Nordland – European Paganism

Una bella prova, intensa, competente e genuina nelle sue risultanze.

Nordland è il progetto solista di Vohr, musicista inglese dedito ad un black metal dai tratti epici ed atmosferici.

European Paganism è il quarto full length in un quinquennio di attività e giunge a riaffermare le posizioni critiche dell’autore rispetto all’egemonia del cristianesimo e delle religioni monoteiste in genere, quali cause dell’azzeramento pressoché totale del paganesimo visto quale tratto distintivo e peculiare dell’identità di ciascun popolo europeo.
Niente di nuovo, forse, dal punto di vista concettuale (per quanto interessante e tutt’altro che banale nella maniera in cui l’argomento viene trattato), e neppure da quello musicale, dato che il black di Nordland accoglie e rielabora tutte le fonti di ispirazioni conosciute, però la differenza viene fatta dalla profondità con la quale la materia viene affrontata sotto entrambi gli aspetti.
Per descrivere l’operazione di azzeramento delle tradizioni e dei costumi che hanno mantenuto coese nel passato diverse comunità, Vohr utilizza con sapienza quanto gli ultimi vent’anni di musica estrema gli hanno messo a disposizione, prendendone le parti più pregiate dando così vita ad un prodotto di assoluto livello.
Lo stesso azzardo di partire con una traccia di oltre ventisette minuti di durata, appare emblematico di quanto abbia da dire il musicista britannico, il quale preferisce non indugiare più di tanto sugli stilemi del genere inserendo passaggi ora acustici, ora epici e folkeggianti, ora progressivi grazie anche ad un utilizzo molto personale della chitarra solista: The Mountain tiene costantemente desta l’attenzione dell’ascoltatore in virtù di una varietà che non sconfina mai nel farraginoso ma che, piuttosto, rende meno monolitico e più avvincente lo scorrere dell’album.
Inutile rimarcare come il fulcro di European Paganism sia proprio la lunghissima The Mountain, perfetto manifesto del sentire musicale di Vohr, ma anche le altre due tracce non sfigurano, benché appaiano in qualche modo più canoniche nel loro incedere, in particolare la conclusiva Rites At Dawn, decisamente radicata nel black tradizionale.
Una bella prova, intensa, competente e genuina nelle sue risultanze.

Tracklist:
01. The Mountain
02. A Burning Of Idols
03. Rites At Dawn
Line-up:
Vohr

NORDLAND – Facebook

Havukruunu – Kelle Surut Soi

Leggermente più estremo del passato full length, Kelle Surut Soi, lascia indietro i passaggi folk per un approccio più estremo e black, mentre cori declamatori invitano ad alzare i boccali e brindare ad un giorno in più concesso alla vita.

La tradizione scandinava per il pagan black metal epico è consolidata per merito di una manciata di gruppi diventati famosi seguendo la lezione dei maestri Bathory, ma tra i boschi delle fredde lande del nord si aggirano magnifiche creature che mantengono ben salde le fondamenta del genere.

Come in un castello sperduto tra le nevi dove si forgiano menestrelli guerrieri, la penisola scandinava (terra di leggende pagane) non tradisce elargendo musica epica dai tratti black di altissima qualità.
Gli Havukruunu provengono dalla Finlandia, e ci avevano regalato un album magnifico nel 2015 (Havulinnaan) ed un ep (Rautaa ja tulta), ora seguiti dopo due anni da Kelle surut soi, nuovo bellissimo lavoro che conferma il talento di Stefan (chitarra, batteria) questa volta accompagnato da Noitavalo alle pelli, entrato in formazione un anno fa.
Lasciate ancora una volta le vostre ormai inseparabili diavolerie tecnologiche, copritevi di pelli, armatevi con spadone ed arco, ed immergetevi nelle foreste della terra dei mille laghi alla ricerca di questo duo, maestro nel saper trasmettere in musica l’atmosfera fredda, epica, a tratti desolante, ma fiera e scaldata dal sangue di nemici o prede di quelle terre lontane.
Il metal epico ed estremo degli Havukruunu è pura magia, con una serie di cavalcate metalliche che raccontano di oscurità, lunghi inverni, misteri e micidiali pericoli in lingua madre.
Leggermente più estremo del passato full length, Kelle Surut Soi, lascia indietro i passaggi folk per un approccio più estremo e black, mentre cori declamatori invitano ad alzare i boccali e brindare ad un giorno in più concesso alla vita.
Per i fans dei Bathory un lavoro irrinunciabile, prodotto da uno dei migliori gruppi in circolazione nel genere.

TRACKLIST
1.Jo näkyvi pohjan portit
2.Vainovalkeat
3.Noidanhauta
4.Vainajain valot
5.Vaeltaja
6.Myrskynkutsuja
7.Verikuu
8.Kelle surut soi

LINE-UP
Stefan – Acoustic & Electric Guitars, Bass Guitar, Voice
Noitavalo – Drums & Percussion

HAVUKRUUNU – Facebook

Hesperia – Caesar. Roma Vol. I

Mai ovvio e sempre interessante, Caesar, primo disco di una serie dedicata a Roma, rappresenta una delle punte più alte del metallo italiano, che definire tale è molto riduttivo.

Sesto disco per questo progetto solista attivo da molti anni. Lo scopo di Hesperia è di fare metallvum italicvm come afferma lui stesso, cercando di concepire una via italica al pagan metal vicino al black.

Il suono di questo concept album sulla vita di Giulio Cesare è molto più sfaccettato, e partendo dal pagan si avvicina molto al metal nella sua accezione più folk, perché qui oltre alla musica c’è molto da dire e scoprire. Hesperia parte da lontano, a cominciare dal nome che è quello antico della nostra penisola, in un fulgido passato pagano che abbiamo dimenticato in fretta abbagliati dalle falsità cristiane. Il disco, dal punto si vista musicale, è una minuziosa ricerca di un suono che sia solennemente adatto a far risuonare questa storia, che è speciale e non può essere raccontata senza l’ausilio di un metal speciale. Hesperus è un musicista di talento e trova sempre un’adeguata impalcatura sonora a testi molto belli che mostrano la storia sotto il punto di vista dei protagonisti, facendo rivivere e sanguinare la storia di Giulio Cesare. Il disco potrebbe essere anche rappresentato sulle assi di un teatro, tanto è ricca la drammatizzazione; una continua meraviglia sonora, passando dal folk al metal, dal quasi black a rock progressivo o anni novanta, il tutto al servizio della storia narrata. Mai ovvio e sempre interessante, Caesar, primo disco di una serie dedicata a Roma, rappresenta una delle punte più alte del metallo italiano, che definire tale è molto riduttivo. La musica è ottima e le storie sono un nostro passato che è stato sepolto troppo presto, ma che rimane un paradigma.

TRACKLIST
1. Ivlia Gens (Incipit) / Svpremvs Dvx
2. Trivmviratvm
3. De Bello Gallico
4. Britannia Capta Erit / Alea Iacta Est
5. Roma
6. Aegyptvs (Tema di Cleopatra)
7. Caesar (Tema di Cesare)
8. Romana Conspiratio (Tema di Bruto)
9. Divini Praesagii (Romanorvm Deorvm)
10. Le idi di marzo (The Ides of March)
11. Ivlivs Caesar (Divvs et Mythvs)

LINE-UP
Hesperus: Everything

HESPERIA – Facebook

Naudiz – Wulfasa Kunja

Un disco come questo riporta alla sorgente stessa del concetto di black metal, dato che ha in sé tutte le caratteristiche migliori del genere.

Puro, devastante e senza compromessi black metal pagano, che più nero e pagano non si potrebbe.

Gli italiani Naudiz tornano con un secondo disco per la Iron Bonehead Productions, ed alzano ulteriormente l’asticella rispetto al disco precedente, Aftur till Ginnungagaps, che era già su ottimi livelli. Il black metal dei Naudiz è di concezione classica, ovvero chitarre non troppo distorte ma belle corpose e veloci, voce in clean e potente, e batteria al fulmicotone. Il risultato è molto interessante, regalando un gran disco di black metal, come è sempre più difficile ascoltarne. Con ciò qui non si vuole affermare che fosse meglio prima, anche perché il black metal ha moltissime declinazioni, e bisogna ascoltare caso per caso. Un disco come questo riporta alla sorgente stessa del concetto di black metal, dato che ha in sé tutte le caratteristiche migliori del genere. Wulfasa Kunja è soprattutto un disco pagano, che descrive il mondo e la religione nordica con competenza, come fanno i Naudiz fin dal primo disco. Non si sa granché di questo gruppo, ma non interessa nemmeno, dato che la potenza e la godibilità di questo lavoro sono molto esaurienti di per sé. Gli argomenti trattati sono tutti inerenti alla mitologia nordica, un substrato antichissimo che non è mai veramente morto, e che ha resistito più tenacemente delle nostre tradizioni pagane, che invece hanno perso molto presto la battaglia con il cristianesimo. Il mondo descritto in questo disco è radicalmente differente dal nostro, è più vicino di noi al caos primordiale, e sa che prima o poi finirà, e non ci sarà nessuna ricompensa. I Naudiz sono bravissimi nel mettere in musica questo differente sentire, che è maggiormente veritiero rispetto alle nostre menzogne quotidiane. Siete pronti per un ragnarok di black metal ? Una delle migliori uscite di quest’anno per il vero black metal.

TRACKLIST
01 Garmr
02 Vali ok Nari
03 Jarnvidr
04 Angrboda
05 Loki
06 Geri ok Freki
07 Vanargandr
08 Wulfasa Kunja

LINE-UP
ᛗᚲ: Guitars
ᚢᛞ: Bass, Vocals
ᛗᛞ: Drums

NAUDIZ – Facebook

Árstíðir Lífsins – Heljarkviða

L’ascolto attento di Heljarkviða è un altro passo fondamentale da compiere per chi vuole approfondire la conoscenza con musica che travalica le definizioni di genere.

Nuova uscita per una delle realtà più interessanti emerse nel decennio in corso in ambito black metal, anche se, come spesso accade, il confinare certe band al singolo genere appare riduttivo.

Gli Árstíðir Lífsins li abbiamo già commentati negli anni scorsi in occasione del precedente Ep (Þættir úr sǫgu norðrs) e dello split con gli Helrunar (Fragments – A Mythological Excavation): oggi tornano, dopo il terzo full length Aldafǫðr ok munka dróttinn, con questo altro Ep piuttosto corposo, essendo composto di due lunghe tracce di venti minuti ciascuna.
Le coordinate stilistiche sono sempre quelle di una musica che spazia dal folk, all’ambient, alla musica da camera, resa minacciosa dalle eccellenti sfuriate black condotte dalla voce dell’ottimo Marsél (Marcel Dreckmann,  ben conosciuto anche per il suo operato con Helrunar e Wöljager).
L’anima degli Árstíðir Lífsins è costituita da Árni, il quale caratterizza il sound con la sua consueta maestria nell’utilizzo degli strumenti ad archi, mentre il terzetto viene completato da un altro tedesco, il chitarrista/bassista Stefan (Kerbenok).
Árstíðir Lífsins è oramai divenuto, al di là del suo reale significato in islandese (le stagioni della vita), un sinonimo di qualità e Heljarkviða non fa certo eccezione; poi, personalmente, ritengo tutti i progetti che vedono coinvolto Dreckmann un qualcosa di irrinunciabile, in grado di elevare la musica a forma d’arte sublime.
Certo, le configurazioni sono diverse per stile e per intenti, ma la cura che viene immessa anche nella stesura dei testi rende ancor più speciali tutti questi lavori: non va trascurato quindi il concept lirico qui contenuto, trattandosi di un’efficace rilettura dei temi tipici della mitologia norrena, che trovano una colonna sonora ideale nelle partiture profonde e solenni degli Árstíðir Lífsins.
Da tre musicisti di simile livello è lecito attendersi sempre il massimo, e finora tali aspettative non sono mai andate deluse: l’ascolto attento di Heljarkviða è un altro passo fondamentale da compiere per chi vuole approfondire la conoscenza con musica che travalica le definizioni di genere.

Tracklist:
1. Heljarkviða I: Á helvegi
2. Heljarkviða II: Helgrindr brotnar

Line-up:
Stefán – guitars, bass, vocals & choirs
Árni – drums, viola, keyboards, effects, vocals & choirs
Marsél – storyteller, vocals & choirs

ÁRSTÍÐIR LÍFSINS – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=QDcdtAHFLns

Paganland – From Carpathian Land

Il lavoro scorre molto fluido dall’inizio alla fine, regalando una quarantina di minuti di buona musica che, se non gode di una particolare peculiarità, neppure aderisce in maniera scoperta ad un preciso modello compositivo.

Gli ucraini Paganland sono una delle tante band che, nonostante una genesi risalente ai primi anni del secolo, hanno trovato un muovo impulso negli ultimi anni dopo un lungo silenzio discografico.

Questo From Carpathian Land è, infatti, il terzo full length negli ultimi tre anni per il gruppo di Lviv, dedito come da ragione sociale ad un black metal epico dalle venature folk
Niente di nuovo, ovviamente, ma eseguito nel migliore dei modi e qui potremmo chiudere, non potendoci essere particolare sorpresa nell’ascoltare i brani racchiusi nell’album e neppure nel constatare la bravura dei Paganland nel proporli, con una propensione assolutamente in linea con la buona tradizione della scena ucraina.
Il black metal offerto in From Carpathian Land, alla fine, mostra un lato ben più epico che folk ed è maggiormente caratterizzato da ampie aperture atmosferiche e da ottime progressioni chitarristiche; il lavoro scorre molto fluido dall’inizio alla fine, regalando una quarantina di minuti di buona musica che, se non gode di una particolare peculiarità, neppure aderisce in maniera scoperta ad un preciso modello compositivo.
Tra i brani segnalerei la magnifica Black Mountain, rimarcando il fatto che di passaggi a vuoto non se ne riscontrano anche grazie al buon gusto melodico che contraddistingue le parti atmosferiche.
Un buon lavoro che non deluderà gli appassionati di pagan black.

Tracklist:
1. Stozhary [Стожари] (Intro)
2. At the Heart of Carpathians [У Серці Карпат]
3. Black Mountain [Чорногора]
4. Belted by Spirit [Підперезаний Духом]
5. The Gloom [Морок]
6. From Carpathian Land [З Карпатського Краю]
7. Chuhayster [Чугайстер] (Outro)

Line-up:
Ruen – keyboards
Lycane – drums
Eerie Cold – guitars
Zymobor – vocals
Ivan – bass

Crystalmoors – The Mountain Will Forgive Us

I Crystalmoors hanno voluto offrire qualcosa in più rispetto ad un buonissimo e classico album, inserendo un secondo cd contenete le versioni folk di brani nuovi e vecchi

Non è così scontato imbattersi in band capaci di rendere in maniera così fluida e credibile la fusione tra la materia metal e quella folk: i cantabrici Crystalmoors ci riescono brillantemente con questo loro terzo full length intitolato The Mountain Will Forgive Us.

La band ha una genesi risalente ancora al secolo scorso ma il primo album su lunga distanza ha visto la luce nel 2008; a cinque anni dal precedente Circle of the Five Serpents, il gruppo di Santander presenta la propria personale interpretazione del pagan black metal che risulta avvincente ed accattivante, grazie alla dote non comune di costruire brani piuttosto aspri ma contenenti quelle linee melodiche che rimandano con decisione alla tradizione della musica popolare.
Non va dimenticato neppure che in questa occasione i Crystalmoors hanno voluto offrire qualcosa in più rispetto ad un buonissimo e classico album, inserendo un secondo cd contenete le versioni folk (ovvero scremate dalle loro componente metallica) di brani nuovi e vecchi; difficile quindi che gli appassionati al genere non possano apprezzare una simile scelta, in grado di accontentare tutti, al di là delle singole propensioni verso l’uno o l’altro genere.
La prima parte, intitolata The Sap That Feed Us, è fatta di nove brani di buona fattura, intensi e piuttosto diretti, tra i quali spicca l’anthemica Over The Same Land, tipica canzone capace di trascinare il pubblico in sede live, ma ottime sono anche Devotio Iberica e la più complessa When The Caves Spoke.
Il secondo cd, intitolato La Montaña, mostra il lato folk della band spagnola che, nonostante il ricorso a strumenti per lo più acustici, non rinuncia alle harsh vocals di Uruksoth Lavín, il che stende sul sound una patina ugualmente oscura, così come avviene nel cd, per così dire, più canonico. Nello specifico, come detto, vengono riproposte versioni di brani del passato, oltre ad una Over The Same Land sempre efficace anche nella sua nuova veste, tra le quali brilla di luce particolare la terna finale Greyland Lábaro, Crown of Wolves e Nabia Orebia.
Insomma, The Mountain Will Forgive Us si rivela un lavoro esaustivo e completo che, da un lato, rafforza lo status già soddisfacente raggiunto dai Crystalmoors con le precedenti opere, e dall’ altro ne fa emergere le doti di band capace di manipolare con disinvoltura la materia pagan folk black.

Tracklist:
CD 1: ‘The Mountain Will Forgive Us’
1. Memories
2. Devotio Ibérica
3. Over The Same Land
4. The Mountain
5. A Last Breath Of Peace
6. The Oldest One
7. The Eye Of The Tyrant
8. When The Caves Spoke
9. A Man Under Wolfskin

CD2: La Montaña
10. Over The Same Land (folk version)
11. The Mountain (folk version)
12. Defendiendo Amaia (folk version)
13. Since Old Times (folk version)
14. The Mountain Will Forgive Us (folk version)
15. Greyland Lábaro (folk version)
16. Crown of Wolves (folk version)
17. Nabia Orebia (folk version)

Line-up:
Uruksoth Lavín: vocals
Faramir: guitars, whistle, melodic vocals, bagpipes
Abathor: guitars, chorus
Thorgen: fretless bass, melodic vocals, chorus
Aernus: keyboards & samples, whistle, chorus
Gharador: drums & percussion

CRYSTLAMOORS – Facebook

Timor et Tremor – For Cold Shades

Un epico ed oscuro viaggio tra le foreste germaniche

Questo bellissimo album licenziato dalla Trollzorn è il terzo lavoro della melodic black metal band tedesca Timor Et Tremor, quintetto di Kassel attivo dal 2005, ed arriva a rimpolpare una discografia che, oltre a My Oaken Chest del 2009 ed il precedente Upon Bleak Grey Fields del 2012, si completa con il primo demo e l’ep Towards the Shores of Light, uscito tra i primi due album.

La struttura del sound di cui il gruppo è portavoce, è un black metal dalle reminiscenze scandinave, epico e melodico, colmo di cavalcate e solos, su cui la band immette svariate scelte atmosferiche di natura dark.
Ne esce un bell’affresco estremo molto emozionale ed affascinante, curato nei minimi particolari in fase di produzione e ben calibrato tra le tempeste elettriche del black e le atmosfere oscure del dark, a rendere ancora più evil la suggestiva vena epica dei brani.
Un uso ben congegnato dello scream e delle clean dal taglio evocativo fa il resto, l’incontro del gruppo con Markus Stock, produttore di The Vision Bleak, Secrets Of The Moon, Ahab, ha giovato non poco al sound del quartetto e For Cold Shades dimostra l’alta qualità raggiunta dai Trimor Et Tremor.
Un epico ed oscuro viaggio tra le foreste germaniche, un’aura pagana che aleggia tra i solchi di brani splendidamente epici, con picchi di oscura cattiveria ma sempre estremamente melodica, così da mantenere un appeal enorme specialmente dove la componente malinconica prende il sopravvento ed il gruppo regala emozioni forti.
Fen Fire, stupenda epic/dark/black song, Alpha And Omega dal riff epicissimo, riecheggia nelle valli della foresta nera, così come The Ghost In All That Dies richiama tutte le tribù per l’ultimo scontro contro le truppe degli orchi, Ethereal Dome vive di melodie estreme, tra rallentamenti suggestivi e ripartenze, mentre Pale Faces risulta la perfetta conclusione, toccando tutte le varie sfumature incluse nell’album e regalando solos e riff dall’alto tasso melodico.
Come detto For Cold Shades viaggia su coordinate estreme scandinave, Dissection e i Naglfar del capolavoro Vittra sono i gruppi più vicini al modus operandi del gruppo, anche se a mio parere in molti dei solos compare il fantasma dei Dark Tranquillity a riempire di suggestive note dark melanconiche il sound dei Timor Et Tremor, rendendo il tutto molto affascinante.

TRACKLIST
1. Yearning
2. Fen Fire
3. Alpha And Omega
4. Oath Of Life
5. The Ghost In All That Dies
6. The Soaring Grudge
7. Ethereal Dome
8. Pale Faces

LINE-UP
Hendrik Müller – Vocals
Marco Prüssing – Guitars/Bass
Martin Stosic – Guitars
Jan Prüssing – Drums

TIMOR ET TREMOR – Facebook

Fortíð – The Demo Sessions

Una buona occasione per fare la conoscenza dei Fortíð con questa compilation intitolata semplicemente The Demo Sessions.

Una buona occasione per fare la conoscenza dei Fortíð con questa compilation intitolata semplicemente The Demo Sessions.

Il gruppo nasce come one man band nel 2002, ad opera di Einar Thorberg, poi trasferitosi dal suo paese natale (l’Islanda) in Norvegia e completando la line up per arrivare a formare un quartetto composto da Rikard Jonsson al basso, Daniel Theobald alle pelli e Øystein Hansen alla sei corde.
Il gruppo del chitarrista e cantante islandese può contare una già ottima discografia, composta dalle tre parti di Völuspá, una trilogia che ha il suo inizio nel 2003 (Thor’s Anger) e continua con Völuspá Part II: The Arrival of Fenris del 2007 e Völuspá Part III: Fall of the Ages licenziato nel 2010.
Altri due full length hanno caratterizzato questi ultimi quattro anni, Pagan Prophecies uscito nel 2012 e l’ultimo 9 dello scorso anno.
The Demo Sessions contiene delle registrazioni grezze di brani già editi, una cover degli Enslaved (Lifandi lífi undir hamri) ed una traccia inedita, per quasi settanta minuti di pagan black metal dalle atmosfere epiche e folk, tutto sommato ben articolato e potente il giusto per accontentare l’appassionato dai gusti estremi ma consolidati nelle tradizioni dei paesi immersi nel freddo nord europeo.
Molti brani, essendo tracce demo, lasciano a desiderare in quanto a produzione, ma non manca certo al gruppo un’attitudine pagana e buone trame guerresche ed epiche.
Le atmosfere più pacate si indirizzano verso sfumature glaciali, un folk metal maligno supportato dalla parte metallica che gronda cattiveria, mentre è davvero interessante quella parte di sound dove le clean vocals valorizzano l’elemento folk/epico tra Bathory ed Enslaved.
Per chi conosce la discografia del gruppo, questa compilation serve solo da completamento della discografia, mentre agli altri un consiglio ad inoltrarsi nelle foreste nordiche in compagnia dei Fortíð è d’obbligo.

TRACKLIST
Einar “Eldur” Thorberg – Guitars, Vocals
Rikard Jonsson – Bass
Daniel Theobald – Drums
Øystein Hansen – Guitars

LINE-UP
1. Illt skal með illu gjalda
2. Lifandi lífi undir hamri (Enslaved cover)
3. Nornir
4. Galdur
5. Hof
6. Pagan Prophecies
7. Electric Horizon
8. Sun Turns Black
9. Ad Handan
10. Heltekinn
11. Framtíð

FORTID – Facebook

Heimdalls Wacht – Geisterseher

Pagan black metal dalla Germania: ruggente, frizzante e devoto a temi anti cristiani.

Pagan black metal dalla Germania: ruggente, frizzante e devoto a temi anti cristiani.

Geisterseher segna 10 anni di attività nei quali Saruman (chitarra) e Herjann (basso) hanno avuto da lavorare per riuscire a comporre l’attuale line-up vincente, testata l’anno scorso con lo split con Trollzorn. Skjeld dona voce, vernice e grinta ad un disco che apre una nuova era, come nel sito web viene dichiarato: l’uscita di Narhemoth, per quanto sia presente nello spirito della ideologia della band. Ben mixato, buona tecnica negli arrangiamenti e adatto per affezionati al genere, ma piacevole e di semplice ascolto per chi non ha criteri di paragone (come me ad esempio, e questo non significa affatto che sia un prodotto anonimo e leggero).
Attitudine schiva ma aperta allo stesso tempo, lampi di grim e saette vocali che compensano le fughe vocali , come ad esempio in Scyomantia, adattabile a singolo. Taedium Vitae riporta riccioli di malinconia ai primi Pyogenesis, magari tra Ignis Creatio e Twinaleblood, ma appena un accenno. Un tocco di cascadian non fa che alleggerire un disco che se avesseavuto schemi “quadrati” sarebbe stato scaraventato da subito nell’anonimato.

TRACKLIST
1. Spoekenkieker
2. Wir sind die Waechter
3. Der kommende Gott Treffen mit Sabazios
4. Scyomantia-Der Thron im Schatten
5. Tairach
6. Taedium_Vitae
7. Anderswelt

LINE-UP
Narhemoth – Voce
Saruman – Voce, Chitarra
Herjann – Basso, Voce
Teja – Chitarra
Feuerriese – Batteria

HEIMDALLS WACHT – Facebook

Nifrost – Motvind

Motvind sarà una gradita sorpresa per gli amanti del genere, perciò su le spade e via di corsa tra la bruma innevata, la gloria vi attende.

Uscito cinque anni fa in versione demo e ristampato dalla Naturmacht Productions, Motvind è il primo full length dei Nifrost, gruppo norvegese che risulta fondato da più di dieci anni ma con all’attivo solo un demo uscito nel 2010.

Il quartetto scandinavo con questo lavoro non manca però di sorprendere in positivo e Motvind risulta un buon lavoro di black metal pagano in cui è forte l’ispirazione mitologica.
Di buon spessore compositivo, l’album richiama a più riprese le gesta epiche dei Bathory, la parte metallica del sound è pregna di ottime soluzioni melodiche, cavalcate estreme tra mid tempo ed accelerazioni di stampo black, mentre l’elemento folk del sound rimane in parte nascosto dal clima battagliero che anima le tracce.
Prodotto molto bene (virtù non così scontata nel genere), il sound viene valorizzato da un’ottima prestazione delle due asce, in perfetta sintonia tra ritmiche furenti e solos colmi di melodie epiche e per quasi un’ora veniamo catapultati in un’era di eroi e battaglie, scontri tra le foreste coperti dal manto bianco di neve che si sporca del sangue di guerrieri indomiti.
Un album che meritava senz’altro di essere rivalutato ed ascolto obbligato per i fans del genere, che sicuramente verranno soddisfatti dall’aura viking che brani come l’opener Byrdesong, il crescendo di tensione che anima Dei ville med vald e l’epica ed evocativa Marebakkjen.
Il metal classico fa capolino nell’ottima Under seks lange e l’album arriva a più di metà della sua durata senza riscontrare nessun colpo a vuoto.
La seconda parte continua la sua cavalcata verso il Valhalla, concludendosi con la title track , aperta da giri acustici di ispirazione folk ed un crescendo entusiasmante che porta all’epico finale, splendidamente supportato da cori che grondano epicità e orgoglio vichingo.
In conclusione, Motvind sarà una gradita sorpresa per gli amanti del genere, perciò su le spade e via di corsa tra la bruma innevata, la gloria vi attende.

TRACKLIST
1. Byrdesong
2. Ufred
3. Sitring
4. Dei ville med vald
5. Marebakkjen
6. Under seks lange
7. Ve
8. Vaart land
9. Ferdamann
10. Motvind

LINE-UP
Kjetil Andreas Nydal – Bass, Vocals
Jørn Ståle Norheim – Guitars
Eyvind Aardal – Vocals, Guitars
Henrik Nesse – Drums

NIFROST – Facebook

Kawir – Father Sun Mother Moon

Questo è un altro gran bell’episodio della storia fiera e dura di questo gruppo ellenico

Tornano su Iron Bonehead i Kawir, leggendario gruppo metal greco, devoto ai vecchi dei del pantheon greco.

Dal 1994 i Kawir hanno arricchito e cambiato la scena estrema underground ellenica, spostando l’attenzione sugli dei greci, portandoli nel vortice del black metal mediterraneo. Il loro stile è molto minimale ed epico, usando un black metal con un pathos che in Norvegia difficilmente si può ascoltare. La loro importanza è grande, poiché il gruppo ateniese ha fatto entrare definitivamente l’ellenicità nell’agone estremo. La prolificità dei Kawir li ha portati anche ad avere formazioni con elementi provenienti da altre nazioni, ma ora sono tornati ad avere una line-up esclusivamente ellenica.
Il disco è stato registrato a soli nove chilometri di distanza dalle Termopili, e ciò ha davvero impregnato il disco di qualcosa di molto antico. Registrato con una produzione a metà fra lo fi e hi fi, perfettamente calzante, Father Sun Mother Moon è un ottimo esempio di come si possa fare un black metal diverso e non derivativo, con elementi propri e sentiti profondamente. Il titolo vuole celebrare il sole e la luna, due elementi che già da soli spiegherebbero molte cose e farebbero la nostra felicità, ma invece duemila e passa anni fa qualcuno ha deciso diversamente, ma questa è un’altra storia.
Un altro gran bell’ episodio della storia fiera e dura di questo gruppo ellenico.

TRACKLIST
01. To the Sovereign Sun
02. Dionysus
03. Hercules Enraged
04. To Diouscuri
05. To Mother Moon
06. Hail To The Three Shaped Goddess
07. The Taurian Artemis
08. The Descent of Persephone

LINE-UP
Therthonax – Guitars
Melanaegis – Guitars
Porphyrion – Vocal
Hyperion – Drums
Echetleos – Bass

KAWIR – Facebook

Helrunar / Árstíðir Lífsins – Fragments: A Mythological Excavation

“Fragments: A Mythological Excavation” è uno split album, nato dalla collaborazione tra le due label tedesche Prophecy Productions e Vàn Records, che vede impegnate due band forse non troppo conosciute dalle nostre parti ma sicuramente di grande spessore artistico.

Fragments: A Mythological Excavation è uno split album, nato dalla collaborazione tra le due label tedesche Prophecy Productions e Vàn Records, che vede impegnate due band forse non troppo conosciute dalle nostre parti ma sicuramente di grande spessore artistico.

Parliamo degli Helrunar, senz’altro più noti anche perché attivi da ben oltre un decennio, anch’essi tedeschi, e degli Árstíðir Lífsins, combo dalla formazione recente che racchiude musicisti provenienti da diverse nazioni del nord Europa: li accomuna, oltre il genere suonato, anche una passione e una conoscenza tutt’altro che superficiale della mitologia nordica (e non solo, come vedremo).
Entrambe dedite a una forma di black epico, atmosferico e dalla forte componente etnica, le due band colgono questo occasione per presentare ognuna un lungo brano che ne ribadisce una volta di più le capacità già espresse in passato.
Lo split si apre con Wein Fur Polyphem degli Helrunar, i quali , attraverso il proprio leader Skald Draugir, spostano la loro attenzione verso la mitologia mediterranea, affrontando quello che probabilmente ne è il poema più conosciuto, l’Odissea. Il brano è un perfetto esempio di musica colta ed evocativa a 360 gradi: nel suo quarto d’ora si alternano parti corali, passaggi di enorme impatto caratterizzati da riff, ora chirurgici, ora capaci di evocare il fascino mai sopito delle gesta di Ulisse e dei suoi compagni di avventura.
Gli Árstíðir Lífsins, se come già detto si possono considerare in qualche maniera appartenenti allo stesso filone dei propri compagni di split, in realtà spostano ancora più l’asticella verso il lato maggiormente malinconico e sinfonico del genere; intendiamoci, qui non abbiamo a che fare con tastiere bombastiche bensì con strumenti classici che si integrano alla perfezione con le sfuriate di matrice black. Ammetto colpevolmente di non conoscere quanto composto in passato da questa magnifica band, ma il livello compositivo di Vindsvalarmál è tale da indurmi a pensare d’essermi perso qualcosa di importante.
In questi venti minuti la band condotta dal polistrumentista Stefan ci conduce per mano nel mondo dei miti norreni e il tutto avviene con la competenza e la cognizione di causa che proviene solo da uno studio approfondito della materia (lo stesso vale anche per Skald Draugir): tutto ciò trova nella musica il suo naturale sbocco rendendo questo brano una vera e propria perla, superiore al già di per sé notevole contributo degli Helrunar.
Devo dire che ho sempre considerato gli split album alla stregua di opere minori e dal carattere un po’ dispersivo, ma non posso che approvare al 100% quest’operazione, che ci consegna mezz’ora abbondante di ottima musica, oltre ad aumentare l’attesa per le prossime uscite su lunga distanza delle due band.

Tracklist :
1. Helrunar – Wein für Polyphem
2. Árstíðir Lífsins – Vindsvalarmál

Line-up :
Helrunar:
Skald Draugir – Vocals
Alsvartr – Drums, Bass
Discordius – Guitars, Vocals

Árstíðir Lífsins:
Stefán – Guitars, bass, vocals & choirs
Árni – Drums, viola, double bass, vocals & choirs
Georg – Vocals & choirs
Marsél – Vocals & choirs
Sveinn – Piano, keyboards & effects
Kristófr – Percussions & choirs
Tómas – Choirs
Teresa – Vocals
Kristín – Organ

HELRUNAR – Facebook

ARSTIDIR LIFSINS – Facebook

The Howling Void – Runa

Dopo tre dischi nel segno di un funeral doom dai tratti atmosferici, i The Howling Void decidono di esplorare nuove strade con il chiaro intento di ritrovare un ulteriore impulso dopo il poco convincente full-length risalente allo scorso autunno.

Nell’esaminare The Womb Beyond the World, infatti, non si poteva fare a meno di notare che la creatività di Ryan (unico titolare del progetto) sembrava essersi progressivamente affievolita e, per assurdo, l’aver pubblicato un esordio di indiscutibile valore come “Megaliths Of The Abyss” pareva aver provocato nel musicista statunitense l’ansia di non riuscire più ad esprimersi a quei livelli. Il recente disco uscito per la Solitude era formalmente impeccabile, ma incapace di trasmettere emozioni all’ascoltatore, difetto tutt’altro che marginale per un genere fondato sul pathos come il funeral doom. Per fortuna, però, quella che era apparsa come un’irreversibile stasi creativa è stata smentita dal contenuto di questo breve Ep, fatto di due sole tracce per poco più di un quarto d’ora di durata, sufficienti però per mostrare la ritrovata vena di Ryan, nonché la sua ammirevole onestà nel rifiutare l’appiattimento su standard compositivi confortevoli ma privi di alcun tipo di sbocco. Certo, il cambio di rotta è netto quanto sorprendente, se pensiamo che, ascoltando Irminsûl e Nine Nights, il primo accostamento che viene in mente è quello con i Moonsorrow: è pacifico, però, che il retaggio doom dei The Howling Void non viene meno e che l’elemento folk inserito in tale contesto possiede, comunque, uno sviluppo diverso rispetto a quello dei maestri finnici, nei quali la base estrema è invece riconducibile al black metal. La scelta di Ryan implica, dunque, la rinuncia totale al growl, rimpiazzato da clean vocals sufficientemente evocative, ma soprattutto il recupero di una vena melodica sacrificata nell’ultima uscita a scapito di interlocutori passaggi di stampo ambient. Tutto questo non può che essere salutato con favore da chi, solo quattro anni fa, aveva individuato The Howling Void come uno dei nomi emergenti della scena doom; infatti, è tutto sommato lecito pensare che questo cambio di rotta non verrà considerato come un’abiura delle proprie radici, visto che le caratteristiche peculiari del sound non vengono del tutto meno, pur se veicolate in maniera differente. Bene così, dunque, per il bravo Ryan; con queste premesse il prossimo full-length potrebbe rilanciare in maniera definitiva le quotazioni del suo progetto.

Tracklist :
1. Irminsûl
2. Nine Nights

Line-up : Ryan – All Instruments, Vocals

THE HOWLING VOID – Facebook

Zgard – Astral Glow

Zgard è un progetto pagan black metal del prolifico musicista ucraino Yaromisl, che con Astral Glow giunge al terzo disco in poco più di un anno.

Ammetto subito di non essere in possesso di elementi sufficienti per poter fare un raffronto attendibile con le opere precedenti, di certo però, Astral Glow si rivela un lavoro sorprendente per maturità compositiva e per la carica evocativa che sprigiona da ogni nota.

La musica degli Zgard si muove su un’ideale di linea di contatto tra i Moonsorrow ed i Negura Bunget/Dordeduh: con questi ultimi il polistrumentista ucraino condivide non solo l’amore per sonorità folk affidate ad un uso particolare del flauto, ma anche per la natura incontaminata dei Carpazi (in un’epoca che disdegna l’insegnamento della geografia, è bene ricordare come, nel suo sviluppo, la catena montuosa attraversi sia l’Ucraina sia la Romania). I ritmi proposti sono impostati su dei mid-tempo nei quali la chitarra ricerca sovente linee malinconiche, talvolta accompagnate da solenni momenti corali (Stars in the Night Sky), ma anche quando la velocità aumenta non viene mai meno la componente bucolica, ottimamente rappresentata, come detto, dal flauto suonato da Hutsul. Il disco offre il suo meglio probabilmente nella parte iniziale, nella quale spiccano due gioielli come l’opener Balance In Universe e l’altrettanto lunga ed emozionante Letargy Dream, ma va detto che una lieve perdita di intensità nel complesso di un lavoro della durata di circa settanta minuti si può considerare un peccato veniale. Intendiamoci, gli Zgard non raggiungono le vette compositive pressoché inarrivabili dei maestri finnici e la loro musica appare meno intrisa dell’alone di spiritualità che contraddistingue le band di Hupogrammos e Sol Faur, ma proprio la sua maggiore immediatezza rende Astral Glow un lavoro piacevole da ascoltare, anche ripetutamente. Promozione a pieni voti, quindi, per la creatura di Yaromisl e, considerando il suo ritmo di un full-length ogni sei mesi, è lecito attendersi in tempi brevi ulteriori e stimolanti novità.

Tracklist :
1. Balance in Universe
2. When Breakin Down All the Ideals
3. Letargy Dream
4. Stars in the Night Sky
5. Old Woods
6. Astral Glow
7. Return to the Void
8. When Time Comes to Go Away

Line-up : Yaromisl – Guitars, Vocals, Keyboards, Mouth Harp, Programming, Lyrics

Hutsul – Flute

ZGARD – pagina Facebook