Noiskin – Hold Sway Over

Il suono dei Noiskin è un distillato del metal moderno, contiene la giusta dose di aggressività con la melodia che gioca un ruolo molto importante.

Debutto con un disco di metal moderno per questo quartetto bergamasco, con musicisti provenienti da realtà differenti, una particolarità non da poco.

Infatti, la composizione dei pezzi riflette le varie estrazioni e contribuisce ad arricchire il tutto. Il suono dei Noiskin è un distillato del metal moderno, contiene la giusta dose di aggressività e la melodia gioca un ruolo molto importante. Il gruppo lombardo ha scritto l’album vertendo sulla tematica delle scelte, che sono una delle cose più importanti dell’essere umano. Siamo composti da cellule che scelgono e le conseguenze le portiamo dentro e fuori di noi. I testi sono interessanti e maturi e si sposano bene con la musica che è narrazione essa stessa. Le scelte (musicali) che compiono invece i Noiskin sono sempre improntate a supportare la narrazione e coerenti al contesto e, anche se non sono molto originali, funzionano ugualmente bene ed è ciò che conta. Durante l’ascolto si comprende in maniera chiara che la band ha molte potenzialità e le usa per cercare di imporsi all’interno di una scena affollata come quella modern metal e metalcore, con la difficoltà aggiuntiva di non essere anglosassoni. Bisogna dire che sono gli interessanti passaggi più vicini all’hard rock come Bound To MY Skin che potrebbero aprire nuove prospettive al gruppo. Anche l’uso delle tastiere fa rendere al meglio la poetica musicale dei Noiskin così come alcuni inserti elettronici, ma una delle cose migliori di Hold Sway Over è la voce che si sposa molto bene agli strumenti, creando anche atmosfere che potrebbero ricordare i Queensryche, come nel brano Twilight Sleep, anche se molto meno prog metal. Un debutto interessante di un gruppo che mette diverse carte sul tavolo.

Tracklist
01 NOISE
02 HOLD S WAY O VER
03 HAZE
04 BEYOND T EMPTATION
05 CHAPTER III
06 BOUND T O M Y S KIN
07 TWILIGHT S LEEP
08 ENTROPY
09 AS I L AY D YING
10 THE F AREWELL

Line-up
Luca Taverna – Voce e Chitarra Ritmica
Marco Depriori – Chitarra solista e Cori
Simone Tarenghi – Basso
Federico Bombardieri – Batteria

NOISKIN – Facebook

Monuments – Phronesis

I Monuments possiedono quelle caratteristiche che in parte coprono i difetti riscontrabili in tutte le opere del genere e Phronesis, da questo punto di vista, ha dalla sua richiami al nu metal che imprimono quella verve in più all’ascolto.

Il metalcore ha iniziato da almeno un paio d’anni l’ involuzione fisiologica di quei generi che trovano il successo, rimangono nei favori degli ascoltatori per un periodo più o meno lungo per poi cadere in uno stato creativo comatoso, provocato dalle centinaia di band tutte uguali che le label sparano a mitraglia sul mercato alla ricerca della gallina dalle uova d’oro.

Il metal moderno melodico quindi, lascia alla sua anima più estrema e violenta (il deathcore) la gloria qualitativa, per provare invece a raggiungere i più giovani con opere sempre più melodiche e chiuse nella solita formula da tempo abusata fino alla noia.
Si salvano da tutto questo i Monuments, quintetto londinese al terzo lavoro sulla lunga distanza per Century Media, una garanzia di qualità anche in questo genere, grazie ad una produzione scintillante e ad un lotto di brani che ben esprimono il concetto di metal core, con ritmiche sincopate e dalla ottima tecnica, chorus puliti e dal sicuro appeal e un uso discreto della canonica dicotomia vocale.
Gratificati da un successo che li vede girare l’Europa anche in questo anno per supportare il nuovo lavoro, i Monuments hanno dalla loro quelle caratteristiche che in parte coprono i difetti riscontrabili in tutte le opere del genere e Phronesis, da questo punto di vista, ha dalla sua richiami al nu metal (Leviathan) che imprimono quella verve in più all’ascolto.
Per il resto siamo perfettamente in sintonia con i dettami ben conosciuti, ed anche questo ultimo lavoro targato Monuments troverà estimatori tra gli amanti di queste sonorità mentre verrà totalmente ignorato da tutti gli altri.

Tracklist
1.A.W.O.L
2.Hollow King
3.Vanta
4.Mirror Image
5.Ivory
6.Stygian Blue
7.Leviathan
8.Celeste
9.Jukai
10.The Watch

Line-up
Olly Steele – Guitar
Adam Swan – Bass
Chris Barretto – Vocals
John Browne – Guitar
Daniel ‘Lango’ Lang – Drums

MONUMENTS – Facebook

Unearth – Exctintion(s)

Gli Unearth concentrano qui tutto ciò di buono che sanno fare, esaltando al massimo le proprie capacità; la maturità musicale è netta e incontrovertibile, come la loro superiorità rispetto agli altri gruppi.

Passano gli anni, arrivano nuovi nomi sulla scena, ma poi esce il nuovo disco degli Unearth che spazza via tutto e tutti.

I paladini del metalcore sono in giro dal 1998 e non hanno intenzione di abdicare, anzi affermano la propria superiorità con questo ottimo Extinction(s), che mette in mostra tutto ciò che la casa possa offrire. Con chitarre contundenti, batteria e basso incessanti, una voce sempre calibrata e adeguata, gli Unearth sono uno dei gruppi che sanno incanalare al meglio la propria potenza, offrendo anche ottimi momenti di melodia, ma in questo disco prevale la pesantezza. Molti, e a ragion veduta, sono critici verso un sottogenere come il metalcore, poiché si dice che sia troppo melodico e fatto per vendere ai giovanissimi, cose che in alcuni casi sono vere, ma se i critici ascoltassero questo ultimo lavoro degli Unearth darebbero più di una possibilità al genere. Ovviamente non tutti i gruppi sono come loro, ma questo ultimo disco è molto valido, lo si ascolta dall’inizio alla fine apprezzando le continue e ottime soluzioni sonore, e il risultato di insieme è ottimo. Non esiste tregua o momento di stanca, la ripartenza della carriera dopo venti anni è un autentico successo, un continuum di mazzate e grandi momenti di metal moderno. Gli Unearth concentrano qui tutto ciò di buono che sanno fare, esaltando al massimo le proprie capacità; la maturità musicale è netta e incontrovertibile, come la loro superiorità rispetto agli altri gruppi. Mostrare i muscoli ma non solo, perché gli Unearth sono comunque capaci anche di belle melodie, sempre incastonate all’interno di ritmi veloci e potenti. Ottimo il cantato anche nei momenti di growl, dimostrazione di versatilità da parte del cantante e dell’intero gruppo.

Tracklist
1. Incinerate
2. Dust
3 Survivalist
4 Cultivation Of Infection
5 The Hunt Begins
6 Hard Lines Downfall
7 King Of The Arctic
8 Sidewinder
9 No Reprisal
10 One With The Sun

Line-up
Trevor Phipps – Vocals
Ken Susi – Guitar
Buz McGrath – Guitar
Nick Pierce – Drums
Chris O’Toole – Bass

UNEARTH – Facebook

Landmvrks – Fantasy

Il disco è una prova molto matura e che esplora a fondo le tante facce del gruppo che, a seconda di cosa vuole esprimere cambia registro musicale, passando dalla potenza di un metalcore molto veloce ad un post hardcore molto melodico o da qualcosa di più hardcore a momenti di puro nu metal.

Pochi gruppi metalcore sanno essere convincenti, melodici, innovativi e soprattutto con una loro impronta originale: fra questi vi sono sicuramente i marsigliesi Landmvrks.

Nati nel 2014, hanno debuttato sulla lunga distanza nel 2016 con l’autoprodotto Hollow, che li ha portati a suonare in molti festival e con grandi nomi della scena. Questo Fantasy è la loro seconda prova la prima per la Arising Empire, la sussidiaria metalcore, punk e rock della Nuclear Blast Records. Il disco è una prova molto matura e che esplora a fondo le tante facce del gruppo che, a seconda di cosa vuole esprimere cambia registro musicale, passando dalla potenza di un metalcore molto veloce ad un post hardcore molto melodico o da qualcosa di più hardcore a momenti di puro nu metal. Tutta questa varietà non genera mai confusione, è anzi un grandissimo punto di forza, portando al suono una carica ed un particolarità molto originali. Fantasy è il disco di un gruppo giovane che però, a differenza di tanti altri gruppi metalcore, non si rivolge solo ai ragazzini ma tenta di ampliare la propria platea, riuscendovi molto bene. Tutto ciò forse perché non si tratta del canonico gruppo metalcore che fa un disco per riuscire ad entrare nella colonna sonora di qualche muscoloso film d’azione a stelle e strisce, in quanto i Landmvrks hanno fin dall’inizio un progetto musicale ben preciso in testa. Non si esclude la parte più commerciale, nel senso che questo disco è costruito per suonare bene, ma anche per essere comprato dal maggior numero di persone possibile, senza andare a ghettizzarsi. Infatti il gruppo marsigliese è conosciuto ed apprezzato anche da un pubblico diverso da quello metalcore e ascoltando Fantasy ciò lo si comprende subito. Dinamici, melodici e con una doppia cassa che regala gioie, i francesi si candidano seriamente al titolo di autori del disco metalcore dell’anno e anche in altre categorie figurano molto bene. Onestamente le opere metalcore e dintorni presenti nel catalogo della Arising Empire non sono mai sotto un certo gradino di qualità, ma questo Fantasy è al piano di sopra.

Tracklist
1. Fantasy
2. Wake Up Call
3. Scars (ft. Florestan Durand)
4. The Worst Of You And Me
5. Blistering
6. False Reality
7. Reckoning (ft. Aaron Matts)
8. Alive (ft. Camille Contreras)
9. Dead Inside
10. Kurhah
11. Disdain

Line-up
Florent Salfati – vocals
Nicolas Exposito – guitar
Rudy Purkart – bass
Nicolas Soriano – drums

LANDMVRKS – Facebook

Chuggaboom – Trinity

I Chuggaboom giocano in tutto e per tutto, ma lo fanno molto bene e alla fine offrono un metalcore vicino al nu metal davvero piacevole.

Gli inglesi Chuggaboom si nascondono dietro delle maschere, si sono auto proclamati miglior gruppo metalcore della Terra, e probabilmente hanno ragione.

Di loro si sa solo appunto che sono inglesi e che hanno un’ironia molto marcata: i Chuggaboom giocano in tutto e per tutto, ma lo fanno molto bene e alla fine offrono un metalcore vicino al nu metal davvero piacevole. Poi se un gruppo sulla sua pagina mette fra i propri interessi Gary Lineker, direi che siamo già sulla buona strada. Le melodie sono ottime, le parti aggressive sono notevoli e il tutto funziona molto bene ed è fatto per poi essere portato nella dimensione dal vivo. I testi sono da seguire perché sono di un’ironia molto tagliente, che va a colpire al cuore la scena metalcore e le sue pose, tra esistenzialismo e machismo. Una delle cose che più manca al genere è appunto la capacità di uscire dal cortocircuito di pose machiste per cantare poi di incredibili depressioni amorose: certamente una grossa fetta del pubblico metalcore è costituita da adolescenti brufolosi e carichi di ormoni, ma ogni tanto prendersi un po’ in giro farebbe bene. I Chuggaboom ci sono per questo, per ironizzare su tante cose e già che ci sono suonano un gran bel metalcore, che poi sarebbe il principale argomento di discussione. Vale davvero la pena ascoltare i testi e la musica di questi misteriosi inglesi, che continuano la bellissima tradizione dello humour musicale albionico che parte dai Monty Python e continua con gli Spinal Tap e speriamo vada oltre i Chuggaboom. La qualità del disco è molto buona, scorre tutto bene ci si diverte proprio nell’ascoltarlo. Andate a sentirvi anche i lavori precedenti perché meritano tutti, come la geniale cover della canzone di Euro 96 giocato proprio in Inghilterra, e diventerete un chuggalo.

Tracklist
1. Phony
2. Growing Pains
3. Awkward Erections
4. The Song That Saved Your Life
5. Illumiparty
6. What’s The Time‽

Line-up
Vocals – Levi Taurus “♉”
Guitar – John Virgo “♍”
Guitar – Leo Carter “♌”
Bass – Avira Caprica”♑”
Drums – Castor Holland “♊”

CHUGGABOOM – Facebook

Vitja – Mistaken

Siamo nel più classico prodotto di genere, molto melodico, contraddistinto dall’uso della doppia voce come da copione e composto da un lotto di brani accattivanti, radiofonici e perfetti per non deludere i pruriti metallici degli adolescenti votati alla dannazione eterna del rock.

Il metalcore non molla la presa sui giovani del nuovo millennio che, oltre alle moltissime proposte underground, possono avvalersi di uscite importanti anche da parte delle più importanti label mondiali, almeno per quanto riguarda il metal e i generi affini.

La Century Media, per esempio, licenzia il nuovo album dei Vitja, giovane band al terzo lavoro dopo il buon successo di Digital Love, precedente lavoro uscito lo scorso anno.
Siamo nel più classico prodotto di genere, molto melodico, contraddistinto dall’uso della doppia voce come da copione e composto da un lotto di brani accattivanti, radiofonici e perfetti per non deludere i pruriti metallici degli adolescenti votati alla dannazione eterna del rock.
Perfetto in fase di produzione, spettacolare nei suoni ed altrettanto innocuo, Mistaken è l’album che tutti si aspettavano dai ragazzi dei Vitja, i quali non deludono le aspettative e sparano i loro proiettili rigorosamente a salve, facendo tanto rumore per nulla.
E’ lontana chilometri la furia estrema del deathcore e di certo metal moderno, in Mistaken tutto è studiato per arrivare ai cuori dei giovani kids, fagocitati dal web e dalle sue diavolerie, dunque abituati al freddo emozionale di una musica che ripete all’infinito la stessa formula, recitando un copione assolutamente perfetto.
Mistaken, Down, Black And Blue, ma potrei nominarveli tutti e nessuno, sono i brani migliori di questo lavoro, perfetto per il suo compito, ma avaro di emozioni.
Se non arrivate ai vent’anni e vi piace il metalcore da classifica, troverete sicuramente ottimi motivi per fare vostro questo lavoro, altrimenti rivolgete la vostra attenzione altrove, i Vitja non fanno per voi.

Tracklist
1. Mistaken
2. Overdose (feat. Andy Dörner)
3. Friends Don’t Lie
4. Down
5. Anxiety
6. Black and Blue
7. High on You
8. To the Moon
9. Sedamine
10. Filthy
11. Kings of Nothing

Line-up
David Beule – Vocals
Mario Metzler – Bass
Vladimir Dontschenko – Guitar
Daniel Pampuch – Drums

VITJA – Facebook

Atlas – Primitive

Il disco funziona molto bene, non ha momenti di stanca e gli Atlas presentano notevoli margini di miglioramento rivelandosi una delle maggior sorprese in campo metalcore degli ultimi tempi.

Potente e melodico album di metalcore dalla Finlandia per il debutto degli Atlas, un gruppo che si inserirà molto bene nel movimento del metal moderno.

Mutuando in linguaggio sportivo, gli Atlas fanno bene entrambe le fasi, sia quella più aggressiva e legata al metal che quella più melodica che è caratteristica del metal moderno. L’album è stato in lavorazione dal 2015 al 2017 e c’è dentro tutta la prima fase della carriera della band e i suoi sforzi notevoli, soprattutto in fase di composizione che è la di sopra della media. La caratteristica migliore del gruppo è il saper incastonare pezzi più duri con ventate melodiche e con inserti di elettronica molto azzeccati e funzionali, con le tastiere che entrano sempre al momento giusto. Gli Atlas sono molto più fisici e reali della maggior parte dei gruppi metalcore che interpreta un canovaccio ormai trito e ritrito: il genere richiede maggior talento di prima, perché tante cose sono state dette e fatte e non rimane granché da aggiungere, se non la volontà di essere originali. Primitive è un disco indirizzato alla platea metalcore, ma che richiede un ascolto più attento rispetto alla maggioranza dei dischi di quel genere. La resa sonora è ottimamente orchestrata da Tuomas Yli-Jaskari alla produzione e da Buster Odeholm alla masterizzazione; il disco funziona molto bene e non ha momenti di stanca, il gruppo presenta notevoli margini di miglioramento rivelandosi, una delle maggior sorprese in campo metalcore degli ultimi tempi. Ascoltando il lavoro si possono trovare anche spunti vicini al post rock, e queste cose le fa solo una band che ha talento, inventiva e voglia di mettersi in gioco, senza fare sempre il solito disco metalcore.

Tracklist
1. Skinwalker
2. Feel
3. Kaamos
4. On Crooked Stones
5. Primitive
6. Pareidolia
7. Pendulum Swing
8. Bloodline (feat. Ben English)
9. Rust

Line-up
Patrik Nuorteva – Vocals
Leevi Luoto – Vocals & Bass
Tuomas Kurikka – Guitar
Aleksi Viinikka – Guitar
Aku Karjalainen – Drums

ATLAS – Facebook

Fear Of Domination – Metanoia

Il risultato finale è un album come detto gradevole, ammantato di una cattiveria di facciata che copre come un sottilissimo velo contenuti nella loro sostanza ben più morbidi: certo, i dischi brutti sono diversi da Metanoia, ma anche quelli che dovrebbero migliorare la vita a chi li ascolta …

Nonostante siano apparentemente ancora molto giovani, i finlandesi Fear Of Domination sono attivi da una decina d’anni e questo ultimo Metanoia rappresenta il loro sesto full length.

La band nordica è formata da ben otto elementi (con due vocalist) e questo sicuramente favorisce la costruzione di un sound piuttosto saturo, specialmente nei passaggi più robusti che sono l’espressione meglio riuscita di un sound che si muove tra un pizzico di industrial e pulsioni gothic/elettroniche che vanno a confluire in una forma di modern metal piuttosto ammiccante.
Fatte le debite premesse, non si può non rimarcare il fatto che il prodotto dei Fear Of Domination sia sicuramente ricco di un certo appeal commerciale, aspetto che è il suo pregio ma, soprattutto, il suo limite visto che, alla lunga, anche dopo diversi ascolti, rimane ben poco se non l’impressione d’aver ascoltato un album ben costruito, a tratti divertente, ma che in una fascia di ascoltatori più adulta faticherà a ricavarsi una seconda od una terza chance di passaggio nel lettore.
La sensazione è che la band provi a sondare un po’ tutte le strade del metallo più abbordabile, sia con brani che richiamano gruppi come i Deathstars ( Sick and Beautiful, We Dominate), sia proponendo ritmi più ragionati e suadenti in quota Evanescence (Shame, Ruin) sfruttando la vena della brava vocalist Sara Strömmer, ma in definitiva creando un coacervo sonoro che richiama a tratti i più nobili Linkin Park così come l’impalpabile ed adolescenziale metalcore in voga di questi tempi.
Il risultato finale è un album come detto gradevole, ammantato di una cattiveria di facciata che copre come un sottilissimo velo contenuti nella loro sostanza ben più morbidi: certo, i dischi brutti sono diversi da Metanoia, ma anche quelli che dovrebbero migliorare la vita a chi li ascolta …

Tracklist:
1. Dance with the Devil
2. Obsession
3. Face of Pain
4. Sick and Beautiful
5. Shame
6. Lie
7. We Dominate
8. The Last Call
9. Mindshifter
10. Ruin

Line-up:
Saku Solin – Vocals
Lauri Ojanen – Bass
Jan-Erik Kari – Guitars
Johannes Niemi – Lead guitars
Vesa Ahlroth – Drums
Lasse Raelahti – Keyboards
Sara Strömmer – Vocals
Miikki Kunttu – Percussions, stage monkey

FEAR OF DOMINATION – Facebook

Annisokay – Arms

Gli Annisokay propongono un metalcore molto moderno e melodico, con una doppia voce, ovvero il cantato più metal e quello più pulito che funzionano molto bene assieme.

Se volete avere uno sguardo esaustivo sul metal moderno, o se volete ascoltare il meglio del metalcore insieme ad una robusta dose di elettronica o di post hardcore, Arms è il disco che fa per voi e che vi eviterà tante delusioni.

I tedeschi Annisokay sono una delle band migliori in circolazione in campo modern metal e metalcore, e hanno molto di più degli stilemi di questi due generi. Il loro nome nasce dal testo di una canzone di Michael Jackson, uno dei loro idoli che hanno anche omaggiato in passato con una cover, e più precisamente da Smooth Criminal dove si parla di una ragazza che si chiama Annie e che viene attaccata nel suo appartamento, e non se ne sa più nulla, quindi Annie is Okay ? Da qui nel 2007 da Halle an der Saale, ha inizio la storia di uno dei gruppi europei che stanno avendo maggior successo, grazie ad una molto intensa attività live, basti vedere il prossimo tour che li porterà via per molto tempo e che attraverserà in maniera massiva soprattutto gli Stati Uniti e la natia Germania, passando anche per il Giappone. I tedeschi propongono un metalcore molto moderno e melodico, con una doppia voce, ovvero il cantato più metal e quello più pulito che funzionano molto bene assieme. Uno dei tratti distintivi del gruppo sono le tastiere che sono presenti in maniera adeguata, andando ad arricchire il suono che è molto florido. Tutto il suono e quindi il disco funzionano molto bene, e oltre ad una ricerca della melodia vi è anche un ottimo bilanciamento con le parti più pesanti, ma soprattutto ci sono idee chiare. Gli Annisokay hanno la loro impronta immediatamente riconoscibile e non vanno dietro a quello che può piacere, anche se sono ottimi per il mercato statunitense. Il lavoro si fa ascoltare molto bene, ha tante ottime idee e riesce ad essere coinvolgente e caldo, con un fortissimo immaginario anni ottanta. Un ottimo disco di metal moderno, e un altro notevole gruppo nel solidissimo palinsesto della Arising Empire, sussidiaria della Nuclear Blast per il campo modern metal.

Tracklist
1.Coma Blue
2.Unaware
3.Good Stories
4.Fully Automatic
5.Sea of Trees
6.Innocence Was Here
7.Humanophobia
8.End of the World
9.Escalators
10.Private Paradise (feat. Chris Fronzak)
11.One Second
12.Locked Out, Locked In

Line-up
Dave Grunewald – Shouts
Christoph Wieczorek – Clean Vocals/Guitar
Norbert Kayo – Bass
Philipp Kretzschmar – Guitar
Nico Vaeen – Drums

ANNISOKAY – Facebook

Bleeding Through – Love Will Kill All

Tornare dopo quattro anni dall’annuncio del tuo scioglimento (con relativo tour di addio) ti obbliga a dare più del tuo meglio, ed è quello che ha fatto il gruppo americano: Love Will Kill All può infatti essere considerato il miglior disco dei Bleeding Through, o almeno quello che racchiude le loro cose più interessanti.

Tornare dopo quattro anni dall’annuncio del tuo scioglimento (con relativo tour di addio) ti obbliga a dare più del tuo meglio, ed è quello che ha fatto il gruppo americano: Love Will Kill All può infatti essere considerato il miglior disco dei Bleeding Through, o almeno quello che racchiude le loro cose più interessanti.

Il suono non è cambiato granché, è diventato però più granitico e pesante, quasi un metalcore sinfonico molto ben composto ed eseguito con impeto e passione. I Bleeding Through sono uno dei gruppi che ha incendiato il mondo con il fuoco del metalcore, vivendone la maggior espansione possibile e dettandone anche le linee guida a partire dal 1999, ed in questo disco se ne comprende bene il perché. Love Will Kill All racchiude in sé il meglio del metalcore, melodia, cattiveria, e quel senso di colonna sonora di videogioco che è uno degli ingredienti fondamentali della ricetta. In molti disprezzano questo genere mentre chi lo ama invece lo difende a spada tratta: la soluzione sta forse nel prenderlo per quello che è, un ottimo intrattenimento e un qualcosa di aggressivo che non fa male, ma che ricrea in maniera godibile ed apprezzabile. Questi ragazzi di Orange County, California, sono tornati insieme per rimettersi in gioco e lo hanno fatto in maniera convincente, si può poi parlare per giorni sulle motivazioni; sicuramente il fattore economico è importante, ma si deve anche pensare che per questa gente il metalcore è il pane, e per i progetti solisti questo non è il tempo adatto. Il disco è il meglio che possano fare, cioè un gran bel massacro dall’inizio alla fine: davvero un gran ritorno, e nessuno sperava in fondo che potesse essere cosi positivo. Qui c’è il miglior metalcore che possiate trovare in giro.

Tracklist
1. Darkness, A Feeling I Know
2. Fade Into The Ash
3. End Us
4. Cold World
5. Dead Eyes
6. Buried
7. No Friends
8. Set Me Free
9. No One From Nowhere
10. Remains
11. Slave
12. Life

Line-up
Vocals: Brandan Schieppati
Keyboards: Marta
Guitar: Brian Leppke
Guitar: Dave Nassie
Guitar: Scott Danough
Drums: Derek Youngsma
Bass: Ryan Wombacher

BLEEDING THROUGH – Facebook

Meka Nism – The War Inside Ep

I Meka Nism sono un gruppo tipicamente di oltre oceano, autori di un metal moderno ed accattivante, con molto talento.

I Meka Nism sono un gruppo che coniuga molto bene le varie tendenze del metal moderno con solide radici nella tradizione: chitarre veloci, un respiro metalcore e la voce femminile di Ms. Meka che svetta su tutto.

Il suono del gruppo è tipicamente americano, con la sua sfrontata e piacevole miscela di melodia e durezza che riesce a rendere il suono radiofonico ma anche adatto alle orecchie dei metallari. Non stiamo parlando di neofiti e si sente, dato che il gruppo di Orlando è in giro dal 2010 e si può percepire tutta la loro esperienza. Con questo nuovo ep la band fa un ulteriore balzo in avanti, soprattutto per quanto riguarda la composizione delle canzoni che li porta a creare ottime atmosfere, intrise di romanticismo ma anche di visioni di un futuro che non sarà piacevole, ma che è davanti a noi. I registri sui quali opera il gruppo sono vari, dai pezzi più ritmati ad altri maggiormente melodici con l’ausilio di tastiere, riuscendo sempre a strutturare in maniera efficace i pezzi. Certamente la voce di Ms. Meka è un grande valore aggiunto, dato che è molto brava cambiare tenore e modo di cantare, ma sono tutti i musicisti ad essere tecnicamente davvero validi: tutto ciò però sarebbe nulla senza la capacità di scatenare qualcosa dentro l’ascoltatore. I Meka Nism sono un gruppo tipicamente di oltre oceano, autori di un metal moderno ed accattivante, con molto talento.

Tracklist
1.The War Inside
2.These Years of Silent Screams
3.Trailblazer
4.Arrows of Alchemy
5.Black Sky (It’s Not Over Yet)

Line-up
Ms. Meka 眼歌- Vocal Artist & Shaman
Bobby Keller – Guitar
Nick Colvin – Drums
Danny Arrieta – Guitar
Jay Adkisson – Keyboards
Jarret Robinson – Bass

MEKA NISM – Facebook

Science of Disorder – Private Hell

Con un lavoro che non manca di offrire spunti interessanti agli amanti del metal estremo, i Science Of Disorder si conquistano l’apprezzamento di MetalEyes che vi invita all’ascolto di questa raccolta di brani, specialmente se siete fans di Nevermore, Entombed e Gojira.

A sette anni di distanza dal primo lavoro tornano gli Science Of Disorder, band estrema proveniente dalla vicina Svizzera.

Il quintetto propone un death metal moderno, che si crogiola tra ispirazioni classiche e attitudine metalcore, sprigionando una carica ed una potenza invidiabile.
Il gruppo, oltre ad un impatto devastante, non risparmia tecnica da vendere ed un’attitudine progressiva che lo avvicina non poco al sound dei Nevermore, band che risulta la sua massima ispirazione (Kingdom Comes).
Riassumendo, gli Science Of Disorder si sfamano con abbondanti pietanze a base di death metal, metalcore e power/thrash statunitense, tragico e drammatico quanto basta per donare interpretazioni sentite ed evocative su muri di metallo, dove il singer Jérome T, si avvicina non poco al piglio dell’icona Warrel Dane, singer che ha fatto il vuoto per quanto riguarda il genere.
Ovviamente la band elvetica ha un suo approccio al metal personale e moderno quel tanto che basta per trovare una sua strada, risultando un ottimo ibrido tra sonorità tradizionali e modern metal.
Private Hell non risparmia momenti di metal estremo drammatico e a suo modo teatrale, con una serie di brani convincenti come Lava Girl, il death/hardcore di Choke (che ricorda gli Entombed di Wolverine Blues), il muro death di Half A Life e le mitragliate metalcore di Mine.
Con un lavoro che non manca di offrire spunti interessanti agli amanti del metal estremo, i Science Of Disorder si conquistano l’apprezzamento di MetalEyes che vi invita all’ascolto di questa raccolta di brani, specialmente se siete fans di Nevermore, Entombed e Gojira.

Tracklist
1.Carrions
2.Kingdom Comes
3.Lava Girl
4.Patient 18
5.Choke
6.Light Bearer
7.Half a Life
8.Sickness
9.Mine
10.Private Hell
11.Carrions (Piano version)

Line-up
Jérome T. – Vocals
Steph – Guitar
Lord Pelthor – Guitar
Terry Pinehard – Bass session
Baptiste Maier – Drums

SCIENCE OF DISORDER – Facebook

Not My Master – Disobey

Violenti, paranoici, e pericolosissimi i Not My Master esordiscono con un concentrato di musica pesante e schizzata, che in mezzora costruisce un muro sonoro invalicabile.

Nelle province americane non scherzano, quando si parla di estremizzare la materia metallica.

Sarà il disagio , il caldo soffocante o i morsi dei crotali, ma i Not My Master sono l’esempio di come (in questo caso in Texas) prendano sul serio l’estremismo sonoro, amalgamando in un unico sound sludge, southern e metalcore con tanto di quel disagio da bastare per dieci generazioni.
Violenti, paranoici, e pericolosissimi i Not My Master esordiscono con un concentrato di musica pesante e schizzata, che in mezzora costruisce un muro sonoro invalicabile.
L’opener Acadence è l’inizio di un urlo brutale e rabbioso che si sviluppa su sei brani più la cover di How The Gods Kill di Danzig, uno spaccato della provincia americana tra crocifissi, predicatori e famiglie impegnate nell’omicidio seriale stile Non Aprite Quella Porta, deliri di vite travolte da droghe, alcool e follia.
E Disobey è la perfetta colonna sonora di queste nefandezze e molto altro, un album disturbante già dalla copertina con quattro cadaveri che penzolano da un patibolo, in una foto in bianco e nero che mette i brividi più che centinaia di innocui demoni death/black.
Mixato e masterizzato da Chris Collier (Korn, Prong, Fear Factory), l’album risulta un debutto di tutto rispetto nel panorama sludge metal, quindi cercatelo assolutamente se il genere è nelle vostre corde.

Tracklist
1. Acadence
2. Revenge
3. Where’s God Now
4. Morning Star
5. Lies
6. How The Gods Kill
7. Consume

Line-up
Chris Kidwell – Vocals
Chelo Styes – Guitar
Rudy Barajas – Bass
Charlie Gonzalez – Drums

NOT MY MASTER – Facebook

https://youtu.be/NhOoqKUcRN8

This Isn’t Over – Ora

Come abbiamo spesso affermato su queste pagine, il movimento metalcore (o modern metal qual dir si voglia) è molto affollato, ma bisogna dire che ultimamente in Italia ci sono gruppi come i This Isn’t Over che stanno notevolmente alzando l’asticella della qualità.

I This Isn’t Over sono un gruppo italiano di metalcore, molto potenti e dalle idee ben chiare.

Vengono dalle Marche, hanno due voci e questo è il loro primo ep chiamato Ora, fatto di un buonissimo sound dalle forti influenze hardcore e molto melodico, con passaggi più sognanti e momenti più claustrofobici, in stile molto americano. La produzione è assai curata e riesce a mettere in risalto tutte le doti del gruppo, che sono molte, una su tutte la capacità di costruire canzoni ben articolate e con diversi momenti al loro interno, in modo da rendere più vario ed interessante il tutto. Come abbiamo spesso affermato su queste pagine, il movimento metalcore (o modern metal qual dir si voglia) è molto affollato, ma bisogna dire che ultimamente in Italia ci sono gruppi come i This Isn’t Over che stanno notevolmente alzando l’asticella della qualità. Questo ep è la perfetta testimonianza di come si possa essere melodici e potenti, con capacità tecniche al di fuori della media che vanno però al servizio del progetto nella sua totalità. Certamente qui non viene inventato nulla, gli standard del genere non vengono stravolti, ma vengono affrontati nel migliore dei modi, per un prodotto che funziona molto bene davvero.

Tracklist
1. Mr huge cock von dick
2. Deconstruction
3. Misanthrophrenic
4. Sea
5. Never forget
6. Harmonized

Line-up
Luca Fortuna – Drums
Yuri Fetisov – Guitars
Eros Cartechini – Bass
Luca Ortolani – Voice
Luca Cecchini – Voice

THIS ISN’T OVER – Facebook

Cold Snap – All Our Sins

All Our Sins è un album che avrà consensi trasversali, dato che piacerà a chi ama il metalcore ed il groove metal, ma anche ascoltatori di altri generi lo apprezzeranno molto.

Non solo calcio, pallacanestro e pallanuoto è ciò che arriva dalla Croazia, ma ora anche ottimo groove metal, nella fattispecie quello dei Cold Snap, che escono su Arising Empire dopo aver vinto il concorso indetto dalla stessa etichetta.

I nostri sono peraltro famosi in madrepatria e ascoltando questo loro nuovo disco si può capire facilmente il perché. Il loro suono è un groove metal molto moderno ed incalzante, con elementi di nu metal e decise svolte nel deathcore e anche nel death metal, senza però mai perdere di vista la melodia. Si può benissimo dire che questo gruppo incarni le nuove tendenze del metal al meglio, non annacquandole come fanno molti gruppi. All Our Sins è un album che avrà consensi trasversali, dato che piacerà a chi ama il metalcore ed il groove metal, ma anche ascoltatori di altri generi lo apprezzeranno molto. La forza del disco sta nel buon bilanciamento tra potenza e melodia, la composizione dei pezzi non è mai scontata ma ben strutturata e lo sviluppo delle trame musicali è assai corretta. Il ritmo che ha questo gruppo esce allo scoperto fin da subito, in quanto ha un incedere che basa le sue strutture in vari generi e sottogeneri ben amalgamati fra loro. I Cold Snap hanno vinto il concorso indetto dalla Arising Empire perché hanno chiaramente qualcosa in più rispetto alla maggioranza dei gruppi in giro, e All Our Sins lo dimostra molto bene. Era il momento per un disco come questo, dato che ultimamente tanti gruppi che sono nel giro metalcore/groove metal sono smaccatamente e forzosamente melodici, mentre qui il metal è l’elemento fondante di tutto, la trave portante del suono, che ha anche molti elementi dell’hardcore; infatti il gruppo ha una forte mentalità DIY, che non è andata smarrita neppure entrando nel roster della sussidiaria della Nuclear Blast.

Tracklist
01. Hešto And Pujto
02. Fallen Angels
03. Nothing
04. Demons
05. Crawling
06. Remission
07. 2 4 The System
08. Witness Of Your Sickness
09. No We’re Not Even
10. Pain Parade
11. Hated
12. Distance

Line-up
Jan Kerekeš – Vocals
Dario Sambol – Drums
Zoran Ernoić – Bass
Dario Berg – Vocals, Samples
Dorian Pavlović – Guitar
Zdravko Lovrić – Guitar

COLD SNAP – Facebook

While My City Burns – Prone To Self Destruction

Prone To Self Destruction è un macigno metalcore valorizzato dall’uso della melodia in buona quantità, con i brani che si susseguono senza grandi scossoni ma neppure senza cadute, mantenendo l’ascolto interessante e consigliato agli amanti del genere.

Le vie del metal moderno sono infinite ed arrivano fino all’estremo nord, in Islanda, dove ad attenderci per devastare in nostri padiglioni auricolari ci sono i While My City Burns, quintetto di Reykjavík che propone un buon esempio di metalcore.

La band, attiva dal 2013, debutta per Wormholedeath con Prone To Self Destruction, un vulcano che erutta metallo potente, moderno e vario, contaminato da inserti elettronici e sferzate hardcore.
Ottimo l’uso delle voci, e devastante l’approccio con la sezione ritmica che martella senza pietà, ed un’atmosfera “nervosa” come una fiera tenuta a fatica tra le briglie.
L’album è quindi il classico lavoro di genere, ma con qualche buona idea che lo distingue dalle solite uscite: i brani si snodano rabbiosi con la melodia sempre presente e di matrice post hardcore, alternandosi a muri di watt.
Un’urgenza che si esprime tramite un sound estremo, sorprendente se si pensa alla provenienza del gruppo, che più che natio di quelle epiche e fredde terre pare essersi formato tra le strade di una qualche metropoli statunitense.
Prone To Self Destruction risulta così un macigno metalcore valorizzato dall’uso della melodia in buona quantità, con i brani che si susseguono senza grandi scossoni ma neppure senza cadute, mantenendo l’ascolto interessante e consigliato agli amanti del genere: le ispirazioni sono quelle classiche dei gruppi di punta, senza che ciò renda i While My City Burns poco personali o mere fotocopie.

Tracklist
1.Intro
2.New beginnings
3.Alligator char
4.Monument
5.Dear dad
6.Stranger things
7.You know who you are
8.Heartbreaker
9.Wolves are among us
10.Vivens mortua
11.Where do we go from here
12.Best of me – Bonus Track
13.Out of my mind – Bonus Track

Line-up
Gauti Hreinsson – Vocals
Alexander Glói Pétursson – Guitar ,Vocals
Úlfar Alexander Úlfarsson – Guitar
Kristófer Berg Sturluson Paraiso – Bass
Guðjón Trausti Skúlason – Drums

WHILE MY CITY BURNS – Facebook

Bleed From Within – Era

Era si presenta come un lavoro duro come la roccia, il sound bilancia potentissimi mid tempo ad accelerate tipiche di certo thrash metal targato 2018, tra rabbiose frustate estreme e melodie ben inserite nella struttura del sound senza perdere un grammo in impatto e violenza.

Che gli scozzesi Bleed From Within non fossero più dei novellini si capiva dall’anno di inizio attività (2005) e dalla discografia che contava tre full length più una manciata di lavori minori, prima che Era arrivasse tramite la Century Media a portare un po’ di freschezza ad un genere prigioniero dei suoi cliché ed in crisi qualitativa ormai da qualche tempo.

Non che l’album, atteso dai fans cinque lunghi anni, brilli di chissà quale novità stilistica particolare, ma dalla sua la band ha un talento non comune nell’amalgamare aggressività e melodia in un unico devastante sound.
D’altronde i Bleed From Within hanno un passato da gruppo deathcore e la frangia più estrema del death metal moderno continua fortunatamente ad ispirare la band scozzese.
Era si presenta come un lavoro duro come la roccia, il sound bilancia potentissimi mid tempo ad accelerate tipiche di certo thrash metal targato 2018, tra rabbiose frustate estreme e melodie ben inserite nella struttura del sound senza perdere un grammo in impatto e violenza.
Afterlife, la vibrante Shiver, il tornado Bed Of Snake, elevano il gruppo ad ottimi mestieranti del genere suonato, come scritto senza tocchi originali di sorta ma suonato con il cuore e senza le ruffianerie che indeboliscono l’atmosfera delle opere odierne, impegnate più a convincere l’ascoltatore di essere al cospetto della new sensation del momento che far male come conviene e come riesce quel piccolo gioiellino di I am Oblivion, Pt.II.
Scott Kennedy e soci continuano il loro percorso con la naturalezza di chi è convinto dei propri mezzi ed è in possesso della giusta attitudine, risultando un gruppo con un sound personale, e soprattutto onesto.
Era è un buon lavoro che gli amanti del genere non dovrebbero ignorare, sono troppo pochi i lampi metalcore sul mercato odierno per trascurare un album come l’ultimo lavoro dei Bleed From Within.

Tracklist
1. Clarity
2. Crown of Misery
3. Cast Down
4. Afterlife
5. Shiver
6. Bed of Snakes
7. I am Oblivion, Pt. II
8. Alone in the Sun
9. Gatekeeper
10. Ruina
11. Alive

Line-up
Scott Kennedy – Vocals
Ali Richardson – Drums
Craig “Goonzi” Gowans – Guitar
Steven Jones – Guitar
Davie Provan – Bass

BLEED FROM WITHIN – Facebook

Society’s Plague – Call To The Void

Sarebbe stato davvero un peccato perdere per strada questo gruppo, che fa una miscela interessante di metal moderno e metal maggiormente epico.

La storia degli americani Society’s Plague è una narrazione di tenacia e di amore per il metal, come tanti gruppi che vanno avanti spinti dall’amore per la musica in mezzo a tante difficoltà.

Nati nel 2007 in quel di Lexington, nel Kentucky, questi ragazzi hanno un sound moderno tra metalcore e metal più epico, con una forte melodia e composizioni molto buone. Questo disco è il secondo episodio sulla lunga distanza nella loro discografia ed è stato totalmente autoprodotto, e in seguito il gruppo si è accasato presso l’Eclipse Records che non si è lasciata scappare questo disco, che oltre che essere valido, è un ponte fra passato e presente e futuro del metal, soprattutto di quello americano. Infatti il suono di Call To The Void è adatto ad essere mandato in onda dalle radio americane di rock duro, cosa che qui in Europa ci manca. I ragazzi del Kentucky sono molto connotati nella loro personalità musicale e riescono a fare sempre ottime cose anche grazie all’intervento delle tastiere, che hanno una parte importante nel loro suono, e che insieme agli altri strumenti rendono un buon amalgama. La seconda prova del gruppo non era scontata, poiché il gruppo ne viene da una pausa dal 2013 al 2015, per poi tornare con un concerto sold out nella loro città. Sarebbe stato davvero un peccato perdere per strada questa band, che fa una miscela interessante di metal moderno e metal maggiormente epico. Un disco che offre spunti molto interessanti, è solido e possiede elementi originali.

Tracklist
1. Ashes For Air
2. Whispers
3. Distant Waves (feat. Bjorn “Speed” Strid)
4. The Fall
5. Broken By Design
6. Paramnesia
7. Fear Is Failure
8. Abomination (feat. Michael Smith)
9. 1:01
10. Rise Of The Eidolon

Line-up
Matt Newton – Vocals
Joe Royer – Guitar
Roger Clem – Guitar
James Doyle (JD) – Drums
Aaron Sheffield – Bass

SOCIETY’S PLAGUE – Facebook

Last Resistance – A World Painted Grey

Un EP all’insegna del decadentismo, che crea sensazioni angoscianti senza mancare di potenza.

Secondo lavoro per i Last Resistance, il gruppo di Brindisi fondato nel 2013 che si presenta al pubblico come una band Metalcore e che porta alla luce questo A World Painted Grey, un EP composto da 4 tracce che di certo non delude le aspettative dell’ascoltatore. La potenza non manca, la sostanza nemmeno.

A differenza di Last Resistance (l’EP pubblicato alla fine del 2014), la band si lascia trasportare verso un metalcore probabilmente più adatto ai temi trattati nei testi. Nonostante siano molto chiari i riferimenti a gruppi come Drowning Pool e Killswitch Engage, il sound porta con sé anche moltissimi elementi del ben più cupo melodic death metal: in svariati momenti si possono sentire melodie decadenti, che richiamano le sonorità tipiche di gruppi come Solution 45 e In Mourning e non mancano i momenti oscuri, che creano ansia e senso di distruzione nell’ascoltatore.
Un EP carico di anguste emozioni decadentiste che richiamano inesorabilmente i poeti maledetti della Belle Époque francese, quando la società portava alla ricerca dell’individualismo, dell’egoismo e dell’alibi per non affrontare una realtà grigia e senza stimoli.
D’altronde la tematica dell’album è proprio la distruzione della società, causata dagli stupidi comportamenti umani che l’hanno portata alla deriva e con cui ci si deve trovare a fare i conti. Tutto l’EP è curato nei minimi dettagli, persino la copertina rappresenta la situazione che viene poi espressa nei testi: il fronte rappresenta una città grigia ed anonima mentre il retro ne rappresenta la sua vera faccia, in rovina ed ormai irrecuperabile.
I Last Resistance insomma convincono e lasciano poco spazio a commenti negativi. Ci auguriamo che possano tornare presto sulla scena con un album completo che ci racconti il nefasto futuro che la società odierna ci riserva.

Tracklist
1. Karma Violence
2. Misfortune
3. Point of No Return
4. Enslaved

Line-up
Vito Mingolla – Voce
Lorenzo Valentino – Chitarra
Luca Greco – Chitarra
Andrea Caiulo – Basso
Mino Mingolla – Batteria

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Neck Of The Woods – The Passenger

I Neck Of The Woods sono ancora lontani dal luogo in cui è nascosto il santo graal dell’originalità, ma sicuramente sono riusciti con personalità e buone idee a creare un album affascinante e per nulla scontato, tagliando il cordone ombelicale che li teneva legati al metalcore e quindi liberi di creare musica progressivamente metallica ma dall’approccio moderno.

I canadesi Neck Of The Woods rilasciano il primo album sulla lunga distanza, questo ottimo lavoro che conferma quanto sia diventata sottile la linea che separa un certo modo di fare prog metal con il metal moderno di estrazione core.

La band, nata nel 2013 e con il classico demo di inizio carriera, seguito da un ep omonimo licenziato un paio di anni fa, con The Passenger conferma questo trend che porta i gruppi dell’ultima ondata progressiva ad amalgamare suoni introspettivi e dilatati, con frustate metalliche di estrazione core allargando i confini dei due generi.
Non sono sicuramente l’unica band che prova a suonare qualcosa di meno scontato nel panorama odierno, ma è pur vero che The Passenger, visto dai due lati contrapposti, rilascia ottime sensazioni, portando con sè atmosfere suggestive, e melanconiche in un sound estremo e valorizzato dall’ottima tecnica in possesso dei cinque musicisti.
The Passenger, fin dalle prime note dell’opener Bottom Feeder, passando per il death metal tecnico e melodico di Nailbiter e la forza espressiva della notevole You’ll Always Look the Same to Me esprime un’urgenza di arrivare all’ascoltatore senza per forza usare i soliti cliché ormai abusati nel metal moderno, ma ci investe con una serie di solos entusiasmanti, ci accarezza delicatamente, pregno com’è di sfumature melanconicamente dark e ci travolge a tratti con la furia controllata di un metalcore che ha in sé residui hardcore.
I Neck Of The Woods sono ancora lontani dal luogo in cui è nascosto il santo graal dell’originalità, ma sicuramente sono riusciti con personalità e buone idee a creare un album affascinante e per nulla scontato, tagliando il cordone ombelicale che li teneva legati al metalcore e quindi liberi di creare musica progressivamente metallica ma dall’approccio moderno.

Tracklist
1. Bottom Feeder
2. Nailbiter
3. White Coats
4. Open Water
5. You’ll Always Look the Same to Me
6. Face of the Villain
7. Drift
8. Foothills
9. Before I Rest

Line-up
Jeff Radomsky – Vocals
Dave Carr – Guitars
Travis Hein – Guitars
Jeremy Gilmartin – Drums
Jordan Kemp – Bass

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