Ferris Mc – Wahrscheinlich Nie Wieder Vielleicht

Ferris Mc confeziona un ottimo disco crossover, mischiando hip hop, punk, hardcore ed elettronica, il tutto in maniera orecchiabile ma con testi abrasivi, ironici e fuori dal comune.

Munitevi di traduttore, ancora meglio se sapete il tedesco, perché vale davvero la pena di capire i testi del disco di Ferris Mc, con un nuovo lavoro solista fuori dai Mongo Clikke, un collettivo hip hop che ha fatto scuola nella florida scena rap di lingua tedesca.

Ferris Mc confeziona un ottimo disco crossover, mischiando hip hop, punk, hardcore ed elettronica, il tutto in maniera orecchiabile ma con testi abrasivi, ironici e fuori dal comune. Per questo suo nuovo disco solista Ferris Mc è tornato alle origini, ripescando nella tradizione punk hc tedesca, con riferimenti ai Die Toten Hosen, Die Artze, e anche anglosassone come Exploited e Ramones. La decisione di fare cose diverse rispetto all’hip hop nasce dalla considerazione che con quel genere Ferris ha raggiunto la saturazione e quindi non riuscirebbe più a proporre cose interessanti come in questo disco in cui ripesca dal passato per proiettarsi nel futuro. Il lavoro è molto piacevole, con melodie gradevoli che sono alla base di ritornelli che rimangono impressi nella mente, tutto è al suo posto. Wahrscheinlich Nie Wieder Vielleicht è un disco che parla delle contraddizioni che sono nella nostra società, facendolo con una maturità assai rara, e soprattutto della Germania come in un pezzo come Fuer Deutschland Reicht’s, che analizza la pericolosa voglia di sovranismo in voga in Germania come altrove. Il disco è molto fresco, ben prodotto e ha la caratteristica molto importante di parlare ai giovani in maniera molto particolare, con una musica che piacerà a pubblici diversi, perché ha molte soluzioni sonore diverse. Molto importante è anche la questione del titolo, che significa Probabilmente Mai Più: anni fa si sarebbe detto solo “Mai Più”, e sappiamo tutti cosa non si vorrebbe accadesse mai più in Germania e non solo, ma visto come sta andando in tutto il mondo oggi si deve aggiungere il “probabilmente” e questo non è affatto una bel segnale. Un disco musicalmente molto potente e piacevole, con una marcia in più nei testi.

Tracklist
01. Allianz Der Außenseiter
02. Wahrscheinlich Nie Wieder Vielleicht
03. Was Ist Aus Mir Geworden
04. Die Normalen
05. Für Deutschland Reicht’s
06. Shitstorm
07. Der Teufel Tanzt weiter
08. Scherben Bringen Glück
09. Krank
10. Mein Herz Hat ‘Ne Knarre
11. Amok Amok Amok
12. Niemandsland
13. Friedhof Der Kuscheltiere
14. Fake News

FERRIS MC – Facebook

Sick of It All – Wake the Sleeping Dragon

Ritorno in gran spolvero da parte di una band davvero leggendaria all’interno della scena hardcore e skate punk newyorkese.

Dodicesimo album per la storica hardcore band di New York, che ancora una volta si conferma per mezzo di un grandissimo disco.

A oltre trent’anni dalla nascita – sono sorti nel 1985 – i Sick of It All rappresentano uno dei pochi elementi di continuità con la gloriosa tradizione hardcore e skate punk della Grande Mela anni Ottanta. Anche in questo nuovo lavoro il sound resta granitico, ferocissimo e pesante, non scendendo mai a compromessi. Duri e puri, nonché abili tecnicamente, gruppi come i Sick of It All non sono del resto mai stati succubi della tendenza a logiche di tipo commerciale e per ciò meritano il massimo rispetto e la più alta considerazione. Possiamo credo parlare di album della definitiva maturità, meditato ed articolato, irruento e furioso, avvincente ed ineccepibile. Insomma, l’ulteriore dimostrazione di una coerenza ed integrità estreme nell’applicare i propri principi di vita e di musica, non lontano dall’etica straight edge. Parliamo inoltre di una band che, in Our Impact Will Be Felt (2007), ha visto il tributo di Ignite, Hatebreed, Madball, Napalm Death, Pennywise, Rise Against, Sepultura, Walls of Jericho ed Unearth. I Sick of It All sono oramai un pezzo importante di storia e queste ultime canzoni lo attestano inequivocabilmente. Inoltre, ci ricordano qualcosa d’assai importante ed anzi fondamentale: senza l’hardcore – ed il loro è sempre molto metallizzato – non ci sarebbero stati né il thrash, né il death, né il grind che ne sono derivati.

Track list
1- Inner Vision
2- That Crazy White Boy Shit
3- The Snake
4- Bull’s Anthem
5- Robert Moses Was a Racist
6- Self Important Shithead
7- To the Wolves
8- Always With Us
9- Wake the Sleeping Dragon
10- 2+2
11- Beef Between Vegans
12- Hardcore Horseshoe
13- Mental Furlough
14- Deep State
15- Bad Hombres
16- Work the System
17- The New Slavery

Line up
Pete Koller – Guitars
Lou Koller – Vocals
Armand Majidi – Drums
Craig Setari – Bass

SICK OF IT ALL – Facebook

Mantar – The Modern Art Of Setting Ablaze

La musica prodotta da un duo non è di facile composizione ed esecuzione perché se mancano il talento e le idee le soluzioni si restringono ancora di più, ma non è il caso dei Mantar che fanno canzoni dalle sempre ottime soluzioni sonore ballando fra diversi generi, partendo dal punk e dal suo derivato il black, senza dimenticare la loro forte ossatura doom e sludge.

Il duo tedesco di Brema torna con un disco infuocato ed abrasivo dopo un breve hiatus, dovuto alla partenza del chitarrista e cantante Hanno per l’assolta Florida.

L’amicizia fra i due è più che ventennale e ciò si riverbera sulla loro musica, un misto assolutamente originale di punk, black metal, doom e sludge, il tutto molto potente e corrosivo. I Mantar nel loro curriculum hanno tre dischi ed un ep, con un suono in costante evoluzione. Quando li si ascolta è difficile credere che siano solo in due, perché la loro potenza è grande e possiedono un timbro molto personale e particolare. Il disco ha un groove continuo, un uncino che ti aggancia e ti porta con sé senza mai lasciarti andare. Tutta la musica dei Mantar è costruita sulla composizione del riff di chitarra, l’architrave portante che regge la costruzione. La voce è un altro elemento molto importante perché essa stessa uno strumento che si inserisce nel flusso musicale. The Modern Art Of Setting Ablaze è un disco che parla del fuoco ed è composto dal fuoco stesso, è una materia infuocata eppure molto affascinate da sentire ad un volume molto alto. La musica prodotta da un duo non è di facile composizione ed esecuzione perché se mancano il talento e le idee le soluzioni si restringono ancora di più, ma non è il caso dei Mantar che fanno canzoni dalle sempre ottime soluzioni sonore ballando fra diversi generi, partendo dal punk e dal suo derivato il black, senza dimenticare la loro forte ossatura doom e sludge. L’immaginario di potenza e decadenza che deriva dalle loro canzoni è una suggestione molto forte ed è una componente importante della poetica del duo di Brema. Si rimane fortemente attratti da questa musica che infiamma e che non lascia indifferenti, anche grazie alla grande sicurezza esibita dai due tedeschi.

Tracklist
1. The Knowing
2. Age Of The Absurd
3. Seek + Forget
4. Taurus
5. Midgard Serpent (Seasons Of Failure)
6. Dynasty Of Nails
7. Eternal Return
8. Obey The Obscene
9. Anti Eternia
10. The Formation Of Night
11. Teeth Of The Sea
12. The Funeral

Line-up
Hanno – Vocals, Guitars
Erinc – Drums, Vocals

MANTAR – Facebook

Escape is Not Freedom / dusk Village – Split

Stringato ma interessante split album che vede impegnate due band statunitensi, Escape is Not Freedom e dusK Village.

Stringato ma interessante questo split album che vede impegnate due band statunitensi, Escape is Not Freedom e dusK Village.

Il territorio entro il quale entrambe si muovono è un luogo trasversale che sta fa qualche parte tra noise, sludge e grunge, anche se in effetti le differenze tra le due band appaiono abbastanza marcate, almeno in base a quanto ci è dato ascoltare in questo frangente.
Gli Escape is Not Freedom mostrano due volti piuttosto diversi nella copia di brani a loro disposizione: Boiling Nails è qualcosa di molto vicino ad un noise/sludge dalla buona intensità e con un tiro davvero notevole, mentre We’re Wrecked cambia decisamente le carte in tavola rivelandosi un brano di proto-grunge con voce femminile, bello ma che non aiuta molto a capire quale sia il vero volto della band.
In tal senso appaiono un po’ più leggibili i dusk Village, in virtù di una propensione più ruvida e diretta anche se le differenze tra i due brani offerti sono evidenti anche in questo caso: infatti, se Exolife Civilization Leak si muove su coordinate più rallentate e fangose, rivelandosi il mio brano preferito tra quelli offerti nello split, mentre A Self Fan parte sparato con venature punk hardcore e così si spinge sino al termine.
In sostanza, l’uscita offre più di un motivo di interesse soprattutto perché, inconsciamente o meno, nella proposta di entrambe le band assume un ruolo determinante un’anima grunge sporca e distorta che dimostra ai posteri, qualora ce ne fosse ancora bisogno, quanto quel movimento abbia marchiato non solo gli anni novanta, lasciando un’impronta anche nei decenni a venire e trovando spazio anche in uscite dalle disparate matrici musicali.

Tracklist:
1.Boiling Nails – Escape Is Not Freedom
2.We’re Wrecked – Escape Is Not Freedom
3.Exolife Civilization Leak – dusK Village
4.A Self Fan – dusK Village

Line-up:
Escape Is Not Freedom:
Mike – guitar, vocals
Darrin – drums
Josh – bass

Guest Vocals on “We’re Wrecked” by Emily Jancetic

dusK Village:
SLAV
GIL
FUKS

ESCAPE IS NOT FREEDOM – Facebook

DUSK VILLAGE – Facebook

Satanic Surfers – Back From Hell

Back From Hell è un disco che porta direttamente al meglio dell’hardcore punk degli ultimi anni, e la conferma che la storia dei Satanic Surfers sarà ancora lunga e con molte soddisfazioni, sia loro che nostre.

In un momento in cui praticamente tutti i gruppi punk hardcore e non solo degli anni novanta si sono riformati, mancavano loro, uno dei migliori gruppi del genere, i Satanic Surfers da Lund, Svezia.

Ascoltando questo Back From Hell c’è la felicità di sentire che non hanno perso nulla della loro bravura, della loro immensa capacità di fare musica veloce e potente con una grandissima melodia, ottenendo un risultato che solo loro sanno dare. Chi si ricorda la magia di dischi come 666 Motor Inn, Going Nowhere Fast o Hero Of Our Time, sappia che i ragazzi sono ancora al loro massimo, e anzi, questo è uno dei loro dischi migliori, forse anche più di quelli usciti con la mitica etichetta svedese Burning Heart, una label che ci regalò molte gioie. Questo disco esce dopo tredici anni di silenzio discografico e non è una mera riproposizione delle glorie passate, ma un fantastico album di un gruppo che sa fare canzoni molto belle, con mille stop and go, molta melodia unita ad una grande potenza, in un connubio che ha un nome di due parole : Satanic Surfers. C’è sempre stata una particolare magia in questa band e questa ultima prova è un ulteriore passo in avanti. Come detto poc’anzi, molte riunioni sono un qualcosa di quantomeno triste, mentre questo disco è uno splendido esempio di cosa si può fare se si ha talento e voglia da vendere. Rodrigo è come sempre alla batteria ed alla voce, uno dei talenti più cristallini mai comparsi sulla scena hardcore punk mondiale, che con grande umiltà riesce sempre a regalarci grandi melodie. Back From Hell è un disco che porta direttamente al meglio dell’hardcore punk degli ultimi anni, e la conferma che la storia dei Satanic Surfers sarà ancora lunga e con molte soddisfazioni, sia loro che nostre.

Tracklist
1.The Usurper
2.Catch My Breath
3.Self-Medication
4.All Gone To Shit
5.Ain’t No Ripper
6.Madhouse
7.Going Nowhere Fast
8.Paying Tribute
9.Pato Loco
10.Back From Hell

Line-up
Rodrigo
Magnus
Andy
Stefan
Max

SATANIC SURFERS – Facebook

Haan – Sing Praises

Meno di venti minuti non sono mai esaustivi ma possono fornire ben più di una fugace impressione sul valore di una band: non resta, quindi, che attendere gli Haan ad una risposta di durata più consistente, ma sul fatto che facciano molto male credo non sussistano dubbi.

Arie Haan era il mio calciatore preferito nell’Olanda anni ’70 dei fenomeni guidati da Johan Cruijff, quella nazionale capace di giocare un calcio stupefacente e sfrontatamente moderno senza riuscire, purtroppo, a vincere quel mondiale che avrebbe meritato.

Haan era il classico centrocampista di lotta e di governo, in grado di spezzare le trame avversarie ma anche di ricucire il gioco con piedi educati che erano capaci, soprattutto, di scagliare autentici missili verso la porta avversaria.
Non so se la band americana che porta come monicker il suo cognome ne conosca l’esistenza, mi piace però l’idea di accomunare il quartetto di Broooklyn a quel calciatore per  la maniera naif di interpretare un genere come lo sludge punk/noise che, se fosse già esistito negli anni ’70, sono convinto che sarebbe potuto essere una perfetta colonna sonora per il “soccer” giocato dai capelloni che vestivano la maglia arancione.
Così gli Haan ondeggiano tra corse furibonde (The Cutting, Shake the Meat), guidati dalla voce abrasiva di Chuck Berrett, ad aperture sotto forma di rallentamenti preparatori alle bordate rappresentate da riff ribassati e pesanti come macigni (War Dance).
I primi tre brani vengono esauriti in circa nove minuti, più o meno la durata equivalente della conclusiva Pasture/Abuela, titolo sghembo come una traccia che non fornisce punti di riferimento certi, se non un’immersione totale in una psichedelia capace di dilatare i suoni così come certe sostanze fanno con le pupille: questo è un pezzo che rappresenta il biglietto da vista perfetto per gli Haan, mettendone in luce tutto il notevole potenziale.
Del resto i ragazzi si sono guadagnati spazio da qualche anno nella scena newyorchese, ottenendo l’apprezzamento di gentaglia della risma di Eyehategod, Whores., Cancer Bats, e Black Tusk, per citare solo i nomi più conosciuti, e direi che il tutto non può essere affatto casuale.
Meno di venti minuti non sono mai esaustivi ma possono fornire ben più di una fugace impressione sul valore di una band: non resta, quindi, che attendere gli Haan ad una risposta di durata più consistente, ma sul fatto che facciano molto male credo non sussistano dubbi.

Tracklist:
A1.The Cutting
A2.Shake the Meat
A3.War Dance
B1.Pasture / Abuela

Line-up:
Chuck Berrett – vocals
Jordan Melkin – guitar
Dave Maffei – bass
Christopher Enriquez – drums

HAAN – Facebook

Rest – Rest

Le premesse sono buone, anche perché è netta la sensazione che i Rest siano intenzionati a proporre anche in futuro molto di più rispetto a un ordinario black hardcore sparato alla massima velocità.

I Rest sono un nuovo interessante progetto immaginato da Alessandro Coos (Ashes of Nowhere) e realizzato con l’ausilio di Mattia Revelant (batteria), Efis Canu (voce) e Marco Zuccolo (basso).

Questo ep autointitolato, pur nella sua brevità, mostra una band capace di trasmettere una potente urgenza espressiva tramite un black hardcore per lo più feroce e diretto, con la sola eccezione della traccia conclusiva V, molto più elaborata e rallentata, che apre un nuovo stimolante filone compositivo da sfruttare magari più avanti.
Per il resto è una furia iconoclasta a pervadere ogni brano, con un approccio diretto ed efficace nella sua organicità, e la timbrica di Canu (vocalist degli Inira) ad accentuarne l’impronta hardcore, anche se già in IV i ritmi si fanno relativamente più controllati, prima di sfociare nella già citata anomalia costituita dalla traccia conclusiva.
Le premesse sono buone, anche perché è netta la sensazione che i Rest siano intenzionati a proporre anche in futuro molto di più rispetto a un ordinario black hardcore sparato alla massima velocità.

Tracklist:
1.I
2.II
3.III
4.IV
5.V

Line-up:
Alessandro Coos – guitar
Mattia Revelant – drums
Efis Canu – vocals
Marco Zuccolo – bass

REST – Facebook


Violent Revolution – State of Unrest

L’urlo di protesta che parte con l’opener Resist e prosegue con la titletrack richiama la vecchia scuola americana

Capitanati dall’ex Agent Steel George Robb irrompono sul mercato, tramite Iron Shield, i thrashers statunitensi Violent Revolution.

Il gruppo proveniente dall’Arizona, attivo da appena due anni, solca le strade falciate dalla protesta politico sociale, gli scontri sono inevitabili nel grigiore del fumo provocato dai lacrimogeni e dalle bombe carta, il sangue che sgorga dalle teste spaccate dai manganelli sporca le vie e non serve vivere negli States per vedere scene di guerriglia urbana comuni in ogni parte del mondo, specialmente di questi tempi dove l’ingiustizia dilaga e salgono i moti di ribellione.
La colonna sonora per descrivere questo allucinante quadro non può che essere un violentissimo e velocissimo thrash metal, fortemente influenzato dal punk, old school nell’approccio, diretto ed assolutamente in your face.
L’urlo di protesta, che parte con l’opener Resist e prosegue con la titletrack, richiama la vecchia scuola americana, con ritmiche velocissime, una voce che grida disagio e lancinanti solos metallici che rincorrono l’urgenza ritmica dei brani.
Siamo a cavallo tra il decennio ottantiano e quello successivo, dove i gruppi metal della scena ambivano ad un crossover tra la forza metallica del thrash e l’irruenza sociale che il punk si portava dietro dagli ultimi sgoccioli del periodo settantiano: è forte, infatti, il richiamo hardcore nei brani dei Violent Revolution (il nome della band è una chiara dichiarazione d’intenti), ed in poco più di mezzora State Of Unrest spara le proprie cartucce, veloci, infallibili e senza compromessi.
Il gruppo è formato da musicisti di provata esperienza e sotto l’aspetto tecnico nulla da dire, anche se le sonorità lasciano un leggero senso di stantio.
Poco male, il genere è questo, prendere o lasciare, e State Of Unrest non mancherà di far proseliti tra gli amanti del crossover thrash/punk di fine anni ottanta, dunque se siete orientati verso sonorità più moderne probabilmente non fa per voi.

TRACKLIST
1. Resist
2. Violent Revolution
3. Damaged
4. State of Unrest
5. Final Vow
6. Wake Up
7. All Hail
8. Code of Conduct
9. Sudden Death
10. Trainwreck

LINE-UP
George Robb – Bass, Vocals (backing)
John Gilleland – Drums
Nate Garduno – Guitars
Don Funk – Guitars, Vocals (lead)

VIOLENT REVOLUTION – facebook