Enforcer – Zenith

Grinta gli Enforcer ne hanno da vendere, peccato che il gruppo si trovi catapultato in anni in cui difficilmente potrà trovare quel successo che tre decenni fa sarebbe stato garantito, un dettaglio per chi guarda alla sostanza e Zenith di motivi per farsi piacere dagli heavy metallers dai gusti old school ne ha abbastanza.

Sono quasi passati vent’anni dall’inizio di questa avventura chiamata Enforcer, una band sfacciatamente anni ottanta con tutti i pro e i contro del caso.

Zenith è l’ultimo lavoro, licenziato dal colosso Nuclear Blast, pubblicato quattro anni dopo l’ultimo From Beyond, e quinto di una discografia che tolti vari lavori minori si attesta sulla media dei gruppi odierni.
Il gruppo svedese o si ama osi odia, il suo sound colmo di cliché ed assolutamente derivativo porta con se quello spirito heavy metal, schiacciato dai gruppi classici di questi anni, sinfonici, power e progressivi.
Non che la band di Olof Wikstrand le sue toccate e fuga nell’esercizio tecnico/progressivo non le faccia, ma un album come Zenith rimane un buon ritorno alle atmosfere del decennio d’oro dell’hard & heavy con quel pizzico di hair metal che assesta il sound su un esempio oltremodo riuscito di new wave of British heavy metal, con più di una sfumatura in arrivo dal Sunset Boulevard.
Grinta gli Enforcer ne hanno da vendere, peccato che il gruppo si trovi catapultato in anni in cui difficilmente potrà trovare quel successo che tre decenni fa sarebbe stato garantito, un dettaglio per chi guarda alla sostanza e Zenith di motivi per farsi piacere dagli heavy metallers dai gusti old school ne ha abbastanza.
Intanto il songwriting è di buona qualità, le dieci tracce si appiccicano in testa al primo passaggio, tra riff a tratti irresistibili, un grande lavoro ritmico e chorus da cantare senza stare troppo a pensare agli anni che passano e al vicino che da anni pensa siate dei tipi strani.
Iron Maiden più Motley Crue, una ricetta semplice ma efficace, almeno per gli Enforcer e per questa raccolta di brani che a partire da Die For The Devil ci regala tre quarti d’ora di divertimento all’insegna dell’heavy metal duro e puro.

Tracklist
1. Die For The Devil
2. Zenith Of The Black Sun
3. Searching For You
4. Regrets
5. The End Of A Universe
6. Sail On
7. One Thousand Years Of Darkness
8. Thunder And Hell
9. Forever We Worship The Dark
10. Ode To Death

Line-up
Olof Wikstrand – Vocals, guitars
Jonas Wikstrand – Drums, piano & keyboards
Tobias Lindqvist – Bass
Jonathan Nordwall – Guitars

ENFORCER – Facebook

Tanagra – Meridiem

Qualche riserva si manifesta riguardo alla prolissità dei brani, ma per il resto la musica del gruppo convince, potente e melodica com’è e in alcuni momenti rimembrante i Kamelot, ma personale quanto basta per non risultare troppo derivativa.

Il power metal non è sicuramente nel suo periodo più florido, essendo tornato almeno in Europa a far parlare di sé più che altro per la reunion della famiglia Helloween che per gli ultimi lavori pubblicati, alcuni assolutamente riusciti, ma ancora lontani dal livello altissimo di qualche decennio fa.

I Tanagra sono un gruppo statunitense e la loro provenienza garantisce quel tocco power e progressivo che impedisce al sound di risultare anonimo conferendogli un’eleganza propria del prog metal made in U.S.A.
Siamo arrivati al secondo album, dopo il debutto licenziato quattro anni fa ed intitolato None of This Is Real, e la band dell’Oregon piazza questi sette lunghissimi brani incentrati su un sound ben strutturato e che alterna parti più prettamente power ad altre in cui l’anima progressiva prende il sopravvento, risultando l’arma vincente di Meridiem.
Qualche riserva si manifesta riguardo alla prolissità dei brani, ma per il resto la musica del gruppo convince, potente e melodica com’è e in alcuni momenti rimembrante i Kamelot, ma personale quanto basta per non risultare troppo derivativa.
Meridiem è un album classico, composto da sette brani che hanno nelle lunghe trame della title track posta in apertura, nella progressiva ed heavy Etheric Alchemy e nei dieci tellurici minuti di The Hidden Hand i momenti più convincenti, rivelandosi adatto perché consigliato agli amanti del power progressivo battente bandiera a stelle e strisce.

Tracklist
1.Meridiem
2.Sydria
3.Etheric Alchemy
4.Silent Chamber
5.The Hidden Hand
6.Across the Ancient Desert
7.Witness

Line-up
Tom Socia – Vocals
Steven Soderberg – Guitars
Erich Ulmer – Bass
Josh Kay – Guitars
Christopher Stewart -Drums

TANAGRA – Facebook

Out Of Order – Facing the Ruin

Band tedesca esistente dal 1991, gli Out Of Order sono fautoridi un power thrash metal old style che mostra però riff stantii, parti vocali spesso confuse e poco centrate ed una grinta che non riesce ad uscire degnamente dai solchi di Facing the Ruin.

Grande rispetto per gli Out Of Order, cult band tedesca che arriva al terzo album ufficiale in ventotto anni di vita e di concerti macinati soprattutto nelle lande germaniche.

Sicuramente il personale tecnico sfoggiato per questa release è di grande lignaggio: le parti vocali sono state prodotte da Ralf Scheepers (Primal Fear), le chitarre da Markus Ullrich (Lanfear, Septagon) e il mixing finale è stato curato da Dirk Burke (Knorkator, Pyroclasm, Dritte Wahl) al Lakeside Studios a Berlino. Concludiamo con un breve contributo vocale di Liv Kristine (Theatre of Tragedy, Leaves’ Eyes) nella canzone On The Rise. Tutto questo per uno stile che si annuncia come una fusione del Thrash Metal della Bay Area degli anni ottanta con un innesto di melodia che dovrebbe rendere i pezzi più assimilabili.
Anche a costo di non voler essere spietati, quello che si ascolta in Facing The Ruin non corrisponde a questa descrizione; Watching You esordisce sorprendendo, con sound, stile e parti vocali prese in prestito dai Savatage, ma senza mordente e con una ricerca melodica inconcludente. Il resto del disco alterna senza continuità riff già sentiti a parti veloci che si assomigliano un po’ tutte, unite a soluzioni vocali che vorrebbero essere varie ma che risultano quasi sempre poco efficaci e male eseguite. Non c’è un solo ritornello che rimanga in mente, tra citazioni dei primi Metallica e vaghi rimandi allo stile vocale tanto caro ai Rammstein. Non c’è grinta nei solchi del disco, e non possiamo attribuire tutte le colpe ad una produzione fredda e spenta. La passione certamente porta avanti gli Out Of Order, ma senza una idea chiara musicale e qualche buona canzone, non potrà mai essere sufficiente per promuovere Facing The Ruin, che resta negli annali come uscita mediocre ed occasione sprecata.

Tracklist:
1. Watching You
2. Self Deception
3. What For
4. The Sniper
5. Guilty
6. Tears
7. God Is Angry
8. On The Rise
9. Blood Vengeance
10. Apocalypse

Line-up:
Thorsten Braun – vocals
Thomas Bauer – guitar
Sven Mittelstädt – guitar
Thomas Heinzmann – bass
Michael Kapelle – drums

OUT OF ORDER – Facebook

Barbarian – To No God Shall I Kneel

Ormai in sella ad un destriero infernale da una decina d’anni, la band toscana irrompe con il suo speed/heavy metal che a tratti sfora nel thrash di scuola tedesca, esaltante nelle tante cavalcate metalliche di cui è pregno To No God Shall I Kneel.

I Barbarian tornano con il loro quarto lavoro sulla lunga distanza che ne ribadisce l’assoluta devozione per i suoni old school.

Ormai in sella ad un destriero infernale da una decina d’anni, la band toscana irrompe con il suo speed/heavy metal che a tratti sfora nel thrash di scuola tedesca, esaltante nelle tante cavalcate metalliche di cui è pregno To No God Shall I Kneel, uno dei dischi migliori che mi sia capitato di ascoltare nel genere da diverso tempo.
La voce cartavetrata a ribadire lo spirito battagliero, la vocazione estrema del sound ed un buon uso delle melodie nei solos, fanno da cornice a veloci ripartenze speed/thrash e tellurici mid tempo metallici.
Nella sua mezzora abbondante l’album non ha un attimo di tregua nel suo totale impatto distruttivo, i brani si susseguono uno più efficace dell’altro, con attimi di puro e travolgente heavy metal old school che richiama un numero infinito di gruppi storici senza che si perda un’oncia di convincente personalità.
Dall’opener Obtuse Metal, passando per Birth And Death Of Rish’Ah, il crescendo maideniano di The Old Worship of Pain e la conclusiva title track, To No God Shall I Kneel è un esaltante tuffo nel metal guerriero e senza fronzoli che mise a ferro e fuoco gli anni ottanta, con lo speed/thrash e l’heavy metal che vengono uniti sotto il drappo insanguinato dei Barbarian.

Tracklist
1.Obtuse Metal
2.Birth and Death of Rish’Ah
3.Hope Annihilator
4.Sheep Shall Obey
5.The Beast Is Unleashed
6.The Old Worship of Pain
7.To No God Shall I Kneel

Line-up
Borys Crossburn – Guitars, Vocals
Blackstuff – Bass
Sledgehammer – Drums

BARBARIAN – Facebook

Moonlight Haze – De Rerum Natura

Da esperti del genere arriva un nuovo progetto made in Italy di Symphonic Metal moderno, dinamico ed estremamente curato; un mix di classico e di nuovo, unito in un concept accattivante e seducente.

Qui si va sul sicuro ed è un buon punto di partenza: i Moonlight Haze sono una nuova realtà italiana nata nel 2018 da membri o ex componenti di Temperance, Elvenking, Sound Storm, Teodasia and Overtures, quindi è facile intuire che la proposta sia inserita nell’ambito di un Symphonic Metal fresco, moderno ed estremamente curato a livello di arrangiamenti e produzioni.

Si sente infatti il tocco dell’ottimo producer Simone Mularoni che regala grande vivacità ed un suono grandioso ed impeccabile. De Rerum Natura si presenta alla grande fin dall’artwork di copertina che unisce elementi naturistici ad altri più futuristici e tecnologici, ed è perfetto per descrivere la musica all’interno contenuta. Merito certamente della voce versatile e squillante di Chiara Tricarico, del mare di tastiere di Giulio Capone, che riesce a stratificare il sound della band con grande sapienza, della coppia prodigiosa di chitarristi Marco Falanga ed Alberto Melinato, sempre a servizio delle canzoni e mai strabordanti, e della sezione ritmica di Giulio Capone alla batteria (ancora lui) e Alessandro Jacobi al basso, di grande intensità esecutiva, che riesce a “contenere” e valorizzare le performance di tutto il gruppo. Un perfetto lavoro di squadra che culmina in piccole grandi perle musicali come A Shelter From The Storm, ballata dal feeling notturno e quasi fatato, oppure nella galoppante Goddess, dove la melodia non si perde nella vorticosa velocità di esecuzione. Grandi cori ed armonie vocali che si ripetono nella magistrale To The Moon and Back, manifesto perfetto della solidità dei Moonlight Haze. Se Odi et Amo riesce ad essere romantica e sensuale insieme, The Butterfly Effect possiede un refrain catchy e difficilmente dimenticabile, degno dei migliori Nightwish. Time invece, anche grazie al contributo degli ospiti Mark Jansen (Epica e MaYaN) e Laura Macrì (MaYaN), offre sprazzi imperiosi dove si fondono prog metal, musica operistica e classica, per un connubio di grande fascino e forza. I Moonlight Haze passano anche l’esame della suite, perché Dark Corners Of Myself (posta stranamente a metà album) è un racconto di più di nove minuti che non annoia mai e tocca anche lidi musicali del tutto inaspettati, dimostrazione della grande maturità della band. De Rerum Natura è un esordio di grandissima qualità lirica e musicale, noi speriamo che questo non sia solo un progetto estemporaneo ma il primo capitolo di un lungo e glorioso cammino a sette note.

Tracklist:
1. To The Moon and Back
2. Ad Astra
3. Odi et Amo
4. The Butterfly Effect
5. Time
6. Dark Corners of Myself
7. A Restless Mind
8. Deceiver
9. A Shelter from the Storm
10. Goddess

Line-up:
Chiara Tricarico – vocals
Giulio Capone – drums, keyboards
Marco Falanga – guitars
Alberto Melinato – guitars
Alessandro Jacobi – bass

MOONLIGHT HAZE – Facebook

VV.AA. – Doomed & Stoned In Australia

Da qualche anno i ragazzi di Doomed And Stoned, che fanno pure un bellissimo podcast su Mixcloud, mettono sul loro bandcamp in download libero bellissime raccolte divise per luoghi, con dentro una miriade di gruppi notevoli.

Incredibile raccolta in download libero dal bandcamp di Doomed And Stoned, un sito di divulgazione scientifica su tutto ciò che è musica pesante, e che è anche fra i promotori e curatori delle mitiche doom charts che trovate qui doomcharts.com/ e che, ogni mese, fanno conoscere al mondo dischi fantastici di musica dai tanti decibel.

Da qualche anno i ragazzi di Doomed And Stoned, che fanno pure un bellissimo podcast su Mixcloud, mettono sul loro bandcamp in download libero bellissime raccolte divise per luoghi, con dentro una miriade di gruppi notevoli. Questo gruppo di amanti della musica raccoglie con passione e anche grande intuito tracce di band o singoli musicisti di una determinata zona per poi riunirli in una raccolta e lanciarli nell’atmosfera. In questo specifico episodio, che è il penultimo, i ragazzi sono andati in Australia e ne sono tornati con 65 canzoni, che sembrano un’infinità ma del resto l’Australia è molto grande. La raccolta è stata assemblata da Clint Willis, curatore della radio australiana Hand Of Doom che vi consigliamo caldamente, e che dal nome avete già capito di che si tratta. Incredibile la varietà di stili e di musiche che possiamo trovare nella ex colonia britannica. Tutto lo spettro della musica pesante e pensante è contemplato, e non è davvero possibile nominare nemmeno un pugno di gruppi che spiccano fra gli altri, perché la qualità è sorprendente. L’Australia è sempre stata un luogo dove la musica pesante è stata presente e di qualità, e Clint Willis nomina questi gruppi fra quelli storici : Christbait, Clagg, Dern Rutlidge, Budd, Thumlock, Pod People, Peeping Tom, Pillow, Ahkmed, Warped, Blood Duster, Stiff Meat e Rollerball, quindi cercateli. Queste raccolte sono fatte anche per invogliare l’ascoltatore a cercare i dischi di queste band, ed equivalgono ad un enorme ed esaustivo catalogo, con il quale partire dal vostro computer per fare dei bei viaggi. Raccolta fantastica per una terra che regala sempre gioie in campo musicale, il tutto in download libero. In questi giorni è uscito il capitolo dedicato al Perù, ma questa è un’altra storia.

Tracklist
1.Religious Observance – Utter Discomfort
2.SUMERU – Summon Destroyer
3.Summonus – Wormhole
4.DROID – Thunder Mountain Wizard
5.Motherslug – Cave of the Last God
6.Pod People – Back To Reality
7.SORE – Her Last Gasp in the Gallows Part I
8.BØG – Warm Smell Of The Dredge
9.OLMEG – Outer Space
10.Mountains of Madness – Unleash The Beast
11.Indica – Clocking Satellites Disparity 441
12.Pigs of the Roman Empire – Johnny The Boy
13.Holy Serpent – Sativan Harvest
14.Judd Madden – Obliterate
15.Comacozer – Axis Mundi
16.Dark Temple – Black Planet
17.Riff Fist – King Tide
18.Potion – Women of the Wand
19.Acid Wolf – Marisol
20.Borrachero – The Ocean
21.Merchant – Guile as a Vice
22.Cement Pig – Badschool Jazz
23.Creep Diets – EYEHATEYOURGUTS
24.DAWN – The Sun
25.Frown – Witches Coven (live)
26.Arrowhead – Hell Fire
27.Dr. Colossus – Holy Driver
28.Golden Bats – Exsanguination
29.Hawkmoth – Charnel Grounds
30.King Zog – Season in Hell
31.Rituals – Wake of a Dead God’s Robe
32.El Colosso – Cannonball
33.Lamassu – Under The Watch Of A Crow
34.Hobo Magic – Sonic Sword
35.The Ruiner – The Bull
36.Powder for Pigeons – Get It Right
37.BAYOU – Magick Swamp Green
38.Wicked City – Circulating Fire
39.Giant Dwarf – Black Thumb
40.Apollo80 – Apollo
41.Kitchen Witch – Third Eye
42.Chaingun – Mesemerised
43.Hotel Wrecking City Traders – Passage to Agartha
44.The High Drifters – Observer
45.Turtle Skull – Eden
46.WitchCliff – Serpents
47.Planet of the 8s – Nowhere Is Right For Now
48.Khan – Control 09:10
49.Lizzard Wizzard – Chaaaaarles
50.OHM RUNE – ETHER
51.Fumarole – Timelord
52.MONARCHUS – Kaleidoscope
53.Stone Lotus – Swamp Coven
54.Spawn – Forgotten Mountain
55.Fly Agaric – Meteora
56.Vessel – Pyramids
57.Moto – Jolo
58.Dirt – Nightmare From The Sea
59.Sloven – Autogenocide
60.Yanomamo – Neither Man Nor Beast
61.ZONG – Giant Floating Head
62.Lucifungus – 411
63.Jack Harlon & The Dead Crows – Witchcraft
64.Pseudo Mind Hive – Red Earth
65.MONOCEROS – Space Dungeon

DOOMED AND STONED – Facebook

Angel Black – Killing Demons

Album graffiante, abrasivo e potente Killing Demons risulta una partenza convincente per gli Angel Black.

Debuttano su Rockshots records gli statunitensi Angel Black con Killing Demons, album composto da sette brani più la cover dello storico Metal Gods, brano dei maestri Judas Priest.

Ci sono voluti ben sei anni di attività prima che la band desse finalmente alla luce il primo lavoro e Killing Demons non deluderà certo gli amanti del metal classico di matrice Judas Priest, band che insieme ai Primal Fear , risultano le band che più hanno ispirato la creazione di questo lavoro.
Heavy metal tra tradizione ottantiana a tratti potenziata da iniezioni power che avvicinano il sound del gruppo a quello dei Fear di Ralph Scheepers, su Killing Demons non ci si allontana mai da queste coordinate stilistiche e fin dall’opener Strikeforce la strada intrapresa dal gruppo è perfettamente delineata.
Valorizzati dalla prestazione da metal gods del vocalist John Cason, i brani si susseguono potenti e metallici, le chitarre fendono l’aria come mortali katane, mid tempo, power ballad o heavy songs come Black Heart o Killing Me stuzzicano gli appetiti musicali dei fans dell’heavy metal priestiano e dei suoi maggiori interpreti suggellato dalla prestigiosa cover posta in chiusura.
Album graffiante, abrasivo e potente Killing Demons risulta una partenza convincente per gli Angel Black.

Tracklist
1.Strikeforce
2.Cyber Spy
3.Death Mill
4.Black Heart
5.Killing Demons
6.The Dream That Stood aline
7.Killing Me
8.Metal Gods

Line-up
John Cason-Vocals
Mike Jelinek- Guitars
Carl Strohmyer- Bass
Daniel Beck- Drums

ANGEL BLACK – Facebook

Wendigo – Wasteland Stories

Questo primo full length lascia intravedere buone potenzialità, anche se la band deve assolutamente trovare il bandolo della matassa del proprio sound, puntando su quello che sa fare meglio, suonare stoner metal.

I Wendigo sono un gruppo tedesco fondato nel 2012 la cui discografia ha inizio con la pubblicazione dell’ep Initiation nel 2016, mentre questo nuovo lavoro vede la band cimentarsi per la prima volta su lunga distanza.

Il sound del gruppo miscela una manciata di generi che vanno dall’heavy metal, all’hard rock, passando con buona disinvoltura tra atmosfere doom classiche ed altre più moderne e stoner.
L’opener The Man With No Home risulta un buon sunto di quanto scritto, con il quintetto che nell’arco di quattro minuti passa da un genere all’altro, forzando un po’ troppo sugli evidenti cambi di atmosfere imposte dai generi.
Le cose prendono una strada lineare nei due brani successivi dove l’hard rock venato di stoner metal prende il comando del sound, risultando sicuramente più convincente.
Anche la voce del singer Jorg Theilen sembra più a suo agio quando le note scorrono sulle strade impolverate e scaldate dal sole del deserto, mentre fatica quando deve prendere note alte imposte da refrain di stampo heavy metal.
Il cuore di Wasteland Stories, rappresentato dalle due parti di The Lonesome Gold Digger, tocca addirittura momenti estremi con uno scream che irrompe su atmosfere doom, accentuate in Iron Brew, brano di matrice Count Raven.
Questo primo full length lascia intravedere buone potenzialità, anche se la band deve assolutamente trovare il bandolo della matassa del proprio sound, puntando su quello che sa fare meglio, suonare stoner metal.

Tracklist
1. The Man With No Home
2. Desert Rider
3. Back In The Woods
4. Dagon
5. The Lonesome Gold Digger Pt. I
6. The Lonesome Gold Digger Pt. II
7. Iron Brew
8. Staff of Agony
9. Mother Road

Line-up
Jorg Theilen – Vocals
Eric Post – Guitars
Jan Ole Moller – Guitars, Vocals
Lennard Viertel – Bass, B.Vocals
Steffen Freesemann – Drums

WENDIGO – Facebook

The Lord Weird Slough Feg – New Organon

New Organon, rilasciato per la Cruz Del Sur Music, è composto da dieci bellissimi brani che racchiudono l’essenza dell’epic metal, il suo lato più maturo e diretto, non concedendosi mai a facili melodie, ma elaborando un personale approccio ad un genere per niente facile da proporre ad alti livelli.

Tornano Mike Scalzi ed i suoi Slough Feg, con il monicker completo The Lord Weird Slough Feg ed un nuovo album, il decimo di una lunga carriera iniziata nel 1990 a San Francisco.

Il quartetto statunitense con al timone il suo capitano viaggia spedito nelle acque sicure di un sound collaudato che all’epic metal unisce elementi folk, ritmiche per nulla scontate e progressive a supportare tematiche di stampo fantasy.
La band, dal monicker ispirato ad una creatura leggendaria presente nei poemi epici e mitologici irlandesi, rilascia un ottimo lavoro che ne conferma lo status di band di culto, permettendo di arrivare alla doppia cifra in quanto a full lenght con degli album migliori.
New Organon, rilasciato per la Cruz Del Sur Music, è composto da dieci bellissimi brani che racchiudono l’essenza dell’epic metal, il suo lato più maturo e diretto, non concedendosi mai a facili melodie, ma elaborando un personale approccio ad un genere per niente facile da proporre ad alti livelli.
Fin dall’inizio si viene catapultati dal quartetto statunitense in un mondo metallico in cui sua maestà il riff è signore e padrone di un sound che, come da tradizione, è legato all’heavy doom settantiano, pur con la sua forte caratteristica epica che aggiunge sfumature ed ispirazioni di stampo Manilla Road.
L’anima progressiva valorizza il tutto e New Organon risulta un altro ottimo lavoro targato The Lord Weird Slough Feg, grazie ad una serie di brani bellissimi come The Apology, Uncanny e la solare Coming of Age in the Milky Way, folk metal song che disegna nella mente degli ascoltatori piazze popolate di castelli nei giorni di festa.
Un gran bel lavoro questo nuovo capitolo della saga del gruppo di San Francisco che si conferma un valido riferimento per gli amanti dell’epic/heavy/folk metal.

Tracklist
1. Headhunter
2. Discourse on Equality
3. The Apology
4. Being and Nothingness
5. New Organon
6. Sword of Machiavelli
7. Uncanny
8. Coming of Age in the Milky Way
9. Exegesis / Tragic Hooligan
10. The Cynic

Line-up
Mike Scalzi – Vocals / Guitar
Adrian Maestas – Bass
Angelo Tringali- Guitar
Jeff Griffin – Drums

THE LORD WEIRD SLOUGH FEG – Facebook

Marc Vanderberg – Phoenix From The Ashes

Phoenix From The Ashes risulta un buon lavoro ed un passo importante per Marc Vanderberg, che si impone all’attenzione degli amanti del genere con un album vario, duro, melodico e composto da belle canzoni.

Questa volta il musicista e compositore tedesco Marc Vanderberg ha fatto le cose in grande, circondandosi per questo nuovo lavoro di un nutrito gruppo di cantanti che danno il loro contributo su queste dieci nuove canzoni che vanno a comporre Phoenix From The Ashes.

Come nel precedente album (Highway Demon licenziato nel 2017), Vanderberg si prende carico di gran parte della parte strumentale, aiutato dalle chitarre di Michael Schinkel e Dustin Tomsen e da Paulo Cuevas, Philipp Meier, Oliver Monroe, Göran Edman, Raphael Gazal (singer sul precedente album), Chris Divine e Tåve Wanning dietro al microfono.
Phoenix From The Ashes è un grosso passo avanti per il musicista tedesco, essendo un album composto da buone canzoni, melodico ma graffiante e di stampo più hard rock rispetto al passato.
Il tocco neoclassico negli assoli valorizza il sound creato da Vanderberg per questo lavoro come avviene in Odin’s Words, bellissimo brano cantato da Paulo Cuevas che richiama il Malmsteen epico e power di Marching Out.
Il resto dell’album si stabilizza si un buon hard & heavy che l’alternanza dei vocalist rende vario così come una riuscita altalena tra brani che sfiorano melodie AOR ed altri più robuste.
Da segnalare il mid tempo di Bitter Symphony, l’epica Warlord con Rapahael Gazal al microfono e le tastiere AOR della conclusiva You And I, brano che ricorda i rockers melodici Brother Firetribe dell’ultimo lavoro Sunbound.
In conclusione Phoenix From The Ashes risulta un buon lavoro ed un passo importante per Marc Vanderberg, che si impone all’attenzione degli amanti del genere con un album vario, duro, melodico e composto da belle canzoni.

Tracklist
01.Odin´s Words (Feat. Paulo Cuevas)
02.Warsong (Feat. Philipp Meier)
03.Legalize Crime (Feat. Paulo Cuevas)
04.Phoenix from the Ashes (Feat. Oliver Monroe)
05.You and I (Feat. Goran Edman)
06.This Romance (Feat. Tåve Wanning & Chris Divine)
07.Warlord (Feat. Raphael Gazal)
08.Bad Blood (Feat. Oliver Monroe)
09.Bitter Symphony (Feat. Raphael Gazal)
10.My Darkest Hour (Feat. Paulo Cuevas)

Line-up
Marc Vanderberg – Music, Lyrics, Guitars, Bass Programing, Drum Programing, Orchestra Programing

Paulo Cuevas – Vocals
Philipp Meier – Vocals
Oliver Monroe – Vocals
Göran Edman- Vocals
Raphael Gazal- Vocals
Chris Divine- Vocals
Tåve Wanning- Vocals
Michael Schinkel – Lead Guitar
Dustin Tomsen – Lead Guitar

MARC VANDERBERG – Facebook

S.O.T.O. – Origami

Origami è un album che conferma la bontà di questo ennesimo progetto targato Jeff Scott Soto, immancabile nella discografia dei fans dell’hard & heavy d’autore.

Jeff Scott Soto è uno degli artisti e cantanti che più hanno segnato gli ultimi vent’anni di storia dell’hard & heavy, prima con i Talisman e poi passando tra mille collaborazioni, la carriera solista e ultimamente con W.E.T., Sons Of Apollo e S.O.T.O.

Origami è il terzo album del gruppo che vede, oltre al singer, Edu Cominato (batteria), BJ (chitarra e tastiere), Jorge Salan (chitarra) e Tony Dickinson (basso), nuovo entrato dopo la scomparsa di Dave Z.
Come d’abitudine, gli album che vedono protagonista il cantante statunitense riescono sempre a sorprendere per la grande versatilità in un sound che, se ovviamente prende vari dettagli dagli altri progetti in cui è coinvolto, mostra una marcata personalità che gli permette di variare atmosfere e sfumature.
Il nuovo lavoro targato S.O.T.O., non manca certo di aggressività e melodia che, a braccetto, portano la tracklist verso l’eccellenza, non solo per la solita, varia e calda prestazione del cantante, ma per un lavoro d’insieme di altissimo livello.
Dall’opener Hypermania veniamo quindi travolti da un hard & heavy melodico e a tratti progressivo, dove si sentono i postumi dell’abbuffata prog metal di Soto con i Sons Of Apollo, ed un uso delle tastiere più accentuato che in passato che dona alle varie tracce un tocco moderno.
Modern melodic hard & heavy, si potrebbe definire così il sound di Origami, che non cala di tensione dalla prima all’ultima traccia, regalando la sua dose massiccia di metal in cui la voce del vocalist americano fa il bello e cattivo tempo, procurando brividi a palate.
Tra le canzoni che compongono la track list di questo ottimo lavoro, escono prepotentemente quelle in cui la band picchia da par suo, potenti e massicce heavy song melodico progressive come BeLie, World Gone Colder, Dance With The Devil e Vanity Lane.
Origami è un album che conferma la bontà di questo ennesimo progetto targato Jeff Scott Soto, immancabile nella discografia dei fans dell’hard & heavy d’autore.

Tracklist
1. HyperMania
2. Origami
3. BeLie
4. World Gone Colder
5. Detonate
6. Torn
7. Dance With The Devil
8. AfterGlow
9. Vanity Lane
10. Give In To Me

Line-up
Jeff Scott Soto – Vocals
Jorge Salan – Guitar
Tony Dickinson – Bass
BJ – Keys/Guitar
Edu Cominato – Drums

SOTO – Facebook

Sins Of The Damned – Striking the Bell of Death

Striking the Bell of Death è un gran bel lavoro, ma ovviamente il genere rimane di nicchia e l’album indicato agli amanti dell’heavy speed metal tradizionale.

La Shadow Kingdom non sbaglia un colpo e le uscite che vedono il suo logo sul retro di copertina regalano sempre gradite sorprese per quanto riguarda i suoni classici.

I cileni Sins Of The Damned per esempio arrivano tramite la label al traguardo del primo full length dopo svariati lavori minori che ne hanno caratterizzato la carriera dal 2013.
Una manciata di demo è servita al gruppo di Santiago per rodarsi, prima di travolgere glia amanti dei suoni old school di matrice heavy/speed metal con Striking the Bell of Death, album composto da sette brani medio lunghi, a metà strada tra l’heavy metal di scuola europea e lo speed thrash.
Un prodotto che più underground di così non si può, ma suonato egregiamente, caratterizzato da convincenti cavalcate strumentali che li avvicinano agli Iron Maiden suonati al doppio della velocità.
La voce cartavetrata ma personale il giusto per non passare nell’anonimato, il gran lavoro delle chitarre e le ritmiche forsennate, aggiungono adrenalina a brani diretti e senza compromessi, sette bombe sonore di matrice old school che non fanno prigionieri e che hanno in They Fall and Never Rise Again e The Lion And The Prey i brani migliori.
Striking the Bell of Death è quindi un gran bel lavoro, ma ovviamente il genere rimane di nicchia e l’album indicato agli amanti dell’heavy speed metal tradizionale.

Tracklist
1.Striking the Bell of Death
2.They Fall and Never Rise Again
3.Take the Weapons
4.The Lion and the Prey
5.The Outcast (Sign of Cain)
6.Victims of Hate
7.Death’s All Around You

Line-up
Maot – Guitars (lead)
Razor – Vocals, Guitars
Noisemaker – Drums, Bass
Tyrant – Drums

SINS OF THE DAMNED – Facebook

Haunt – If Icarus Could Fly

Heavy metal old school, legato alla new wave of british heavy metal ed alle sonorità anni ottanta, mezzora di cavalcate maideniane, pregne di atmosfere epiche che faranno la gioia degli amnti del metal classico con qualche capello bianco sulla chioma sempre più rada.

La Shadow Kingdom colpisce ancora: la label statunitense licenzia il secondo lavoro su lunga distanza degli Haunt, quartetto californiano al debutto un paio d’anni fa con un ep, seguito dal primo full length uscito lo scorso anno (Burst Into Flame).

il 2019 vede il gruppo di Fresno sul mercato con un nuovo ep (Mosaic Vison) prima che If Icarus Could Fly arrivi a confermare l’ottima proposta della band californiana.
Heavy metal old school, legato alla new wave of british heavy metal ed alle sonorità anni ottanta, mezzora di cavalcate maideniane, pregne di atmosfere epiche che faranno la gioia degli amnti del metal classico con qualche capello bianco sulla chioma sempre più rada.
La band, nata come progetto solista del bassista, chitarrista e cantante Trevor William Church dei Beastmaker, vede tra le proprie fila il chitarrista John Tucker, compagno d’avventura di Church anche nel gruppo doom americano, il batterista Daniel “Wolfy” Wilson e Taylor Hollman al basso, per un combo che convince dalla prima all’ultima nota di questo gioiellino underground.
Un lavoro curato nel songwriting, a tratti davvero esaltante tra ritmiche che si trasformano in cavalcate che non conoscono passi falsi, refrain metallici perfetti per far drizzare le orecchie ai defenders duri e puri, grazie ad un lotto di brani che nelle varie Run And Hide, Cosmic Kiss e l’inno Defender trovano il sentiero giusto per arrivare sulla cima della montagna dove regna il dio metallo.
Le ispirazioni vanno dagli Iron Maiden agli Warlord, passando per una buona fetta della storia dell’heavy metal classico, puro come l’acqua che sgorga dalla fonte sulla cima dove regnano gli immortali.

Tracklist
1.Run and Hide
2.It’s in My Hands
3.Cosmic Kiss
4.Ghosts
5.Clarion
6.Winds of Destiny
7.If Icarus Could Fly
8.Defender

Line-up
Daniel “Wolfy” Wilson – Drums
Trevor William Church – Vocals, Guitar, Bass
Taylor Hollman – Bass (2018-present)
John Tucker – Guitars

HAUNT – Facebook

Reveal – Overlord

Il sound di Overlord ovviamente non si discosta dai parametri storici del genere con una serie di cavalcate potenti e melodiche, ispirate alla scena power tedesca, ma che tra lo spartito non mancano di richiamare il power scandinavo che affiancò quello tedesco negli anni di maggior successo.

Per gli amanti del power tedesco e nord europeo che ultimamente si sentono poco considerati dal mercato metallico, ecco che arriva in soccorso la nostrana Wormholedeath, che distribuisce il nuovo e secondo lavoro dei Reveal, band fondata dal chitarrista spagnolo Tino Hevia (Darksun, Nörthwind ), raggiunto in questa avventura dal singer svedese Rob Lundgren.

Overlord non delude le aspettative dei fans del genere, a partire dagli ospiti che affiancano la band, dai nomi importanti almeno per chi si nutre di pane e power metal, come Marcos Rodriguez dei Rage, Tom Nauman dei Primal Fear e Marcus Siepen dei Blind Guardian.
Il sound di Overlord ovviamente non si discosta dai parametri storici del genere con una serie di cavalcate potenti e melodiche, ispirate come scritto alla scena power tedesca, ma che tra lo spartito non mancano di richiamare il power scandinavo che affiancò quello tedesco negli anni di maggior successo di molti gruppi diventati icone come Gamma Ray, Rage, Stratovarius e Blind Guardian.
Ottima la prestazione del quotato singer, vero animale heavy/power alle prese con una serie di brani lineari, dall’alto tasso melodico, magari fuori tempo massimo rispetto al volubile mercato, ma perfetto per scavare solchi nel cuore dei fans.
Si parte alla grande con le prime quattro tracce, tra cui spicca l’irresistibile appeal orientaleggiante dell’opener The Name of Ra e la graffiante The Crussaders: i Reveal mettono sul piatto la loro ricetta, magari poco personale ma assolutamente godibile, d’altronde il genere è questo e farsi avviluppare dalle ritmiche di Path Of Sorrow e dalle aperture melodiche che attraversano tutti i brani è un attimo.
It’s Only Show ha un tiro hard rock, quasi aor nel chorus, Road To Newerending ha un taglio progressivo, mentre siamo già alla fine di questo ottimo lavoro consigliato a tutti gli amanti dei suoni melodic power, suonato bene, prodotto ancora meglio e dotato di un grande appeal.

Tracklist
01. The Name Of Ra
02.- I’m Elric
03.- Master of Present and Past
04.-The Crussaders
05.- My Pain
06.- Metal Skin
07.- Path of Sorrow
08.- It’s only a Show
09.- Remember my Words
10.- Road of Never ending
11. (bonus track) It’s only a Show (ft. Saeko)

Line-up
Rob Lundgraen – Vocals
Tino Hevia -Guitars
David Figuer – Lead Guitars
Jorge Ruiz -Bass
Elena Pinto – Keyboards
Dani Cabal – Drums

REVEAL – Facebook

Redwolves – Future Becomes Past

L’album ha un sapore particolare, sempre in bilico fra passato, presente e futuro, innovando ma anche inserendosi nella via nordica al rock pesante.

La Danimarca è sempre stata una terra fertile per quanto riguarda la musica heavy rock, ed è infatti la casa dei Redwolves.

Il loro debutto sulla lunga distanza, Future Becomes Past è un disco impressionante per quanto riguarda il suono, un heavy psych rock che porta questa tendenza musicale nel futuro, con un groove molto coinvolgente ed incalzante. I danesi possiedono in gran misura le stimmate del gruppo heavy rock di classe, riescono a macinare riff di grande sostanza che sono la colonna portante del loro disco fondendosi con la particolare voce di Rasmus Cundell, vera e sofferta. Qui dobbiamo aprire un capitolo a parte, poiché proprio Rasmus è stato vittima di un violento pestaggio la notte dell’ultimo dell’anno del 2016, e i testi e la sua voce riportano le tracce profonde che ciò ha lasciato su di lui, perché non è facile rimettere tutto a posto. Infatti la musica dei Redwolves possiede un’immanente senso di malinconia verso il mondo, come se solo il vibrare deille chitarre e della batteria potesse salvarci, anche solo per i pochi minuti di una canzone. Questo disco è un bel balsamo per l’anima ma anche per il corpo perché con questi ritmi non è facile stare fermi, grazie anche a ritornelli che rimangono impressi nella mente e nelle gambe.
L’album ha un sapore particolare, sempre in bilico fra passato, presente e futuro, innovando ma anche inserendosi nella via nordica al rock pesante. I Redwolves possiedono molte soluzioni e le usano tutte, confezionando un prodotto molto al di sopra della media, ben strutturato ed altamente godibile. Certamente nel loro suono è presente anche la tradizione americana all’hard rock, ma viene rielaborata qui in maniera diversa, integrandola con quella scandinava alla quale i danesi sono contigui. Ci sono momenti di luce e momenti di ombre, ma il messaggio globale e di godersi la vita fin che si può, perchè i casini sono dietro l’angolo. Future Becomes Past è un lavoro che piacerà ad ascoltatori di aree diverse oltre a chi apprezza il il rock, perché questa è musica alla quale bisogna solo dare una possibilità, anche per testi profondi e mai scontati.

Tracklist
1. Plutocracy
2. Rigid Generation
3. The Abyss
4. Fenris
5. The Pioneer
6. Voyagers
7. Farthest From Heaven
8. Temple Of Dreams

Line-up
Rasmus Cundell – vocals
Simon Stenbæk – guitar
Nicholas Randy Tesla – bass
Kasper Rebien – drums

REDWOLVES – Facebook

West of Hell – Blood of the Infidel

Blood of the Infidel è una colata di acciaio fuso, un lavoro che risulta un tagliente e massiccio esempio di heavy metal statunitense, pregno di iniezioni thrash.

Centrano il bersaglio al secondo colpo gli West of Hell, quintetto canadese che offre quasi cinquanta minuti di puro esaltamento metallico per tutti i true defenders sparsi per il globo.

La band in verità non è sicuramente una laboriosa fabbrica di musica metallica, risultando attiva dall’alba del nuovo millennio ma arrivata solo ora al secondo full length, sette anni dopo il debutto intitolato Spiral Empire.
Licenziato dalla Reversed Records, Blood of the Infidel è una colata di acciaio fuso, un lavoro che risulta un tagliente e massiccio esempio di heavy metal statunitense, pregno di iniezioni thrash.
I cliché ci sono tutti, e tutti impegnati a solleticare i pruriti metallici dei fans di Judas Priest, Iced Earth e Sanctuary in qualche sfumatura progressiva, tragicamente drammatica come nella migliore tradizione U.S. power.
I brani, dal minutaggio medio lungo, vivono di refrain heavy, fughe thrash metal devastanti ed aperture melodiche dall’appeal ottimo per un’atmosfera che rimane tesissima per tutti i cinquanta minuti di durata, divisi in sette brani che, dall’opener Hammer And Hand, passando per Infidels e la semi ballad in crescendo Dying Tomorrow, mettono in mostra un cantante che risulta un animale metallico in forma smagliante, un gran lavoro delle chitarre ed una sezione ritmica chirurgica.
Per gli amanti dell’heavy metal vecchia scuola di matrice statunitense, Blood of the Infidel è un album da non trascurare assolutamente.

Tracklist
1.Hammer and Hand
2.Chrome Eternal
3.Infidels
4.The Machine
5.Dying Tomorrow
6.The Dark Turn
7.Mankind Commands

Line-up
Chris ”The Heathen” Valagao – Vocals
Sean Parkinson – Lead Guitar
Kris Shulz – Lead Guitar
Jordan Kemp – Bass
Paul Drummond – Drums

WEST OF HELL – Facebook

Hellraiser – Heritage

Heritage è un lavoro riuscito, imperdibile per i fans dell’heavy metal di ispirazione maideniana.

Nel segno dell’heavy metal più classico gli umbri Hellraiser pubblicano il loro secondo full length per Underground Symphony.

La band, che affonda le sue origini all’alba del nuovo millennio, dà un seguito a quello che fino ad ora era il suo unico lavoro, il debutto Revenge Of The Phoenix, uscito cinque anni fa.
Heritage è una sorta di concept in cui ogni brano è una storia proveniente da diversi luoghi e da epoche diverse, un’eredità culturale che l’uomo si tramanda da secoli e che di fatto è la storia di tutti i popoli della terra.
L’album è stato registrato da Cesare Capaccioni ai Barfly Studio, mixato da Ronny Milianowicz agli Studio Seven e masterizzato da Tony Lindgren ai Fascination Street Studios, una squadra che ha valorizzato il gran lavoro del quintetto.
L’album è composto da undici brani di heavy metal ispirati dal sound maideniano, una serie di cavalcate metalliche old school, assolutamente classiche sia nell’impatto che in un sound magari non originale, ma perfetto nel suo seguire i dettami del leggendario gruppo inglese in opere come Powerslave ed in parte il bellissimo Brave New World.
I musicisti forniscono prestazioni eccellenti e Heritage corre verso la sua conclusione senza stancare, tra cavalcate heavy, solos taglienti e mid tempo da brividi come la robusta ed evocativa Delvcaem.
Ancora le ottime Plagues Of The North, Fairy Veil e la conclusiva Lady In White spiccano in una tracklist che non trova ostacoli, rendendo Heritage un lavoro riuscito, imperdibile per i fans dell’heavy metal di ispirazione maideniana.

Tracklist
1.Heritage
2.Plagues of the North
3.Ritual of the Stars
4.Fairy Veil
5.Mother Holle
6.Preludio
7.Delvcaem
8.Balance of the Universe
9.Voice in the Wind
10.Zephyr’s Palace
11.Lady in White

Line-up
Cesare Capaccioni – Vocal
Michele Brozzi – Guitar
Marco Tanzi – Guitar
Francesco Foti – Bass
Riccardo Perugini – Drums

HELLRAISER – Facebook

Altar Of Oblivion – The Seven Spirits

L’unione tra heavy metal old school, doom classico ed epic metal è la ricetta usata dagli Altar Of Oblivion, in apparenza semplice ma non così facile da mettere in pratica.

Per gli amanti della musica del destino di stampo classico, il ritorno dei danesi Altar Of Oblivion non può che essere un appuntamento imperdibile in questa prima metà dell’anno.

Gruppo di culto nella scena epic doom, il quintetto torna sul mercato tramite la Shadow Kingdom Records (label che di sonorità classiche se ne intende) a distanza di tre anni dall’ep Barren Grounds e a sette dall’ultimo lavoro su lunga distanza, Grand Gesture of Defiance.
Con il suo heavy doom metal dal piglio epico, anche questo nuovo The Seven Spirits non delude le aspettative grazie a sette capitoli che, come da tradizione, si rivelano impregnate della pesante atmosfera del doom ed esaltate da sfumature epiche.
L’ottima prova del singer Mik Mentor, teatrale ed ispirato dai cantanti che hanno fatto la storia del genere, è assecondata da un buon songwriting che permette a brani come Solemn Messiah, Gathering At The Wake e Grand Gesture Of Defiance di farsi ricordare positivamente dall’ascoltatore.
L’unione tra heavy metal old school, doom classico ed epic metal è la ricetta usata dagli Altar Of Oblivion, in apparenza semplice ma non così facile da mettere in pratica: la band danese riesce nell’intento di regalare agli amanti del genere un album piacevole e senza sbavature, portando nel nuovo millennio le sonorità dei vari Candlemass, Count Raven, Atlantean Codex e Solitude Aeturnus.

Tracklist
1.Created in the Fires of Holiness
2.No One Left
3.Gathering at the Wake
4.The Seven Spirits
5.Language of the Dead
6.Solemn Messiah
7.Grand Gesture of Defiance

Line-up
Mik Mentor – Lead & backing Vocals
Martin Meyer Sparvath – Guitars, backing Vocals & additional Keyboards
Jeppe Campradt – Guitars and Keyboards
Cristian Nørgaard – Bass
Danny Woe – Drums

ALTAR OF OBLIVION – Facebook

Half Life – I’ve Got To Survive

I quattro potentissimi brani sono sorretti da un gioco di squadra che fa degli Half Life una band compatta nella quale ciascun membro si ritaglia uno spazio importante nell’economia del sound, dai cori epici ai taglienti solos di scuola priestiana fino a ritmiche mai troppo veloci ma potentissime.

Con un passato da cover band di classici dell’heavy metal, arrivano al debutto gli Half Life con I’ve Got To Survive, ep di quattro brani licenziato con il prezioso contributo a livello promozionale della Club Inferno Ent.

La band, nata nel 2015, è passata dall’essere un quintetto all’attuale formazione a quattro elementi con Andrea Lippi alla voce, Manolo Cogoni alla batteria, Gianluca Olraitz al basso e Guerrino Mattioni alla chitarra.
Questo ep esibisce chiari riferimenti old school, con l’heavy metal tradizionale che si arricchisce di sfumature epiche e già dalla title track posta in apertura si capisce che il gruppo laziale gioca duro.
I quattro potentissimi brani sono sorretti da un gioco di squadra che fa degli Half Life una band compatta nella quale ciascun membro si ritaglia uno spazio importante nell’economia del sound, dai cori epici ai taglienti solos di scuola priestiana fino a ritmiche mai troppo veloci ma potentissime.
Un heavy metal duro e puro viene esaltato dalla forza bruta di Killing Words, dall’epica atmosfera di Only Shadows e dal crescendo metallico della conclusiva The Judgement: buona la prima per gli Half Life, band che merita d’essere seguita dagli amanti del metallo di scuola ottantiana.

Tracklist
1. I’ve Got To Survive
2. Killing Words
3. Only Shadows
4. The Judgement

Line-up
Andrea Lippi – Vocals
Manolo Cogoni -Drums
Gianluca Olraitz – Bass
Guerrino Mattioni – Guitars

HALF LIFE – Facebook

Hellnite – Midnight Terrors

Si passa con disinvoltura da cavalcate heavy metal a brani diretti e speed thrash, in parte penalizzati dalla poco curata parte cantata, mentre la buona preparazione al basso ed alla chitarra alzano di qualche punto il valore di un album assolutamente rivolto ai soli appassionati del genere.

Proposta all’insegna del più puro underground quella di questa one man band di origine messicana denominata Hellnite, creatura del polistrumentista Paolo Belmar.

Attivi come band dal 2013, con l’uscita dell’ep Manipulator, gli Hellnite ricominciano dal Canada dove Belmar si è trasferito per poi esordire con questo full length intitolato Midnight Terrors, licenziato dalla Sliptrick Records.
L’album si compone di nove brani dalle ispirazioni heavy/thrash old school: discreto il songwriting, buona la prova strumentale, ma poco incisiva la prova al microfono, questi sono in poche parole i pregi ed i difetti di Midnight Terrors, album che potrebbe trovare buoni riscontri tra gli amanti del thrash metal anni ottanta.
Si passa con disinvoltura da cavalcate heavy metal a brani diretti e speed come Thrash Of The Living Death, in parte penalizzati dalla poco curata parte cantata, mentre la buona preparazione al basso ed alla chitarra alzano di qualche punto il valore di un album assolutamente rivolto ai soli appassionati del genere.
Iron Maiden, Slayer, Sodom e Destruction sono le band storiche che escono prepotentemente dall’ascolto di Midnight Terrors, mentre lo strumentale Darker Than Black e l’aggressiva Necromancer si rivelano i brani più riusciti.
La strada è lunga e difficile per il musicista messicano, anche se tra i solchi dell’album non mancano quegli spunti interessanti su cui poter lavorare in futuro.

Tracklist
1.Projection
2.Phantom Force
3.Spirits Prevail
4.Beasts From The Deep
5.Thrash Of The Living Dead
6.Darker Than Black
7.Stage On Fire
8.The Necromancer
9.Midnight Terrors

Line-up
Paolo Belmar – Guitars, Vocals, Bass

HELLNITE – Facebook