Hyponic – 前行者

Un buon ritorno che si spera sia propedeutico ad altre future uscite

Gli Hyponic sono una realtà proveniente da Hong Kong e dedita ad un funeral doom davvero stimolante.

Presi sotto l’ala protettiva della Weird Truth Productions, la label giapponese specializzata in doom e gestita, non a caso, da Makoto Fujishima, massimo esponente del genere nel paese del Sol Levante, gli Hyponic infatti si rifanno vivi con il loro terzo full length dopo oltre un decennio di silenzio discografico.
Il titolo dell’album, così come quelli dei brani (ad eccezione della cover dei Virus, Intro), sono tutti composti da ideogrammi per noi indecifrabili per cui identificherò le tracce con l’ordine di posizionamento nella tracklist.
Il funeral doom degli Hyponic è decisamente interessante, proprio in quanto di difficile collocazione stilistica, e denota, pertanto, una buona dose di personalità e di predisposizione ad una sperimentazione tutt’altro che velleitaria; infatti, nonostante la musica di provenienza asiatica, talvolta viva di una luce riflessa rispetto alle proprie fonti di ispirazione, siano esse di matrice europea od americana, si può dire che la proposta in questo caso ha una sua spiccata peculiarità, nel senso che le influenze vengono elaborate ed espresse in maniera non calligrafica, come avviene con le aperture drammatiche in stile primi Monolithe, e con passaggi di matrice ambient e rarefazioni acustiche che possono ricondurre a grandi linee agli Esoteric o anche agli stessi Funeral Moth di Fujishima.
In sostanza, quest’album degli Hyponic è di egregia fattura, anche se di non semplice ascolto: è fuor di dubbio che aiutano non poco, a livello di fruizione, le ottime aperture chitarristiche in versione solista che troviamo sia nella traccia d’apertura sia, in una più disturbante veste, nell’eccellente quarto brano; come già detto, però, più spesso è una componente ambient a prendere il sopravvento, rendendo l’album non meno interessante e, per quanto elaborato, tutt’altro che tedioso, offrendo la possibilità di godere di una band in grado di tenere alto il vessillo del doom estremo di matrice asiatica, grazie ad un buon ritorno che si spera sia propedeutico ad altre future uscite.

Tracklist:
1. 前行者
2. 誅滅零八
3. 最後陳述
4. 寧劈不回
5. 飄流
6. Intro (Virus cover)

Line-up:
Roy – Drums
Wah – Vocals, Guitars
Mei Fun – Bass

HYPONIC – Facebook

Völur – Disir

I non pochi estimatori dei Blood Ceremony e del sentire musicale che essi rappresentano non potranno che apprezzare l’operato dei Völur, brillanti nell’evocare sensazioni ancestrali con questa riuscita miscela di folk, ambient, doom e progressive.

Da una costola dei Blood Ceremony nasce questo interessante progetto denominato Völur.

Lucas Gadke, bassista della nota occult doom band canadese, si avvale dell’aiuto del batterista James Payment e soprattutto della violinista e vocalist Laura Bates, la quale si dimostra elemento decisivo nel conferire peculiarità al lavoro.
L’uscita di Disir, in effetti, risale a poco più di due anni fa in formato cassetta: la sempre attenta Prophecy ripropone il tutto nelle più canoniche versioni in cd e vinile migliorandone nel contempo la reperibilità, specie sul più ricettivo suolo europeo.
I quattro lunghi brani qui contenuti prendono le mosse dal doom per spingersi verso ambiti e sfumature variegate: con il violino a sostituire di fatto la chitarra, il sound dei Völur assume caratteristiche non prive di un certo fascino, andando ad evocare di volta in volta sensazioni oscillanti dalla Mahavishnu Orchestra ai King Crimson con David Cross in formazione, fino a spingersi ai riflessi morriconiani della soffusa White Phantom.
Disir non è un album semplicissimo da assimilare, non tanto per una sua relativa orecchiabilità quanto per il suo andarsi a collocare in un ambito dai confini indefiniti e, quindi, non rivolto ad una specifica fascia di ascoltatori.
Immagino, però, che i non pochi estimatori dei Blood Ceremony e del sentire musicale che essi rappresentano, non potranno che apprezzare l’operato dei Völur, brillanti nell’evocare sensazioni ancestrali con questa riuscita miscela di folk, ambient, doom e progressive.

Tracklist:
1. Es wächst aus seinem Grab
2. The Deep-Minded
3. White Phantom
4. Heiemo

Line-up:
Lucas Gadke – Electric bass, double bass & vocals
Laura C. Bates – Violin & vocals
James Payment – Drums

Völur – Facebook

The Unknown – In Search Of The Unknown

The Unknown è l’ennesima piacevole scoperta di un sottobosco musicale underground che, pur gravitando attorno alla scena metal, è in grado di dar vita a soluzioni sonore profondamente introspettive e dal non trascurabile spessore artistico.

Un’uscita decisamente particolare per la Club Inferno, sub label della My Kingdom Music, realtà discografica che nel nostro paese può essere considerata alla stregua della tedesca Prophecy per varietà, profondità e qualità del proprio roster.

The Unknown è il progetto solista del musicista iraniano Aria Moghaddam il quale, dopo aver pubblicato due singoli in compagnia di colleghi di un certo nome quali Daniel Cavanagh (Anathema) e Luis Fazendeiro (Sleeping Pulse), crea questa volta un sodalizio con lo statunitense Kevin Pribulski, a sua volta titolare del monicker In Search Of.
Ciò che ne scaturisce è un lavoro di notevole interesse dall’emblematico titolo di In Search Of The Unknown: trattasi di una lunga traccia di una quarantina di minuti, suddivisa in quattro movimenti, all’insegna di un ambient dai tratti atmosferici, talvolta orchestrali, sul quale si poggiano diverse parti recitate (alle quali contribuisce anche Thomas Helm degli Empyrium) che, per quanto funzionali alla comprensione del concept che sta dietro il lavoro, alla fine si rivelano un elemento quasi ridondante.
Infatti, In Search Of The Unknown si reggerebbe tranquillamente in piedi con la sola bontà dei passaggi strumentali, piacevoli, intensi, avvolti da un manto di oscurità nella prime due parti per poi aprirsi in senso atmosferico e melodico in quelle conclusive.
L’album è molto ricco dal punto di vista strumentale e, anche nei passaggi più canonicamente ambient, non si ci si limita a soluzioni minimaliste o ripetitive ma è possibile cogliere appieno, invece, la cura immessa da Moghaddam e Pribulski a livello di esecuzione e produzione.
The Unknown è l’ennesima piacevole scoperta di un sottobosco musicale underground che, pur gravitando attorno alla scena metal, è in grado di dar vita a soluzioni sonore profondamente introspettive e dal non trascurabile spessore artistico.

Tracklist:
1. In Search Of The Unknown
pt. 1: Into The Unknown
pt. 2: Symphony Of Darkness
pt. 3: Symphony Of Planets
pt. 4: In Search Of The Unknown

Line-up:
Aria Moghaddam – Vocals, Bass, Guitars, Piano, Strings
Kevin Pribulski – Vocals, Bass, Guitars, Drums
Guest:
Thomas Helm – vocals on pt.3

THE UNKNOWN – Facebook

Abysmal Grief / Runes Order – Hymn of the Afterlife / Snuff the Nun

Uno split album di qualità non comune grazie alla presenza di due realtà che non deludono mai, dall’alto delle capacità compositive e della personalità dei musicisti coinvolti.

Split album che vede all’opera due nomi pesanti, questo pubblicato dalla Italian Doom Metal Records.

In realtà solo uno di questi parrebbe compatibile con la ragione sociale della label, e parliamo dei genovesi Abysmal Grief, mentre i Runes Order appartengono, di fatto, al mondo degli sperimentatori elettro-ambient.
La band ligure, che apre il lavoro con Hymn of the Afterlife, conosciuta e venerata come formidabile interprete di un horror doom dai tratti unici, per l’occasione si avvicina alle sonorità degli altri ospiti di questo 12”, proponendosi in una veste dark ambient, già esibita qualche anno fa nell’ep “Foetor Funereus Mortuorum” .
Gli Abysmal Grief non evocano semplicemente il dolore lancinante della perdita ma sono essi stessi gli officianti del rito, i necrofori che si incaricano di portare la bara all’esterno della chiesa, coloro che scavano la fossa e che, infine, gettano le ultime manciate di terra sul feretro, prima che il suo dimorante venga inghiottito per sempre nell’oblio della morte.
Personalmente prediligo la band allorché Labes C. Necrothytus ringhia dall’alto della sua tastiera- pulpito su un tessuto musicale più canonico, anche se, pure in questa veste, l’effetto macabro è ugualmente garantito e di indubbia qualità.
Peraltro, come detto, tale scelta contribuisce a rendere la proposta non troppo dissimile, non solo negli intenti, rispetto a quella dei Runes Order di Claudio Dondo.
Il brano Snuff The Nun è una magistrale summa (suddivisa in cinque parti) del background musicale dell’artista: il dark ambient dell’avvio sfocia progressivamente nell’ipotetica soundtrack di un horror psicologico, prima con il contributo vocale di Alex De Siena, poi con il manifestarsi del retaggio elettronico di Dondo, naturale continuatore dei suoni provenienti dalla seminale scena teutonica degli anni ’70.
Inquietante e perfettamente complementare, nonostante le diverse basi di partenza delle due band, alla traccia degli Abysmal Grief, Snuff The Nun termina come come Hymn of the Afterlife era iniziata, ovvero con la recitazione di un Pater Noster qui del tutto spogliato da ogni suo paramento sacro.
Pubblicato in 500 copie, di cui 300 in vinile nero e 200 in grigio, lo split album si rivela di qualità non comune, grazie alla presenza di due realtà che non deludono mai, dall’alto delle capacità compositive e della personalità dei musicisti coinvolti.

Tracklist:
Side A
Abysmal Grief – Hymn Of The Afterlife
Side B
Runes Order – Snuff The Nun

Line-up:
Abysmal Grief
Lord Alastair – Bass
Fog – Drums
Regen Graves – Guitars, Synths
Labes C. Necrothytus – Keyboards, Vocals

Runes Order
Claudio Dondo – All instruments
Alex De Siena – Vocals

ABYSMAL GRIEF – Official Website

RUNES ORDER – Facebook

Aethyr – Corpus

Gli Aethyr sorprendono e convincono con questo loro secondo album che potrebbe folgorare più di un appassionato dello sludge doom meno convenzionale.

Altro giro, altro regalo, con l’ennesimo buonissimo prodotto partorito dalla sempre più incalzante scena metal russa.

Questa volta tocca ai moscoviti Aethyr stupire con uno di quegli album difficile da collocare da un unto di svista stilistico, per quanto ascrivibile approssimativamente ad una forma di doom alquanto cangiante e, solo a tratti, sperimentale.
Nonostante ciò possa far presagire un ascolto irto di difficoltà, in realtà Corpus è un lavoro che predilige un impatto piuttosto diretto, salvo i momenti in cui la band esibisce un’anima ambient tutt’altro che banale (The Gnostic Mass).
Nihil Grail, brano già edito nell’omonimo Ep del 2011, è una sferzata blackdoom che riconducibile a grandi linee allo stile dei Secrets Of The Moon ma con un’indole più diretta e meno dark, impressione confermata e rafforzata da una Sanctus Satanicus ancora più focalizzata su armonie sufficientemente accessibili.
ATU è invece una maratona sludge appannaggio di chi è avvezzo a tale genere ed adora restare invischiato in suoni rallentati e viscosi, e Cvlt, in fondo, non è affatto da meno, sia pure se inframmezzata da parti vocali che spostano leggermente le coordinate su versanti post hardcore.
La title track dimostra quanto questi ragazzi russi possiedano anche un naturale talento per uno sviluppo melodico di indubbia qualità, sia pure restando nell’alveo ultrarallentato del doom, venato da un lavoro chitarristico riconducibile però al black più atmosferico.
Templum chiude in maniera non dissimile, con la variante di un’accelerazione furibonda nella sua parte centrale, un album sicuramente riuscito, chiaramente di ascolto non facilissimo ma neppure poi troppo ostico per chi possiede una sufficiente familiarità con i suoni proposti.
Nonostante la lunghezza, infatti, Corpus scorre senza asciare scorie negative ed anche una traccia come The Gnostic Mass, nella quale peraltro la voce campionata è quella del ben noto “Mr.Crowley”, si rivela funzionale alla resa complessiva del lavoro.
Gli Aethyr sorprendono e convincono con questo loro secondo album che potrebbe folgorare più di un appassionato dello sludge doom meno convenzionale.

Tracklist:
1. Nihil Grail
2. Sanctus Satanicus
3. ATU
4. Cvlt
5. The Gnostic Mass
6. Corpus
7. Templum

Line-up:
Mr.D (Denis Dubovik)- Vocals, Lead Guitar
Mr.W (Vladimir Snegotsky)- Rhythm Guitar
Mr.S (Anton Sidorov) – Drums
Mr.Y (George Meshkov) – Bass

AETHYR – Facebook

Blut Aus Nord / P.H.O.B.O.S. – Triunity

Molto valida l’idea della Debemur Morti di abbinare in questo split album due realtà che, muovendosi da punti di partenza piuttosto lontani tra loro,sono approdate con il tempo a sonorità relativamente vicine, non solo per attitudine sperimentale.

Split dalle diverse ed interessanti motivazioni, questo che vede all’opera due band francesi differenti per fama ed estrazione, ovvero i monumenti del black/death avanguardistico Blut Aus Nord e gli interessanti industrial doomsters P.H.O.B.O.S..

C’era ovviamente curiosità per le scelte stilistiche intraprese da Vindsval e soci dopo la trilogia “777” che aveva spostato progressivamente il sound verso coordinate meno estreme per approdare ad una sorta di dark industrial/ambient nell’atto conclusivo “Cosmosophy”: chi non aveva apprezzato tale svolta può dormire sonni tranquilli visto che i Blut Aus Nord sono tornati a fare, con la bravura che è loro riconosciuta, quel metal estremo ricco di dissonanze ma, nel contempo, capace di avvolgere nelle proprie intricate spire, che ha fornito in passato frutti prelibati; le tre tracce sono ugualmente intense, complesse e avvincenti, anche se la vena oscuramente melodica che si manifestava a tratti in “777” non è andata del tutto dispersa (Némeïnn). Dei P.H.O.B.O.S., al contrario, nulla conoscevo pertanto non ho a disposizione particolari termini di paragone: intanto va detto che trattasi di una one-man band, attiva da oltre un decennio e con tre full-length all’attivo, condotta dal parigino Frédéric Sacri e, indubbiamente, il loro industrial doom non mostra il minimo ammiccamento a sonorità più fruibili, mostrandosi impietosamente ossessivo, alienante, insomma nulla che possa interessare qualcuno che non abbia un minimo di familiarità con questi suoni, ma molto intrigante per chi, invece, in passato si fece irretire da entità mostruose quali Godflesh o Scorn. Ho trovato molto valida l’idea della Debemur Morti di abbinare in questo split album due realtà che, muovendosi da punti di partenza piuttosto lontani tra loro, sono approdate con il tempo a sonorità relativamente vicine, non solo per attitudine sperimentale. Triunity si rivela così, nel contempo, una risposta eloquente ai dubbi espressi da qualcuno (non certo da parte mia, visto che considero la trilogia “777” un’opera magnifica in ogni sua parte) nei confronti delle scelte stilistiche operate dai Blut Aus Nord nel recente passato, e un’opportunità per far conoscere ad un pubblico auspicabilmente più ampio i meno noti ma ugualmente efficaci, nonché degni della massima attenzione, P.H.O.B.O.S..

Tracklist:
1. Blut aus Nord – De Librio Arbitrio
2. Blut aus Nord – Hùbris
3. Blut aus Nord – Némeïnn
4. P.H.O.B.O.S. – Glowing Phosphoros
5. P.H.O.B.O.S. – Transfixed at Golgotha
6. P.H.O.B.O.S. – Ahrimanic Impulse Victory

Line-up:
Blut aus Nord:
Vindsval – Vocals, Guitars GhÖst – Bass
Gionata “Thorns” Potenti – Drums

P.H.O.B.O.S.:
Frédéric Sacri – Guitars, Keyboards, Vocals

BLUT AUS NORD – Facebook

Abysmal Grief – We Lead the Procession

“We Lead the Procession” nulla aggiunge e nulla toglie alla grandezza degli Abysmal Grief ma la possibilità di ascoltare brani inediti, recenti o più datati, costituisce una ragione più che valida per spingere gli appassionati a fare propria la raccolta.

Circa un anno dopo aver parlato del loro magnifico ultimo album “Feretri”, gli Abysmal Grief tornano sul mercato con questa interessante raccolta retrospettiva intitolata We Lead the Procession.

Uscito in diversi formati (vinile, cd e anche musicassetta, tanto per rimarcare quanto l’immaginario estetico e musicale della band genovese sia fortemente radicato negli anni settanta), il lavoro è molto di più di una semplice compilation in quanto racchiude sia tracce inedite sia versioni alternative di brani già pubblicati.
Come sempre, qualsiasi prodotto marchiato Abysmal Grief non tradisce, visto che nessuno oggi, nemmeno nomi ben più celebrati e portati in palmo di mano dalla stampa specializzata, è in grado di proporre con uguale maestria un dark doom orrorifico di tale levatura.
La musica dei nostri evoca gli effluvi penetranti dei piccoli cimiteri, l’odore di muffa di antiche foto in bianco e nero estratte da uno scatolone rimasto dimenticato per decenni sullo scaffale di una cantina, rivelandosi l’ideale colonna sonora di quei film e sceneggiati televisivi capaci di provocare pathos e autentico terrore senza neppure dover ricorrere a costosissimi effetti speciali.
We Lead the Procession, ovviamente, nulla aggiunge e nulla toglie allo status degli Abysmal Grief, ma la possibilità di ascoltare ottimi brani come le più recenti riedizioni di Open Sepulchre e Mors Eleison, e documenti che paiono davvero registrati e riprodotti con un mangianastri di settantiana memoria (Bara), costituisce una ragione più che valida per spingere gli appassionati a fare propria la raccolta.

Approfitto della tempestiva pubblicazione di questo articolo per segnalare a chi risiede a Genova e dintorni che gli Abysmal Grief, per una volta, giocheranno in casa esibendosi sabato 24 maggio presso L’Angelo Azzurro (Via Borzoli 39): un’occasione da non perdere assolutamente …

Tracklist:
1. Open Sepulchre
2. Fear of Profanation
3. Raise the Dead
4. Exsequia Occulta
5. Procession
6. Bara
7. Profanation
8. Mors Eleison

Line-up:
Lord Alastair – Bass
Regen Graves – Guitars, Drums
Fog – Drums
Labes C. Necrothytus – Keyboards, Vocals

Dom – Dom Vampyr

Dom Vampyr regala una mezz’ora scarsa di musica assolutamente piacevole, purchè non si faccia l’errore di attendersi qualcosa che assomigli al funeral come lo intendono i veri appassionati; sgombrando il campo da questo equivoco, l’operato di Belial si rivela, invero, del tutto apprezzabile.

Belial (Ivan Manzano) è un musicista spagnolo che, con il monicker Dom, ha già all’attivo due full-length di realizzazione piuttosto recente.

Questa sua nuova uscita avviene invece nel formato dell’Ep, di lunghezza comunque considerevole visto che la sua durata sfiora la mezz’ora.
Dom, non solo per l’assonanza, viene considerato un progetto funeral doom, anche se tale etichetta può apparire parzialmente fuorviante: le composizioni di Belial, integralmente strumentali, sono basate essenzialmente sulle note del pianoforte che, grazie ad un indubbio gusto melodico, guida la musica per lo più su lidi ambient, e della chitarra che sovente si lascia andare in progressioni non del tutto scontate.
Nulla a che vedere quindi, sia con la versione più claustrofobica sia con quella più avvolgente e malinconica del genere: Dom Vampyr, pur mantenendo le connotazioni cupe del funeral, non ne possiede né la ritmica bradicardica nè la pulsione drammatica.
Detto questo, i tre brani si rivelano piuttosto validi e per certi versi differenti tra loro: la lunga opener A Modern Prometheus mostra il lato più sperimentale di Belial il quale, partendo da umori quasi jazzistici si lancia in una fase centrale piuttosto vivace per approdare infine ad una chiusura all’insegna di ritmiche asfissianti.
Les Avaleuses prende vita con una forte impronta Skepticism, dovuta ad un timbro simile delle tastiere, per poi lasciare spazio al consueto contenuto pianistico poggiato su spunti compostivi accostabili agli Ea.
L’episodio senza dubbio migliore e più caratterizzante è, però, The Tomb Of Ethelind Fionguala, traccia che, paradossalmente, tra tutte è proprio quella che meno ha a che vedere con il funeral: una bel giro di piano viene ripetuto per l’intero brano prima da solo, poi con l’ingresso delle tastiere finchè, attorno alla metà del brano, la chitarra solista si prende il proscenio liberandosi in uno splendido assolo di stampo classico.
Dom Vampyr regala una mezz’ora scarsa di musica assolutamente piacevole, purchè non si faccia l’errore di attendersi qualcosa che assomigli al genere come lo intendono i veri appassionati; sgombrando il campo da questo equivoco, l’operato di Belial si rivela, invero, del tutto apprezzabile.

Tracklist:
1. A Modern Prometheus
2. Les Avaleuses
3. The Tomb Of Ethelind Fionguala

Line-up :
Iván “Belial” Manzano – Everything

Abbotoir – Reclaim

Una proposta migliorabile ma che già oggi risulta sicuramente intrigante oltre che coraggiosa.

I nord irlandesi Abbotoir propongono una forma di funeral lontano da qualsiasi ammiccante forma di melodia e ciò, ovviamente, non ne aumenta l’appeal nei confronti di chi segue il genere in maniera marginale.

Reclaim è il titolo di questo Ep, costituito da un unico brani di circa 26 minuti (Descension), che arriva dopo il full-length d’esordio uscito lo scorso anno; stilisticamente il trio di Belfast si colloca dalle parti di un act come i Bosque, ponendosi quindi alla ricerca costante di sonorità disturbanti grazie al massiccio contributo di elementi ambient-drone.
La reiterazione pressoché ininterrotta di un riff di volta in volta accompagnato da effetti elettronici, inclusa una drum-machine e una voce filtrata, potrebbe far pensare a un qualcosa di terribilmente noioso e, oggettivamente, il rischio esiste, stante la mancanza di uno sviluppo armonico capace di restare memorizzato in qualche modo nella mente dell’ascoltatore.
Ma, se vogliamo, proprio l’apparente freddezza del sound, che pone gli Abbotoir nella posizione privilegiata di distaccati osservatori delle miserevoli vicende umane, si rivela un elemento caratterizzante capace di provocare quello straniamento che è sicuramente uno degli obiettivi della band britannica.
Un produzione volutamente intrisa di riverberi ed un sound che definire ossessivo è un eufemismo, rendono oggettivamente complessa la fruizione di Reclaim, fornendo la sensazione che talvolta gli Abbotoir travalichino quel labile confine posto tra la sperimentazione e l’autocompiacimento.
E, in effetti, a partire dal minuto 19, Descension offre quei minimi appigli, che fino a quel momento aveva pervicacemente negato, mostrando parvenze infinitesimamente umane ed è proprio su questo lato della proprio sound che gli Abbotoir potrebbero maggiormente insistere in futuro, per migliorare ulteriormente una proposta che già oggi risulta sicuramente intrigante, oltre che coraggiosa.

Tracklist:
1. Descension

Line-up :
_ – Bass
J – Guitars
D – Vocals

ABBOTOIR – Facebook