Árstíðir Lífsins – Saga á tveim tungum I: Vápn ok viðr

L’ennesima opera superba offerta da questo gruppo di musicisti unici per la loro capacità di avvolgere il black metal di un’aura solenne ed emozionante.

Saga á tveim tungum I: Vápn ok viðr è il quarto full length di una delle creature più pregiate in ambito black metal emerse nell’ultimo decennio.

Nulla di strano, a ben vedere, nel momento in cui si realizza che l’islandese Árni, motore della band, fa parte anche dei formidabili Carpe Noctem, oltre ad aiutare Marcel Dreckmann negli altrettanto grandi Helrunar.
Il musicista tedesco contraccambia prestando la sua profonda voce alla riuscita del progetto a cui partecipa anche l’altro germanico Stefan, coinvolto a sua volta nei notevoli, ma ormai da tempo ai box, Kerbenok. Diciamo subito che, in quest’ultima opera, il black metal così come lo conosciamo viene spesso scalzato da una solenne anima folk che sovrasta per potenziale evocativo l’impatto delle tracce più robuste. Infatti, al termine dell’ascolto di questo splendido lavoro, è difficile rimuovere dalla memoria brani di rara profondità emotiva come Sundvǫrpuðir ok áraþytr, Siðar heilags brá sólar ljósi e Fregit hefk satt, che non spezzano la tensione ma semmai ne aumentano l’impatto allorché la stessa viene scaricata tramite cavalcate perfette per scrittura ed esecuzione come Fornjóts synir ljótir at Haddingja lands lynláðum, Morðbál á flugi ok klofin mundriða hjól  o Stǫng óð gylld fyr gǫngum ræfi.
Dopo quasi un’ora di splendida musica arriva la lunghissima chiusura di matrice black doom Haldi oss frá eldi, eilífr skapa deilir, traccia che racchiude nel suo limpido scorrere tutte le anime che pulsano all’interno degli Árstíðir Lífsins.
Saga á tveim tungum I: Vápn ok viðr si rivela così l’ennesima opera superba offerta da questo gruppo di musicisti unici per la loro capacità di avvolgere il black metal di un’aura solenne ed emozionante che si stacca per approccio sia dalla tradizione scandinava, sia dalle più recenti tendenze cascadiane provenienti da oltreoceano,  offrendo una cifra stilistica difficilmente replicabile per chiuque.

Tracklist:
1.Fornjóts synir ljótir at Haddingja lands lynláðum
2.Sundvǫrpuðir ok áraþytr
3.Morðbál á flugi ok klofin mundriða hjól
4.Líf á milli hveinandi bloðkerta
5.Stǫng óð gylld fyr gǫngum ræfi
6.Siðar heilags brá sólar ljósi
7.Vandar jǫtunn reisti fiska upp af vǫtnum
8.Fregit hefk satt
9.Haldi oss frá eldi, eilífr skapa deilir

Line-up:
Árni – Drums, Percussion, Viola, Cello, Organ, Vocals, Vocals (choirs)
Stefán – Guitars, Bass, Piano, Vibraphone, Vocals, Vocals (choirs)
Marsél – Vocals, Choirs, Narration

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Svirnath – Dalle Rive del Curone

Le sonorità offerte da Svirnath sono del tutto in linea con le produzioni facenti capo alla brillante label tedesca Naturmacht, autentico punto di riferimento per chi voglia ascoltare black metal atmosferico nella sua accezione più pura e underground.

Arriva al secondo full length Frans, musicista lombardo/piemontese attivo anche nei validi doomsters Abyssian e nei Consolamentum,  che con il suo progetto solista Svirnath propone un black metal atmosferico e dai tratti pagan folk.

Dalle Rive del Curone, fin dal titolo, evidenzia quanto siano importanti per l’autore gli spunti derivanti dall’amore e dal rispetto per una natura che dovrebbe essere sempre parte integrante del modus vivendi di ciascuna persona.
A livello musicale l’album si snoda piuttosto bene, essendo ricco di valide aperture atmosferiche, e se mostra alcune incrinature queste vanno ricercate in uno screaming perfettibile (pur essendo una caratteristica che sembra accomunare gran parte delle uscite in quest’ambito) e in un lavoro chitarristico che nelle parti soliste mostra qualche sbavatura, a fronte di un afflato melodico tutt’altro che trascurabile. Ed è proprio limando tali aspetti che brani notevoli come la title track o L’etereo bagliore potrebbero risaltare ancor più di quanto non avvenga, in virtù di una scrittura sempre volta all’esibizione del lato più evocativo del genere.
Le sonorità offerte da Svirnath, del resto, sono del tutto in linea con le produzioni facenti capo alla brillante label tedesca Naturmacht, autentico punto di riferimento per chi voglia ascoltare black metal atmosferico nella sua accezione più pura e underground.

Tracklist:
1. Vir Naturae
2. All’ombra delle fronde
3. L’etereo bagliore
4. Dalle rive del Curone
5. Quando soffia il Maestrale
6. L’abete

Line-up:
Frans – All instruments, Vocals

SVIRNATH – Facebook

ÆRA – The Craving Within

The Craving Within è un disco che tende a perdersi nella neve, a guardare verso l’infinito, grazie anche ad un suono potente e preciso che riporta alla prima epoca del balck metal, anche se non tutto l’impianto è ortodosso.

Questo duo di stanza in Norvegia riporta il black metal allo splendore delle proprie origini, di quando raccontava della potenza della terra e del paganesimo.

Negli anni il nero metallo si è evoluto e sta continuando a progredire e ormai ha una varietà incredibile di sottogeneri e di declinazioni. Nel necessario progresso fa piacere ascoltare un album così ben fatto e con solide radici nel passato. The Craving Within è un disco che tende a perdersi nella neve, a guardare verso l’infinito, grazie anche ad un suono potente e preciso che riporta alla prima epoca del black metal, anche se non tutto l’impianto è ortodosso. The Craving Within è il primo disco sulla lunga distanza per questo duo, che vede il centro nel cileno trapiantato in Norvegia Ulf Niklas Kveldulfsson, polistrumentista eccellente oltre che ottimo compositore, mentre alla voce troviamo il nuovo membro Stein Akslen, veterano della scena norvegese. Entrambi concorrono a creare un disco che punta in alto, come detto prima, volendo ricreare un preciso stato d’animo nell’ascoltatore per portarlo in una dimensione diversa. Non ci sono pause o pezzi riempitivi, o peggio assurde e vuote manifestazioni di potenza black, ma un disco ben composto e che ha tanti elementi che lo faranno amare fin dal primo ascolto a chi ama il black metal. Ci sono canzoni che sono jam, episodi più lisergici, ma a predominare nettamente è l’aspetto classico del genere che è sempre in evidenza. Gli Æra possono essere definiti un gruppo minimale, perché anche le tastiere sono accennate, ma l’insieme è molto magniloquente e poderoso,e si ha quella sensazione di completezza che si aveva ad ascoltare un certo black metal classico, con la sicurezza propria dei grandi gruppi. The Craving Within è una poetica che guarda alla tradizione come punto fermo e al passato come fonte di insegnamento.

Tracklist
1.Skaldens Død
2.Frost Within
3.Rite of Odin
4.Profetien
5.Join Me Tomorrow
6.Norrøn Magi

Line-up
Ulf – All Instruments, songwriting
S. Akslen – vocals

ÆRA – Facebook

Ahnengrab – Schattenseiten

Un’opera che parte dal black metal e arriva in molti posti diversi, una rivelazione per chi non li conoscesse ancora, e una grande riconferma per chi li segue da tempo.

I tedeschi Ahnengrab sono al loro terzo disco, la direzione è quella del pagan black metal, con una forte dose di atmospheric e molta melodia.

La miscela musicale di questa band è molto difficile da trovare declinata in questa maniera. Il loro punto di partenza è un black pagano, ma c’è tantissima melodia e soprattutto uno sviluppo assai inusuale delle canzoni, molto al di sopra della media dei gruppi coinvolti nel genere. La questione centrale non è però tanto la qualità quanto la diversità di questo gruppo. I testi in tedesco rendono ancora più corposa ed originale la loro proposta. Ascoltando il disco si viene guidati dal sentimento e non da creazioni musicali artificiose. Ci sono grandi cavalcate che hanno insito il cuore dell’heavy power, momenti di grandioso headbanging, i classici massacri in crescendo del black metal, le stimmate del pagan e anche dei tocchi di folk. Insomma, ci sono moltissime cose per un lavoro che sa emozionare e lascia l’ascoltatore con la voglia di sentirlo ancora. I gruppi come Ahnengrab sono sempre più rari, poiché fluttuano in diversi mondi musicali e si assumono l’alto rischio di non piacere a chi si limita ad un solo genere, privandosi del piacere che può dare un disco come questo. Tutto qui è metal, si usano vari registri per arrivare a narrare storie in una certa maniera, quel modo assai caro a chi legge una webzine come questa, che potrà trovare in Schattenseiten un’autentica rivelazione. Ogni canzone fa genere e storia a sé, poiché racconta una storia diversa e le storie sono come gli uomini, ognuno è differente, è ciò che è. Un’opera che parte dal black metal e arriva in molti posti diversi, una rivelazione per chi non li conoscesse ancora e una grande riconferma per chi li segue da tempo. Sapienza compositiva superiore, grande resa e un suono fuori dal comune.

Tracklist
01. Aurora
02. Katharsis
03. K-37c
04. Phoenicis
05. Rad der Zeit
06. Herbstbeginn
07. Urknall
08. Des Weltenend’ Melancholie
09. …When Paths Separate
10. Sternenmeer

Line-up
Christoph H. – Guitar
Tom W. – Drums
Tom J. – Bass
Tibor C. – Guitar
Christoph “Fenris” L. – vocals

AHNENGRAB – Facebook

Dyrnwyn – Sic Transit Gloria Mundi

I Dyrnwyn suonano un viking folk metal molto epico con melodie struggenti, cantato in italiano e molto particolare.

Avevamo lasciato i Dyrnwyn con il loro ep Ad Memoriam del 2015, un disco che li aveva proiettati in alto nella scena viking folk metal, con i loro racconti molto coinvolgenti sull’Antica Roma.

Con questo nuovo lavoro in uscita per SoundAge Productions i nostri avanzano ulteriormente con un’opera molto convincente e curatissima in tutti i particolari. I Dyrnwyn fanno un viking folk metal molto epico, con melodie struggenti, cantato in italiano e molto peculiare. Traggono ispirazione dai grandi del genere, ma poi sviluppano una poetica tutta loro, già ben presente in nuce nei dischi precedenti, ma che arriva al suo culmine in questo Sic Transit Gloria Mundi. Come già scritto per il precedente disco la band ci porta sul campo di battaglia degli antichi romani, che sono stati uno dei popoli più complessi e multiformi della storia. Il fascino di questi conquistatori (anche se noi liguri non li abbiamo mai amati molto, si deve ammettere che ci hanno dato tanto) è narrato alla perfezione grazie all’uso del folk metal dalla forte connotazione epica, con un uso perfetto dei tempi e con aperture melodiche che rendono molto affascinante il tutto. Il viking folk metal annovera fortunatamente molti gruppi e molte tendenze diverse, ma ciò che ci danno i Dyrnwyn non è rintracciabile altrove. Canzone dopo canzone si viene totalmente avviluppati in un vortice che sale fino al cielo dove stanno gli dei, che possono essere sia benevoli che malevoli, comunque ben differenti dalle menzogne cristiane. Potrebbe forse essere inteso come escapismo l’andare a cercare un fortissimo punto di contatto con il mondo dell’Antica Roma come questo disco, e forse è proprio una fuga da questi tempi davvero brutti ed oscuri, ma è comunque bello perdersi in un disco come questo, che va ben oltre la musica. Il cantato in italiano è davvero un valore aggiunto alla musica dei Dyrnwyn, e la stessa musica è di alto livello, essendo una narrazione essa stessa. Sic Transit Gloria Mundi è un disco molto maturo ed appassionante, frutto del lavoro di un gruppo dalle idee molto chiare che si rivela fra le migliori realtà italiane in campo viking folk metal.

Tracklist
1. Sic Transit Gloria Mundi
2. Cerus
3. Parati Ad Impetvm
4. Si Vis Pacem…
5. …Para Bellum
6. L’Addio Del Primo Re
7. Il Sangue Dei Vinti
8. Feralia
9. Assedio Di Veio CCCXCVI

Line-up
Thierry Vaccher: vocals
Alessandro Mancini: guitars
Alberto Marinucci: guitars
Ivan Cenerini: basso
Ivan Coppola: drums
Jenifer Clementi: flute
Michelangelo Iacovella: keyboards

DYRNWYN – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=yCh01kLN6Og

Marrasmieli – Marrasmieli

Buona la prima, quindi, per competenza, intensità ed impatto, anche se il giudizio nei confronti dei Marrasmieli resta inevitabilmente sospeso in attesa di un’uscita più probante a livello quantitativo.

Il fatto che ci si occupi della prima uscita dei Marrasmieli, nonostante si tratti di un singolo, è motivato da due aspetti fondamentali, ovvero la lunghezza complessiva del lavoro che raggiunge i venti minuti, durata buona anche per un ep, oltre al fatto che l’etichetta che ne cura l’uscita è la Naturmacht, quanto basta perché il tutto sia meritevole d’attenzione.

Ce ne sarebbe in realtà un terzo, ma quello lo si può scoprire solo a posteriori, cioè la bontà oggettiva dell’operato di questo trio finlandese, capace di disimpegnarsi abilmente con un pagan black ricco di buon gusto melodico e compositivo.
La traccia autointitolata presenta in maniera esemplare questi aspetti , senza accentuare certi elementi folk che si palesano invece nella più lunga e diretta What Nature Fears, nella quale i nostri sconfinano a tratti nei territori di competenza dei Finntroll, anche se si percepisce sempre un’impronta più marcatamente estrema rispetto ai profeti dell’’humppa metal.
Buona la prima, quindi, per competenza, intensità ed impatto, anche se il giudizio nei confronti dei Marrasmieli resta inevitabilmente sospeso in attesa di un’uscita più probante a livello quantitativo.

Tracklist:
1. Marrasmieli
2. What Nature Fears

Line-up:
Nattvind – vocals & drums
Zannibal – guitars
Maelgor – bass

MARRASMIELI – Facebook

All My Sins – Pra Sila – Vukov Totem

Uno dei migliori dischi di black metal degli ultimi anni, potente, melodico ed affascinante, con una poetica musicale e non che non può lasciare indifferenti.

Arriva dalla Serbia un disco black metal furioso e con grandi melodie che farà la gioia di molti amanti del nero metallo.

I serbi All My Sins sono un gruppo con un talento compositivo molto particolare, con un timbro che si impone subito all’attenzione dell’ascoltatore. La loro storia è particolare, perché dopo due demo fra il 2002 ed il 2004 si va direttamente ad un ep del 2017. Dovendo semplificare la spiegazione del tipo di black metal che offrono si potrebbe affermare che facciano un qualcosa di classico, ma vanno oltre perché c’è anche quel ritorno alla natura ed il recupero delle proprie tradizioni che è uno degli effetti del genere. Le tradizioni degli slavi del sud sono molto presenti in questo disco, che ha un significato recondito molto profondo e si sposa inevitabilmente con ciò che noi chiamiamo occulto, ma che ai nostri antichi era molto ben chiaro e quotidiano. Il lavoro si basa soprattutto, oltre che su un robusto e bellissimo black metal della seconda ondata norvegese, sul concetto del lupo come essere lunare e sulla sua presenza nella cultura slava. Da lì si arriva alla similitudini fra questo animale e l’uomo moderno, il tutto senza preconcetti ed illustrando molto bene i passaggi. Le liriche sono in tutte in serbo, ma se si traducono con i mezzi moderni riservano più di una sorpresa. In questo caso il black metal viene usato come codice per indagare e spiegare la natura ancestrale e fortemente pagana della propria gente e delle proprie tradizioni, sopravvissute in qualche maniera al flagello chiamato cristianesimo che ha spianato in breve tempo culture millenarie. Il lavoro dei serbi ha una produzione grandiosa ed estremamente fedele, dovuta al fatto che un componente del gruppo, V, ha uno studio di registrazione e produzione di metal estremo, il Wormhole Studio di Pančevo e ha le idee molto chiare ed un bel talento dietro al controller. Il risultato è uno dei migliori dischi di black metal degli ultimi anni: potente, melodico ed affascinante, con una poetica musicale e non che non può lasciare indifferenti. Il black metal degli All My Sins è una cosa bellissima.

Tracklist
1.Vukov Totem
2.Zov iz Magle
3.Vetrovo Kolo
4.U Mlazevima Krvi
5.Opsena
6.Mesecu u Oko
7.Konačna Ravnodnevica (Čin Prvi)
8.Konačna Ravnodnevica (Čin Drugi)

Line-up
Nav Cosmos – Vocals / Bass / Vrg
V – Guitars / Keys
Nemir – Drums (Session)

ALL MY SINS – Facebook

Ash Of Ashes – Down The White Waters

Album che piacerà agli amanti dei suoni folk metal, epici e black, Down The White Waters ci chiede di riservare un po’ del nostro tempo alle sue composizioni, così da ritrovarci in un altra dimensione, galleggiando in un mare di emozioni pagane ed epiche.

Cultura pagana ed heavy metal, un connubio che negli anni ha donato grande musica epica, poi attraversata da tempeste estreme arrivate dal grande nord.

Epic folk metal dai rimandi pagani è a grandi linee il sound del duo tedesco Ash Of Ashes, al debutto con Down The White Waters, lavoro degno di menzione in virtù dell’esibizione di un buon talento nel creare mid tempo epici e guerreschi in un contesto atmosferico.
Ovviamente la parte metal è di derivazione viking black, poi alleggerita da una valanga di melodie che lasciano spazio anche agli ascoltatori di generi meno estremi, grazie anche alla voce evocativa, che duetta per gran parte dell’album con quella di stampo estremo.
In Down The White Waters l’epicità si tocca con mano, l’alternanza tra parti viking black metal, folk e melodic death è l’arma con cui il duo conquista le terre nemiche, creando un’atmosfera leggendaria.
Molto belli sono i brani che riescono a far convivere tutte le anime del sound sotto la spessa coltre di epicità: la band sorprende per il songwriting di buon livello già dal primo album, con picchi come Flames Of The Horizon, Sea Of Stones e gli ultimi due movimenti prima della chiusura: le splendide The Queen’s Lament (The Lay Of Wayland) e Chambers Of Stone (The Lay Of Wayland).
Album che piacerà agli amanti dei suoni folk metal, epici e black, Down The White Waters ci chiede di riservare un po’ del nostro tempo alle sue composizioni, così da ritrovarci in un altra dimensione, galleggiando in un mare di emozioni pagane ed epiche.

Tracklist
01. Down The White Waters
02. Flames On The Horizon
03. Ash To Ash
04. Sea Of Stones
05. Springar
06. Seven Winters Long (The Lay Of Wayland)
07. In Chains (The Lay Of Wayland)
08. The Queen’s Lament (The Lay Of Wayland)
09. Chambers Of Stone (The Lay Of Wayland)
10. Outro

Line-up
Skaldir – Vocals, guitars, keyboards, bass
Morten – Lyrics, vocals

ASH OF ASHES – Facebook

Ildra – Eðelland

 Eðelland è sicuramente un album che va recuperato e, anche se non dovesse avere più alcun seguito, rimane senza dubbio uno degli esempi più efficaci di pagan black offerti nel decennio in corso.

Cominciamo subito col dire che questo album dei britannici Ildra è la ristampa dell’unico full length finora pubblicato, Eðelland, risalente al 2011.

Se molto spesso la riproposizione di lavori vecchi di diversi anni la si può ritenere un’operazione superflua, di sicuro questo non vale per un album di tale spessore: il black metal dalla cospicua componente pagan folk contenuto in questi tre quarti d’ora di musica è quanto di meglio si possa ascoltare in quest’ambito stilistico, e sarebbe stato delittuoso quindi lasciare che Eðelland continuasse a languire in una sorta di oblio.
Bene ha fatto perciò la Heidens Hart Records, etichetta olandese specializzata in black metal, a riportare alla luce questo spaccato di sonorità epiche che, ovviamente, non contengono alcun elemento di novità ma sono semmai l’esaltante perpetrarsi di una tradizione che parte dai seminali Bathory ed arriva ai giorni nostri con band della caratura dei Primordial, con tutti gli altri nomi di peso compresi in questo perimetro (Falkenbach, Moosorrow, ecc.) .
Del valore degli Ildra,  dei quali non si è mai saputa la composizione oltre che le attuali sorti (se si va sulla loro pagina Facebook, questa appare desolatamente vuota) la misura ce la offrono due tracce in particolare, Rice Æfter Oðrum e Swa Cwæð se Eardstapa, veri e propri concentrati di solenne epicità, con un magnifico lavoro chitarristico capace di delineare melodie evocative (specialmente il crescendo finale del secondo dei due brani).
Eðelland è sicuramente un album che va recuperato e, anche se non dovesse avere più alcun seguito, rimane senza dubbio uno degli esempi più efficaci di pagan black offerti nel decennio in corso.

Tracklist:
1. Sweorda Ecgum
2. Rice Æfter Oðrum
3. Hrefnesholt Dæl I
4. Esa Blæd
5. Ofer Hwælweg We Comon
6. Nu is se Dæg Cumen
7. Earendel
8. Swa Cwæð se Eardstapa
9. On Þas Hwilnan Tid

Nydvind – Tetramental I – Seas of Oblivion

I Nydvind non si risparmiano, offrendo oltre un’ora di pagan black metal al suo massimo livello, intenso e robusto allo stesso tempo e privo di punti morti.

Un ottimo pagan black metal è quello che viene offerto dai Nydvind, band francese in circolazione fin dai primi anni del secolo e giunta con Tetramental I – Seas of Oblivion al terzo full length di una carriera dalle uscite piuttosto diradate, nonché di pregevole qualità.

In questo trio troviamo comunque personaggi abbastanza conosciuti nella scena transalpina, a partire dal fondatore della band Richard Loudin, qui con lo pseudonimo di Hingard, vocalist che gli appassionati di doom conoscono molto bene per la sua militanza prima nei Despond e poi nei Monolithe, per arrivare poi a Olivier Sans (Nesh, chitarrista anche negli ottimi Azziard) ed Eric Tabourier (Stig, batterista, ex-Temple Of Baal).
Con queste premesse, l’operato dei Nydvind non poteva che rappresentare il frutto del lavoro di musicisti competenti e capaci di raccogliere e con buona personalità i dettami di uno dei generi nordici per eccellenza.
Ne scaturisce, quindi, un lavoro di notevole spessore, coinvolgente ed epico come devono essere gli album di matrice pagan, con riferimenti stilistici che riportano ai campioni del genere come i Primordial; è bene far notare, comunque, come la storia della band parigina tragga origine dalla precedente militanza di Hingard e Nesh in un’altra band dedita a sonorità folk e celtiche come i Bran Barr, tanto per dimostrare come questa inclinazione verso certe sonorità non sia frutto di una folgorazione improvvisa ma arrivi decisamente da lontano.
Al di là di tali premesse, l’operato dei Nydvind parla attraverso la musica contenuta in questo lavoro splendido per intensità e capacità di coinvolgimento, che si avvicinano non poco al meglio della produzione della citata band irlandese; al proposito va ribadito che tale riferimento è un’indicazione di massima utile a far capire cosa di debba attendere chi ascolterà l’album, visto che il sound dei francesi ha un propria peculiarità stilistica che si esplicita tramite uno spiccato senso melodico sviluppato in una direzione più epica che solenne.
Composto e suonato e prodotto come meglio non si potrebbe, Tetramental I – Seas of Oblivion si pone fin d’ora come uno dei probabile album di punta del genere negli ultimi tempi: il mare in tempesta che ci accoglie fin dalla copertina è l’ambiente naturale lungo il quale si dipana il racconto, con la band che mantiene sempre vivo tale immaginario a partire dalla fatica dei rematori evocata nell’opener Plying the Oars, fino allo sciabordio delle onde od ai versi dei gabbiani che sovente si manifestano nel corso dell’opera.
I Nydvind non si risparmiano, offrendo oltre un’ora di pagan black metal al suo massimo livello, intenso e robusto allo stesso tempo e privo di punti morti, con le quattro lunghe tracce superiori ai dieci minuti di durata (Sailing Towards the Unknown, Till the Moon Drowns, Through Primeval Waters, Unveiling a New Earth) che costituiscono la spina dorsale di un’opera davvero ispirata, alla quale non manca nulla per raccogliere i favori di chi ama questo sonorità ricche di fascino ed emotività.
Il fatto che Richard Loudin non faccia più parte dei Monolithe, con i quali è stato impegnato in maniera piuttosto intensa in questo decennio, fa ragionevolmente pensare e sperare che probabilmente non sarà necessario attendere altri sette anni prima di ascoltare un nuovo album dei Nydvind.

Tracklist:
1. Plying the Oars
2. Sailing Towards the Unknown
3. Skywrath
4. Till the Moon Drowns
5. Sea of Thalardh
6. The Dweller of the Deep
7. Through Primeval Waters
8. Unveiling a New Earth

Line-up:
Hingard: Vocals, Guitars
Nesh: Guitars, Bass nad Bouzouki
Stig: Drums

NYDVIND – Facebook

Man Daitõrgul – Gulkenha

L’auspicio è che Nagh Ħvaëre prosegua il suo cammino cercando di rimediare ai punti deboli evidenziatisi all’ascolto di questo full length, anche perché in quanto espresso dal progetto Man Daitõrgul ci sono diversi aspetti positivi sui quali porre le basi per ripartire.

Non è mia abitudine esprimermi in maniera poco lusinghiera su un disco sottoposto alla mia attenzione: è vero che spesso ciò non si rivela necessario, ma il motivo è che si preferisce dalle nostre parti lasciare spazio alle opere più meritevoli evitando di dedicare tempo e spazio a quello che talvolta viene visto come una sorta di accanimento nei confronti di musicisti che, a prescindere, meritano sempre e comunque il massimo rispetto come persone e come artisti.

Quando è però il musicista stesso a richiedere una recensione, bypassando quella che è la canonica trafila della mail o del comunicato proveniente da label o agenzie di promozione, è una dovere morale quello di acconsentire anche se, non necessariamente, quanto ne verrà fuori avrà connotazioni positive, con la certezza che sia sempre preferibile per chiunque ottenere un riscontro negativo, ma articolato, piuttosto che essere ignorati.
Di questo primo full length della one man band spagnola Man Daitõrgul bisogna innanzitutto dire che siamo di fronte ad un lavoro ricco di buone idee, che vanno dal songwriting al concept stesso, con tanto di lingua immaginaria (il baaldro) creata dalla fervida fantasia di Nagh Ħvaëre, purtroppo non assecondate a dovere a livello di realizzazione a causa di oggettivi e talvolta macroscopici difetti.
Il contenuto di Gulkenha è un black metal dai connotati pagan-epic che funzionerebbe discretamente se non fosse penalizzato da suoni rivedibili e decisamente scolastici per quanto riguarda la chitarra (molto meglio il lavoro tastieristico, per quanto piuttosto lineare) e da un’interpretazione vocale piatta, con un growl recitativo in stile Bal-Sagoth poco espressivo e troppo in primo piano rispetto al sottofondo musicale; purtroppo le cose non vanno meglio quando si tenta un approccio corale con voci pulite, perché per esempio le stonature in Kħazesis Gleivarka e Gulke Nagh non possono essere ignorate, pur con tutta la benevolenza possibile.
Così, alla fine, restano da salvare alcuni interessanti spunti strumentali come l’incipit della stessa Gulke Nagh, che riesce a restituire un po’ di quell’evocatività che dovrebbe essere il tratto distintivo dell’album, almeno prima che siano nuovamente le voci a riprendere il proscenio, e il ritmato incedere di Neħvreskйgaidaŋ, che essendo la traccia di chiusura lascia se non altro un ricordo piacevole del lavoro.
Spiace doverlo dire, ma Gulkenha ha poche speranze di ritagliarsi un minimo di spazio all’interno di una scena musicale cosi vasta e il più delle volte qualificata: un peccato, perché l’idea di partenza è sicuramente valida ma tale scintilla finisce per spegnersi in una trasposizione musicale che si rivela deficitaria.
L’auspicio è che Nagh Ħvaëre prosegua il suo cammino cercando di rimediare ai punti deboli evidenziatisi all’ascolto di questo full length, anche perché, ribadisco, in quanto espresso dal progetto Man Daitõrgul ci sono diversi aspetti positivi sui quali porre le basi per ripartire.

Tracklist:
1. Ħaram am Drokelйa
2. Kħazesis Gleivarka
3. Man Daitõrgul / Slăm Iƥe Kaldrath
4. Bo Sevakaëra na Drokeŋ
5. Togul Daitõren
6. Evaƥ og Ovre Voħrænŋ
7. Gulke Nagh
8. Neħvreskйgaidaŋ

Line-up:
Nagh Ħvaëre – All instruments, Vocals

MAN DAITORGUL – Facebook

Hetman – Sewn From The Ashes Book

Questa interpretazione del pagan black metal appare davvero accattivante, perché tutto sommato rifugge gli stilemi consueti trovando una sua peculiarità senza smarrire le coordinate di base del genere.

E’ ancora l’Ucraina ad offrire una nuova ottima one mand band che si muove in ambito black, anche se tecnicamente ad aiutare il bravo Cerberus ci sarebbe l’altrettanto  valido Storm alla batteria.

Comunque sia, questo progetto denominato Hetman arriva al terzo full length, un traguardo che, come spesso accade, ci fornisce elementi decisivi per determinare il valore di una band.
Ebbene, questa interpretazione del pagan black metal appare davvero accattivante, perché tutto sommato rifugge gli stilemi consueti trovando una sua peculiarità senza smarrire le coordinate di base del genere; addirittura mi spingerei a dire che inserire gli Hetman nel black metal è quasi una forzatura, visto che in certi momenti semmai uno dei riferimenti che emergono con più decisione sono gli Amorpohis, senza dimenticare chiaramente la lezione dei Bathorìy, al netto dell’uso dello screaming e di periodiche sfuriate in blast beat, che costituiscono i soli elementi che giustificano la collocazione nel genere.
Chiarito tutto ciò, non resta che ascoltare Sewn From The Ashes Book (tenendo conto che il tutto avviene in madre lingua e che la stessa band e il titolo dell’abum e dei brani si presentano al pubblico in cirillico) e ciò non si rivela affatto tempo perso, perché Oleksiy Bondarenko si dimostra un musicista di notevole spessore, sia per un songwriting vario e sempre orientato ad agganciare l’attenzione dell’ascoltatore, con passaggi di ampio respiro melodico ed il valore aggiunto di un pacchetto esecuzione/produzione inattaccabile.
Volendo trovare un piccolo difetto al lavoro si può dire solo che, dopo il magnifico trittico inziale The Gateway / The Seventh Heaven / How Quiet on Earth! How Quiet!… l’album tende a scemare leggermente di livello ed intensità, ma direi più per “colpa” della qualità eccelsa di questi brani che non per la pochezza dei restanti.
Poco male, visto quanto di buono Cerberus è in grado di offrire agli appassionati del metal dalle sfumature pagan black, i quali troveranno negli Hetman un nuovo gradito nome da appuntarsi sul proprio taccuino virtuale

Tracklist:
1.Брама (The Gateway)
2.Сьоме небо (The Seventh Heaven)
3.Як тихо на землі!Як тихо… (How Quiet on Earth! How Quiet!..)
4.Грудочка Землі (The Pile of Soil)
5.Пам’ятай хто ми (Remember Who We Are)
6.Доторкнись до каміння в степу (Touch the Stones in the Steppe)
7.Горде слово (The Proud Word)
8.В серце кожного (To the Heart of Everyone)

Line-up:
Oleksii Bondarenko – All instruments and vocals

Incursed – Amalur

Il racconto epico degli Incursed è qualcosa che rimane nelle orecchie e nei cuori, figlio di un tempo passato che può tornare solo grazie a queste narrazioni.

I baschi Incursed sono fautori di un folk metal non convenzionale, molto veloce e potente dai forti accenti epici.

Attivi dal 2007, questi ragazzi suonano un folk metal con una base pagan, costruendo canzoni molto ben strutturate e frutto di una visione potente. Questo disco è la loro quarta uscita, il loro suono è in costante miglioramento e Amalur è un lavoro con molte sfumature, eppure organico nel suo essere una narrazione epica e mitica, incentrata sulle nostre antiche tradizioni andate perse a causa dall’allontanamento dal nostro baricentro naturale. Gli Incursed usano diversi registri musicali per rendere tutto ciò, avendo molte possibili soluzioni anche grazie al loro talento e alla loro capacità creatival. L’incedere è molto epico, le canzoni sono piccole sinfonie con base metallica, ma con escursioni in altri territori, come gli intarsi con strumenti antichi. Sono notevoli anche i pezzi meno veloci, carichi di una forza notevole data dal loro pathos. Il racconto degli Incursed è qualcosa che rimane nelle orecchie e nei cuori, figlio di un tempo passato che può tornare solo grazie a queste narrazioni. Il gruppo è capace di dosare sempre l’emozione, rendendosi comprensibile in tutti i suoi passaggi, riuscendo a non essere mai noioso. Molto di tutto ciò è dovuto sicuramente alle ottime frequentazioni che la band ha avuto sui palchi, con gruppi come Eluveitie ed Ensiferum, tra gli altri. Rispetto a questi due gruppi gli Incursed hanno una personalità molto spiccata ed una maniera di interpretare li folk metal che è radicato nella penisola iberica, con grande epicità e con una maniera di comporre molto diversa per esempio dai loro colleghi scandinavi. Un buon disco che porta il gruppo ad essere fra i migliori del genere.

Tracklist
1.Lurramets [intro]
2.Cryhavoc!
3.Psalm of the Accursed
4.Akelarre
5.The Awakening
6.Amalur
7.The Slavic Covenant
8.A Crownless King
9.The Hardest of Harvests
10.Zombeer Alcoholocaust
11.Brothers in Arms
12.Fear a’ Bhàta [bonus]

Line-up
Asier Amo – drums
Asier Fernandez – guitars
Jon Koldo Tera – harsh and clean vocals, keyboards
Lander Lourido – clean vocals, guitars
Mikel Llona – bass

INCURSED – Facebook

Descrizione Breve

Autore
Massimo Argo

Voto
7

Genere – Sottogeneri – Anno – Label
Folk Metal

Pagan Metal

Viking Metal

2017

Antiquus Scriptum – Antologia

Un pagan/epic black metal con potenziale qualità ma che di chiaro ha ben poco. Da parte degli amanti del genere, comunque, può meritare una possibilità.

Il pagan black metal di Antiquus Scriptum, one-man band portoghese con alle spalle una carriera ormai quasi ventennale, torna con il nuovo album Antologia che, dopo una breve intro soft con dei suoni della natura (nella stessa maniera si chiuderà), si catapulta nelle orecchie dell’ascoltatore con il massimo della violenza possibile, in chiave totalmente nichilista e senza alcuna traccia di benevolenza.

Ogni traccia di Antologia è intrisa, già dai titoli, di dissacrazione e malattia. Questa rimane una costante imprescindibile per tutta la durata del disco. Il musicista e compositore portoghese tira fuori un sound che ha anche tanto di epico e sinfonico, ma che comunque non cozza con la natura distorta dell’album.
Il risultato è, tutto sommato, una discreta miscela tra più stili, con qualche intermezzo come A shape of space & time che, in confronto al ritmo incessante dell’album, sembra quasi un pezzo pop.
Ad una valutazione complessiva, però, sono davvero molti i limiti del disco. Uno dei più importanti è senza dubbio la parte vocale, che qui naviga in maniera incerta tra frammenti death, voce pulita e raw. Proprio la voce, spesso ma non sempre, stona completamente con l’atmosfera musicale che si crea. È quasi come se fosse stata gettata in mezzo alla registrazione da un’altra fonte.
Anche sulla parte strumentale ci sono dei dubbi, infatti il ritmo eccessivamente forsennato dell’album sembra fine a sé stesso, confusionario e privo di criterio. Questo non aiuta certamente a capire cosa si sta ascoltando.
Insomma, c’è sicuramente del buono, ma c’è anche uno stile musicale ancora da comprendere.

Tracklist
1. Dance of the Sleepless Souls in a Dusk Called Night… (Intro)
2. In Pulverem Reverteris
3. Abi In Malam Pestem
4. Inner Depression (Syndromes of Fear)
5. I. N. R. I.: Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum
6. Thy Visionary
7. Den Nordiske Sjel Lever I Meg
8. Odi At Amo, Excrucior…
9. A Shape of Space & Time
10. In the Kingdom of Superstition
11. A Sea of Doubts
12. Dance of the Crying Souls in a Dusk Called Night… (Outro)

Line-up
Sacerdos Magus – Bass, Vocals, Guitars, Acoustics, Drums, Key Strokes

ANTIQUUS SCRIPTUM – Facebook

Zgard – Within The Swirl Of Black Vigor

Within The Swirl Of Black Vigor è un album caldamente consigliato agli estimatori del pagan folk black.

Zgard è uno dei molti progetti solisti gestiti da musicisti dalla prolificità superiore alla norma, in quanto tale si può considerare la media di un full length pubblicato per ogni anno di attività, anche se come abbiamo constatato in questi anni c’è chi riesce a produrre musica in maniera ben più compulsiva.

Nello specifico l’ucraino Yaromisl è appunto uno tra quelli che si segnala per la non troppo scontata capacità di coniugare quantità e qualità: il primo incontro con l’operato degli Zgard risale al 2012 con l’uscita di Astral Glow, nel quale veniva esibito un pagan folk black di assoluta sostanza ed oggi li ritroviamo con Within The Swirl Of Black Vigor, che giunge dopo altri due full length, Contemplation e Totem.
Il percorso stilistico di Yaromisl si va a comporre così di un nuovo tassello che mostra anche alcune differenze rispetto al passato, assumendo sembianze maggiormente orientate al pagan pur senza perdere le proprie connotazioni folk: il tutto pare giovare ulteriormente per quanto riguarda la resa finale, in quanto favorisce l’approdo ad un sound che fa proprie le pulsioni derivanti da gradi interpreti del genere come Moonsorrow e Negura Bunget, infondendovi però caratteristiche peculiari delle tradizione musicale ucraina, grazia anche al ricorso a diversi strumenti tradizionali (oltre a quelli a corde, troviamo un particolare flauto denominato sopilka, e la drymba, che è un po’ l’equivalente del nostro scacciapensieri).
Per questo lavoro Yaromisl si fa aiutare dal vocalist Dusk e dal batterista Lycane, andando a formare un trio capace di imprimere ritmo ed intensità ai vari brani; basti sentire a tale proposito una traccia come Confession of Voiceless, dal crescendo furioso e coinvolgente, oppure la “moonsorrowiana” e splendida Where the Stones Drone, per rendersi conto di quanto Within The Swirl Of Black Vigor sia un album imperdibile per gli estimatori del pagan folk black.
Se Astral Glow era già un album interessante ma che mostrava ancora ampi margini di miglioramento, quanto fatto da Yaromisl in questi cinque anni ha reso gli Zgard una tra le migliori realtà del genere, rendendola una credibile alternativa alle grandi band citate quali riferimento.

Tracklist:
1. Dive into the night (intro) [Занурення в ніч]
2. Forgotten [Забутий]
3. Confession of voiceless [Сповідь німого]
4. Frozen space [Замерзлий простір]
5. Where the stones drone [Там де камні гудуть]
6. KoloSlovo [КолоСлово]
7. Cold bonfire [Холодна ватра]
8. Winter lullaby [Колискова зими

Line-up:
Yaromisl – rhythm, solo, bass and acoustic guitar, sopilka, drymba, keyboards, back and clean vocals

Guests:
Dusk – vocals, clean vocals
Lycane – drums

ZGARD – Facebook

Kawir – Exilasmos

L’impasto sonoro è qualcosa che solo i Kawir propongono, e provoca un grande coinvolgimento, mostrando come la via ellenica al black metal sia ancora molto vitale e fertile, anche perché con il retroterra storico greco il materiale non manca di certo

Settimo disco per uno dei pilastri greci del black metal, i Kawir.

Questo gruppo faceva parte di quella nidiata satanica che la Grecia aveva partorito tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta, con nomi come Rotting Christ, Varatrhon e Necromantia, gruppi che insieme ai Kawir hanno aperto una nuova ed importantissima via ellenica e mediterranea al black metal, molto diversa da quello scandinavo tanto da apparire in certi casi una cosa totalmente a sé. I Kawir di quella ondata hanno rappresentato e rappresentano tuttora la parte più pagana ed ellenica, e questo disco è una celebrazione delle gesta e delle vite di personaggi del pantheon greco come Edipo, Agamennone, e Tantalo fra gli altri. Il suono dei Kawir è un misto di black e di pagan metal, cantato con un growl molto preciso e di grande effetto. Il gruppo viaggia ad alte velocità, e la radice del suono sta in giri di chitarra black non iper veloci ma sostenuti, negli intarsi della parte ritmica e nel gran lavoro di tastiere e di strumenti tipici greci. L’impasto sonoro è qualcosa che solo i Kawir propongono, e provoca un grande coinvolgimento, mostrando come la via ellenica al black metal sia ancora molto vitale e fertile, anche perché con il retroterra storico greco il materiale non manca di certo. Il livello qualitativo dei dischi di questa band rimane molto alto, forse non al livello di innovazione che avevano i loro lavori degli anni novanta, ma Exilasmos si rivela bilanciato e coinvolgente, fatto da un gruppo che ha la completa padronanza dei propri mezzi e li usa al meglio. Exilasmos in greco antico significa placare la rabbia degli dei, e le storie qui narrate sono piene di paradigmi mitici che vanno bene anche per i nostri tempi.

Tracklist
01 Lykaon
02 Oedipus
03 Tantalus
04 Thyestia Deipna
05 Agamemnon
06 Orestes

Line-up
Therthonax – rhythm and lead guitars
Melanaegis – rhythm, lead guitars, solos, and 12-string acoustic guitar
Porphyrion – vocals
Echetleos – bass
Hyperion – drums and ercussions
Pandion – bagpipes, wind instruments, and psaltere
Aristomache – keyboards

KAWIR – Facebook

Black Messiah – Walls of Vanaheim

Walls of Vanaheim è un’opera di buono spessore in un genere in cui non è così semplice lasciare il segno, ma purtroppo non riesce a raggiungere l’eccellenza a causa dell’eccessiva e ridondante verbosità che rischia di tenere lontani gli ascoltatori meno avvezzi a questo tipo di sonorità.

I tedeschi Black Messiah sono una band dallo stato di servizio ultraventennale e, grazie ad un’attività piuttosto regolare, soprattutto nel nuovo secolo, giungono con Walls of Vanaheim al loro settimo full length.

Il combo di Gelsenkirchen in tutti questi anni ha distribuito la propria competente interpretazione di un pagan black sinfonico e dalle ampie sfumarture folk, che si è con il tempo stemperato in qualcosa di più vicino all’heavy metal; Walls of Vanaheim è un album che mantiene ben salde le coordinate stilistiche e liriche della band, capace di regalare un lavoro convincente ma che, con qualche accorgimento in più, avrebbe potuto risultare di livello ancor più elevato.
I nostri hanno la capacità di creare con disinvoltura atmosfere epiche di grande evocatività ed immediatezza, ma pensano bene di appesantire il tutto con ben sei tracce contenenti una voce narrante che sarà anche funzionale alla comprensione del concept (visto che diversi brani sono cantati in lingua madre) ma che, allo stesso tempo, affievolisce all’ennesima potenza la tensione di un lavoro sul cui aspetto musicale c’è invece davvero poco da eccepire.
Un peccato neppure troppo veniale, questo, se pensiamo che al netto delle parti recitate resta comunque un’ora abbondante di musica, che rappresenta pur sempre un fatturato impegnativo in un epoca nella quale la fretta e la necessità della sintesi paiono aver preso il sopravvento; detto questo, però, i Black Messiah regalano una prova bella e convincente, trasportandoci nel loro epico immaginario la cui colonna sonora abbraccia il viking black come il folk, fornendo un risultato complessivo gratificante per chi ama tali sonorità.
La parte del leone in Walls of Vanaheim la fa Zagan, vocalist espressivo e abile violinista, che imprime il proprio marchio in ottimi brani come Mimir’s Head, The Walls of Vanaheim e A Feast of Unity, che sono poi quelli meno folkeggianti e maggiormente orientati ad esaltare la vena epica, anche con bellissimi progressioni chitarristiche, oltre alla notevole chiusura offerta con Epilogue: Farewell, che dopo due minuti di chiosa narrativa si trasforma in uno splendido strumentale che rappresenta idealmente la summa stilistica della band tedesca.
Walls of Vanaheim è un’opera di buono spessore in un genere in cui non è così semplice lasciare il segno, ma purtroppo non riesce a raggiungere l’eccellenza a causa dell’eccessiva e ridondante verbosità che rischia di tenere lontani gli ascoltatori meno avvezzi a questo tipo di sonorità.

Tracklist:
1. Prologue – A New Threat
2. Mimir’s Head
3. Father’s Magic
4. Mime’s Tod
5. Call to Battle
6. Die Bürde des Njörd
7. Satisfaction and Revenge
8. The March
9. The Walls of Vanaheim
10. Decisions
11. Mit Blitz und Donner
12. The Ritual
13. Kvasir
14. A Feast of Unity
15. Epilogue: Farewell

Line up:
Zagan – Vocals, Guitars, Violin
Garm – Bass
Donar – Guitars (lead), Vocals (backing)
Surtr – Drums
Pete – Guitars (rhythm), Vocals (backing)
Ask – Keyboards

Tom Zahner – Narrator

BLACK MESSIAH – Facebook

Grima – Tales of the Enchanted Woods

Un lavoro che squarcia il velo sul talento di questi due ragazzi, per i quali mi piace pensare che il comune sentire causato dalla loro condizione gemellare abbia realmente fatto la differenza.

Uno degli aspetti negativi dell’essere più o meno sommersi da materiale proveniente da ogni parte del globo è quello di rischiare di trascurare dischi di enorme valore: ecco perché ci ritroviamo a parlare di questo secondo album dei russi Grima a ben otto mesi dalla sua uscita nonostante si riveli, alla prova dei fatti, uno dei migliori album di black metal atmosferici usciti nel corso dell’anno.

Del resto bisognerebbe anche fidarsi delle etichette che promuovono questi lavori, in questo caso la Naturmacht che di colpi, oggettivamente, ne sbaglia ben pochi: qui però il centro è pieno, perché Tales of the Enchanted Woods è una delle espressioni più fresche ed entusiasmanti del genere che ci sia stato dato modo di ascoltare in tempi recenti.
I Grima sono un duo siberiano formato dai gemelli Gleb e Maxim Sysoev (membri anche degli Ultar), qui con i nickname Vilhelm e Morbius, i quali annichiliscono ed emozionano con il loro black metal epico e maestoso, capace di prendere il meglio dalla scena scandinava e tedesca, iniettandovi una sognante componente cascadiana, splendide venature folk grazie all’inserimento della fisarmonica ed un velenoso screaming che rimanda parzialmente ai Cradle Of Filth.
Tutte queste componenti si amalgamano alla perfezione dando vita ad un lavoro che si sviluppa su cinque tracce portanti più tre strumentali; se l’ascolto, come a volte accade, inizia in maniera un po’ distratta, i Grima impiegano poco per catalizzare l’attenzione con un brano ottimo come The Moon And Its Shadows e, successivamente, con il capolavoro Ritual, grazie al suo enorme carico evocativo dovuto ad una stupefacente capacitò del duo di creare melodie di rara solennità. Never Get Off The Trail , The Grief (con trame chitarristiche che ne illuminano il finale), The Shepherds Of The sono altre perle che trasportano l’ascoltatore all’interno delle maestose e gelide foreste siberiane, protette da uno spirito che ne tutela gli abitanti e che punisce severamente chi non ne rispetta le forme di vita animale e vegetale (forse è l’unico tipo di divinità della quale ci sarebbe veramente bisogno …).
I Grima regalano quasi tre quarti d’ora di magnificenza oscura ed atmosferica, con un ispirazione ed una freschezza che fanno passare sopra a qualche piccola sbavatura esecutiva e l’assenza di un batterista in carne ed ossa.
Inezie, se rapportate al valore complessivo di un lavoro che squarcia il velo sul talento di questi due ragazzi, per i quali mi piace pensare che il comune sentire causato dalla loro condizione gemellare abbia realmente fatto la differenza

Tracklist:
1. The Sentry Peak
2. The Moon And Its Shadows
3. Ritual
4. Wolfberry
5. Never Get Off The Trail
6. The Grief
7. The Shepherds Of The
8. The Sorrow Bringer

Line-up
Morbius – Guitars
Vilhelm – Vocals, Guitars, Programming

GRIMA – Facebook

Syn Ze Sase Tri – ZĂUL MOȘ

Il metal romeno in tutte le sue accezioni continua a stupire e a sfornare ottime opere, e questo è un gran disco di sympho pagan black metal.

Quarto album per i Syn Ze Sase Tri, per un massacro sympho pagan black metal.

I romeni con i tre dischi precedenti si erano già costruiti una solida e rumorosa reputazione di gruppo molto al di sopra della media, e con questo lavoro compiono un ulteriore salto di qualità. Il loro suono è un veloce e rabbioso sympho balck metal, con grandi parti di pagan e atmosfere folk metal, ma la loro peculiarità è una velocità metallica e sinfonica di grande effetto. Le tastiere qui non sono mero complemento ma protagoniste molto importanti di un disegno sonoro sofisticato e di grande impatto, che aggredisce l’ascoltatore dal primo minuto e non lo lascia mai, stupendolo per la varietà e la grande versatilità. L’immaginario è quello sconfinato delle leggende transilvane, quella fertile terra al confine tra oriente ed occidente, attraversata da molte culture ed altrettanti demoni, che prendono corpo nella musica dei Syn Ze Sase Tri, sembrando molto reali. La Transilvania e la Romania tutta hanno un corpus mitologico di grande rilievo ed importanza, che meriterebbe di essere ulteriormente approfondito, come fece Stoker per il suo celeberrimo Dracula, punta di un iceberg fatto di ghiaccio nerissimo. Il disco è un vortice di neve e metallo, un perdersi a rotta di collo vedendo l’antica Dacia con gli occhi di un lupo a caccia, o attraversando rituali innominabili, il tutto con un metal potente di una cifra stilistica unica. Il gruppo romeno è veramente efficace, e il suo quarto disco spicca per velocità, potenza e capacità compositiva, in un trionfo di sangue e metallo. Non ci sono momenti di stanca o tentativi di riempire spazi, perché la spontaneità e la carica sono tali da non lasciare spazio ad altro che non sia opera meritoria dei Syn Ze Sase Tri. Il metal romeno in tutte le sue accezioni continua a stupire e a sfornare ottime opere, e questo è un gran disco di sympho pagan black metal.

Tracklist
01-TĂRÎMU’ DE LUMINĂ
02-DÎN NEGRU GÎND
03-SOLU’ ZEILOR
04-DE-A DREAPTA OMULUI
05-ZĂUL MOŞ
06-PLECĂCIUNE ZĂULUI
07-URZEALA CERIULUI
08-COCOŞII NEGRI
09-ÎN PÎNTECU’ PĂMÎNTULUI (electric version)

Line-up
Șuier (Vocals)
Corb (Guitars, Vocals)
Moș (Guitars)
Dor (Drums)

SYN ZE SASE TRI – Facebook

Anamnesi – La Proiezione Del Fuoco

Parlando del livello di lettura musicale il disco è di immenso valore, ma ancora più grande è il valore storico, e superiore ad esso si trova il livello spirituale, chiudete gli occhi mettete le cuffie e ascoltate cosa ha da dirvi la vostra vera anima.

Certe opere vanno ben oltre la musica, poiché sono dei paradigmi, dei momenti di vera comprensione di quello che siamo, o di ciò che siamo stati.

La Proiezione Del Fuoco è uno di questi momenti, un ricordarci ciò che siamo stati e ciò che siamo veramente, nonostante duemila e più anni di menzogne. Anamnesi è la creazione di Emanuele Prandoni, un nome che possiamo trovare dietro a grandi nomi dell’underground metal italiano, tanto per citarne alcuni Simulacro, Absentia Lunae e Progenie Terrestre Pura. Questo suo progetto è ora giunto al terzo disco edito da Dusktone, mentre i precedenti sono stati pubblicati da Naturmacht Productions. La Proiezione Del Fuoco è un disco incentrato sul culto mitraico, un’antica religione che era in voga nell’antica Roma, e che viene quindi da molto lontano. Purtroppo, a causa della scarsità di fonti non si sa molto su questa religione salvifica e piena di misteri, a cui si veniva iniziati attraverso sette gradi. Molto devoti a Mitra erano i legionari romani, ma Mitra viene dall’India e forse ancora da più lontano, ed era un culto legato al Sole, vero e forse unico dio di noi umani. In questo disco risuona fortissimo questo spirito antico, legato ad un percorso iniziatico molto difficile e preciso, per scoprire sé stessi e la verità su ciò che ci circonda. Anamnesi ci accompagna nel sotterraneo del nostro inconscio con un black death di ottima fattura, debitore alla scena svedese ma molto originale anche grazie al cantato in italiano, che si comprende bene e che è davvero una lezione di storia all’ennesima potenza. Vi sono momenti del disco nei quali si percepisce la forza e la profondità di questo culto che portiamo dentro, grazie all’immenso lavoro di ricerca di Emanuele, e soprattutto grazie alla sua altrettanto grande capacità di rendere musica le sue sensazioni. Parlando del livello di lettura musicale il disco è di immenso valore, ma ancora più grande è il valore storico, e superiore ad esso si trova il livello spirituale, chiudete gli occhi mettete le cuffie e ascoltate cosa ha da dirvi la vostra vera anima. La sesta traccia Apathanatismos è la resa musicale dell’unico culto mitraico a noi pervenutoci in una redazione successiva del quarto secolo; ascoltare queste parole suscita sensazioni davvero forti e dimenticate, ma non siamo quello che vogliono farci credere, siamo molto di più, fuoco e sole.
Un’opera immensa, testimonianza di ciò che può essere il metal, un veicolo per farci tornare a casa.

TRACKLIST
1.Origine Prima
2.Fautor Imperii
3.La Proiezione Del Fuoco
4.La Precessione Degli Equinozi
5.Lo Ierofante Dei Misteri
6.Apathanatismos
7.I Sette Raggi Del Myste

ANAMNESI – Facebook