Spellblast – Nineteen

Gli Spellblast confezionano un grande album di power metal dalle atmosfere western, amalgamando la nostra musica preferita con le colonne sonore di Ennio Morricone.

L’ho ascoltato e riascoltato quest’album perché ancora stento a credere che una band di tale portata non abbia un’etichetta alle spalle e che, quindi, un disco di tale levatura debba uscire autoprodotto.

Non ne conosco i motivi (anzi, diciamo che un’idea me la sono fatta) ma cominciano ad essere davvero troppe le band meritevoli prive dell’appoggio, a mio avviso fondamentale, di qualcuno che creda nelle loro potenzialità e che possa occuparsi di tutti gli aspetti organizzativi e promozionali lasciando ai componenti delle band il compito essenziale di suonare e comporre musica. Gli Spellblast provengono da Bergamo e sono attivi dal 1999 ma, dopo un demo nel 2004, l’esordio su lunga distanza avviene con “Horns Of Silence” solo nel 2007, mentre il secondo album “Battlecry” risale al 2010, impreziosito dalla partecipazione di Fabio Lione. In questa sua ultima bellissima uscita il combo lombardo abbandona il folk metal dei dischi precedenti per regalarci un power metal dalle originalissime atmosfere western, che aiutano la band a raccontare le vicende tratte dalla “The Dark Tower Saga”, monolite cartaceo ad opera di Stephen King. Ora, se siete incuriositi dalla parola western, chiarisco subito che Nineteen è un gran bel pezzo di metallo, duro, oscuro, dove le orchestrazioni e le atmosfere da cavalli e polvere sono magistralmente inserite nel contesto, rendendo la musica epicissima senza per una volta scomodare Tolkien, draghi e folletti. Daniele Scavoni, singer dalla voce possente, protagonista di una prova maiuscola per tutta la durata dell’album, ricorda a tratti il miglior Zachary Stevens, assecondato da un songwriting eccelso e da compagni di viaggio altrettanto bravi, che formano una banda degna di Butch Cassidy e Billy the Kid. Accontenterà un pò tutti i fan del power questo disco, sia chi preferisce un approccio più diretto, si gli amanti del sound orchestrale; le song non mancano di picchiare duro e lo fanno praticamente sempre, mentre laddove la frontiera prende il sopravvento, lo fa tenendo ben alta la tensione con atmosfere perennemente da duello allo scoccare del mezzogiorno. Non si può non chiamare in causa il Maestro Ennio Morricone e le sue straordinarie colonne sonore, ciliegina sulla torta dei film di Sergio Leone e della saga di Ringo con il compianto Giuliano Gemma, e gli Spellblast assorbono il meglio del compositore romano e lo usano al servizio del loro metal per un risultato entusiasmante. In materia di power metal siamo al cospetto di un grande album, il migliore di quiest’anno finora insieme all’ultimo Persuader: A World That Has Moved On, Into Demon’s Nest, Shattered Mind, We Ride, The Calling sono solo alcuni stupendi esempi del livello altissimo del lavoro di questa grande band nostrana.

Tracklist:
1. Banished
2. Eyes in the Void
3. Highway to Lud
4. A World That Has Moved On
5. The Reaping
6. Into Demon’s Nest
7. Blind Rage
8. Shattered Mind
9. Until the End
10. We Ride
11. Programmed to Serve
12. Endless Journey
13. The Calling

Line-up:
Daniele Scavoni – Voce
Luca Arzuffi – Chitarra
Aldo Turini – Chitarra
Xavier Rota – Basso
Michele Olmi – Batteria

SPELLBLAST – Facebook

Stamina – Perseverance

Gran salto di qualità quindi per gli Stamina che, con questo album molto ambizioso, dove tutto è professionalmente ineccepibile, raggiungono le vette conquistate dai maestri, meritandosi la doverosa attenzione anche fuori dai patri confini.

Gli Stamina, combo tutto italiano proveniente da Salerno, dopo due full length, “Permanent Damage” del 2008 e “Two Of A Kind” del 2010, firmano per la My Kingdom Music e rilasciano questo autentico gioiellino dal titolo Perseverance, nel quale il prog metal sposa l’Aor, sulla scia dei danesi Royal Hunt di “Moving Target” (1996).

Il fatto di aver suonato di supporto durante il tour europeo della band di Andrè Andersen ha giovato e non poco al gruppo campano, che sfodera una prova sontuosa sia tecnicamente sia a livello di songwriting, aiutati da diversi ospiti, quali Maria McTurk, storica corista della band danese, Goran Edman, singer che ha all’attivo collaborazioni con Malmsteen e John Norum, e Nils Molin, vocalist degli svedesi Dynazty.
Higher, scelta come primo singolo, ci catapulta nel mondo Stamina, fatto di chitarrismo hard rock, tastiere prog metal, cori e controcanti che rendono la musica della band ariosa e piacevolmente melodica.
Breaking Another String, cantata da Edman, è una riuscita amalgama fra i Royal Hunt e i Dream Theater, con intro e stacco sinfonico da applausi, finché il basso di Lorenzo Zarone non ruba la scena, sostenuto da un Luca Sellitto in forma smagliante alla sei corde.
La prova di Giorgio Adamo dietro al microfono impreziosisce la aor song I’m Alive, mentre Just Before The Dawn, nuovamente con Edman alla voce, è una ballad nella quale la chitarra di Sellitto ci inchioda con un assolo clamoroso.
La title-track corre su strade già percorse da “Moving Target” e lo fa con classe, grazie all’interpretazione di Nils Molin e all’ennesimo grande assolo di Sellitto; hard rock scandinavo per Naked Eye, mentre in Umbreakable il sound si indurisce e si modernizza quel tanto che basta per farne la song più originale del lotto, cantata alla grande ancora una volta da Giorgio Adamo.
Jacopo Di Domenico prende il microfono nella conclusiva Winner For A Day, ottima prova di quello che è, di fatto, l’attuale singer della band, su una canzone dagli stupendi cori, dove le coordinate stilistiche tornano ad essere quelle dell’intero lavoro.
Gran salto di qualità quindi per gli Stamina che, con questo album molto ambizioso, dove tutto è professionalmente ineccepibile, raggiungono le vette conquistate dai maestri, meritandosi la doverosa attenzione anche fuori dai patri confini e regalando al metal nazionale un altra grande band della quale andare orgogliosi.

Tracklist:
1. Higher
2. Breaking Another String
3. I’m Alive
4. Just Before the Dawn
5. Perseverance
6. Naked Eye
7. Unbreakble
8. Wake Up the Gods
9. Winner for a Day

Line-up:
Luca Sellitto-Guitars
Andrea barone-Keyboards
Lorenzo Zarone-Bass
Jacopo Di Domenico-Vocals

Special Guests:
Vocals : Goran Edman, Giorgio Adamo, Nils Molin, Maria McTurk
Drums: Alessandro Beccati, Mirkko De Maio

STAMINA – Facebook

6th Counted Murder – 6th Counted Murder

Un lavoro che non potrà non piacere sia agli amanti del metal classico sia ai fan del death melodico.

Dura la vita del recensore: la fortuna di poter scrivere di musica è bilanciata, almeno per chi questo “hobby/mestiere” cerca di farlo in modo scrupoloso, con il timore di non essere entrato in sintonia con l’album e di conseguenza con gli artisti che l’hanno creato perchè, alla fine, lo scritto rimane così come la musica delle band.

Questo vale, sopratutto quando ci si imbatte in lavori di qualità come l’esordio dei milanesi 6th Counted Murder, dove la passione e la professionalità degli artisti è pari alla bellezza dell’album. I cinque “assassini” ci hanno lavorato più di un anno nel loro quartier generale (The Basement Studios), se lo sono prodotto e registrato, insomma sacrifici, sudore e lacrime, ma ne è valsa la pena alla luce dell’eccellente risultato. Metallo pesantissimo, tecnico, una creatura che si nutre del sangue della vergine di ferro e assorbe linfa dall’albero del death metal scandinavo, quello dei primi lavori di In Flames e Dark Tranquillity. Le due asce, al secolo, Andrea P. Moretti e Marzio Corona, ricamano riff maideniani con facilità disarmante, assecondati da una sezione ritmica di tutto rispetto composta dall’ex Drakkar Alessandro Ferraris al basso e Gianluca D’Andria dietro alle pelli. Il cantore di questi crimini, Luca Luppolo, gestisce alla perfezione il suo growl, il quale non risulta mai forzato, sorta di lama di quell’ascia che cadrà sulle vostre teste appena schiaccerete il tasto play del vostro lettore. Dark Room dà il via alla mattanza, l’assassino si presenta con un riff dalle dissonanze doom, con sugli scudi la sezione ritmica protagonista di stupendi cambi di tempo; Heaven Kills e Grave sono meravigliosi esempi di come nel metal quello che conta veramente non è l’essere originali a tutti i costi, ma le cose che continuano a fare la differenza sono un songwriting di valore e la padronanza assoluta degli strumenti. Accenni moderni li troviamo nella bellissima Dead Man Talkin, spaccata in due da quaranta secondi di assoli d’alta scuola, Evil Mode non avrebbe sfigurato nella tracklist di “The Jester Race” degli In Flames, prima di essere sopraffatti da pruriti nu metal. Un‘intro acustica annuncia Remember Your Story, mentre ritmi thrash contraddistinguono le dirette Sleepless Night e Rejection; Road To Nowhere è una cavalcata classic metal che risulta, forse, la più ottantiana del lotto, con quella ritmica che mi ha fatto ronzare per la testa altri due grossi nomi del mondo metal: Saxon e i primi Testament. Siamo alla fine, Memories conclude un lavoro che non potrà non piacere sia agli amanti del metal classico sia ai fans del death melodico; suonato divinamente, con un gran lavoro in fase di produzione e curato nei minimi dettagli: insomma, professionalmente ineccepibile.

Tracklist:
1.Dark Room
2.Heaven Kills
3.Grave
4.Dead Man Talkin
5.Evil Mode
6.Remember Your Story
7.Sleepless Night
8.Rejection
9.Road To Nowhere 10.Memories

Line-up:
Luca Luppolo – vocals
Andrea P. Moretti – guitars
Marzio Corona – Guitars
Alessandro Ferraris – bass
Gianluca D’Andria – drums

6TH COUNTED MURDER – Facebook

Almah – Unfold

Quarto album e centro pieno per Edu Falaschi ed i suoi Almah.

Lasciati definitivamente gli Angra nel 2012, il cantante brasiliano, libero di concentrarsi sulla sua creatura, pesca dal cilindro un grande album che definire solo power metal sarebbe riduttivo.

Questo lavoro e’ Metal e basta, come deve esserlo un disco classico nel 2013: basso pulsante, pieno, in certi frangenti oserei dire quasi di matrice stoner, chitarre superlative nelle ritmiche, i tasti d’avorio del leader che non tolgono un briciolo di energia ai pezzi ma, anzi, riescono a donare classicità sopraffina.
La prova di Falaschi dietro al microfono e’convincente, lasciati per sempre i panni del vice-Matos, canta con la giusta aggressività ed in certi momenti del disco ci regala vocalizzi al limite del thrash.
Cosi’ il disco e’ un susseguirsi di hit travolgenti, che spaziano dalle atmosfere più moderne di In My Sleep e Beware The Stroke, al thrash di The Hostage, al power metal melodico della bellissima Raise Of The Sun, fino ad arrivare a Treasure Of The Gods, la canzone più avvicinabile agli Angra del lotto, nonchè brano fantastico.
Non solo il leader ma tutta la band sugli scudi per un lavoro da top ten di fine anno.

Tracklist:
1.In my sleep
2.Beware the stroke
3.The hostage
4.Warm wind
5.Raise the sun
6.Cannibal in suits
7.Wings of revolution
8.Believer
9.I do
10.You gotta stand
11.Treasure of the gods
12.Farewell

Line-up:
Edu Falaschi – vocals,guitars,keyboards
Marcelo Barbosa – guitars
Marcelo Moreira – drums
Raphael Dafras – bass
Gustavo Di Padua – guitars

ALMAH – Facebook

Dragonhammer – The X Experiment

I Dragonhammer optano per la via del concept che, sembra, si svilupperà anche nei prossimi dischi, e la scelta si conferma azzeccata in virtù di un ottimo lavoro che farà sicuramente acquisire nuovi fans al combo italico.

I Dragonhammer optano per la via del concept che, sembra, si svilupperà anche nei prossimi dischi, e la scelta si conferma azzeccata in virtù di un ottimo lavoro che farà sicuramente acquisire nuovi fans al combo italico.

La storia e’ ambientata in un mondo post nucleare e il power prog metal del gruppo si integra perfettamente con la storia narrata favorendo la riuscita del disco con diversi ospiti illustri della scena italiana (Roberto Tiranti, Titta Tani, David Folchitto). Dopo l’immancabile intro, The End Of The World è già un pezzo da novanta con il suo power melodico e le voci di Tiranti e Max Aguzzi si intrecciano con la giusta dose di melodia e classe. In Seek In The Ice sono protagoniste le tastiere di Giulio Cattivera e si arriva alla title-track, apice del disco che mi ha ricordato anche per il timbro vocale del singer, i Circle II Circle del sottovalutato ma grandissimo Zachary Stevens; My Destiny, con le vocals di Titta Tani a duettare con Aguzzi, è un brano cadenzato dove le parti cantate sono ovviamente il punto forte del pezzo. Il disco scivola via tra The Others, in linea con i brani dell’album, e la ballad Follow Your Star, per arrivare a Last Solution, ultimo pezzo di questo gioiellino, nel quale non ci sono intoppi né incertezze, autentica prova di maturità per una band ormai sicura dei propri mezzi e che ci regalerà altri grandi album in futuro.

Tracklist:
1.It’s beginning
2.The end of the world
3.Seek in the ice
4.The x experiment
5.Escape
6.My destiny
7.The others
8.Follow your star
9.Last solution

Line-up:
Max Aguzzi – vocals,guitars
Gae Amodio – Bass
Giulio Cattivera – keyboards
Giuseppe De Paolo – guitars

Guests:
Roberto Tiranti – vocals
Titta Tani – vocals
David Folchitto – drums
Francesco Fareri – guitars

DRAGONHAMMER – Facebook

Kaledon – Altor: The King’s Blacksmith

I Kaledon dimostrano come sia possibile, anche dopo anni di attività, continuare a progredire e a migliorarsi quando la passione rende l’incisione di un nuovo disco la finalizzazione di un processo creativo e non la periodica timbratura di un cartellino.

I Kaledon sono sulle scene ormai da diversi anni proponendo un power sinfonico dalle forti sfumature epiche; Altor: The King’s Blacksmith è già il loro settimo full-length ma è il primo dopo la conclusione della saga strutturata sui sei capitoli che hanno contrassegnato la passata produzione, anche se rimane collegato alle tematiche passate visto che il concept è incentrato sul fabbro del re, uno dei personaggi (pur se minori) presenti nella loro “Legend Of The Forgotten Reign”.

Al di là dell’aspetto concettuale, ciò che preme evidenziare è la notevole caratura di quest’ultimo lavoro, che appare come un riuscitissimo tributo ad un genere che, troppo spesso invece, è afflitto da un’asfittica ridondanza; a detta della stessa band, l’essere stati in tour per gran parte del periodo successivo alla pubblicazione di “Chapter VI”, ha portato ad una naturale evoluzione sia dal punto di vista tecnico sia da quello compositivo. Dopo una canonica intro, Childhood apre alla grande grazie a uno splendido incipit chitarristico in grado di restare impresso a lungo nella memoria; la successiva Between The Hammer And The Anvil è un classico brano power che unisce con buon equilibrio ritmo e melodia. My Personal Hero è un altro brano dal buon impatto mentre Lilibeth è una ballad invero un pò zuccherosa; A New Beginning apre la parte finale del disco che d’ora in poi mostra il volto migliore dei Kaledon: questo è un altro brano davvero riuscito nel quale va evidenziato l’ottimo lavoro delle tastiere. Kephren è un esempio calzante di come il songwriting si sia attestato su livelli ragguardevoli, mentre Screams In The Wound possiede una certa drammaticità di fondo che lo rende l’ideale antipasto del botto finale costituito da A Dark Prison, autentico gioiello impreziosito dalla presenza di un nome che non ha bisogno di presentazioni come quello di Fabio Lione. Un evidente progresso rispetto al precedente full-length, unito al ritorno a sonorità più dirette e maggiormente votate ad un più classico power melodico, fa di Altor: The King’s Blacksmith un lavoro che, pur non essendo epocale, rappresenta la migliore risposta a chi pensa che questo genere abbia ormai poco o nulla da dire. I Kaledon, al contrario, dimostrano come sia possibile, anche dopo anni di attività, continuare a progredire e a migliorarsi quando la passione rende l’incisione di un nuovo disco la finalizzazione di un processo creativo e non la periodica timbratura di un cartellino.

Tracklist:
1. Innocence
2. Childhood
3. Between the Hammer and the Anvil
4. My Personal Hero
5. Lilibeth
6. A New Beginning
7. Kephren
8. Screams in the Wind
9. A Dark Prison

Line-Up:
Paolo Lezziroli – Bass, Vocals
Alex Mele – Guitars (lead)
Tommaso Nemesio – Guitars (rhythm)
Daniel Fuligni – Keyboards
Marco Palazzi – Vocals
Luca Marini – Drums

KALEDON – Facebook

Secret Sphere – Portrait of a Dying Heart

I Secret Sphere, con Portrait Of A Dying Heart, giungono al disco che, qualora non li porti alla meritata consacrazione, sarà giusto allora che la nefasta profezia dei Maya si avveri facendo piazza pulita di questa piccola porzione di universo …

Con una storia ultradecennale alle spalle e ben sei full length pubblicati in precedenza, gli alessandrini Secret Sphere, con Portrait Of A Dying Heart, giungono al disco che, qualora non li porti alla meritata consacrazione, sarà giusto allora che la nefasta profezia dei Maya si avveri facendo piazza pulita di questa piccola porzione di universo …

Dopo un buon album come “Alchemist”, rimpiazzare lo storico cantante della band, Roberto Messina, poteva costituire un problema non da poco, brillantemente superato reclutando quella che forse è la migliore voce in circolazione sul suolo italico. Infatti, senza voler nulla togliere a chi l’ha preceduto, Michele Luppi costituisce un valore aggiunto per qualsiasi band e in qualsiasi genere si cimenti. Nonostante egli stesso si consideri un vocalist più orientato verso un hard rock di stampo classico, a mio avviso invece è proprio quando la sua timbrica si intreccia con partiture più robuste, come in questo caso o nel recente passato con i Vision Divine, che il cantante emiliano offre il meglio di se stesso. Se a tutto questo aggiungiamo una band fatta di musicisti dalla tecnica ineccepibile, in grado di passare con disinvoltura da uno strumentale come la title track posta in apertura, degna dei Dream Theater più ispirati, a un brano dalle melodie sognanti come Eternity, che chiude l’album in maniera superlativa, ecco spiegati i motivi della perfetta riuscita dell’album. Ma anche tutto ciò che è racchiuso tra queste due tracce si pone allo stesso livello, a partire da X, che appare quasi un prolungamento del brano precedente prima di evolversi in un power prog vario e trascinante e con un Luppi autore di un crescendo vocale impressionante o The Kill, una vera mazzata nella quale la melodia però resta sempre e comunque un punto di riferimento imprescindibile. Healing possiede armonie irresistibili e sembra essere il classico brano sul quale costruire un video mentre Lie To Me è breve ma dalla grande intensità, che va ulteriormente a crescere nelle conclusive The Rising Of Love ed Eternity, brano quest’ultimo, nel quale tutta la band si esprime ancora una volta a un livello stellare assecondando una prestazione vocale di Luppi da brividi. Dopo anni di impegno contraddistinti da ottima musica, rimasta purtroppo un po’ lontana dai riflettori, si può tranquillamente affermare che Aldo Lonobile e Andrea Buratto hanno trovato la quadratura del cerchio per la band che hanno contribuito a far nascere: questo disco ancor prima della sua uscita ha già raccolto consensi unanimi, non solo in Italia, e questo non può che rallegrarci. Poi, sicuramente ci sarà ancora, come sempre accade e sempre accadrà, qualcuno che non ascolterà neppure una nota di questo disco salvo precipitarsi a fare proprio l’ultimo lavoro di una delle tante band di grido che, ormai da anni, non fanno altro che replicare se stesse, timbrando il cartellino con la stessa puntualità ed entusiasmo dell’ultimo dei “travet” … Un errore nel quale non cadrà, invece, chi nella musica ricerca autentiche emozioni e non una mera esibizione di tecnica fine a se stessa.

Tracklist :
1. Portrait of a Dying Heart
2. X
3. Wish & Steadiness
4. Union
5. The Fall
6. Healing
7. Lie to Me
8. Secrets Fear
9. The Rising of Love
10. Eternity

Line-up :
Andrea Buratto – Bass
Aldo Lonobile – Guitars (lead)
Federico Pennazzato – Drums
Marco Pastorino – Guitars
Gabriele Ciaccia – Keyboards
Michele Luppi – Vocals

SECRET SPHERE – Facebook

Drakkar – When Lightning Strikes

Tornano i Drakkar con un concept album di epico power metal.

Tornano i Drakkar con un concept album di epico power metal.

Nati nel 1995, i Drakkar hanno fatto uscire l’ultimo lp con la Dragonheart Records nell’ormai lontano 2002, per poi farsi risentire dai fan nel 2007 con l’ep “Classified”. I Drakkar tornano oggi alla grande, con un album di power metal melodico e potente, che coglie nel segno. Il songwriting è al servizio della storia che racconta di Hal Gardner, un pilota di caccia mandato a combattere gli alieni sbarcati nel centro di New York (mi vengono in mente i Kree e gli Skrull dell’universo Marvel) che, colpito da un raggio alieno, comincia a ricordare le sue reincarnazioni… Non vi voglio rovinare la sorpresa e il gusto di scoprire una storia epica: in questo disco è mirabilmente raccolto tutto ciò che ci si deve aspettare da un disco di power metal sopra alla media, ovvero potenza, melodia ed epicità. A volte il power metal è il miglior mezzo per far scoprire storie che richiedono un battito del cuore più forte del normale. Usando l’espediente delle reincarnazioni di Hal Gardner, il chitarrista Dario Beretta imbastisce un volo su vari momenti storici, che sono anche stati d’animo. Un ottimo ritorno per una delle band più importanti della scena power metal italiana e non solo: grazie a loro ho riscoperto qualcosa nel genere che non sentivo più da tempo.

Tracklist:
1. Hyperspace – The Arrival
2. Day of the Gods
3. The Armageddon Machine
4. In the Belly of the Beast
5. Revenge Is Done
6. When Lightning Strikes
7. Winter Soldiers
8. Salvation
9. At the Flaming Shores of Heaven
10. We Ride
11. The Awakening
12. My Endless Flight
13. Aftermath – The Departure
14. Engage!
15. New Frontier

Line-up: Dario Beretta – Guitars
Simone Cappato – Bass
Davide Dell’Orto – Vocals
Corrado Solarino – Keyboards

DRAKKAR – Facebook