Asofy – Nessun Luogo

Nessun Luogo è un opera che alza di molto l’asticella rispetto al lavoro precedente, e non è detto che tutti riescano necessariamente a valicarla, prima o poi: la proposta degli Asofy rifulge per profondità ed integrità ma è necessario lavorarla con pazienza e predisposizione per coglierne appieno il significato lirico e musicale.

Asofy è il progetto musicale di Tryfar, artista multiforme noto anche come grafico.

Nel 2013 avevamo avuto l’occasione di parlare del precedente full length Percezione, un lavoro che aveva lasciato più di una sensazione positiva; oggi ritroviamo il musicista lombardo con Nessun Luogo, disco che lo vede operare in solitudine non avvalendosi più di Empio alla voce.
Il concept ruota attorno al quartiere dove Tryfar è cresciuto e alle trasformazioni che ha subito nel tempo, fenomeno tipico di tutte le periferie, destinate con il tempo a smarrire del tutto quello scampolo di identità che qualche decennio fa conservavano non essendo ancora state del tutto inglobate dalle grandi città o invase dalle sue infrastrutture.
Nel lavoro non si percepiscono sentori nostalgici o particolari forme di rimpianto dovute ai cambiamenti: quella di Tryfar appare come una sorta di accompagnamento musicale messo in sottofondo mentre si sfoglia un album di fotografie che ritraggono un quartiere in diverse epoche storiche: non c’è empatia neppure nel constatare l’ineluttabile avvicendarsi della popolazione, vista alla stregua del taglio di un albero o dell’abbattimento di un edificio : lo stesso incedere musicale è all’insegna di una certa uniformità, quasi che Tryfar voglia sottolineare la sua estraneità ad ogni forma di turbamento dovuta a trasformazioni più formali che sostanziali.
Il sound è una forma di dark ambient che ben si sposa con le tematiche trattate: gli arpeggi sono avari di aperture melodiche decise, privilegiando una sorta di oppressiva sospensione delle emozioni, lasciando solo alla lunga e conclusiva title track accelerazioni e barlumi di fruibilità ad accompagnarne i testi declamati con tonalità che, per lo più, appaiono quasi un sussurrato rantolo.
Nessun Luogo è un opera che alza di molto l’asticella rispetto al lavoro precedente, e non è detto che tutti riescano necessariamente a valicarla, prima o poi: la proposta degli Asofy rifulge per profondità ed integrità ma è necessario lavorarla con pazienza e predisposizione per coglierne appieno il significato lirico e musicale.

Tracklist:
1. Lontano da me
2. Nemeton
3. Fosca
4. Infine
5. Figure scure
6. Orizzonte
7. Memoria
8. Piccola disperazione
9. Nessun Luogo

Line-up:
Tryfar: Vocals, All instruments

Dark Awake – Anunnaki

Impressionano non poco le soluzioni adottate da Shelmerdine, specie quando riesce a far convivere partiture di stampo classico con spunti industrial ambient.

Dark Awake è un progetto dark ambient attivo da circa un decennio per volontà del musicista greco Shelmerdine VI°, e Anunnaki è il quarto full length, uscito originariamente nel 2014 e riedito in vinile, alla fine del 2016, dalla label ellenica Sleaszy Records in edizione limitata a 500 copie.

Il disco in questione mostra un approccio piuttosto lontano dalla più consueta riproposizione ad oltranza di limitati spunti sonori o rumoristici: per una volta, la dichiarazione di intenti di un’artista corrisponde pienamente alla realtà e così, quando sul bandcamp dei Dark Awake ne leggiamo la definizione di progetto dedito a musica neoclassica, marziale, dark ambient e neo folk, non si può che essere del tutto d’accordo.
Impressionano non poco le soluzioni adottate da Shelmerdine, specie quando riesce a far convivere partiture di stampo classico con spunti industrial ambient, come avviene magistralmente in Die Nibelungen, ma l’effetto straniante non è da meno nella greve litania con voce femminile Decay o nelle pulsioni liturgiche di Towards The Nine Angles, deviate da un percussionismo ritmato e da rumorismi assortiti.
Euphoria (Of The Flesh) è un esempio di musica classica dai tratti inquietanti e malevoli, mentre la dark ambient più riconoscibile della title track schiude la strada alla notevole Sacrarium, traccia che riporta alla già battuta strada classico-liturgica.
Chiaramente si tratta di un lavoro per intenditori audaci e pervasi anche da una discreta dose di masochismo: va detto però, ad onor del vero, che la forma di ambient perseguita dai Dark Awake è più movimentata, grazie alle numerose variazioni sul tema e ad una parvenza melodica presente in quasi tutti i brani, benché qui venga meno ogni effetto cullante e rassicurante, catapultando invece l’ascoltatore in un’atmosfera sovente da incubo.
Un album molto convincente, che il formato in vinile dovrebbe ancor più valorizzare rendendolo appetibile agli estimatori del genere, oltre a costituire una buona base di partenza per esplorare il resto della discografia firmata Dark Awake.

Tracklist:
1. Blut Ist Feuer
2. Die Nibelungen
3. Decay
4. Towards The Nine Angles
5. Virgo Lucifera
6. Euphoria (Of The Flesh)
7. Thy Satyr
8. Anunnaki
9. Sacrorum

Line-up:
Shelmerdine VI° – All Instrumentats, Orchestration
Sekte – Vocals

DARK AWAKE – Facebook

My Silent Land – Life Is War

Life Is War appare peculiare perché fresco, frutto dell’istinto compositivo di chi è piuttosto al di fuori dei circuiti musicali canonici e che, quindi, compone musica per il solo piacere di farlo senza particolari calcoli.

Ecco arrivare, agli ultimi sgoccioli di un 2016 dimenticabile per molti motivi (in campo musicale principalmente per la moria delle icone del rock/metal e non certo per la qualità delle uscite), un lavoro in grado di emozionare e far pensare, semplicemente tramutando in note, senza ricorrere a trucchi od effetti speciali, il sentire del proprio autore, Silvio Spina da Cossoine (Sassari).

Il suo progetto My Silent Land può essere definibile homemade nel senso più reale del termine, e questo rischia di rivelarsi fuorviante, facendo pensare nell’immediato ad un qualcosa di casereccio e poco curato: l’ascolto di Life Is War, prima uscita in cd della one man band dopo un demo risalente a qualche anno fa, ci mette di fronte all’opera di un musicista con le idee chiare sia dal punto di vista compositivo che lirico.
L’album, infatti, è incentrato su un tema spinoso e forse abusato come la guerra, vista però (fortunatamente) per quello che è, ovvero un tragedia per chi ne viene coinvolto in prima persona e, sovente, anche in maniera indiretta, senza scivolare nelle forme di pericolosa fascinazione che l’argomento esercita in diversi ambienti del metal; musicalmente Silvio si muove su territori ambient-folk-post rock, potendo ricordare di tanto in tanto qualche nome noto, come Antimatter nella fase iniziale di The Battle o gli ultimi Anathema in Dark & Light, ma si tratta solo di lampi, di riflessi incondizionati non tanto dell’autore ma più dell’ascoltatore, specie se ha immagazzinato molti anni di musica nella propria memoria.
La verità è che Life Is War appare peculiare perché fresco, frutto dell’istinto compositivo di chi è piuttosto al di fuori dei circuiti musicali canonici (anche se va annotata la partecipazione come bassista, in The Departure, del conterraneo Bloody Hansen, artefice dell’intrigante progetto The Providence) e che, quindi, compone musica per il solo piacere di farlo senza particolari calcoli e senza perdersi nell’attenzione ai particolari sacrificando la sostanza.
Non c’è un solo minuto sprecato in questo bellissimo lavoro, che ci fa immergere in atmosfere più malinconiche che tragiche, nonostante ciò possa apparire stano per un concept imperniato sulla guerra, qui intesa sia dal punto di vista bellico vero e proprio, sia in senso metaforico volendone creare un parallelismo con la vita quotidiana di ognuno di noi.
E’ piacevole perdersi in questa quarantina di minuti condotti per lo più dalla chitarra acustica e dalla voce, a tratti incerta e in tal senso in linea con le tendenze attuali del neofolk, ma sempre capace di trasmettere con efficacia il pensiero dell’autore, all’insegna di una linearità compositiva che va in direzione ostinata e contraria, per risultato e per intenti, rispetto all’esibizione cervellotica di contorsioni musicali atte a nascondere, il più delle volte, degli enormi vuoti di ispirazione.
Semplicità che, ci tengo a ribadire, non deve essere scambiata per banalità: My Silent Land si rivela un progetto comunque curato, nel quale non mancano riferimenti colti alla cinematografia o alla storia moderna, tramite l’ausilio di campionamenti come quelli tratti da Salvate il Soldato Ryan (The Battle) o il discorso di Kennedy sul New World Order (Dark & Light).
New World Order è, appunto, il brano che chiude il lavoro, una bonus track che rappresenta la versione demo di una traccia che confluirà sul prossimo lavoro targato My Silent Land: un assaggio che, visto l’esito oltremodo positivo di Life Is War, eleva non poco le aspettative nei confronti delle future mosse dell’ottimo musicista sardo.

Tracklist:
1. Feel The War
2. The Departure (feat. Bloody Hansen)
3. Marching Over The Silent Land
4. The Battle
5. Collateral Murders
6. Dark & Light
7. Winter’s Night
8. The Last Letter
9. After The War
10. New World Order (Demo Version)

Line-up:
Silvio “Viossy” Spina – voce, chitarre, basso, drum machine, tastiere, synth

MY SILENT LAND – Facebook

Gopota – Music For Primitive

Un gran lavoro, in grado di inquietare facendo intuire l’orrore piuttosto che esibendolo esplicitamente

Usciamo ancora una volta dai più consueti e, per certi versi, rassicuranti confini metallici, per addentrarci negli strati più profondi della musica intesa come flusso emotivo e ed elemento di disturbo per coscienze appiattite dalla quotidianità.

Music For Primitive è il secondo album dei Gopota, duo italo-russo che non lascia soverchie speranze di redenzione con il proprio sound per il quale, volendogli per forza trovare un termine di paragone, è naturale l’associazione alle sonorità che, negli ani novanta, vennero proposte dai musicisti operanti nella seminale etichetta svedese Cold Meat Industry, in primis quei Brighter Death Now dello stesso Roger Karmanik, ideatore di quella stimolante realtà discografica arenatasi purtroppo da qualche anno.
Inquadrati in qualche modo i Gopota, non resta che ascoltarne l’operato sotto forma di un ora circa di interferenze uditive, capaci di sovrapporsi con il proprio substrato sonoro a a quel costante rumore di fondo fatto di messaggi, spot, suonerie telefoniche e voci bercianti banalità, un subdolo attentato cacofonico che la nostra mente ha derubricato, sbagliando, ad innocua ed accettabile normalità.
Ognuno può trovare nelle cinque tracce di Music For Primitive i significati che più gli aggrada o gli conviene, ma di certo l’ambient qui contenuta non rappresenta un sottofondo cullante o gradevole: il senso di disfacimento e di degrado, fisico e psichico, che per esempio il funeral doom esplicita accentuandone l’impatto emotivo, nell’operato di Antonio Airoldi e Vitaly Maklakov rimane represso, quasi fosse incapace di fuoriuscire con tutta la sua virulenza.
Alla stregua di un organismo vivente che lotta per incrinare uno spesso involucro che lo imprigiona, il death industrial dei Gopota lancia pesanti segnali verso l’esterno, sia che il tutto vada ad inserirsi nell’ingannevole pace e solennità dei canti gregoriani (Summa Liturgica), sia quando si palesa come un insistente ronzio che riporta l’immaginazione a ciò che avviene nei pressi di sostanze organiche in progressivo disfacimento (Meaningless, Empty Eye)
Un gran lavoro, in grado di inquietare facendo intuire l’orrore piuttosto che esibendolo esplicitamente: volendo fare un accostamento neppure troppo audace, questa era la prerogativa, in campo letterario, di un certo H.P. Lovecraft.

Tracklist:
1.Intro
2.Meaningless
3.Summa Liturgica
4.Attitude
5.Empty Eye

Line-up:
Antonio Airoldi
Vitaly Maklakov

Gandalf’s Owl – Winterfell

Decisamente apprezzabile questo esperimento, proprio perché Gandolfo Ferro, rivolgendosi ad una fascia di ascoltatori sostanzialmente diversa da quella degli Heimdall, si mette coraggiosamente a nudo rinunciando alle sue più riconosciute peculiarità,

In ambito metal, i musicisti provenienti dal power o dall’heavy metal più classico non sono certo noti per le loro propensioni sperimentali, che spesso si ritrovano maggiormente nei colleghi dediti ai generi più estremi.

Sorprende piacevolmente, quindi, ritrovare Gandolfo Ferro, vocalist degli Heimdall nel loro ultimo lavoro Eneid, alle prese con un ep di musica strumentale di matrice dark ambient.
Parafrasando il nome di battesimo del musicista siciliano, Gandalf’s Owl è un progetto che si mette in luce presentando un quarto d’ora di musica davvero interessante e per nulla tediosa; l’impressione è che Ferro, con questo primo assaggio, intenda esplorare varie sfaccettature della musica ambient, quasi a voler trovare una direzione ideale in occasione di un possibile lavoro su lunga distanza.
Così, ci imbattiamo nell’accattivante e ritmata The Wall, pervasa da pulsioni elettroniche che ritroviamo in maniera più soffusa anche in Winterfell, il brano a mio avviso meglio riuscito del trittico, in virtù anche del prezioso lavoro chitarristico offerto da Gaetano Fontanazza. Chiude questo quarto d’ora di pregevole fattura una White Arbour (…The North Remembers) che, tra passaggi recitati ed campionamenti a sfondo naturalistico, fa approdare l’ascoltatore in un più avvolgente e confortevole sound ambient dai tratti evocativi e paesaggistici.
Decisamente apprezzabile, in definitiva, questo esperimento, proprio perché Gandolfo Ferro, rivolgendosi ad una fascia di ascoltatori sostanzialmente diversa da quella degli Heimdall, si mette coraggiosamente a nudo rinunciando alle sue più riconosciute peculiarità, dimostrandosi raffinato compositore a 360 gradi. Restiamo quindi in curiosa attesa del prossimo volo del gufo di Gandalf …

Tracklist:
1. The Wall
2. Winterfell
3. White Arbour (…The North Remembers)

Line-up:
Gandolfo Ferro: all instruments

Guitar ambient on “Winterfell” by Gaetano Fontanazza

GANDALF’S OWL – Facebook

Sepvlcrvm – Vox In Rama

Il rito dei Sepvlcrvm è un convolgere piani diversi della nostra esistenza.

Cosmogonie di una musica che si fa contemporaneamente religione e logos.

Il duo che risponde al nome Sepvlcrvm arriva al secondo disco, dopo Hermeticvm del 2010. Con quest’ultimo avevano fatto un deciso ingresso nella musica rituale, o nel rito musicale qual dir si voglia. I droni si allacciano ad una intelaiatura di improvvisazioni con un gusto kosmische. Il rito dei Sepvlcrvm è un coinvolgere piani diversi della nostra esistenza. Il duo opera una seria ricerca esoterica sia musicale che religiosa, perché l’aspetto ritualistico della musica è quello più antico, e qui viene recuperato in toto. Le cinque canzoni in realtà sono due, poiché I e III sono più intermezzi funzionali alle due tracce più lunghe II e IV che vanno oltre i venti minuti. Il percorso dei Sepvlcrvm è un continuum di passaggi debitori ad un sapere antico che abbiamo rifiutato, svendendolo per una falsa sapienza. In questo disco ognuno può ricercare ciò che vuole, ma l’unica condizione è lasciarsi andare a questo flusso, questa forza che nasce e che sembra inerte, ma in realtà è fortissima. Vox In Rama è un’esperienza che si fonda sull’immutabilità e la forza di credenze e coscienze pagane forti come querce. Non ci sono molti paragoni per i Sepvlcrvm, se non loro stessi. Ad impreziosire il tutto l’artwork è a cura di Marco Castagnetto.

TRACKLIST
I
II
III
IV

LINE-UP
Marcvs F
Marcvs Ioannes

SEPVLCRVM – Facebook

Fallen – Secrets Of The Moon

Un bellissimo lavoro, capace di rievocare in maniera del tutto personale le sonorità che furono portate alla ribalta negli anni ’70 dalla florida scena tedesca, con nomi quali Klaus Schulze, Tangerine Dream e Popol Vuh, tra gli altri.

Nel novembre dell’anno scorso avevo avuto l’occasione di parlare di un interessante progetto solista denominato The Child Of A Creek, creatura musicale di Lorenzo Bracaloni.

All’epoca i dischi presi in esame erano stati ben due: il primo,”Quiet Swamps”, andava a tastare i territori del neo folk in una forma molto personale, mentre il secondo, “Hidden Tales And Other Lullabies”, vedeva il nostro cimentarsi in una manciata di brani ambient dall’ampio respiro melodico.
Proprio da quest’ultimo lavoro prende le mosse Fallen, nuova espressione musicale del buon Lorenzo che, con Secrets Of The Moon, regala agli ascoltatori un lavoro capace di rievocare abilmente le sonorità che, negli anni ’70, furono portate alla ribalta dalla florida scena teutonica (parliamo quindi di Klaus Schulze, Tangerine Dream e Popol Vuh, tra gli altri).
Va detto subito che la forma ambient in questo disco appare lontana anni luce dalle espressioni più minimali e cervellotiche che il genere in questione tropo spesso offre: qui ogni brano è dotato di una struttura melodica portante che, se per sua natura tende a reiterarsi, si rivela sempre e comunque gradevole ed avvolgente e quindi del tutto provvista di un’autonomia musicale svincolata dall’eventuale utilizzo di supporti visivi.
Nonostante si spinga molto vicino all’ora di durata, Secrets Of The Moon non mostra mai la corda e bandisce ogni forma di noia, anche se è implicito il fatto che chi non è avvezzo a sonorità di questo tipo potrebbe non trovarsi d’accordo con questa mia affermazione.
Eppure bisognerebbe ogni tanto provare a fermare la nostra folle corsa quotidiana, chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare da note limpide, eteree, capaci di raggingere le pieghe più nascoste del nostro spirito, facendoci recuperare quella sensibilità nei confronti dei piccoli particolari e di tutto ciò che, circondandoci quotidianamente, finisce per apparire banale e scontato nonostante la sua oggettiva bellezza.
Una morbida base elettronica che si stende su un soffuso tappeto percussivo: questo è a grandi linee ciò che ci si deve attendere dal lotto di brani compresi in questo magnifico album: Golden Dust e Ravenhand vi stupiranno per la loro eterea bellezza, Cosmos già dal titolo fa capire quanto l’autore sia devoto cultore di quella Kosmische Musik (sentite come questa definizione in lingua madre suoni più solenne rispetto all’orrendo “krautrock” … ) della quale i musicisti poc’anzi citati sono stati i numi tutelari, e At The End Of The World chiude il lavoro così come aveva preso avvio con la title track, lasciandoci in eredità solo gradite vibrazioni positive.
Peraltro, l’inevitabile gioco dei rimandi mi ha portato a riscoprire dischi che avevo acquistato quand’ero decisamente più giovane, in particolare “Cluster & Eno”, primo frutto della collaborazione tra il genio britannico ed il duo formato dai musicisti tedeschi Dieter Moebius e Hans-Joachim Roedelius, a conferma di quanto questo primo lavoro targato Fallen possieda anche un discreto potere “taumaturgico”: un buon motivo in più per lasciarsi cullare dalle note di Secrets Of The Moon …

Tracklist:
1. Secrets of the Moon
2. Golden Dust (The Vanishing)
3. Ravenhand
4. Of Dreams (and Wounds)
5. Cosmos
6. At the End of the World

THE CHILD OF A CREEK – Facebook