Kartikeya – Samudra

Colmo di riferimenti alla cultura Indù ed alla sacra Trimurti, Samudra è uno scrigno colmo di sorprese, con una band che tecnicamente lascia a bocca aperta riuscendo con grande disinvoltura a far convivere generi apparentemente lontani tra loro.

Cercando nel vasto mondo del metal se ne trovano di gioielli musicali, basta avere voglia di non fermarsi in superficie e scavare in un sottosuolo dove si muovono realtà sconosciute ai più ma di altissimo valore.

Senza paraocchi e con una visione della musica a 360° si possono fare piacevolissimi incontri, sotto forma di gruppi autori di lavori sorprendenti come per esempio i russi Kartikeya con questa bellissima opera estrema dal titolo Samudra.
Ispirato concettualmente alla religione indù, l’album è un concept che si sviluppa in settanta minuti di metal estremo progressivo, il Carnatic Metal come lo chiamano loro, una straordinaria alleanza tra blackened death metal, progressive e folk che sfocia in un saliscendi artistico, un’altalena di emozioni tra tempeste estreme, bellissime parti progressive e suggestive atmosfere folk di origine indiane e arabe.
Colmo di riferimenti alla religione della Sacra Trimurti, Samudra è uno scrigno colmo di sorprese, la band che tecnicamente lascia a bocca aperta riesce con clamorosa disinvoltura a far convivere generi apparentemente lontani tra loro in un sound che tiene incollati alle cuffie, bellissimo esempio di come il metal sia tutt’altro che un genere conservatore come vorrebbe qualcuno ma che, anzi, in questi anni si è trasformato, grazie a gruppi come il sestetto moscovita, in musica camaleontica ed estremamente volubile.
In Russia, come in India, i gruppi sono meno legati alle regole di mercato statunitensi ed europee, così che è facile incontrare realtà di levatura superiore ed assolutamente fuori da qualsivoglia ambizione commerciale; qui a parlare è la musica, con brani fuori dagli schemi e di una bellezza disarmante come Tandava, Mask Of The Blind, Kannada – Munjaaneddu Kumbaaranna (con l’ospite Karl Sanders, leader dei Nile) e i tredici minuti progressivamente estremi di Dharma, Pt. 2 – Into the Tranquil Skies.
Orphaned Land e Melechesh, ma rimanendo in ambito molto più underground e nel territorio indiano, Demonic Resurrection e Fragarak, sono le band accostabili a questi sei geniali musicisti russi, giusto per fornire qualche coordinata in più a chi si volesse accostare a questo magnifico lavoro.

Tracklist
1. Dharma pt. 1 – Into The Sacred Waves
2. Tandava
3. Durga Puja
4. Pranama
5. The Horrors Of Home (feat. Keith Merrow)
6. Mask Of The Blind
7. Samudra
8. The Golden Blades
9. We Shall Never Die
10. Kannada – Munjaaneddu Kumbaaranna (feat. Sai Shankar & Karl Sanders / Nile)
11. Tunnels Of Naraka (feat. David Maxim Micic)
12. The Crimson Age 13. Kumari Kandam
14. Dharma pt. 2 – Into The Tranquil Skies

Line-up
Anton Mars – Vocals
Roman Arsafes – Guitars, Vocals, Ethnic Instruments
Sasha Miro – Bass
Misha Talanov – Violin
Dmitriy Drevo – Percussion
Alex Smirnov – Drums

KARTIKEYA – Facebook

Misto – Helios

La giusta durata che non lascia spazio alla prolissità è un valore aggiunto alla fruibilità dell’opera, così che Helios si possa apprezzare nella sua interezza, mentre le onde si placano ed il nostro mare torna placido sulle ultime note di Time To Destroy My Life Capsule.

La musica di Misto è come il mare su cui si affaccia la sua città, Genova.

Da calma e tranquilla si increspa irrequieta o diventa impetuosa come le lunghe onde quando i venti soffiano forti , per poi tornare a dormire e, sonnecchiando, cullare la mente e il fisico di noi che da essa ci nutriamo, avidi di note.
Misto è il progetto solista del polistrumentista Mirko Viscuso, al secondo lavoro dopo l’ep Infinite Mirrors, licenziato lo scorso anno.
Parliamo di post rock strumentale, dall’anima progressiva e a tratti introspettivo, poetico ed incline ad un leggero mood psichedelico che lo rende misterioso, liquido e molto affascinante, proprio come il mare e come tale soggetto a repentini cambi di umore, in un vortice di tempi che non danno una precisa identità al sound, ma variano e si alternano, tra rock ed elettronica con  le burrasche elettriche che  agitano lo spartito avvicinandosi al post metal (Set Your Farearms Against The Sun).
Ma come per il mare, passata la tempesta si torna in armonia prima che attimi di musica dalle reminiscenze pinkfloydiane valorizzino la bellissima title track.
Helios è un lavoro strumentale che, come ci hanno abituato le giovani generazioni di musicisti, lascia da parte ogni forma di autocompiacimento tecnico a favore di un approccio emotivo altissimo: la giusta durata che non lascia spazio alla prolissità è un valore aggiunto alla fruibilità dell’opera, così che Helios si possa apprezzare nella sua interezza, mentre le onde si placano ed il nostro mare torna placido sulle ultime note di Time To Destroy My Life Capsule.

Tracklist
1.Buried Under Remote Lands
2.Polemic Guy Wants To Fight
3.Daffodils Crashing Into The Water
4.Set Your Firearms Against The Sun
5.Helios
6.Time To Destroy My Life Capsule

Line-up
Mirko Viscuso – All instruments

MISTO – Facebook

Coraxo – Sol

I Coraxo licenziano un piccolo gioiellino metallico, un raccolta di sensazioni e sfumature che portano inevitabilmente verso la perfetta simbiosi tra generi sfiorando i capolavori progressivi di Dan Swanö e dei suoi innumerevoli progetti.

Il metal e le decine di modi in cui si può esprimere si avvia verso il 2018 lasciando in eredità grandi album come questo spettacolare Sol, secondo lavoro sulla lunga distanza dei Coraxo, duo finlandese attivo da qualche anno e con due ep ed il full length Neptune a completare la discografia.

Un sound molto particolare, che unisce svariati generi, in un clima estremo e progressivo, è quello che sentirete dopo aver premuto il tasto play del vostro lettore, entrando in un mondo in cui melodic death metal, progressive ed elettronica vivono in perfetta simbiosi.
Sol è composto da undici tracce che variano per umori ed atmosfere, estremo nel suo mantenere un impatto metallico potente, progressivo nei suoni tastieristici che ricordano il new prog britannico (quindi per rimanere nella penisola scandinava gli immensi Nightingale) e pregno di atmosfere elettroniche che rendono la musica del duo moderna e catchy.
Tomi Toivonen e Ville Vistbacka da Tampere licenziano un piccolo gioiellino metallico, un raccolta di sensazioni e sfumature che portano inevitabilmente verso la perfetta simbiosi tra i generi descritti, sfiorando i capolavori progressivi di Dan Swanö e dei suoi innumerevoli progetti.
I tasti d’avorio sono assolutamente protagonisti, le ritmiche si fanno estreme come il growl che accompagna la voce pulita e a tratti teatrale e declamatoria (Arcturus), mentre tra le note delle splendide Satellite, Retrograde, Revenants, tanto per nominarvene alcune, riecheggiano trent’anni di musica nata e sviluppata soprattutto nelle fredde terre del nord.
Il progressive incontra il death metal melodico e la new wave, e tra i solchi di Sol avrete il piacere di incontrare vecchi amici come Hypocrisy, Arcturus, Edge Of Sanity e Nightingale, con l’elettronica ed un pizzico di sci-fi a trasformare il tutto in un turbinio di spettacolare musica senza confini né tempo.

Tracklist
1.Your Life. Our Future
2.Of Stars Reborn
3.Satellite
4.Helios
5.Retrograde
6.Revenants
7.Ascension
8.Sunlight
9.Sacrifices Made
10.The Chase – In Hiding pt. 1
11.Spearhead

Line-up
Tomi Toivonen – Vocals, Guitars, Keyboards
Ville Vistbacka – Drums

CORAXO – Facebook

NYN – Entropy: Of Chaos And Salt

Un album indirizzato ai soli musicisti i quali, probabilmente, più di chi anche nella musica cerca emozioni, sapranno apprezzare l’abilità di questi virtuosi dello strumento.

Ci risiamo, ecco un altro lavoro dove la tecnica spropositata dei musicisti travalica forma canzone e un minimo di musicalità per lasciare tutto in mano ad un tecnico “caos organizzato”.

La band si chiama NYN, è stata fondata negli States dal polistrumentista Noyan Tokgozoglu ormai dieci anni fa, e arriva quest’anno al secondo full length dopo aver inciso un ep, una manciata di singoli ed il debutto sulla lunga distanza intitolato Eventuality tre anni fa.
Raggiunto da Tom “Fountainhead” Geldschlager (ex Obscura) alla sei corde e da Jimmy Pitts alle tastiere, Tokgozoglu licenzia un monumento alla fredda tecnica dal titolo Entropy: Of Chaos And Salt, un’ ora di scale a velocità assurda, blast beat devastanti, urla belluine, qualche attimo di quiete prima che (appunto) il caos torni signore e padrone del sound.
Se gli ultimi album dei Rings Of Saturn e Next To None (tanto per fare degli esempi) vi sono apparsi un tantino esagerati, sappiate che i NYN vanno anche oltre, non lasciando un briciolo di spazio alla melodia e aggredendo con solos vomitati uno dietro l’altro, una batteria programmata che non aiuta di certo a scaldare l’ambiente che rimane asettico e freddo come una distesa di ghiaccio.
Difficile nominare un brano più o meno riuscito, il fragore sonoro regna e trionfa mentre la tecnica dei protagonisti è l’unica nota positiva che emerge dall’ascolto di Entropy: Of Chaos And Salt.
Un album indirizzato ai soli musicisti i quali, probabilmente, più di chi anche nella musica cerca emozioni, sapranno apprezzare l’abilità di questi virtuosi dello strumento.

Tracklist
1. The Mind Inverted
2. The Apory of Existence
2. Omnipotence Paradox
4. Dissimulating Apologia
5. Rebirth: Rebuild, Advance, Redo
6. Embrace Entropy
7. The Hallway
8. Maelstrom
9.Taken Away By The Tides

Line-up
Noyan Tokgozoglu – Vocals, guitars, Bass, Programming
Tom “Fountainhead” Geldschlager – Guitars
Jimmy Pitts – Keyboards

NYN – Facebook

Enslaved – E

E è uno dei capolavori del genere musicale chiamato metal, è un avanzamento della specie, un immenso universo fatto di note, tenebre, colori e gusti, che va gustato ad occhi rigorosamente chiusi per poter viaggiare nella sua interezza.

Attesissimo ritorno degli Enslaved, uno dei più interessanti gruppi metal degli ultimi anni e non solo, un combo che sta cambiando dalle fondamenta la musica pesante: E è la migliore testimonianza di ciò.

Non sembra, ma sono già passati venticinque anni dal loro esordio Vikingligr Veldi, black metal puro e norvegese, per poi arrivare al secondo Frost, un inno all’orgoglio di essere norvegesi e pagani. Da quel momento gli Enslaved hanno cominciato ad esplorare un orizzonte musicale più vasto di quello originario, che era comunque splendido, arrivando a toccare vette molto alte, mantenendo un percorso artistico molto originale e personale. Tutti i tredici album precedenti degli Enslaved sono meritevoli di attenzione ma, dal disco del 2015, In Times, le cose sono cambiate ulteriormente, poiché per loro quello è stato uno spartiacque, nel senso che può essere considerato un punto di rottura importante, una pietra miliare che ha segnato un prima ed un dopo. In Times è un album di metal estremo progressivo, se si dovesse dare una definizione, nato dall’esigenza di dover chiudere una parte della carriera, unendo il vecchio ed il nuovo per dare poi vita a qualcosa di ancora diverso. E quel qualcosa di nuovo si intitola E: il quattordicesimo disco della più che ventennale carriera di questi musicisti di Bergen può essere considerato quello della libertà totale, nel quale si sono espressi senza aver aver nessun obbligo, se non quello di fare ciò che volevano. Si è parlato e scritto molto intorno alla genesi di questo disco, al cambio operato con In Times che ha fatto perdere parte dei propri fans, dei lunghissimi tour, ma di fronte a questo lavoro tutto viene spazzato. E è uno dei capolavori del genere musicale chiamato metal, è un avanzamento della specie, un immenso universo fatto di note, tenebre, colori e gusti, che va gustato ad occhi rigorosamente chiusi per poter viaggiare nella sua interezza. Fin dalla prima lunga suite Storm Son si rimane affascinati dalla costruzione sonora, pura psichedelia tenebrosa, sempre pienamente e fieramente nordica, come se i vichinghi avessero suonato con i Pink Floyd e Syd Barrett, perché di quest’ultimo qui c’è l’assolutezza di certe soluzioni sonore, un gusto per il surrealismo ed una grazia davvero fuori dal comune. Non volendo assolutamente fare nessuna polemica, posso affermare che avevo apprezzato il precedente In Times solo dopo un po’ di tempo, avendo bisogno di qualche indizio in più per poter assaporare ciò che vi era contenuto. Qui invece è stato amore a prima vista, folgorazione totale, si scappa da Midgard per arrivare direttamente a sentir suonare gli Enslaved in Asgard. La ricchezza strutturale di questo disco è scioccante, in sei pezzi si viene catapultati in quella che a tutti gli effetti un’opera teatrale che travalica la musica, un inno all’unione tra natura e uomo, che è un po’ il sotto testo di tutta la poetica degli Enslaved. E ha al suo interno momenti black metal, cavalcate death, tanta psichedelia, incredibili momenti di organo e sax, in una ricerca totale di un suono altro. Ogni canzone contiene un mondo di generi e sottogeneri al suo interno, tutti legati da un’opera immane di cesellatura perfettamente compiuta. Ascoltando E si apprezza la compiutezza di una visione musicale inedita, perché questo è un disco più estremo anche dei loro esordi black metal, nel quale si osa dalla prima all’ultima nota spingendo la musica estrema in un futuro ancora tutto da costruire, ma che prima non c’era. Magnificenza assoluta per un capolavoro del metal, che potrà non piacere a chi è rimasto tenacemente ancorato alla prima parte della carriera del gruppo di Bergen, e sui gusti non si può davvero discutere, anche perché uno dei motivi della grandezza degli Enslaved è che la loro discografia copre tutta la gamma del metal estremo ed oltre, per cui ognuno può scegliere ciò che gli aggrada maggiormente.
Set the controls for the heart of the sun.

Tracklist
1. Storm Son
2. The River’s Mouth
3. Sacred Horse
4. Axis Of The Worlds
5. Feathers Of Eolh
6. Hiindsiight

Line-up
Ivar Bjørnson | guitars.
Grutle Kjellson | vocals & bass.
Håkon Vinje | vocals & keys.
Cato Bekkevold |drums.
Ice Dale | lead guitar.

ENSLAVED – Facebook

Sikth – The Future In Whose Eyes?

Momenti narranti fungono da preludio a vere esplosioni di musica moderna, un susseguirsi di trappole che si dipanano sul pentagramma e come tagliole ci afferrano senza lasciarci più.

Dopo la reunion avvenuta tre anni fa, la partecipazione a vari festival ed un tour nel Regno Unito, tornano i Sikth, diventati un sestetto con l’entrata alla seconda voce del singer Joe Rosser.

Il gruppo, ispiratore di molti gruppi progressivi moderni ed uno dei creatori del sottogenere chiamato djent, non pubblicava album dal 2006, anno di uscita del secondo ed ultimo full length Death of a Dead Day e dell’ep Flogging The Horses.
Un ritorno aspettato da un bel po’ di anni dunque, specialmente per gli amanti del metallo progressivo, modernizzato e destabilizzato da furia hardcore, partiture fuori da ogni schema ed un talento per melodie che si estrinsecano nelle trame, a loro mode estreme, di un sound originale e personale.
Certo, non siamo più nei primi vagiti di questo drammatico nuovo millennio ed anche la proposta del gruppo inglese non è una novità, rimane però ben chiara all’ascolto la sensazione di essere al cospetto di una band fuori dal comune, ed assolutamente fuori dalle chiacchiere e dalle perplessità che la reunion aveva portato in una parte degli addetti ai lavori.
Un gran lavoro è stato fatto in sede di registrazione, con le voci impresse nello studio del cantante Mikee W Goodman nei R&R Studios di Adrian Smith (Iron Maiden), mentre chitarre e batteria sono stati registrate ai Monkey Puzzle House Studios.
La produzione è stata affidata a Dan Weller, mentre il mixaggio ad Adam “Nolly” Getgood (Periphery) e lo splendido artwork di copertina dal taglio futurista è opera di Meats Meier.
Licenziato dalla Millennium Night, la nuova etichetta di proprietà di Snapper Music, The Future In Whose Eyes? risulta un album emozionate, un viaggio nel futuro dell’uomo, a volte tragico, altre caotico, sempre drammatico, in continua e spasmodica ricerca di innovazioni e perfezione.
Il sound segue, nel suo furioso andamento progressivo, questa idea di futuro, mentre i due vocalist danno letteralmente spettacolo, la sezione ritmica è qualcosa di inumano a livello tecnico e le chitarre seguono, ora con dedizione core, ora con fughe metalliche e progressivamente estreme, il tappeto musicale vario e mai banale che fa da fondamenta al muro sonoro dei Sikth.
Momenti narranti fungono da preludio a vere esplosioni di musica moderna, un susseguirsi di trappole che si dipanano sul pentagramma e come tagliole ci afferrano senza lasciarci più.
L’opener Vivid presenta i riformati Sikth e poi si parte per questo viaggio nel futuro, travolti e confusi da The Aura, Cracks Of Light ed il capolavoro No Wishbones, punto più alto di questo notevole ritorno.
Per gli amanti del genere The Future In Whose Eyes?  è un album imperdibile, assolutamente in grado di mantenere inalterata la reputazione costruita nel corso degli anni dal gruppo londinese.

TRACKLIST:
1.Vivid
2.Century of the Narcissist?
3.The Aura
4.This Shop has sailed
5.Wevers of Woe
6.Cracks of Light (feat. Spencer Sotelo)
7.Golden Cufflinks
8.The Moon’s been gone for houres
9.Riddles of Humanity
10.No Wishbones
11.Rode the Illusion
12.When it rains

LINE-UP
Mikee W Goodman – Vocalist and lyricist
Joe Rosser – Vocalist
Pin – Guitarist
Dan Weller – Guitarist
Dan Foord – Drummer
James Leach – Bassist

SIKTH – Facebook

Acid Death – Balance Of Power

Il suono di Balance Of Power non è un mero recupero, ma un’intelligente riproposizione di un prodotto molto valido, ieri come oggi, perché è un disco di valore assoluto, ancor di più se si considera che sarebbe dovuto essere l’esordio degli Acid Death.

Dopo 25 anni di attesa, arriva il disco che sarebbe dovuto essere il debutto dei pionieri greci Acid Death.

Grazie alla Floga Records possiamo ascoltare rimasterizzato questo mini lp che non vide mai la luce. Questa storia a lieto fine cominciò nel 1991 quando si formarono e tutti i componenti erano sotto i venti anni. In quei tempi erano davvero pochi gli studi di registrazione agibili per un gruppo metal, ed il migliore era il Praxis Studios di Atene. Con lo studio pagato per 40 ore e nessuna esperienza nell’uso del registratore analogico a sedici tracce, i ragazzi riuscirono, come possiamo ascoltare oggi, a fare un buon lavoro anche perché dotati di notevole talento. Infatti, riascoltandolo, si rimane francamente stupiti di fronte a questo mini lp di esordio, perché tanti gruppi molto più blasonati al giorno d’oggi fanno molto, ma molto peggio di ciò in cui riuscirono all’epoca questi ragazzini greci. Il lavoro in origine sarebbe dovuto uscire per la greca Black Power Records, ma problemi finanziati ritardarono ed infine ne cancellarono l’uscita. L’anno dopo l’altrettanto greca Molon Lane Records, attiva dal 1990 al 1996, pubblicò due tracce del mini lp in quello che diventò l’esordio del gruppo, l’ep Apathy Murders Hope, che è appunto il titolo di una delle due tracce. Da lì partì il volo di questa band attiva fino al 2001, riformatasi nel 2011 ed ancora attiva. Balance Of Power è un grande disco di death tecnico e fortemente incline al prog, con impalcature sonore molto interessanti, un suono fortemente anni novanta, ma già molto maturo e consapevole delle proprie potenzialità. Il recupero di questo disco aggiunge maggior valore ad un lunga carriera, che ha sempre dato buoni frutti, ma che soprattutto può dare ancora molto. Il suono di Balance Of Power non è un mero recupero, ma un’intelligente riproposizione di un prodotto molto valido, ieri come oggi, perché è un disco di valore assoluto, ancor di più se si considera che sarebbe dovuto essere l’esordio discografico di questi (all’epoca giovanissimi) greci.

TRACKLIST
Side A
1) Psychosis
2) Apathy Murders Hope
3) Civil War
4) Death From Above

Side B
1) Balance Of Power
2) Twilight Spirits
3) State Of Paranoia

LINE-UP
Savvas Betinis – bass & vocals
Dennis Kostopoulos – lead & rhythm guitars
John Anagnostou – lead & rhythm guitars
Kostas Alexakis – drums & percussion

ACID DEATH – Facebook

Davide Laugelli – Soundtrack of a Nightmare

L’esperimento di Davide Laugelli è senz’altro convincente, nonostante il bassista scenda su un terreno normalmente non battuto, a dimostrazione di una preparazione inattaccabile ed anche di una certa ispirazione, sfuggendo agli stucchevoli tecnicismi che spesso ammorbano gli album strumentali.

Davide Laugelli è un musicista dal curriculum  piuttosto ricco in ambito metal, facendo parte attualmente dei Disease Illusion e degli Heller Schein ed avendo ricoperto nel recente passato il ruolo di bassista on stage al servizio degli storici Electrocution, senza contare la passata militanza in altre band e svariate collaborazioni.

Soundtrack of a Nightmare esula formalmente da tutto questo, trattandosi di un primo esperimento di musica interamente strumentale eseguita utilizzando due bassi (uno tradizionale ed uno fretless, suonati ovviamente da Laugelli),  synth (a cura di Fausto De Bellis) e batteria (Michele Panepinto): l’intenzione del musicista bergamasco (ma da tempo di stanza a Bologna) è quello insito nel titolo dell’ep, ovvero la creazione di una sorta di colonna sonora per gli incubi che, sovente, rendono piuttosto agitate le notti di ognuno.
Anche se il lavoro mostra aspetti per lo più imprevedibili, non sorprende la prima traccia visto che la Johannes Brahms Op.49 n. 4 altro non è che la ninna nanna per antonomasia, rivista con un certo gusto e senza stravolgerne l’essenza; il breve intermezzo onirico La Nave di Pietra introduce una più movimentata A Night At Stonehenge, nella quale si apprezza il lavoro dei musicisti che si snoda su coordinate progressive anche se non nell’accezione più comune del genere.
Hell With You è un altro brano piuttosto breve, nel quale il basso di Laugelli si fa minaccioso ed ossessivo, mentre Climbing The Wrong Mountain, con il suo andamento potrebbe rievocare quelle affannose rincorse a cui la nostra mente ci costringe mentre il corpo solo apparentemente riposa: anche qui va segnalato un lavoro strumentale di prim’ordine, prima che il trillo di una sveglia ci sottragga all’incubo per riportarci alla realtà, non necessariamente più rassicurante di quella elaborata dalla psiche durante il sonno.
L’esperimento di Davide Laugelli è senz’altro convincente, nonostante il bassista scenda su un terreno normalmente non battuto, a dimostrazione di una preparazione inattaccabile ed anche di una certa ispirazione, sfuggendo agli stucchevoli tecnicismi che spesso ammorbano gli album strumentali, e riuscendo infine a tenere fede alla dichiarazione d’intenti contenuta nel titolo dell’ep, grazie ad un sound cangiante che alterna passaggi più nervosi ad altri più rarefatti e vicini all’ambient.
La breve durata ne aiuta senz’altro l’assimilazione, ma l’ascolto di Soundtrack of a Nightmare offre la ragionevole certezza che Davide sia in grado, in futuro, di replicare quanto fatto in quest’occasione anche su un eventuale lavoro su lunga distanza.

Tracklist:
1. Johannes Brahms Op. 49 n. 4 (insane version)
2. La nave di pietra
3. A night at Stonehenge
4. Hell with you
5. Climbing the wrong mountain

Line up:
Davide Laugelli: bass
Michele Panepinto: drums
Fausto de Bellis: synth

DAVIDE LAUGELLI – Facebook

Riftwalker – Green & Black

Questo trio canadese si presenta con il debutto sulla lunga distanza e ci travolge con il suo sound estremo e progressivo, magari di questi tempi non originalissimo, ma quantomeno interessante.

Questo trio canadese si presenta con il debutto sulla lunga distanza e ci travolge con il suo sound estremo e progressivo, magari di questi tempi non originalissimo, ma quantomeno interessante.

Che i Riftwalker non vogliano essere una band come le altre lo si evince dalla copertina, un pastore montano con il suo cane che, con il technical progressive death metal suonato dal gruppo, non ci azzecca un granché.
Ma qui si parla di musica, ed allora sappiate che siamo al cospetto di un trio molto interessante, magistrale tecnicamente ma molto attento al songwriting che mantiene alta la media qualitativa di un album di notevole spessore.
Solo un ep, Wreckage of the Old World di tre anni, fa separa il gruppo di Vancouver tra i suoi inizi targati 2009 e quest’opera estrema, che mantiene per tutta la sua durata un approccio moderno, progressivo ed intricato, ma che non perde mai le briglie di un sound che è un animale selvaggio e indomabile.
Ripeto, ormai parlare di originalità diventa difficile anche in un genere che, per primo, ha permesso di amalgamare sonorità lontane anni luce dal metal estremo con il death metal, ma in Green & Black tutto è perfettamente al suo posto senza risultare forzato.
Harlequin Ichthyosis, Primordial Collapse e Beyond Mortality sono i brani migliori di un lavoro che speriamo non si disperda nello sterminato universo dell’ underground estremo.

TRACKLIST
1.B.H.O.
2.Harlequin Ichthyosis
3.Engineer Their Consent
4.Intrinsic Degeneration
5.Primordial Collapse
6.States of Decay
7.Beyond Mortality
8.Green & Black

LINE-UP
Spencer Atkinson – Bass, Vocals
Zan Petrovic – Drums, Percussion
Miles Morrison – Guitars, Vocals

RIFTWALKER – Facebook

Mindscar – What’s Beyond the Light

Secondo album per il trio capitanato dall’ex Trivium Richie Brown: i Mindscar sono protagonisti di un sound che trova il perfetto equilibrio tra death metal classico, metalcore e soluzioni progressive.

Dalla Florida, patria del death metal statunitense, arriva questo trio estremo attivo dal dagli ultimi scorci del secolo scorso ma con i primi due full length licenziati negli ultimi due anni.

What’s Beyond the Light è il secondo album, successore di Kill The King a conferma della costanza degli ultimi anni in casa Mindscar.
La bend, che vede alla sei corde ed alla voce l’ex Trivium Richie Brown, è forte di un sound che riesce a far convivere il death metal classico con quello moderno, valorizzandolo con svisate progressive e martellanti ritmiche metalcore che a tratti appesantiscono notevolmente la proposta del gruppo.
Ottimi musicisti, i Mindscar, oltre a Brown vedono impegnati Terran Fernandez al basso e Robbie Young alle pelli, una sezione ritmica che riesce perfettamente ad assecondare i deliri del bravissimo chitarrista.
Ne esce un album che, grazie anche alla durata perfetta per la musica proposta, convince tra estreme parti deathcore, arpeggi e voli progressivi e una sempre presente sfumatura classica che ricorda il sound nato tra le strade della Florida.
Mid tempo pesanti come incudini fanno da rovescio della medaglia ad aperture melodiche di stampo progressivo che poi risultano i momenti migliori del disco, la cui apertura è affidata alla Obituary oriented I Am The Bad Man; l’ alternanza tra ritmiche sincopate e scariche violentissime fa da tappeto alla devastante Headless, ma da
Buried Beneath the Snow si cominciano ad intravedere nuove strade progressive sviluppate in seguito, soprattutto nella conclusiva title track.
What’s Beyond The Light è un album che merita la giusta attenzione, e l’ uso da parte del gruppo di varie atmosfere rende l’ascolto piacevole anche grazie all’ottima tecnica dei musicisti coinvolti.

TRACKLIST
1.I Am the Bad Man
2.Headless
3.Buried Beneath the Snow
4.A Faceless Force that Must Die
5.Megalodon
6.Cerberus
7.When the Soul Dies
8.Entering the Void
9.What’s Beyond the Light

LINE-UP
Richie Brown – Guitars, Vocals (lead)
Terran Fernandez – Bass, Vocals
Robbie Young – Drums, Vocals

MINDSCAR – Facebook

Teleport – Ascendance ep

I Teleport hanno tutti i crismi per diventare una band di culto nel panorama estremo europeo, e un prossimo full length potrebbe lanciare definitivamente il quartetto sloveno

Loro lo chiamano sci-fi death metal o cosmic metal, io vi consiglio di ascoltare questo mini cd, ultimo lavoro dei Teleport, perché porta con se un pizzico di originalità ed un songwriting nobilitato dalla geniale pazzia dei Voivod.

Ma andiamo con ordine: i Teleport sono una band slovena, nata nel 2010 e in questi sette anni di attività ha pubblicato tre demo e questo primo ep dal titolo Ascendance.
Il quartetto proveniente dalla capitale Lubiana, la bellissima città dei draghi, ha creato un sound che amalgama thrash metal voivodiano e death/black in un contesto progressivo e dal concept sci-fi.
Una bellezza questi quattro brani più intro, estremi e devastanti, progressivi nelle ritmiche e spazzati da un vento death/black che soffia dalla Scandinavia e arriva gelido nel loro paese natio.
Dimenticatevi una sola ritmica che sia scontata, e anche nelle veloci e devastanti sfuriate il lavoro ritmico è da applausi, lo scream ricorda Jon Nodveidt compianto leader e cantante dei Dissection, mentre lo spirito di Dimension Hatross e Nothing Face aleggia su brani bellissimi e ricchi di dettagli e note, destabilizzanti ed originali come in The Monolith e Artificial Divination, primi due brani capolavoro di questo ep.
Darian Kocmur alle pelli, ultimo arrivato in casa Teleport, e Lovro Babič al basso formano la sezione ritmica, mentre le due chitarre che fanno fuoco e fiamme sull’ottovolante Real Of Solar Darkness sono armi letali tra le mani di Jan Medved (alle prese con il microfono) e Matija “Dole” Dolinar.
I Teleport hanno tutti i crismi per diventare una band di culto nel panorama estremo europeo, e un prossimo full length potrebbe lanciare definitivamente il quartetto sloveno: staremo a vedere, per ora gustiamoci questa ventina di minuti di musica estrema spettacolare.

TRACKLIST
1. Nihility
2. The Monolith
3. Artificial divination
4. Realm of solar darkness
5. Path to omniscience

LINE-UP
Jan Medved – vocals, guitars
Lovro Babič – bass
Matija “Dole” Dolinar – guitars
Darian Kocmur – drums

TELEPORT – Facebook

Cynic – Uroboric Forms – The Complete Demo Recordings

Una compilation che aiuta, specialmente chi non conosce l’intera discografia del gruppo, a capire l’evoluzione di questa straordinaria band, che in seguito ha dato forse meno di quello che avrebbe potuto.

Paul Masvidal, Sean Reinert, Sean Malone e Jason Gobel sono entrati nella storia del metal per aver creato uno degli album che più hanno influenzato il corso della musica contemporanea, almeno se parliamo di metal estremo.

Era il 1993 quando il quartetto statunitense licenziò Focus, dopo aver dato alle stampe una serie di demo, ed il mondo metallico si inchinò al genio creativo e strumentale di questi viaggiatori dello spartito, non gli unici ai tempi a contaminare il death con altri generi (Atheist, Pestilence) ma mai il risultato fu così perfettamente bilanciato ed amalgamato, fondendo in un unico ed allora originalissimo sound death metal, fusion e progressive.
Focus si può considerare senza dubbio un album che ancora oggi crea figli legittimi, molto belli alcuni, nella norma altri, anche perché l’effetto sorpresa è svanito e le note progressive condite da sfumature fusion e jazz non sono più una novità.
Questa compilation vuole tributare il periodo antecedente l’uscita del primo album del gruppo, prima parte di una discografia che, come poi avremmo visto, regalerà solo due full length più qualche lavoro minore: qui sono racchiusi i demo incisi tra il 1988 ed il 1993, quando la band della Florida non aveva ancora sviluppato in toto il suo personalissimo sound, ed il death suonato ai tempi negli States era il signore e padrone del songwriting dei Cynic.
L’unico brano finito sul famoso esordio è quello che dà il titolo a questa raccolta, Uroboric Forms,  non a caso il più diretto e death della track list di Focus, mentre le altre tracce ci presentavano una band death metal devastante, dal sound veloce ed aggressivo, ma lontana dalle sontuose trame progressive che vedranno la luce più avanti, anche se più ci si avvicinava alla fatidica data d’uscita dell’album più la musica dei Cynic cominciava a cambiare sfumature (The Eagle Nature).
Una compilation che aiuta, specialmente chi non ne conosce l’intera discografia, a capire l’evoluzione di questa straordinaria band, che in seguito ha dato forse meno di quello che avrebbe potuto.
Uroboric Forms – The Complete Demo Recordings ha il valore di un documento storico che gli appassionati della musica estrema e dei Cynic non possono ignorare.

TRACKLIST
1.Uroboric Forms
2.The Eagle Nature
3.Pleading For Preservation
4.Lifeless Irony
5.Thinking Being
6.Cruel Gentility
7.Denaturalizing Leaders
8.Extremes
9.A Life Astray
10.Agitating Affliction
11.Once Misguided
12.Weak Reasoning
13.Dwellers Of The Threshold

LINE-UP
Jack Kelly – Vocals (lead)
Paul Masvidal – Guitars (lead)
Mark van Erp – Bass
Sean Reinert – Drums

Paul Masvidal – Guitars (lead), Vocals
Jason Gobel – Guitars (lead)
Mark van Erp – Bass –
Sean Reinert – Drums

Paul Masvidal – Guitars (lead), Vocals
Jason Gobel – Guitars (lead)
Tony Choy – Bass
Sean Reinert – Drums

CYNIC – Facebook

Lesbian – Hallucinogenesis

Dall’underground del metal estremo una piccola gemma da scoprire lentamente!

Logo black metal, nome che colpisce l’attenzione, questi cinque musicisti, alcuni derivanti dagli Accused (“Martha splatterhead”), dagli Asva e dai Burning Witch, sono giunti al quarto full in circa dieci anni di attività e continuano ad elaborare, attorcigliare il loro suono attorno a derive doom, sludge, death, progmetal, black, stoner per un risultato che appare caotico ma sempre intelligibile.

Non è assolutamente facile “catalogarli” ma forse il modo migliore per approcciarli è lasciarsi trasportare in questo caos sonoro, stordente, talvolta anche fuori fuoco, ma del resto anche già a partire dalla cover ci indicano la strada; non parliamo poi del concept che regge tutta l’opera “collisione sulla terra di un asteroide ripieno di spore fungine con la creazione di una nuova alba e di una nuova coscienza\spiritualità in cui sopravvive il KOSMOCERATOPS come signore di questa nuova terra”.
Mentre nel loro precedente “Forestelevision” avevano deflagrato con il brano omonimo di quarantacinque minuti, ora il nuovo full presenta quattro brani (dai nove ai quindici minuti) ed è pubblicato dalla americana Translation Loss, nota per pubblicare molte band dal suono “indefinito” (Mouth of an Architect, Intronaut, Rosetta…); fino dal primo loro lavoro “Power Hor” del 2007 i Lesbian continuano a miscelare nel modo più “weird” (con titoli delle song come Pyramidal existinctualism o La brea borealis) possibile i vari generi dal black al death, dal progmetal allo stoner lanciandosi in selvagge cavalcate volte a fondere tutti i suddetti generi, il tutto accompagnato dal growl o dallo scream del nuovo singer Brad Mowen.
Bisogna, come spesso accade, essere nel mood giusto per poter apprezzare, anche dopo ripetuti ascolti queste miscele sonore create da musicisti che non hanno mai timore di ampliare i loro e i nostri orizzonti sonori.

TRACKLIST
1. Pyramidal Existinctualism
2. La Brea Borealis
3. Kosmoceratops
4. Aqualibrium

LINE-UP
Daniel J. La Rochelle – Guitars (rhythm)
Bradley J. Mowen – Vocals
Arran E. McInnis – Guitars (lead)
Dorando P. Hodous – Bass, Vocals
Benjamin P. Thomas-Kennedy – Drums, Percussion

LESBIAN – Facebook

MindAheaD – Reflections

Un viaggio soprattutto mentale che porta inevitabilmente ad una alternanza tra passaggi intimisti e crimsoniani, e sfuriate death metal tecnicamente ineccepibili.

Nei Campi di Controllo della Mente il tempo sembrava essersi fermato all’ultima Grande Guerra; il progetto di recupero informazioni non era terminato del tutto, la macchina adibita a tale compito era ormai vecchia ed il soggetto collegato ad essa,#6119, cercava di resistere alle allucinazioni causate dagli innesti di falsi ricordi e di false emozioni.

Il debutto dei toscani MindAheaD parte da qui, da questo concept dalla chiara trama sci-fi, ed il sound che accompagna la storia passa agevolmente dal progressive al metal estremo per un ottimo risultato finale.
La Revalve come label e Simone Mularoni ad occuparsi della masterizzazione nei suoi Domination Studios sono sicuramente garanzie di qualità, e la band sfrutta a dovere i suoi jolly con un’opera intrigante e ben congegnata.
Il gruppo fondato dal chitarrista Nicola D’Alessio, con un passato in Hellrage ed Athena nel 2010, dopo alcuni assestamenti nella line up arrivano finalmente al traguardo del primo full length, un concept come nella migliori tradizione progressiva, soluzione in questi anni molto utilizzata pure dai gruppi metal ed estremi.
E di metal si nutre la musica del sestetto, così come di death e prog, riuscendo a far convivere le varie influenze in un unico caleidoscopio di musica e sfumature dai colori scuri, pregni di drammatica follia.
Un viaggio soprattutto mentale che porta inevitabilmente ad una alternanza tra passaggi intimisti e crimsoniani, e sfuriate death metal tecnicamente ineccepibili.
L’uso delle due voci accentua questo scendere e salire sull’ottovolante mentale, disturbato e rabbioso (il growl) delicatamente epico e dai tratti gotici (la voce femminile), mentre la musica dona cangianti sfumature progressive.
Dopo l’intro, l’incedere estremo dei primi tre brani è di assoluto impatto, con Mind Control a prendersi la scena e far risplendere le capacità strumentali dei vari musicisti del gruppo, con la sezione ritmica a dispensare furia metallica e le voci a duettare in una tempesta estrema.
I dieci minuti di Amigdala fungono da sunto della musica del gruppo toscano, parti atmosferiche si danno il cambio a sezioni metalliche più accentuate, la vena progressive infonde nel sound un tocco maturo, adulto, lasciando che le oscure trame musicali si insedino dentro all’ascoltatore.
Ad un ascolto superficiale si potrebbe scambiare facilmente i MindAheaD per un gruppo gothic metal, come i tanti che invadono il mercato odierno, ma non fatevi ingannare dall’uso della voce femminile, la musica del gruppo va oltre ai soliti cliché e si insinua tra i meandri del progressive metal, con la giusta personalità per ritagliarsi un prezioso spazio tra le migliori realtà nostrane.

TRACKLIST
1.Intro: Reflection
2.Remain Intact
3.Mind Control
4…On the Dead Snow
5.Amigdala
a. Anxiety
b. Fear
c. Panic
6.Emerald Green Eyes
7.The Mask Through the Looking Glass
a. Ballad of the Mad Jester
b. The Mask
8.Farewell
9.Three Sides of a Dangerous Mind
a. The Fall in the Subconscious
b. My Dirty Soul
c. Three Are My Faces
10 Outro: Memories

LINE-UP
Frank Novelli – Vocals
Kyo Calati – Vocals
Nicola D’Alessio – Guitar
Guido “Shiboh” Scibetta – Guitar
Matteo Prandini – Bass
Matteo Ferrigno – Drums

MINDAHEAD – Facebook
https://www.youtube.com/watch?v=Y7q2eXjn-p4

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

Qaanaaq – Escape From The Black Iced Forest

Cinque brani piuttosto lunghi e ricchi di repentine aperture melodiche, alternate a qualche accelerazione e a fughe strumentali di matrice prog, sono quanto offre un album anomalo come Escape From The Black Iced Forest.

Più o meno dal nulla sbucano questi Qaanaaq, band bergamasca che propone una stramba mistura tra doom, death, gothic e progressive.

Se, in teoria, questi indizi parrebbero portare su territori affini ad Opeth e successiva genia, in raelta, nonostante la band di Åkerfeldt sia un riferimento dichiarato dal quintetto lombardo, il sound gode di una personalità sorprendente, offerta in particolare dal lavoro tastieristico di Luca Togni, capace di caratterizzare ogni brano con un approccio misurato quanto incisivo.
Niente a che vedere quindi, con ampie aperture sinfoniche od invadenti orchestrazioni plastificate: il tocco di Luca Togni è quanto mai legato al progressive settantiano ed è volto più a punteggiare il sound che non ad assumerne il controllo, lasciando che gli altri strumenti (suonati da altri due Togni, Mattia e Luca, rispettivamente al basso e batteria, e da Dario Leidi alla chitarra) si sbizzarriscano nel contribuire a creare un tappeto sonoro sul quale esibisce un growl piuttosto efficace Enrico Perico (dalle tonalità che ricordano non poco quelle di Mancan degli Ecnephias).
Cinque brani piuttosto lunghi e ricchi di repentine aperture melodiche, alternate a qualche accelerazione e a fughe strumentali di matrice prog, sono quanto offre un album anomalo come Escape From The Black Iced Forest, frutto compositivo di musicisti non più di primo pelo che vi hanno riversato una freschezza compositiva raramente riscontrabile oltre che la dote, anche’essa in via d’estinzione, di non interpretare il proprio ruolo in maniera seriosa, a partire dall’immaginario groenlandico che aleggia sull’intero progetto, almeno a livello lirico (Qaanaaq è, appunto, la città più a nord di quella che qualche buontempone pensò di chiamare “terra verde” ).
Probabilmente i suoni di tastiera esibita da Luca Togni potranno lasciare perplessi i più, mentre personalmente li trovo geniali nel loro apparente minimalismo, in quanto capaci di insinuarsi in maniera velenosa nel cervello (micidiali in tal senso il finale di Body Walks e la parte centrale di High Hopes); resta oggettivamente difficile catalogare i Qaanaaq in maniera esaustiva, perché il doom, che è il primo genere dichiarato, viene esibito nella sua forma più riconoscibile solo nella traccia finale Red Said It Was Green, perché anche la stessa Untimely At Funerals, che parte proprio come una vera marcia funebre, cambia volto più volte fino ad approdare a passaggi che lambiscono la fusion.
In definitiva, l’opera prima dei Qaanaaq si rivela tutt’altro che cervellotica o particolarmente ostica ma è ugualmente rivolta a menti sufficientemente aperte.

Tracklist:
1. Body Walks
2. Eskimo’s Wine Is A Dish Best Served Frozen
3. Untimely At Funerals
4. High Hopes
5. Red Said It Was Green

Line-up:
Enrico Perico – vocals
Dario Leidi – guitar
Mattia Togni – bass
Luca Togni – keyboards
Nicola Togni – drums

QAANAAQ – Facebook

Axioma – Monolith

Gli Axioma giungono al primo capitolo della loro carriera con le carte in regola per non sfigurare nel mondo della musica estrema progressiva

Negli ultimi anni l’evoluzione del progressive death metal sembra essersi arenata, lasciando al solo talento la possibilità di valorizzare opere di musica a 360°, virtù principale di chi di questo sound fa il suo credo.

Nella capitale, dove la scena estrema nazionale trova una buona fetta delle migliori realtà della stivale, nascono gli Axioma, dal monicker che richiama Axioma Ethica Odini, album dei seminali Enslaved, licenziato nel 2010 ma a cui i riferimenti si fermano al titolo.
Benché lo storico gruppo scandinavo, nato come viking black metal band, inglobi nel suo sound molte delle componenti che negli anni l’hanno trasformato in un fulgido esempio di prog band estrema, i ragazzi romani volgono lo sguardo più agli Opeth e al death metal old school.
Monolith (mai titolo fu più azzeccato) è difatti un monolite oscuro e drammatico, una lunga jam estrema dove il quintetto romano, mantenendo ben salda la struttura death metal del proprio sound, la valorizza con un lavoro ritmico vario e deciso.
La velocità rimane moderata, le armonie si susseguono, tragiche ed intimiste, il growl è pesante e sofferto e l’atmosfera che regna tra i vari capitoli risulta animata da un’aura tragicamente intimista.
Non mancano riff ripetuti dai rimandi settantiani ed una voce femminile che appare come un fantasma, delicata ed eterea per poi sparire nei meandri ritmici creati dal gruppo.
Monolith è un lavoro che vive di emozioni e la band, a mio parere giustamente, sceglie di non divagare troppo nel mero tecnicismo, puntando sulle atmosfere e sull’emozionalità.
L’opener Hierophant e la conclusiva Reminiscence sono i brani che più dimostrano il valore del giovane gruppo romano, anche se Monolith va assaporato in tutta la sua interezza, come se fosse una lunga suite.
Gli Axioma giungono al primo capitolo della loro carriera con le carte in regola per non sfigurare nel mondo della musica estrema progressiva: un’ottima partenza.

TRACKLIST
1.Hierophant
2.Monolith of Fire
3.Rinnegato
4.Deception
5.Veil of Paroketh
6.Reminiscence

LINE-UP
Riccardo Montecchiarini – vocals
Gabriel Luigi Lattanzio – guitars
Andrea Maria Augeri – guitars
Jacopo Greci – bass
Jamil Zidan – drums

AXIOMA – Facebook

Kashgar – Kashgar

I Kashgar sono una bella sorpresa e seguire le loro mosse future non sarà affatto tempo sprecato.

Parrà strano, ma non si può dire che parlare di una band del Kirghizistan sia una primizia, perché chiunque sia in possesso di un minimo di curiosità e di cultura musicale non può non conoscere i grandi Darkestrah, che proprio dalla capitale Bishek mossero i primi passi prima di mettere le radici in pianta stabile in Germania, nazione certamente più funzionale per chi vuole fare musica ad un certo livello.

Così, il vessillo del metal estremo nel lontano paese asiatico è tenuto alto in  loco praticamente dai soli Kashgar, i quali, nonostante l’oggettivo rischio di isolamento musicale, si stanno dando un gran daffare per farsi conoscere, soprattuto in Europa.
Questi tre ragazzi meritano effettivamente di trovare uno spazio, perché il contenuto del loro album omonimo tracima urgenza compositiva e se ogni tanto qualcosa viene sacrificato a livello tecnico, l’intensità sprigionata arriva a compensare abbondantemente il tutto.
In fondo, in questa quarantina di minuti scarsi, i Kashgar riversano in maniera compulsiva un background musicale fatto da metal estremo, classico e persino dal progressive, tutti elementi che, ascoltando con attenzione, sono sicuramente rinvenibili all’interno dei singoli brani .
Se Half a Devil è una sorta di summa strumentale a livello di intenti, non c’è dubbio che la pietra miliare dei Kashgar sia Tyan-Shan / Batyr, brano spettacolare di oltre 11 minuti di durata in cui i nostri immettono tutti i loro spunti compositivi, anche quando apparentemente sembrerebbe non essercene lo spazio: una sfuriata black, all’inizio, viene seguita da umori tooliani/crimsoniani, ed un mood che riporta alle migliori band elleniche tanto amate dalla band kirghisa (non a caso la masterizzazione è stata affidata ad Achilleas Kalantzis dei Varathron) viene disturbato da un’inquietante cantilena.
Se Scent of Your Blood è un condensato di furia distruttiva, con una chitarra dai tratti lancinanti , Erlik rallenta la corsa fino a spingersi ai confini del doom, e Albarsty è pregna di dissonanze compensate da un finale thrash d’annata. La chiusura è affidata a Come Down, in cui emerge una componente più riflessiva che, in qualche modo, va ad attingere alla spiritualità ispirata da una natura che, in un paese come quello asiatico, esibisce ancora intonsa la propria selvaggia maestosità.
Kashgar è un lavoro intrigante quanto perfettibile in qualche sua parte, e sicuramente sono gli aspetti positivi a prevalere, a livello di consuntivo: considerando l’inesistenza di una scena meta nel paese, le possibilità che fossero seguite pedissequamente le tracce dei Darkestrah erano alte, eppure Ars, Warg e Blauth scelgono un strada espressiva differente e, tutto sommato, anche personale. La voglia di inserire più elementi possibili in un album di durata relativamente breve è comprensibile ma, talvolta, va a discapito della fluidità compositiva: resta il fatto che questo lavoro risulta attraente proprio per la bontà dei contenuti, tralasciando l’ovvia curiosità derivante da una provenienza geografica desueta.
Per quanto mi riguarda, i Kashgar sono una bella sorpresa e seguire le loro mosse future non sarà affatto tempo sprecato.

Tracklist:
1. Half a Devil
2. Tyan-Shan / Batyr
3. Scent of Your Blood
4. Erlik
5. Albarsty
6. Come Down

Line-up:
Blauth – vocals, drums
Ars – guitars
Warg – bass

KASHGAR – Facebook

In The Woods… – Pure

Gli In The Woods… sono nuovamente tra noi, differenti forse, ma sempre capaci di esprimersi ad un livello qualitativo sconosciuto ai più.

A metà degli anni ’90, nel pieno dell’ondata black che arrivò a stravolgere buone e cattive abitudini del metal estremo, apparvero più o meno dal nulla gli In The Woods…, band che dal genere prendeva certamente le mosse per spingersi senza porsi troppi limiti verso orizzonti psichedelico progressivi che, solo in seguito, troveranno un certo successo grazie a nomi quali Arcturus, Ulver e Solefald.

Heart Of The Ages (1995) e il successivo Omnio (1997) furono dei veri fulmini a ciel sereno che arrivavano a dimostrare quanto quella genia di musicisti non fosse in grado di farsi notare solo per un’urgenza espressiva selvaggia, che spesso trovava sfogo anche al di fuori del campo artistico, ma avesse in nuce le stimmate di un talento e di un potenziale innovativo che sarebbe emerso negli anni a venire.
Un meno brillante Strange in Stereo, nel 1999, pareva aver segnato la fine di usa storia trascinatasi fino all’uscita del live del 2003, andando a collocare gli In The Woods… nell’affollato novero delle band di culto, quelle capaci di restare impresse nell’immaginario degli ascoltatori pur avendo dato il meglio in una manciata di dischi racchiusa in un breve spazio temporale.
E invece, neppure gli In The Woods… si sottraggono alla tentazione della reunion, che vede alle prese tutti e tre i fondatori (i fratelli Botteri e Anders Kobro) raggiunti dal muscista inglese James Fogarty alias Mr.Fog.
Veniamo al dunque, quindi, parlando del nuovo album intitolato Pure: l’ispirazione pare non essere stata annacquata dal trascorrere del tempo, ma appare evidente quanto questo lavoro sia in qualche modo più fruibile rispetto ai capolavori di metà anni ’90, pur mantenendo intatta l’attitudine avanguardista della band norvegese.
Non che questo sia un male, chiariamolo: Pure è davvero un bellissimo disco, che in oltre un’ora di durata va a lambire tutte le sfumature sonore alle quali i nostri ci avevano abituato ma, tenendo conto dell’evaporazione dell’effetto sorpresa che esaltava i contenuti di Heart Of The Ages ed Omnio, va letto in un’ottica diversa rispetto al passato.
L’errore più grande che può commettere chi ha amato quei lavori è attendersi da questa nuova uscita, targata Debemur Morti, qualcosa di simile per freschezza e potenziale innovativo: gli In The Woods…, contrariamente alle attese, vanno molto più diretti alla ricerca dell’obiettivo, raggiungendolo tramite brani intrisi di splendide melodie, alternate a qualche robusta accelerazione che non va però ad incrinare un substrato fondamentalmente progressive, al quale il retaggio black dona quel velo di oscurità e malinconia che rende magnifica più di una traccia.
Emblematica sicuramente la trascinante title track, posta in apertura, che trova subito un suo possibile contraltare nella cupezza della successiva Blue Oceans Rise; i rallentamenti ai confini del doom di The Recalcitrant Protagonist e l’intensità di Cult Of Shining Stars sono anch’essi segni indelebili di una classe che non è andata perduta ma, se persistessero ancora dei dubbi, i venticinque minuti conclusivi rimarcano quanto questa band alla fin fine ci sia mancata, perché le splendide e suadenti atmosfere del lungo strumentale Transmission KRS ed il crescendo evocativo di This Dark Dream e Mystery Of The Constellations non sono un qualcosa che possa uscire dalla penna di musicisti appena nella media.
Siamo nel 2016, gli In The Woods… sono nuovamente tra noi, differenti forse, ma sempre capaci di esprimersi ad un livello qualitativo sconosciuto ai più. Bentornati.

Tracklist:
1.Pure
2.Blue Oceans Rise (Like A War)
3.Devil’s At The Door
4.The Recalcitrant Protagonist
5.The Cave Of Dreams
6.Cult Of Shining Stars
7.Towards The Black Surreal
8.Transmission KRS
9.This Dark Dream
10.Mystery Of The Constellations

Line-up:
James Fogarty – Vocals, Guitars and Keys
X-Botteri – Guitars
C:M Botteri – Bass
Anders Kobro – Drums

IN THE WOODS… – Facebook

Witherscape – The Northern Sanctuary

Dan Swanö ha sempre raccolto meno di quanto il suo inestimabile genio meritasse e forse sarà ancora così, ma ignorare la musica di questo splendido ed inarrivabile musicista e compositore è perdersi pura arte.

Edge Of Sanity, Moontower, Nightingale, pescate a piene mani dalle tre più sontuose proposte dal grande musicista, compositore e produttore svedese, al secolo Dan Swanö, ed avrete un’idea di che meraviglia sonora possa essere The Northern Sanctuary, secondo lavoro dei Witherscape, band che lo vede in compagnia del chitarrista e bassista Ragnar Widerberg, dove lui si accontenta di suonare batteria e tastiere, oltre che far scorrere brividi con la sua inimitabile voce.

Seguendo il concept iniziato sul primo lavoro (The Inheritance), una storia a tinte horror scritta dall’amico Paul Kuhr (frontman dei Novembers Doom), il padre del melodic death metal scandinavo ritorna ad illuminarci con il suo inimitabile genio, fondendo alla perfezione il death metal con sonorità classiche, gothic e progressive in un’opera metal che andrebbe fatta studiare nelle scuole.
The Northern Sanctuary entusiasma e per chi conosce la discografia di Swanö non è una novità, i capolavori che dai primi anni novanta hanno trovato posto sugli scaffali degli appassionati non si contano più, ma lascia senza parole la freschezza compositiva che accompagna ancora oggi il musicista svedese, qui sontuoso anche nella prova vocale dove risplende il suo inconfondibile growl e procura pelle d’oca con le clean vocals, teatrali e profonde.
E parto da qui, dal perfetto e spettacolare uso che Swanö fa delle linee vocali, primo importantissimo dettaglio che manda The Northern Sanctuary direttamente tra le migliori uscite del 2016, visto che la perfetta simbiosi tra i toni estremi e la voce pulita non la troverete in nessun altro lavoro, almeno per quanto riguarda il genere proposto.
Le tastiere hanno un ruolo fondamentale nella struttura dei brani, il musicista svedese ha fatto tesoro di tutte le collaborazioni che lo hanno visto al fianco di colleghi delle più svariate correnti musicali, così che è facile incontrare armonie tastieristiche che si avvicinano al mood di Ayreon del folletto olandese Lucassen (God Of Ruin), mentre lo scontro tra progressive e death metal continua imperterrito e Swanö, come un dottor Jekyll e Mister Hyde, ora estremo, ora elegantemente melodico insegna a più di una generazione di songwriter come scrivere canzoni, difficili ma allo stesso tempo accattivanti e dall’appeal mostruoso.
Mentre la qualità altissima di brani come l’opener Wake of Infinity, o il perfetto swedish sound che si evince dalla spettacolare In The Eyes Of Idols, confermano il mood di questo lavoro (il riassunto compositivo tra Edge Of Sanity, Moontower e Nightingale) succede qualcosa di clamoroso e che non era stato ancora composto (almeno così bene): Marionette arriva e ci presenta il primo stupendo esempio di sonorità aor e death insieme e che, per mano, costringono i nostri occhi a lacrimare, mentre Divinity ci scuote con un brano death melodico alla Sanity, valorizzato da chorus prog di estrazione settantiana.
La title track saluta tutti dall’alto della sua splendida natura estrema, ma sulla quale il genio di Swanö immette una serie di varianti musicali che vanno dall’hard rock, al gothic al prog metal per la definitiva consacrazione di questo ennesimo capolavoro.
Dan Swanö ha sempre raccolto meno di quanto il suo inestimabile genio meritasse e forse sarà ancora così, ma ignorare la musica di questo splendido ed inarrivabile musicista e compositore è perdersi pura arte.

TRACKLIST
1. Wake Of Infinity
2. In The Eyes Of Idols
3. Rapture Ballet
4. The Examiner
5. Marionette
6. Divinity
7. God Of Ruin
8. The Northern Sanctuary
9. Vila Lerid

LINE-UP
Ragnar Widerberg – Guitars, Bass
Dan Swanö – Vocals, Keyboards, Drums

WITHERSCAPE – Facebook