percorso evolutivo, assimilabile metaforicamente alla morte.
Comunque, se la perfezione è terribile, almeno musicalmente i nostri il rischio lo corrono avvicinandovisi pericolosamente, tramite la proposta di di sonorità cristalline a cavallo tra l’elettronica e l’ambient, dai tratti pacati ma non prive di repentini slanci melodici.
Infatti, questi otto brevi brani interamente strumentali esibiscono una buona varietà compositiva abbinata ad una gamma di soluzioni abbastanza dinamiche, ovvero tutto quanto serve per non rendere tedioso un album strutturato in questa maniera.
Ed in effetti, la formazione a tre composta dai due fondatori Lorenzo Albanese e Flavio Moro e da Valerio Occhiodoro (aggiuntosi dopo un paio d’anni) consente proprio di sfuggire ai minimalismi delle one man band, offrendo un sound più ricco e sfaccettato, e soprattutto non freddo, nonostante il substrato fondamentalmente elettronico possa far ritenere il contrario.
Anche l’utilizzo a tratti di una batteria “vera” e della chitarra acustica (ad opera rispettivamente degli ospiti Curzio Ferri ed Andrea Oggiano) si rivela un particolare non indifferente capace, di rendere ancor più accattivante e coinvolgente l’operato dei Go Ask Alice; fatto il primo passo, quello che ci si attende ora da questi musicisti capitolini è la conferma su un minutaggio complessivo più consistente delle buone sensazioni destate con Perfection Is Terrible.

Tracklist:
1.Intro
2.Loud
3.Close to the river
4.The shout
5.Section three
6.Nova
7.Morning
8.Nothing to be sad

Line up:
Lorenzo Albanese: bass, keyboards, electric guitar
Flavio Moro: synthetizers, keyboards, drum programming
Valerio Occhiodoro: electric guitar

Guests:
Curzio Ferri: drums
Andrea Oggiano: acoustic guitar

GO ASK ALICE – Facebook

Les Chants du Hasard – Les Chants du Hasard

Un ascolto che diventa un’esperienza originale, per un album che sicuramente affascina e divide; quindi o lo si ama alla follia o lo si odia, ma sicuramente non va ignorato, almeno per chi ha il coraggio di confrontarsi con qualcosa di diverso senza pregiudizi.

Ancora oggi, a più di vent’anni dalla loro uscita, i primi due album degli Elend (Leçons de Ténèbres nel 1994 e Les Ténèbres du Dehors due anni dopo), sono considerati come dei capolavori di musica dark ambient e classica, nei quali l’attitudine estrema era assolutamente concettuale e la musica manteneva una sua perfetta connotazione fuori dagli schemi del metal.

Allora qualcuno parlava più di nuova musica classica che di sottogenere metal e non a torto, vista la totale mancanza di strumenti tradizionalmente rock.
Questo nuovo progetto, anch’esso di provenienza transalpina, si avvicina non poco allo stile del magico gruppo franco/austriaco, una one man band che vede il compositore Hazard alle prese con un’affascinate musica orchestrale, profondamente dark e dall’animo black metal, che si evince dall’uso dello scream, nei passaggi vocali, mentre le tastiere disegnano arabeschi sinfonici e drammatici.
Leggermente meno mistica ed occulta rispetto a quella degli Elend, la musica di Hazard è sicuramente più teatrale, creando un’opera che, chiudendo gli occhi, prende forma nella mente come trasposizione artistica sul palco di un teatro dell’orrore.
I sei capitoli seguono un percorso metaforico su dilemmi esistenziali, dunque lasciando ad altri sterili colonne sonore di film fantasy, mentre piano piano la musica di Hazard si fa spazio tra i meandri dell’inconscio, facendosi ad ogni ascolto sempre più profonda, oscura e a suo modo estrema.
Un ascolto che diventa un’esperienza originale, per un album che sicuramente affascina e divide; quindi o lo si ama alla follia o lo si odia, ma sicuramente non va ignorato, almeno per chi ha il coraggio di confrontarsi con qualcosa di diverso senza pregiudizi.

TRACKLIST
1. Chant I – Le Théâtre
2. Chant II – Le Soleil
3. Chant III – L’Homme
4. Chant IV – L’Enfant
5. Chant V – Le Die
6. Chant VI – Le Vieillesse

LINE-UP
Hazard – Orchestrations

LES CHANTS DU HASARD – Facebook

Völur – Ancestors

Interessante e molto ben riuscito blend di dark folk,doom e ambient che ci riporta indietro nel tempo,alle radici di un suono.

Molto, molto interessante e affascinante il secondo lavoro dei Völur, trio canadese di Toronto, dedito a un blend di folk ancestrale, doom, ambient assai intenso e ricco di sfumature.

La loro peculiarità si accentua ulteriormente visto che nel loro suono non è prevista alcuna chitarra, ma il tutto si dipana tra un suono di basso che si divide tra ruoli melodici e ritmici, un drumming lento ed evocativo e il violino che modula una moltitudine di ambientazioni, sfiorando anche la “chamber music”, che variano dal pastorale all’ancestrale creando atmosfere di pace e serenità, increspate da momenti di furore in cui emerge tutta l’oscurità e la drammaticità dei loro testi.
Questo Ancestors è il secondo capitolo di una serie di quattro opere incentrate sul vecchio mondo spirituale germanico ; il suono si dipana lento, oscuro, contemplativo in quattro lunghi brani in cui i tre musicisti intrecciano i loro strumenti per creare una miscela antica, che riporta alle origini di certo suono doom (non metal) in cui la potenza e la contemplazione convivono;
E’ come se un vecchio mondo magico tornasse alla luce dopo essere stato oscurato dalla nebbia del tempo; i suoni dell’ opener Breaker of Silence profumano all’ inizio di sapori antichi, polverosi per poi aprirsi, dopo una memorabile frase di basso, in tutta la loro suggestiva potenza: l’ultimo brano, Breaker of Famine, aggiunge anche vocalità black che accentuano la oscura tavolozza dei “colori” di questa opera.
Come sempre ripetuti ascolti giovano all’“innamoramento” di un disco che, forse, avrebbe dovuto essere pubblicato in una stagione non canicolare come l’estate; questi suoni hanno bisogno di scure notti e brevi giornate per poter entrare appieno nel cuore di chi vuole “sentire”.

TRACKLIST
1. Breaker of Silence
2. Breaker of Skulls
3. Breaker of Oaths
4. Breaker of Famine

LINE-UP
Lucas Gadke Bass, Vocals
Laura Bates Vocals, Violin, Effects
Jimmy P Lightning Drums, Percussion

VOLUR – Facebook

Paolo Spaccamonti/Paul Beauchamp – Torturatori

Beauchamp e Spaccamonti dipingono in gran bell’affresco con molti colori e con una bellissima vibrazione di fondo, per un disco che è molte cose e che è anche molto semplicemente grande musica fatta da due sensibilità affini.

La musica è fatta anche di incontri, di scelte di condividere la propria sensibilità e le modalità possibili per fare ciò.

La imprescindibile e misteriosa Torino fa da sfondo a questo incontro di due musicisti che si sono conosciuti proprio lì e che in quella città hanno la loro congiunzione astrale favorevole. Paul Beauchamp è un chitarrista americano esploratore di toni diversi dal solito, più eterei e misteriosi utilizzando acustica ed elettronica, mentre Paolo Spaccamonti è un chitarrista che vive in cinematografiche distese di note e ha una passione che muove anche noi, quella del metal. Insieme hanno scritto composto e suonato due tracce che si completano e che sono come la nostra vita , una bianca e l’altra nera. L’ incontro di questi due chitarristi ha prodotto un luogo musicale sterminato e tutto da ascoltare, figlio di due DNA musicali differenti ma assolutamente affini, che hanno prodotto una musica che allarga spazi e si moltiplica nella testa di chi sente. Dolci droni ed elettronica che parla al cuore, per un paesaggio musicale immenso e lentamente rotante, con colori che cambiano come in un tramonto prima di un apocalisse, nella tenerezza del primo o dell’ultimo abbraccio. Beauchamp e Spaccamonti dipingono un gran bell’affresco con molti colori e con una bellissima vibrazione di fondo, per un disco che è molte cose e che è anche molto semplicemente grande musica fatta da due sensibilità affini. Per tutto ciò dobbiamo anche ringraziare forte l’Argo Laboratorium di Gianmaria Aprile di Fratto9/UnderTheSky e musicista nei Luminance Ratio, un produttore e conoscitore davvero profondo di musica mai ovvia.

TRACKLIST
A. White Side
B. Black Side

FRATTO9 – Facebook

From Oceans To Autumn – Ether​/​Return To Earth

Il campo base del viaggio è il post rock, ovvero una musica ariosa e sognante, ma poi si arriva ad esplorare territori come i migliori Rosetta, e ci si spinge a regalare momenti molto simili alle atmosfere pinkfloydiane.

La musica può essere un mezzo per raggiungere svariati scopi, e la stessa canzone è altamente soggettiva se ascoltata da due persone differenti.

A volte però la musica è soltanto un velo di maya che nasconde altre cose, ed in questo caso tantissimi altri mondi e multiversi. From Oceans To Autumn è un creatore di mondi, una tensione continua verso l’infinito usando la musica come un vettore spaziale per portarci lontano. Già nel precedente A Perfect Dawn ci eravamo stupiti di fronte ad un disegno musicale davvero superiore e completamente diverso dai nostri parametri abituali. Qui è tutto ancora più maestoso ed etereo. Brandon Helms diventa un David Lynch musicale e disegna scena per scena un doppio disco incredibile e bellissimo. Il campo base del viaggio è il post rock, ovvero una musica ariosa e sognante, ma poi si arriva ad esplorare territori come i migliori Rosetta, e ci si spinge a regalare momenti molto simili alle atmosfere pinkfloydiane. I due cd sono un viaggio verso lo sconosciuto, verso galassie di suoni e rumori, atmosfere rarefatte e poi fughe verso il centro della stanza, e il momento dopo si apre la finestra e si vola. Le differenze fra i due dischi sono abbastanza sostanziali, nel senso che il primo cd offre un taglio maggiormente post rock, mentre il secondo è allo stesso tempo maggiormente ambient ma anche più chiuso e meno arioso, più inquieto. Impossibile stabilire quale dei due sia meglio, anche perché sono quasi due dischi diversi anche se c’è un filo che li lega, e che è quello di essere stati composti da un genio che risponde al nome di Brandon Helms, un compositore classico nato fortunatamente nei nostri tempi. Questa potrebbe benissimo essere infatti musica classica, per consistenza, forza e potenza, ma anche per la delicatezza e la negazione di barriere musicali. Molto coraggiosa anche la scelta di produrre due cd che devono essere ascoltati a fondo il più possibile, in un momento in cui la fruizione della musica è quella dello streaming, un rubinetto velocissimo dove tutto scorre ascoltato in superficie, mentre questo è un nettare divino che va degustato. Meraviglie.

TRACKLIST
disc 1 “ether”:
1. quintessence/core
2. medium
3. air/elysium
4. stratus/vapor

disc 2 “return to earth”:
1. arrival
2. live again
3. visible light II
4. keep awatchful eye
5. Isle
6. 211 south
7. Reconnect
8. through the ages

FROM OCEANS TO AUTUMN – Facebook

Rebirth of Nefast – Tabernaculum

Un opus magnum di arte nera intricato, aggressivo ma carico di antiche e sinistre suggestioni.

Una oscura perla fuoriesce, senza alcun preavviso, dalla infinita scena black metal underground: i Rebirth of Nefast, in realtà one man band di Stephen Lockart, in arte Wann, esistono dal 2006 ma fino ad ora avevano prodotto solo un demo (Only Death 2006) e uno split con Slidhr nel 2008, poi il nulla.

Wann ha continuato a suonare insieme a musicisti di altre splendide realtà musicali islandesi, vedi Sinmara e Wormlust, e irlandesi come Myrkr senza però riesumare la sua principale creatura; da una terra, l’Islanda, che sta proponendo molti tra i migliori artisti del genere, tipo Svartidaudi, Almirkvi, Myspyrming, solo per citarne alcuni, appare questo opus magnum di majestic and magnificent black metal.
Registrato agli studio Emissary di Reykjavik di proprietà dello stesso Wann e prodotto dalla Norma Evangelium Diavoli, l’opera nella sua lunga durata, un’ora abbondante, presenta sei brani in cui sono elaborati con grande cura black metal, doom, ambient, prog a formare una esperienza uditiva atmosferica monumentale ed eclettica: Wann ha una forza compositiva unica, è abile a variare all’interno di ogni brano le varie componenti creando dei portali che si dischiudono su arcaiche dimensioni.
Tempeste sferzanti si alternano a presenze oscure, culminanti in magnifiche atmosfere sorrette da suoni di tastiera e violini (il suggestivo ultimo brano) che racchiudono misteri esoterici ed occulti; fin dal primo brano The lifting of the veil tutte queste coordinate sono presenti, un inizio lento, maestoso, inquietante evolve lentamente verso una sfuriata black incompromissoria per poi sfumare in dolenti note di maestose tastiere. Tutti i rimanenti cinque brani propongono variazioni e sfumature riconducibili a un suono dark, intricato, aggressivo, inquietante.
Da ascoltare nel giusto mood e necessariamente da centellinare perché, come tutte le grandi opere, si apre lentamente lasciando sensazioni che ogni adoratore delle nere arti non può non apprezzare: insieme all’esordio dei Digir Gidim, una delle rivelazioni di questo inizio anno!

TRACKLIST
1. The Lifting of the Veil
2. The First Born of the Dead
3. Alignment Divine
4. Carrion Is a Golden Throne
5. Magna – Mater – Menses
6. Dead the Age of Hollow Vessels

LINE-UP
Wann – All instruments, Vocals

REBIRTH OF NEFAST – Facebook

This Morn’Omina – Kundalini Rising

L’ascolto di un lavoro dalle simili caratteristiche non è affatto semplice, ma chi apprezza il versante industrial e sperimentale della musica non farà fatica ad entrare in sintonia con i This Morn’Omina.

Questa è musica che, probabilmente, con una webzine che si chiama MetalEyes dovrebbe entrarci poco o nulla, eppure resto fermamente dell’idea che gran parte del materiale sonoro che arriva dalla Dependent Records, sia esso riconducibile all’ebm, piuttosto che all’industrial o al synthpop, possa trovare orecchie disposte ad apprezzarlo anche sulle nostre metalliche sponde.

Questo è il caso di Kundalini Rising, ultimo parto discografico del prolifico duo belga This Morn’Omina: come il titolo lascia facilmente intuire, l’album trae linfa, non solo a livello tematico, dalla spiritualità induista ma continua l’opera di compenetrazione tra le sonorità elettro/industrial e quelle mistico/tribali tipicamente orientali.
L’ascolto di un lavoro dalle siffatte caratteristiche non è affatto semplice, ma chi apprezza il versante industrial e sperimentale della musica non farà fatica ad entrare in sintonia con Mika Goedrijk (ideatore del progetto) e Karolus Lerocq, i quali paiono a volte giocare con l’ascoltatore, spiazzandolo nel loro passare con disinvoltura da loop aspri e ossessivi a momenti quasi danzerecci (ovviamente tutt’altro che intesi in senso dispregiativo), avvolgendolo con la più disturbante dark ambient o soprendendolo con squarci di musica tradizionale indiana.
Il problema, ammesso che lo sia, di Kundalini Rising è quello d’essere un lavoro che sfiora le due ore complessive di durata (infatti il formato standard prevede il doppio cd), un fatturato tutt’altro che usuale o facile da digerire, specie quando i suoni inducono una senso di straniamento dalla realtà: a livello esemplificativo consiglio di dare un’occhiata qua sotto al video girato per Garuda Vimana, che nonostante sia uno dei brani più brevi devasta l’udito e la psiche come se si sviluppasse per mezz’ora.
Elettronica, strumenti tradizionali, ambient ed una voglia inarrestabile di abbattere schemi e muri sonori: questo è Kundalini Rising, questi sono i This Morn’Omina, e se qualche orfano di Godflesh e Ministry avesse voglia di valicare il confine tra l’industrial metal e quello elettronico non deve farsi sfuggire l’occasione.

Tracklist:
Disc 1
1. Ayahuasca (Lets Shift together)
2. Tir Na Nog
3. Hadji Hadja
4. Yugan (feat. Catastrophe Noise)
5. Garuda Vimana
6. (The) Waters Of Duat
7. Earthwalk
8. Maenad

Disc 2
1. God’s Zoo (Original)
2. The Apotheosis Of Eckhart
3. Graveheart
4. Mohenjo daro
5. Kachina Blue (The Watcher)
6. Kachina Red (The End Of The World)
7. Shakti
8. Moksha

Line up:
Mika Goedrijk
Karolus Lerocq

THIS MORN’OMINA – Facebook

daRKRam – Stone And Death

Il tessuto sonoro si trasforma in una spessa ragnatela dalla quale si viene irrimediabilmente avvolti e che rende incapaci di reagire, anche quando la ragione consiglierebbe una disperata ricerca di vie di fuga.

Sono sempre più numerosi gli album definibili, più o meno a buon titolo, di musica ambient che ci vengono sottoposti, sia direttamente dai loro autori sia da etichette lungimiranti come, in questo caso, la Club Inferno, sub label della più metallica My Kingdom.

daRKRam è il progetto solista di Ramon Moro, musicista torinese le cui radici vanno ricercate nel jazz e già questo, in partenza, costituisce per forza di cose un elemento distintivo: in Stone And Death infatti, troviamo più di un passaggio in cui a prendere la scena è la tromba, strumento d’elezione del nostro, che va a creare un inconsueto connubio con il sottofondo dronico di fondo.
Inutile dire che l’ambient di daRKRam è quanto di meno rassicurante sia dato ascoltare: dimentichiamo quindi le soluzioni cristalline e magari sorrette da valide intuizioni melodiche ed andiamo invece ad immergerci senza timore, ma con il doveroso rispetto, in questo caliginoso e terrificante territorio musicale.
Un approccio, quello di Moro, che si spinge lontano dalla music for “something” di Eno, per approdare ad un qualcosa di più avvicinabile alle uscite della Cold Meat Industry del secolo scorso: il tessuto sonoro si trasforma in una spessa ragnatela dalla quale si viene irrimediabilmente avvolti e che rende incapaci di reagire, anche quando la ragione consiglierebbe una disperata ricerca di vie di fuga. Senza neppure rendersene conto, infatti, dopo una decina di minuti ci si trova inermi e privi di difese nei confronti del flusso ronzante che scava incessantemente la nostra psiche e che, alla lunga produce danni meno visibili ma più profondi di qualsiasi espressione musicale che definiremmo convenzionalmente “pesante”.
Per oltre un’ora si viene annichiliti dall’ossessivo sgocciolio di suoni resi in maniera perfetta, solo sporadicamente screziati da improvvisi soprassalti prodotti dagli strumenti a fiato (in Connection, soprattutto), un altro elemento che innalza Stone And Death ad un livello superiore alla media degli ascolti ricadenti in quest’ambito: la speranza è che tale mirabile esempio di dark ambient riesca a raggiungere non solo chi si ritrova “obbligato” ad ascoltarlo (per fortuna aggiungerei, nel mio caso), trovando invece un’audience adeguata e, inutile dirlo, più che mai open minded.
In buona sostanza, trattasi di un lavoro a suo modo magnifico, che necessita ovviamente dell’ausilio di una ricettività all’ascolto superiore alla media o, quanto meno, della ferrea volontà di provare a farne propria la reale essenza.

Tracklist:
1. VIII [Inner Need]
2. XXII [Equilibrium]
3. VI [Male Role]
4. II [Reaction to Conflict]
5. X [Connection]
6. XII [Conflict]
7. III [Evolution]
8. XVI [Work]
9. V [Inner Essence]

Line up:
daRKRam: trumpet, flugelhorn, music, ambience

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Fallen – No Love Is Sorrow

No Love Is Sorrow travalica l’idea dell’ambient come musica di mero sottofondo, rendendola soprattutto appagante per l’ascoltatore, in quanto capace di schiudere ad ogni passaggio sensazioni uditive sempre differenti.

A due anni di distanza dalla prima uscita, Lorenzo Bracaloni ritorna con il suo progetto ambient Fallen.

Come ebbi occasione di scrivere in occasione di un lavoro riuscito come Secrets Of The Moon, il musicista toscano continua a sviluppare quel discorso che, in qualche modo, prendeva le mosse da Hidden Tales And Other Lullabies, uno dei dischi uscito con il monicker The Child Of A Creek; la forma di ambient che ritroviamo in No Love Is Sorrow non differisce nella sostanza da quanto contenuto nel disco precedente, essendo nuovamente ispirata alla lezione della Kosmische Musik degli anni 70 (forse non è un caso se l’etichetta che pubblica l’album, la AOsmosis Record, sia proprio tedesca) ma appare, se possibile, ancor meglio focalizzata.
Da vecchio estimatore di quel genere musicale e, in seguito, delle opere di Brian Eno, specialmente in compagnia del duo Moebius/Roedelius (alias Cluster), non posso non apprezzare ogni singola nota presente in questo lavoro.
Negli ultimi tempi ci stanno giungendo all’attenzione diversi album che confermano quanto sia stata azzeccata la scelta, da parte di MetalEyes, di creare una sezione denominata “altri suoni”, in modo da non precluderci la possibilità di poterci occupare anche di musica che di metal e rock non ha nulla, se non il tratto comune d’essere rivolta ad un’audience piuttosto selezionata.
Quella esibita da Fallen, però, ha una marcia in più e No Love Is Sorrow è degno erede delle opere dei grandi del passato: chi ne dubita ascolti la title track, traccia che, dopo una avvio segnato da una cupa vena elettronica, si apre in un finale dai toni struggenti, oppure la stupenda Shimmering, che sarebbe stata degna di far parte di quel capolavoro semplicemente intitolato Cluster & Eno.
Questo è solo un esempio di quante frecce il musicista abbia nella sua ampia faretra, a garanzia del fatto che questo approccio travalica l’idea dell’ambient come musica di mero sottofondo, rendendola soprattutto appagante per l’ascoltatore, in quanto capace di schiudere ad ogni passaggio sensazioni uditive sempre differenti.
Difficile fare di meglio, davvero, perché No Love Is Sorrow riluce di una bellezza dalle radici antiche che non merita d’essere offuscata da qualsiasi paragone od accostamento, seppure calzante: la sensibilità musicale di Lorenzo Bracaloni si rivela ancora una volta superiore alla media, rendendolo oggi uno degli autori di musica ambient più credibili, non solo nel ristretto ambito nazionale.

Tracklist:
1.Echoes And Sin
2.Eyes Like Windows
3.No Love Is Sorrow
4.Soft Skin, Eternal Verses
5.Shimmering
6.A New Beginning

Alec Empire – Volt (Original Soundtrack)

L’operazione si rivela indubbiamente di notevole interesse, sia per i contenuti della pellicola, che racconta il dramma palestinese da un punto di vista particolare, sia per l’approccio di Alec Empire, che cerca di assecondarne le tematiche offrendo una ambient elettronica ora soffusa, ora nervosa.

Alec Empire non ha certo bisogno di presentazioni, basti solo ricordare ai più distratti che è stato uno dei principali agitatori della scena hardcore elettronica degli anni novanta con i suoi Atari Teenage Riot.

Come spesso succede, la fase di innovazione e l’impulso ribellistico impresso nei primi anni della propria attività ha progressivamente lasciato posto ad un ammorbidimento che, nel recente passato, ha prodotto lavori di buono spessore (sia solisti che con la sua ricostituita band) ma privi, appunto, di quella carica, cosa a mio avviso comprensibile, sebbene a molti degli estimatori degli Atari Teenage Riot la cosa non sIA andata giù.
Questo nuovo lavoro del musicista tedesco ce lo propone su un piano differente, trattandosi della soundtrack del film Volt, girato dal regista tedesco/palestinese Tarek Ehlail.
L’operazione si rivela indubbiamente di notevole interesse, sia per i contenuti della pellicola, che racconta il dramma palestinese da un punto di vista particolare, sia per l’approccio di Alec Empire, che cerca di assecondarne le tematiche offrendo una ambient elettronica ora soffusa, ora nervosa.
La storia raccontata da Ehlail vede quale suo fulcro la contrapposizione delle parti, in una rappresentazione allegorica nella quale, poi, la dualità diviene il concetto cardine del racconto cinematografico.
Empire sostiene d’aver composto la musica guardando il film e ciò spiega l’alternanza di umori e di ritmi: la base è sempre comunque costituita da un’elettronica asservita all’ambient (il musicista berlienese ha citato esplicitamente il Carpenter di Fuga da New York quale sua fonte di ispirazione), per un risultato finale decisamente valido, anche se, ancor più di altri casi, proprio per il suo particolare metodo compositivo, l’opera privata delle immagini perde sicuramente qualcosa a livello di impatto.
Indubbiamente questa prima esperienza di Alec Empire quale compositore di colonne sonore appare riuscita, e su questo non era lecito nutrire dubbi visto lo spessore dell’artista, ma l’ideale, ancor più dell’ascolto della soundtrack, sarebbe riuscire a vedere direttamente il film, anche se immagino che ciò ben difficilmente possa passare nelle sale cinematografiche italiane, sebbene si stia parlando di un’opera che in Germania ha ottenuto diversi riconoscimenti.
Chi ci riuscisse, ne trarrebbe probabilmente una duplice soddisfazione …

Tracklist:
1.”Now it’s between you and G-d” (Volt Theme Track)
2.Now It’s Between You And G-d
3.Victims Of Authority
4.Love While Death Is Watching
5.Shadow Boxing Pt.2
6.Meeting Her
7.Following Her, Torturing The Witness
8.The Confession
9.Changes Are Coming / The Raid
10.Getting Ready/ Wind/ Riotzone/ Out Of Control
11.Keep Quiet For Now
12.Shadow Boxing Pt.1
13.Shadow Boxing Pt.3
14.The Wall Screams Murder
15.Running Away/ Get It Right/ They Are Coming

S A R R A M – A Bolu, in C

A Bolu, in C è un’eloquente dimostrazione di come si possa comporre ottima musica ambient mettendo una strumentazione essenziale al servizio di un’innata sensibilità compositiva

Quest’opera prima in veste solista del musicista nuorese Valerio Marras, in arte S A R R A M, è l’ennesima dimostrazione di quanto la musica ambient possa risultare coinvolgente e tutt’altro che perimetrale rispetto alla percezione dell’ascoltatore.

A Bolu, in C, dove il “bolu” in questione è il volo in lingua sarda, è una lunga traccia che va a sfiorare i quaranta minuti di durata, nel corso dei quali ci si ritrova a librarsi al di sopra degli scenari unici che la meravigliosa isola mediterranea offrire.
Diviene pressoché perfetta, così, la simbiosi con le 10 immagini prodotte dal fotografo Bobore Frau, il quale ha immortalato squarci naturalistici del nuorese (Barbagia e Baronia): è la chitarra di Marras a condurci in questo virtuale viaggio alato, con l’intromissione di loop ed effetti volti a schiudere l’accesso alle immagini successive.
La forma di ambient perseguita da S A R R A M è quindi piuttosto carezzevole ed evocativa, muovendosi sulla falsariga del movimento di musicisti britannici gravitante nella cerchia del David Sylvian della seconda metà degli anni ottanta (faccio riferimento soprattutto alla seconda metà strumentale di Gone To Earth).
A Bolu, in C è un’eloquente dimostrazione di come si possa comporre ottima musica ambient mettendo una strumentazione essenziale al servizio di un’innata sensibilità compositiva, senza per questo dimenticare il prezioso contributo visivo contenuto nel digipack prodotto in 100 copie dall’etichetta Talk About Records.
Se è difficile descrivere in maniera esaustiva i contenuti di un disco rock o metal, figuriamoci per quel che riguarda l’ambient, per sua natura un flusso di sensazioni più che una canonica sequela di brani, per cui non resta che esortare chi apprezza il genere ad ascoltare l’operato del bravo Valerio Marras.

Tracklist:
1. A Bolu, in C

Line-up:
Valerio Marras–Guitar, effects

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Noêta – Beyond life And Death

Un album che deve essere assimilato nella sua forma di continuo flusso sonoro, capace di colpire e scuotere emotivamente quegli animi che non si sono ancora del tutto assopiti.

Come sempre, dalla scuderia della Prophecy giunge a noi musica mai banale e che, nella maggior parte dei casi, costringe chi vi si approccia ad uno sforzo in più per scongiurare il rischio di non cogliere il valore del contenuto delle diverse proposte della label tedesca.

Confesso che, nel caso del full length d’esordio del duo svedese Noêta, ho faticato più del solito, a causa del sound rarefatto ed essenziale che, soprattutto nella fase iniziale del lavoro, vede in primo piano la voce salmodiante di Êlea stagliarsi su un tappeto ora tenuemente percussivo, ora acustico ma privo di quegli slanci di immediatezza melodica capaci di conquistare al primo ascolto.
Ma la musica dei Noêta è perfettamente allineata alle tematiche tutt’altro che lievi proposte a livello lirico, sicché la ricerca del significato dell’esistenza, la presa di coscienza della sua imperscrutabilità e lo sgomento che ne consegue, divengono un tutt’uno con suoni pervasi da un constante senso di inquietudine.
Folk, dark, ambient vanno a comporre una quadro affascinante, in grado di insinuarsi con inesorabile lentezza tra le pieghe dell’animo, lasciando al termine dell’ascolto un languido senso di vuoto che mette in stand by ogni sensazione, piacevole o dolorosa che sia.
Come si diceva in apertura, la fatica spesa per penetrare nel sound dei Noêta è ampiamente ripagata, specie nella parte centrale di Beyond life And Death, quando è lo struggimento a prendere campo con una coppia di perle musicali quali In Void e Dead Soil, ma è quasi superfluo precisare come l’album debba essere assimilato nella sua forma di continuo flusso sonoro, capace di colpire e scuotere emotivamente quegli spiriti che non si sono ancora del tutto assopiti.

Tracklist:
1.Beyond Life
2.In Drowning
3.Darkest desires
4.Pneuma
5.In Void
6.Dead Soil
7.Beyond Death
8.In Thunder
9.Urkaos

Line up:
Êlea
Ândris

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