Figure Of Six – Welcome To The Freak Show

La potenza e la rabbia vengono incanalati attraverso vari sottogeneri della bestia metallica, partendo da una base deathcore, per arrivare al djent e a cose tecniche, con inserti di elettronica che potenziano maggiormente il tutto.

Benvenuti allo spettacolo dei freak, gentilmente offertoci dai Figure Of Six.

Questi ragazzi italiani ci offrono un buon concentrato delle mutazioni accadute nel metal negli ultimi anni. La potenza e la rabbia vengono incanalati attraverso vari sottogeneri della bestia metallica, partendo da una base deathcore, per arrivare al djent e a cose tecniche, con inserti di elettronica che potenziano maggiormente il tutto. I Figure Of Six non lasciano nulla di inesplorato per stupirci e rendere questo ascolto un’esperienza totale. Il cantato rimane sempre melodico, con qualche punta di asprezza, e il resto del gruppo fa un lavoro egregio. Ci sono nuove vie per esprimere i propri sentimenti in ambito metallico, e i Figure Of Six ce ne mostrano alcune. Ascoltando il disco si capisce che questi ragazzi hanno l’attitudine giusta, hanno fatto molti ascolti e curano bene ciò che fanno, infatti sono stati scritturati dalla tedesca Bleeding Nose, un’etichetta attenta alle nuove tendenze in ambito metal. Gli episodi migliori del disco accadono quando i Figure Of Six si lasciano andare, mollando il freno e correndo liberi, perché a briglie sciolte sono un gruppo di notevole livello. Prendiamo ad esempio la canzone Monster, nella quale fanno ascoltare tutta la gamma delle loro possibilità, mentre a mio avviso la canzone scelta per il video ufficiale, The Mirror’s Cage, funziona meno. Ma le mie sono opinioni che lasciano il tempo che trovano, ed il tempo è meglio impiegarlo ascoltando Welcome To The Freak Show.

TRACKLIST
1. Welcome To The Freak Show
2. The Man In The Dark
3. The Weak One
4. Edward Mordrake
5. The Tightrope Walker
6. The Mirror’s Cage
7. Monster
8. The King And The Servant
9. Clown
10. But Deliver Us From Evil

LINE-UP
Alessandro “Hell” Medri -Vocals
Peter Cadonici – Guitar
Matteo Troiano – Guitar
Stefano Capuano – Bass
Michele Mingozzi – Keyboard
Antonio Aronne – Drums

FIGURE OF SIX – Facebook

Within The Ruins – Halfway Human

Halfway Human si piazza nelle migliori uscite di questo inizio anno per quanto riguarda il deathcore e, in tempi di dischi tutti uguali, non possiamo che fare i complimenti ai quattro musicisti americani.

E’ superfluo continuare a scrivere che il metal estremo moderno dai rimandi core ha tirato la corda: si sa che, quando un genere crea interesse nei fans, la scena stessa viene invasa da centinaia di gruppi che provano a cavalcare l’onda; molte falliscono miseramente ma altre, pur non arrivando al successo, si creano un loro seguito continuando a sfornare album meritevoli d’attenzione.

Un esempio ne sono gli statunitensi Within The Ruins, quartetto proveniente dal Massachusetts, che l’anno scorso ha festeggiato i dieci anni di attività e con questo nuovo lavoro a rimpinguare una già folta discografia.
Siamo al quinto album infatti, lanciato sul mercato tre anni di distanza dal precedente Phenomena, non male di questi tempi se aggiungiamo i due ep usciti ad inizio carriera, con la band non ancora stanca di devastare i padiglioni auricolari dei giovani metallers dai gusti moderni con la loro proposta violentissima, oscura ma dal gusto particolare nel saper far convivere ritmiche sincopate e stop and go tipici del genere, grazie ad un lavoro chitarristico raffinato e progressivo (sempre in un contesto estremo) e con quei piccoli dettagli nel songwriting che fanno la differenza sulla massa.
Non fraintendetemi, Halfway Human non è un lavoro che spicca in originalità anzi, il suo percorso stilistico è un approdo del gruppo al massimo che il genere può dare in termini qualitativi, ma è indubbia l’abilità dei nostri nel saper incastrare i tasselli del loro puzzle musicale al posto giusto, rendendo l’album scorrevole e violentemente piacevole all’ascolto.
D’altronde, viene difficile pensare che un gruppo di origine americana possa toppare in quello che ha insegnato in tutto il mondo, suonare death metal contaminandolo con l’hardcore e l’industrial.
Detto di un uso delle due voci molto ben congegnato e di un lavoro chitarristico sopra la media, lasciate che il gruppo vi investa con il suo carro armato che, senza tregua, lancia bordate come l’opener Shape-Shifter, Bittersweet, Absolution e la melodic death oriented Ataxia No.4, brano strumentale da applausi.
Halfway Human si piazza nelle migliori uscite di questo inizio anno per quanto riguarda il deathcore e, in tempi di dischi tutti uguali, non possiamo che fare i complimenti ai quattro musicisti americani.

TRACKLIST
1.Shape Shifter
2.Death of the Rock Star
3.Beautiful Agony
4.Incomplete Harmony
5.Bittersweet
6.Objetive Reality
7.Absolution
8.Ivory Tower
9.Sky Splitter
10.Ataxia IV
11.Treadstone

LINE-UP
Tim Goergen – Vocals
Joe Cocchi – Guitar
Paolo Galang – Bass
Kevin “Drummer” McGuill – Drums

WITHIN THE RUINS – Facebook

Life’s December – Fatigue

I Life’s December dimostrano di essere un gruppo non per tutti, sicuramente solo per chi ha lo stomaco per digerire tutto il male che la loro musica emana a dismisura.

E’ passato meno di un anno e ritorniamo a respirare l’aria soffocante, malata e violenta di cui era pregno Colder, primo lavoro dei Life’s December, giovane gruppo svizzero che continua anche in questo nuovo Fatigue, ad impressionare per la violenza intrinseca nella loro musica, schizoide, malatissima e destabilizzante.

Due lavori in meno di un anno, uniti da un’atmosfera di dolore, dramma e pazzia, un male di vivere estremizzato a colpi di metal moderno, deathcore, parti elettroniche e djent che uniscono le proprie forze per produrre sofferenza in musica.
Una musica, altamente estrema, potente e pesantissima, ma resa ancora più sconvolgente dal talento del gruppo per creare atmosfere gelide, asettiche ed inumane.
E’ ancora una volta il vocalist Rico Bamert che prende per mano il sound del gruppo e lo valorizza con una prova priva di senno, dolorosamente destabilizzante in un clima di autentico terrore mentale.
Un male di vivere che si può toccare, accompagnato da suoni di chitarra distorti e lancinanti, ritmiche marziali sorrette da un basso che strappa l’anima in un clima da elettroshock, perpetuato nei confronti delle vittime da questi cinque psichiatri pazzi.
O Dulce Nomen Obitus posta in chiusura è il capolavoro dell’album: ventidue minuti (nel genere un’eternità) di suoni moderni sofferti e raggelanti dove tra lo spartito si possono incontrare i resti di una mente malata, la tragica e lancinante sofferenza di una vita imbavagliata nella propria prigione mentale costruita su labili fondamenta di normalità.
Con un altro lavoro originale e terribilmente disturbante, i Life’s December dimostrano di essere un gruppo non per tutti, sicuramente solo per chi ha lo stomaco per digerire tutto il male che la loro musica emana a dismisura.

TRACKLIST
1. Shattered
2.SecondLife
3. DeadEnd
4.Omniscient 5.Worthlesser 6.JustAnotherError
7.II
8.Construct 9.Monopole
10.Fatigue
11. Sleepless
12. O Dulce Nomen Obitus

LINE-UP
Rico Bamert- Vocals
David Mühlethaler- Guitars
Valens Wullschleger- Guitars
Jérémie Gonzalez- Drums
Simon Mäder- Bass

LIFE’S DECEMBER – Facebook

7th Abyss – Unvoiced

Death, thrash, core e melodia, un mix azzeccato ed alquanto esplosivo

Potete chiamarlo metalcore, deathcore o modern death metal, fatto sta che il metal estremo dai rimandi modernisti in questi ultimi anni ha dettato legge sul mercato internazionale, tanto che, se con pazienza passate un’oretta davanti allo schermo televisivo sintonizzato su un canale dedicato, gli unici momenti estremi di cui potrete godere sono ad esclusiva dei gruppi di genere, specialmente provenienti dagli States.

In Europa e nell’underground non mancano ottime realtà, soffocate da quelle in arrivo dal nuovo continente, ma assolutamente in grado di convincere tanto quanto e molte volte di più dei loro colleghi americani.
I 7th Abyss sono un gruppo tedesco attivo da tre anni, licenziano il loro debutto per la Trollzone Records e si immergono nell’oscuro e pericolosissimo mondo del metal estremo, totalmente fuori da ogni ispirazione old school e con i piedi ben saldi nel death metal del nuovo millennio.
Unvoiced è un buon lavoro, colmo di ritmiche groove, accelerazioni devastanti, chitarre che ci vanno giù pesante con le ritmiche per poi affossare l’ascoltatore con solos di tagliente metallo melodico, alternando il sound statunitense a qualche incursione nel nuovo modo di concepire il death metal melodico scandinavo, portato alla fama soprattutto dai maestri Soilwork.
Ne esce un bel pugno nello stomaco, inflitto senza pietà dal gruppo bavarese, che non si fa mancare un ottimo uso delle varie tonalità del singer, bravo nelle urla estreme, così come nelle clean, comunque maschie e che non spezzano l’atmosfera brutalmente drammatica del disco.
Death, thrash, core e melodia, un mix azzeccato ed alquanto esplosivo, strutturato con buona padronanza del songwriting e dei ferri del mestiere dai 7th Abyss, i quali lasciano sul suolo non pochi cadaveri dopo il bombardamento inflitto con Deaf, Memories of Lies e Point of Wiew, esempi perfetti della loro carica assassina.
In conclusione, un esordio più che positivo per i 7th Abyss, che escono a testa alta dall’importante traguardo del primo full length.

TRACKLIST
01. Into the abyss
02. Lost eternity
03. Deaf
04. Unvoiced
05. Nightmare at the fields
06. Don’t take blowjobs from the Prime Time Whore
07. Memories of lies
08. Despaired (‘cause I’m disappointed ‘bout the Dead)
09. Not.That.Day.
10. Point of view 1
11. Schwester Rabiata

LINE-UP
Andreas Müller – Vocals
Robert Klein – Lead Guitar
Daniel Bieberstein – Rhythm Guitar
Alexander Dietz – Bass Guitar
Matthias Krapp – Drums

7TH ABYSS – Facebook

Bioscrape – Psychologram

Se amate i suoni metallici moderni e le sonorità core non perdetevi questo lavoro, i Bioscrape hanno armi affilate per farvi male.

Un disco che trasuda groove ed una insana carica hardcore, una pesante incudine che ingloba nella propria musica sfumature industriali, metal moderno ed un impatto core oscuro e devastante.

Questo in sintesi è Psychologram, secondo lavoro sulla lunga distanza dei Bioscrape, band italiana che costruisce un muro sonoro assolutamente indistruttibile.
Il successore di Exp.01, debutto licenziato nel 2012, conferma l’assoluta caparbietà del gruppo nel confezionare un prodotto estremo che si mantiene su coordinate metalcore, ma non risparmia all’ascoltatore bordate metalliche colme di groove, sfuriate al limite del thrash moderno ed una chiara ispirazione hardcore, racchiuso in un concept che richiama un futuro di distruzione in clima sci-fi.
E’ un’aggressione senza soluzione di continuità, con il growl rabbioso che passa da tonalità profonde care al death, ad urla in hardcore style, le ritmiche sanguinano groove, le chitarre taglienti sono cavi elettrici che balzano tra pozzanghere sporche di acqua putrida, mentre il grigio è il colore del mondo in cui si muove Psychologram.
Tecnicamente ineccepibili e con l’aiuto di Wahoomi Corvi che ha prodotto e mixato l’album ai Realsound Studio di Parma, i Bioscrape creano un album maturo e bilanciato tra i vari generi di cui si nutre, i brani che si mantengono monolitici, hanno in loro varie sfumature che li rende unici e che va dal thrash (Primordial Judge), alle variazioni ritmiche di Aliena, al metallo moderno di Cyber Hope, per non mancare di farci ascoltare elementi riconducibili al progressive death con Echo Silent, piccolo gioiello che risulta il miglior brano del lotto.
L’elemento core è chiaramente quello più distinguibile, ma viene manipolato dal gruppo con ottima conoscenza della materia ed un impatto e compattezza che sono i punti forti dei Bioscrape ed in generale di tutte le band alle prese con il genere.
Psychologram non mancherà di soddisfare i fans del gruppo, ma se amate i suoni metallici moderni e le sonorità core non perdetevi questo lavoro, i Bioscrape hanno armi affilate per farvi male.

TRACKLIST
01 – Primordial Judge
02 – Mechanical Providence
03 – Aliena
04 – Bioscrape
05 – Killer Collision
06 – Cyber Hope
07 – Astro Noise
08 – Echo Silent
09 – Vega Cospiration
10 – Psychologram

LINE-UP
V. – drums
J. – vocals
S. – guitar
P. – bass

BIOSCRAPE – Facebook

Straight On Target – Pharmakos

Deathcore monolitico e privo di compromessi per gli Straight On Target; diritti all’obiettivo, come vuole il monicker prescelto, i nostri abbattono sull’ascoltatore la loro furia iconoclasta, fatta di riff chirurgici, di una base ritmica metronomica e di un growl efficace.

Sporadiche ma appropriate aperture melodiche, poche variazioni sul tema ma un groove complessivo sufficiente per consentire a un disco come questo di risultare abbastanza digeribile nonostante la sua compattezza di fondo.
Nulla che non si sia mai sentito, certo, ma la convinzione e la grinta che traspaiono da ogni nota dei nostri riescono ampiamente a compensare la relativa originalità di Pharmakos; brani killer come Ostrakon e Demonized spiccano sul resto del lotto, ma la tranvata inferta dai cinque piacentini va assorbita in blocco affinchè ottenga effetti ancor più devastanti; solo la traccia di chiusura Palm Leaves Readers, con i suoi rallentamenti e gli effetti piazzati nel finale, si discosta parzialmente dal canovaccio seguito nel resto del disco.
In ogni caso, ascolto vivamente consigliato con volume a 11 nelle giornate no: sapere che in giro ci può essere in quel momento qualcuno molto più incazzato di voi avrà sicuramente un effetto catartico …

Tracklist :
1. Theta
2. Ostrakon
3. Demonized
4. Wake The Apathetic
5. Dreadful Eyes
6. Initiation
7. He Spreads Hypocrisy
8. Synesthesia
9. Palm Leaves Readers

Line-up :
Andrea Scaglia – Voice
Federico Buzzetti – Drums
Giulio Castruccio – Guitar
Daniele Molinari – Guitar
Nicolò Rossi – Bass

STRAIGHT ON TARGET – pagina Facebook

Book Of Job – Hamartia

Un album che brilla per la sua compattezza e che merita l’attenzione anche di chi è meno avvezzo a queste sonorità.

Uno degli errori peggiori da commettere, parlando di questo esordio dei Book Of Job, potrebbe essere quello di accomunarli all’informe e inflazionato carrozzone del metalcore senza arte né parte che ormai da troppo tempo deturpa i nostri poveri padiglioni auricolari.

Nella proposta della band di Leeds c’è molto di più della scontata alternanza tra mielosi momenti melodici e passaggi violenti intrisi di una rabbia autentica come una banconota da 8 euro … : i Book Of Job fin dalla prima nota offrono la sensazione d’essere “veri” e fanno capire chiaramente che la loro urgenza espressiva è realmente frutto dell’ispirazione che li anima piuttosto che figlia di un progetto costruito a tavolino.
Lo screaming a tratti ossessivo di Kaya non smarrisce mai, salvo ben centellinate parentesi “clean”, il proprio rabbioso impeto, mentre i suoi degni compari continuano instancabili nel tessere trame, ora cruente ora più melodiche, sempre accomunate da un tiro pazzesco e da quella spontaneità che in un contesto musicale così diretto fa inevitabilmente la differenza.
3 Hours, Father Cult, Feeding The Universe sono i picchi qualitativi di un album che brilla per la sua compattezza e che merita l’attenzione anche di chi è meno avvezzo a queste sonorità.
Il fatto che anche un magazine autorevole (per quanto sempre da prendere con le pinze quando tratta band inglesi) come Kerrang! abbia dato ampio risalto ai Book Of Job, rende ulteriore merito all’intuizione della Wormholedeath, capace di accaparrarsi i servizi di questa realtà musicale dall’enorme potenziale, probabilmente ancora solo in parte espresso con un album pur ottimo come Hamartia.

Track list :
1. Hamartia
2. 3 Hours
3. Of Libra and Scorpio
4, Pursuing the Cosmos
5, Lost in Utopia
6. Father Cult
7. Madness is Murder
8. Feeding The Universe
9. Anagnorisis

Line-up :
Kaya Tarsus – Vocals
Mike Liburd – Guitar
Luke Nelson – Drums

BOOK OF JOB – Facebook

Vlgw

The Way Of Purity – Equate

Lungi dall’essere un semplice fenomeno da baraccone, i The Way Of Purity difficilmente raggiungeranno il grande pubblico a causa di una proposta ideologicamente troppo estrema e tutt’altro che di facciata.

Come si può facilmente intuire da queste note presenti all’interno del booklet, i The Way Of Purity non fanno nulla per essere ammiccanti o tranquillizzanti:
Sole, Fuoco, Vento, Acqua, Terra, Demoni, Natura, Fasi Lunari, Anime dei Primi Umani e Malattie si uniranno per riequilibrare il mondo con un unico scopo: Animali e Natura governeranno nuovamente il pianeta con la loro integrità, la razza umana sarà brutalmente sterminata, le menzogne antropocentriche avranno fine e gli umani vedranno la terrificante immagine dell’orrore che hanno inflitto agli animali per anni.
L’umanità è malata, contaminata dal peggior morbo chiamato Specismo

Abbigliati come gli attivisti dell’Animal Liberation Front (del quale in pratica sono il braccio musicale) , i componenti della band predicano e auspicano la rivincita degli animali e della natura sugli uomini fino al definitivo annientamento di questi ultimi e neppure l’ingresso in formazione di una splendida ragazza come Tiril Skaardal (unica a volto scoperto) ne migliorerà più di tanto l’appeal sul pubblico, dato che appena l’angelica creatura inizierà a vomitare il suo impressionante growl, ogni possibile intento rassicurante verrà vanificato.
Gli animali quindi sono privi di ragione e di coscienza e non provano dolore; anche quando sembrano manifestare sofferenza, in realtà reagiscono meccanicamente ad una stimolazione materiale come quando toccando una molla dell’orologio le sue lancette si muovono” : questa teoria di Cartesio ha dato il via libera a quattro secoli di sevizie di ogni genere perpetrate a danno degli animali in nome di una pseudo-ricerca scientifica e i nostri gli “dedicano”, non a caso, il brano più violento del disco, recante un titolo eloquente come Eternal Damnation to Renè Descartes.
Chiaramente tutto ciò che sta dietro i The Way Of Purity, l’estremismo ideologico, un ideale religioso che identifica Dio con una natura pronta alla rivalsa sull’umanità che la violenta, la provocazione attraverso immagini crude come quelle che li ha visti protagonisti nel cortometraggio diretto da Susy Medusa Gottardi, non riesce certo a farli passare inosservati suscitando, come sempre avviene in questi casi, sentimenti contrastanti da parte del pubblico e della critica.
Noi non siamo la band che loro vorrebbero che fossimo, non siamo puliti e belli come tutti i musicisti là fuori: lo abbiamo detto sin dall’inizio. Stiamo solo lavorando per distruggere la malattia peggiore dell’umanità, che si chiama specismo, che riteniamo pari al nazismo”.
Ovviamente, chi ama gli animali e la musica metal, non può che schierarsi istintivamente dalla parte della band, sia se si ritiene che lo sterminio indiscriminato di migliaia di esseri viventi sia un crimine a tutti gli effetti perpetrato dalla specie che si è arrogata il diritto di monopolizzare e, probabilmente, di distruggere il pianeta, sia perché l’impatto della proposta musicale non può e non deve essere ignorato.
Qui troviamo un deathcore/black che spesso lascia spazio a interi brani dal sapore gothic, in un’alternanza di stili che, come per il loro modo d’essere, espone i The Way Of Purity, a critiche provenienti da schieramenti opposti tra loro, risultando inevitabilmente troppo violenti per chi si nutre del metalcore più zuccheroso e troppo morbidi per i deathsters/blacksters più intransigenti .
Eppure proprio nell’apparente schizofrenia della loro proposta risiede il vero valore aggiunto, quando per esempio, nell’opener Artwork Of Nature, tra le vocals efferate di Tiril e un blast beat furioso si fa largo una splendida melodia di tastiera, oppure quando nella track-list, tra due autentiche mazzate deathcore come Death Abound Everywhere e la già citata Eternal Damnation to René Descartes viene piazzata Eleven, traccia degna dei migliori Lacuna Coil (grazie anche all’ottima performance vocale di Giulia dei nostri Ravenscry). Il lavoro chitarristico in Keep Dreaming è da urlo e in For All Who Trieved Unheard la singer norvegese mostra prima il suo lato angelico per poi ritornare nelle sue consuete vesti di alter ego di Angela Gossow.
Anche The Last Darkest Night potrebbe apparire un innocuo e orecchiabile brano gothic-pop se non fosse letteralmente brutalizzato nella sua parte centrale, mentre A Time To Be Small, splendida cover del brano degli Interpol, pur mantenendosi abbastanza allineata alla melodia originale, viene ugualmente screziato da parti in growl.
Lijty Cristy chiude in maniera piuttosto cruda, così com’era iniziato, un album dai molti contenuti compressi nei suoi trentasette minuti scarsi.
Lungi dall’essere un semplice fenomeno da baraccone, i The Way Of Purity difficilmente raggiungeranno il grande pubblico a causa di una proposta ideologicamente troppo estrema e tutt’altro che di facciata; questo è un vero peccato perché l’aspetto che come recensori ci deve interessare maggiormente, cioè quello musicale, è di primissimo piano risultando di gran lunga superiore a band molto più reclamizzate ma dall’impatto visivo e ideologico rassicurante.
You wear my skin as a monument of wealth”.

Tracklist :
1. Artwork Of Nature
2. Death Abound Everywhere
3. Eleven
4. Eternal Damnation To René Descartes
5. Keep Dreaming
6. For All Who Thrive Unheard
7. The Mighty Fall
8. The Last Darkest Night
9. A Time To Be So Small
10. Lijti Crjsty

Line-up :
Tiril Skardal – Vocals
Without Name – Bass
Jeffrey – Guitar
Wod – Drums
Deathwish – Guitar, Keyboards

THE WAY OF PURITY – Facebook