Inire – Cauchemar

Un album che piace e che ha in un songwriting frizzante la sua maggiore virtù, mettendo da parte le ovvie similitudini con band già note, concentrato solo sull’impatto e l’ottima carica sprigionata dagli Inire.

Gli Inire sono una band proveniente dal Quebec e licenziano il secondo album, dopo aver dato alle stampe il debutto Born the Wicked, the Fallen, the Damned ormai sette anni.

Cauchemar risulta un buon lavoro, senza picchi elevatissimi ci viene proposto un hard rock moderno con le più svariate influenze che passano dal groove metal, al nu metal per passare ad atmosfere southern.
L’album così lascia che le varie tracce ci prendano per mano e ci accompagnino negli ultimi decenni in cui l’hard rock americano ha flirtato con il metal, dando alla luce suoni ibridi colmi sia di tradizione che sfumature alla moda, tenuti assieme da tonnellate di groove.
Quindi se apprezzate ritmiche pesanti e sincopate, chorus che flirtano con il nu metal, ripartenze in stile Pantera e pesantezza southern (dove i Black Label Society sono i maestri), gli Inire sono il gruppo che fa per voi, tra brani ispiratissimi come la devastante hard rock Crash, la nu metal Wide Awake, la panteriana Hell Is Us e la fiammeggiante (in tutti i sensi) Burn.
I primi Soil (quelli dell’irripetibile Scars) sono forse il termine di paragone più calzante e definitivo per il sound del gruppo di Dre Versailles, cantante che non si risparmia e fa correre la sua abrasiva ugola tra le strade impervie che l’album prende a sorpresa ad ogni incrocio, ora con lunghi rettilinei verso l’hard rock, ora con salite e discese ritmiche che portano al metal moderno di matrice, ovviamente, americana.
Un album che piace e che ha in un songwriting frizzante la sua maggiore virtù, mettendo da parte le ovvie similitudini con band già note, concentrato solo sull’impatto e l’ottima carica sprigionata dagli Inire.

TRACKLIST
1.Avidya
2.Wide Awake
3.Next of Kin
4.Endless
5.Crash
6.Hell Is Us
7.Far from Anything
8.Let It Die
9.Lord of the Flies
10.Burn
11.Into the Labyrinth
12.Cauchemar
13.Just a Halo Away

LINE-UP
Wrench – Bass
Memphis – Drums
Action – Guitars
Brody – Guitars, Vocals
Dre – Vocals

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

Unexpectance – Metastasis De La Esperanza

Gli Unexpectance confermano che il metal può essere uno dei mezzi migliori per spiegare il mondo, per esprimere ciò che portiamo dentro.

Gruppo metal proveniente dalle Asturie, e più precisamente da Oviedo, gli Unexpectance sono alla prima prova su lunga distanza.

Il loro suono è un misto di groove metal, metalcore e death metal per un disco che non manca di potenza e passione, ma difetta in originalità. Ciò non è però un problema perché gli asturiani fanno una mezcla molto buona, il suono esce potente e preciso, e forse con una produzione più complessa il loro suono risalterebbe maggiormente. Il disco è un concept album sulla metastasi della speranza, preso atto di come va il nostro mondo. Gli Unexpectance confermano che il metal può essere uno dei mezzi migliori per spiegare il mondo, per esprimere ciò che portiamo dentro, gridando nel dilaniamento provocato per la distanza da ciò che siamo e da ciò che vorremmo essere. Il cantato in spagnolo a due voci del gruppo è notevole ed è sicuramente uno dei loro pregi maggiori. In quasi tutti i pezzi c’è poi una ricerca graduale e bene gestita della melodia, che non fa assolutamente degli Unexpectance un gruppo commerciale, bensì un gruppo dalle molte armi e dalle molte possibilità. Il loro suono è molto moderno ed in linea con tutto ciò che è venuto dai Gojira in poi, ma la loro è una sintesi originale. Un disco, ma soprattutto un gruppo, da scoprire.

TRACKLIST
1.La Caída (Intro)
2.Entropía
3.El Fin De Los Días
4.Liberate Me Ex Inferis
5.Abismo
6.Ante Las Puertas
7.La Metástasis De La Desesperanza
8.Incepción
9.Lágrimas En La Tormenta
10.Quiasma
11.Sinestesia

LINE UP
Dani L. – Growl Vocals
Salvador G. “Poyo” – Drums
Aitor G. “Mike Stamper” – Bass, Clean Vocals
Nacho P. “Nacho Another” – Guitars, Backoìing Vocals
Fran P. – Guitars

UNEXPECTANCE – Facebook

Chine – Immanent

Immaginate The Haunted e Darkane flirtare con Strapping Young Lad e Devin Townsend Band ed avrete un’idea della musica creata dai Chine.

Dalla patria del melodic death metal (la Svezia) arrivano i Chine, quintetto proveniente da Helsingborg attivo dal 2008 al terzo lavoro sulla lunga distanza dopo aver dato alle stampe il debutto Repulsive Sonatas nel 2009 e Betray Your Own Kind quattro anni fa.

Rigorosamente autoprodotto, il nuovo album (Immanent) si piazza con disinvoltura nel calderone del death/thrash, tra sonorità classiche del sound nato nel loro paese d’origine della band ed esplosioni moderne e dal groove micidiale.
Una bella mazzata questo lavoro, otto brani diretti solo sfiorati da qualche atmosfera melodica e potenziati da accelerazioni devastanti.
Niente di nuovo, ci mancherebbe, ma il gruppo svedese sa come arrivare allo stomaco dell’ascoltatore, con un album diretto che non mancherà di soddisfare i palati degli amanti di queste sonorità.
Mantenendo una tensione altissima, i Chine ci travolgono con un ottimo lavoro delle chitarre, che non mancano di valorizzare il sound con destabilizzanti riff in stile Meshuggah (I Forgive You), mentre la struttura ritmica passa dal classico death/thrash scandinavo a parti più incisive e cervellotiche alla Strapping Young Lad.
Impatto e violenza, rabbia che scaturisce in tutta la sua cattiveria in brani che concedono poche tregue e tanto metallo estremo, in una via di mezzo riuscita tra le due anime descritte.
Prodotto a meraviglia, Immanent ci consegna un gruppo maturo e molto affiatato, con musicisti dall’indubbio valore tecnico ed un songwriting sopra le righe.
ImmaginateThe Haunted e Darkane flirtare con Strapping Young Lad e Devin Townsend Band ed avrete un’idea della musica creata dai Chine: promossi a pieni voti.

TRACKLIST
1.Cephalophore
2.Floating
3.Behind the Vivid Light
4.A Thousand Cuts
5.I Forgive You
6.Tid for hämnd
7.Sky
8.Immanent

LINE-UP
Ola Svensson – Vocals
Andreas Weis – Guitar
Jokke Pettersson – Guitar
Tommy Erichson – Bass
Jesper Sunnhagen – Drums

CHINE – Facebook

Broken Key – Face In The Dust

Un buon lavoro senza grossi picchi ma potente e soprattutto suonato con gli attributi.

Si continua a suonare metal moderno in giro per il mondo, magari meno influenzato dall’ormai abusato metalcore, e più genuinamente groove.

Niente di originale, e abusato anche questo, ma forse più puro ed underground rispetto alla finta rabbia delle boy band ispirate all’ormai obsoleto ed ennesimo sogno americano.
I Broken Key, per esempio, sono una giovane band tedesca, proveniente da Halle Saale, hanno un solo ep alle spalle e per la STF licenziano il loro primo album, questo calcio nei denti che di nome intitolato Face In The Dust e che piacerà agli amanti dei suoni moderni, sempre in bilico tra hardcore e groove metal.
Una quarantina di minuti alle corde, messi all’angolo dal nostro avversario che non ne vuol sapere di rallentare la sua letale scarica di pugni che spezzano ossa in ogni parte del corpo, più o meno è questo che risulta l’album, non male per il combo tedesco.
Mid tempo pesantissimi, dove il groove metal prende il sopravvento, si alternano con ripartenze hardcore secche come un diretto in pieno volto inaspettato e devastante.
Il vocione rabbioso, il muro sonoro dalla buona potenza non fanno che rincarare la dose massiccia di violenza, mentre scorrono le note di brani, alla lunga un po troppo simili (questo è il genere, prendere o lasciare), ma per i metal fans dal berrettino con visiera, Black Hole, Runaway e Members Of Old School saranno graditi muri sonori.
In conclusione, un buon lavoro senza grossi picchi ma potente e soprattutto suonato con gli attributi.

TRACKLIST
1.Brick
2.Black Hole
3.All The Fucking Sluts
4.Runaway
5.Face In The Dust
6.Sick Soldiers
7.Skull Behind Your Face
8.Enemy
9.Members Of Old School
10.Never Say No

LINE-UP
Rene Richter – Vocals
Marcus Griebel – Guitar
Tommy Kogut – Guitar
Robin Schuchardt – Bass
Carlo Hagedorn – Drums

BROKEN KEY – Facebook

Black Motel Six – Everything On Its Place

I Black Motel Six sono potenti, non abdicano di fronte alla necessità di essere melodici e sono orecchiabili e radiofonici, ovviamente non le radio che si sentono normalmente, pur non rinunciando ad avere una grande carica metal.

Suona tutto molto bene nell’esordio dei Black Motel Six, gruppo romano di groove metal, o meglio, di metal moderno.

Il loro suono arriva da molti generi, da ascolti come gli Stone Sour, o da schegge di metalcore e di death melodico, ma la referenza migliore è il groove metal. Questi ragazzi romani riescono a fondere insieme potenza, melodia e precisione, ed ogni canzone è una bella e piacevole mazzata. I Black Motel Six sono potenti, non abdicano di fronte alla necessità di essere melodici e sono orecchiabili e radiofonici, ovviamente non le radio che si sentono normalmente, pur non rinunciando ad avere una grande carica metal. La produzione supporta al meglio gli sforzi del gruppo, sottolineandone la pressoché perfetta calibrazione. Le canzoni arrivano come un fiume fresco d’estate, passano e lasciano una bella sensazione, e il loro linguaggio musicale è composto da molto più di diecimila parole. Qui non si tratta di novità, ma di una materia modellata bene, con forza di volontà ed anche coraggio, perché non è mai facile fare un’opera metallica ed al contempo melodica, ma questi romani grazie anche alla loro indubbia bravura tecnica ci riescono molto bene. Addirittura in certi passaggi la doppia cassa e la chitarra sono apertamente southern metal, eppure le ottime melodie sono tangibili. Sicuramente si ripropone una vessata quaestio, dicendo che un disco simile certe affermate realtà straniere se lo sognano di notte, eppure è così, però anche grazie a gruppi come i Black Motel Six dovremmo smettere di considerarci i figli minori del dio del metal: dischi così sono ottimi a prescindere, godiamoceli.

TRACKLIST
1.ON MY WOUNDS
2.SCREAM
3.HANDFUL OF DUST
4.F.Y.S.O.B. 03:54
5.LANDSLIDE PT.1
6.LANDSLIDE PT.2
7.THROUGH A NEW PHASE
8.EVERYTHING IN ITS PLACE
9.GN’R
10.SHAME ON YOU

LINE-UP
Steph – Vocals
Marco – Lead Guitars
Emanuele – Bass
Alessio – Drums

BLACK MOTEL SIX – Facebook

Evilgroove – Cosmosis

Cosmosis erutta dieci brani di hard groove rock, la voce alla Zakk Wilde accompagna ritmiche ipnotiche, chitarre piene tra scariche metalliche, atmosfere southern e grunge rock.

C’è né voluto di tempo, ma alla fine anche gli Evilgroove arrivano al traguardo del primo lavoro sulla lunga distanza grazie alla nostrana Atomic Stuff.

Attivi sotto il monicker di Sunburn dal 1997 in quel di Bologna, Daniele “Doc” Medici alla chitarra, Matteo “Matte” Frazzoni al basso e Luca “Fraz” Frazzoni alla voce, dopo un paio di demo nel 2005 cambiano il nome in Evilgroove, prendendo parte a varie compilation e tributi.
Il 2014 è l’anno dell’entrata in formazione del batterista Christian “Sepo” Rovatti , e un paio di anni dopo iniziano a lavorare a Cosmosis, album che ci fa tornare indietro fino ai primi anni novanta, tra metal e grunge, hard rock e groove metal tra Pantera e Black Label Society, insomma una goduria per gli amanti del rock americano con il quale abbiamo attraversato l’ultimo decennio del secolo scorso.
I primi anni novanta per molti sono stati un periodo di vacche magre per l’heavy metal, mentre il grunge, l’alternative ed il metal estremo seminavano per raccogliere i frutti artistici tra crossover, nuove tendenze e voglia di mettersi in gioco.
Con il successo della musica di Seattle il rock americano ha vissuto un periodo d’oro, non solo per merito delle truppe del grunge: Corrosion Of Conformity, Tool, Black Label Society sono realtà che poco hanno a che fare con le note create nella piovosa città dello stato di Washington, ma è indubbia l’importanza dei loro album per il metal/rock di quel periodo.
Oggi, chi segue le vicende intorno al rock raccoglie i frutti di quella semina, anche e soprattutto per merito della scena underground colma di band che, ispirate dal suono di quello splendido periodo, creano lavori intensi e sopra la media.
E gli Evilgroove, con Cosmosis, fungono da perfetto esempio, proponendo un lavoro che trae ispirazione dai gruppi di cui si accennava in precedenza, dunque non un lavoro che brilla per originalità (ma chi di questi tempi, suonando hard rock chi può vantarsene?), bensì un ottimo album hard rock/metal con tutti i crismi per soddisfare gli amanti dei suoni americani.
Cosmosis erutta dieci brani di hard groove rock, la voce alla Zakk Wilde accompagna ritmiche ipnotiche, chitarre piene tra scariche metalliche panteriane, atmosfere southern tra Corrosion Of Conformity e Black Label Society e grunge più vicino ai Soundgarden che ai Nirvana, tanto per ribadire che qui si fa hard rock, alternativo quanto si vuole ma con i piedi ben piantati nel genere.
I brani meriterebbero tutti una menzione ma, oltre a ricordarvi le portentose Locusta, I The Wicked e Soul River, vi invito semplicemente a far vostro Cosmosis senza indugi.

TRACKLIST
01. Turn Your Head
02. Lucusta
03. Space Totem
04. I, The Wicked
05. Kick The Can
06. Physalia
07. Voodoo Dawn
08. Soul River
09. What I Mean
10. Cosmosis

LINE-UP
Daniele “DOC ” Medici – Guitar
Matteo “MATTE” Frazzoni – Bass
Luca “FRAZ” Frazzoni – Vocals
Christian Rovatti – Drums

EVILGROOVE – Facebook

Crossbones – WWIII

WWIII è un disco che convince e che fa venire voglia di sentirlo più volte, perché qui dentro c’è il vero metal, quello fatto con passione e olio di gomito, senza nascondersi dentro una tastiera o con effetti particolari.

I Crossbones sono semplicemente il primo e tuttora il migliore gruppo metal albanese, ed ascoltando WWIII il motivo lo capirete facilmente.

Il loro thrash con inserti di groove metal crea un suono molto interessante, con canzoni ben composte e passaggi sonori vari ed azzeccati. Questo disco, mixato e masterizzato da Tommy Talamanca ai Nadir Studios, è il primo prodotto in un certa maniera nella più che ventennale carriera dei Crossbones, dato che sono nati nel 1996 e nel 1997 hanno prodotto il primo disco metal albanese, Days Of Rage, ancora oggi insuperato pilone della storia del metal e del rock in Albania. Ai Crossbones non basta però fare la storia perché vogliono continuare a produrre ottimo metal, come avviene in questo caso. Le architetture sonore sono abbastanza complesse e rendono le canzoni stratificate, con un percorso che porta le melodie in primo piano, mentre la pesantezza del suono è molto ben bilanciata, grazie anche al notevole lavoro di Tommy Talamanca, ma le basi ci sono tutte. Suonano più freschi ed interessanti i Crossbones che tanti altri gruppi molto più giovani, ma anche maggiormente stereotipati e noiosi. WWIII è un disco che convince e che fa venire voglia di sentirlo più volte, perché qui dentro c’è il vero metal, quello fatto con passione e olio di gomito, senza nascondersi dentro una tastiera o con effetti particolari: un lavoro ben fatto, complesso senza essere difficile, e ha quel sentire che i metallari capiscono al volo e che fa del metal una delle cose più belle sul globo terracqueo. I ragazzi dall’Albania saranno in questi giorni insieme ai Septem in tour, due gruppi da seguire senz’altro, anche dal vivo.

TRACKLIST
1. I’m God
2. Gates of Hell
3. Gjallë
4. WTF
5. Messing with the Masses
6. Schizo
7. Rise
8. You Fool
9. That Kind of Feeling
10. I’m God, Pt. 2

LINE-UP
Ols Ballta – vocals
Theo Napoloni – drums
Ben Turku – guitars
Klejd Guza – bass

CROSSBONES

tps://www.youtube.com/watch?v=ye69hCwHxRE

Stillborn Slave – 7 Ways To Die

Ennesimo gran disco di metal dalla Francia, gran bel suono potente e pieno, e si aspetta già la prossima puntata.

Disco d’esordio per questo gruppo francese di Brive La Gallarde che ha molte influenze ed un bel suono granitico, con un gran groove.

Gli Stillborn Slave hanno rielaborato secondo il loro gusto le nuove tendenze del metal, includendo anche un tocco hardcore. La produzione molto accurata riesce a far risaltare un suono che è moderno e dinamico, ma non perde le caratteristiche di cattiveria e potenza, ha risvolti metalcore, ma è maggiormente hardcore, perché la fiamma che brucia all’interno del gruppo è questa, con una importante attenzione al death metal, come le due voci in clear ed in growl, che giovano molto al loro suono. Sette pezzi che faranno la felicità degli amanti delle nuove sonorità metalliche, ma che piacerà molto anche a chi è più grande. Gli Stillborn Slave sono un gruppo completo e potente, molto tecnico e versatile, nato con l’intenzione di fare musica potente e ci riescono benissimo. Ennesimo gran disco di metal dalla Francia, gran bel suono potente e pieno, e si aspetta già la prossima puntata.

TRACKLIST
1.Two Worlds
2.Fiends
3.Fallen Empire
4.The End Of Everything
5.I Spit On Your Grave 00:30
6.When Sheep Become Lion
7.You Stand Alone

LINE-UP
Kronar : Vocals
Jeff : Bass Guitar
James : Drums
Nicolas : Rythm And Lead Guitar
Romain: Rythm And Lead Guitar & Back Vocal

STILLBORN – Facebook

Sinatras – Drowned

Il gruppo fondato da Emanuele Zilio, composto da musicisti dalla provata esperienza, non solo conferma quanto di buono era stato fatto con il precedente lavoro ma, passando al livello successivo, offre agli amanti del genere un gioiello di death metal contaminato da rock ‘n’ roll.

Il 2017 si annuncia come anno di ritorni e conferme nella scena underground nazionale, le prime avvisaglie arrivate sul finire dello scorso anno e un inizio scoppiettante in questi primi giorni del nuovo, fanno pensare ad un’altra ottima annata per il metal tricolore.

Puntuale, la famiglia Logic Il Logic/Atomic Stuff immette sul mercato il primo lavoro sulla lunga distanza dei Sinatras, gruppo vicentino apparso sulle pagine di Iyezine nel 2015, quando il primo ep di sei brani (Six Sexy Songs) diede il buongiorno agli amanti del death ‘n’ roll.
Il gruppo fondato da Emanuele Zilio, composto da musicisti dalla provata esperienza, non solo conferma quanto di buono era stato fatto con il precedente lavoro ma, passando al livello successivo, offre agli amanti del genere un gioiello di death metal contaminato da rock ‘n’ roll, scariche adrenaliniche di groove e leggermente stonerizzato, quel tanto che basta per sfondare crani e non solo a chi con queste sonorità si sazia abitualmente.
Drowned, infatti ha nel songwriting l’arma in più per lasciare a terra decine di cadaveri travolti dall’impatto irresistibile dei brani in scaletta, che non scendono mai neppure per sbaglio sotto l’eccellenza.
Come scritto in sede di recensione dell’ep, il sound dei nostri risulta un mix tra gli Entombed dello storico Wolverine Blues ed i Pantera, il tutto centrifugato a pazza velocità con dosi letali di groove ed una predisposizione per il rock’n’roll che, per impatto ed attitudine, non possono che far pensare al compianto Lemmy ed i suoi Motorhead.
La title track parte come un razzo Acme alla ricerca di Beep Beep e l’esplosione di note continua per tutta la durata del disco, con 24/7 studiata per fare male in sede live, Something to Hate che sfodera ritmiche da infarto, e la pazzesca cover di You Spin Me Round dei Dead Or Alive, qui chiamata You Spin Me Round (Like A Record), la velocissima ed irriverente Miss Anthropy e la conclusiva Spiral Hell, ma è tutto l’album, come detto, che si rivela nel genere un lavoro perfetto.
Nella scena attuale l’unica band che mi sento di paragonare a questi fenomenali Sinatras sono i genovesi Killers Lodge, a formare una coppia d’assi di un modo di fare musica estrema che viene sicuramente enfatizzata dal talento dei musicisti coinvolti.

TRACKLIST
1. Drowned
2. 24/7
3. Cockroach
4. Something To Hate
5. Flow
6. You Spin Me Round) (Like A Record
7. Los 43
8. Miss Anthropy
9. Back In Frank
10. Blind Fury
11. Spiral Hell

LINE-UP
Fla Sinatra – Vocals
Lele Sinatra – Guitars
Minkio Sinatra – Guitars
Lispio Sinatra – Bass
Pisto Sinatra – Drums

SINATRAS – Facebook

Unison Theory – Arctos

Ci sono molti gruppi che sono simili agli Unison Theroy ma molto pochi hanno la loro capacità compositiva e quell’impronta sonora che hanno solamente i grandi gruppi

Potenza e tecnica per questo debutto sulla lunga distanza degli Unison Theory, un gruppo davvero molto interessante.

La loro proposta sonora è un groove metal potente ed al di sopra delle maggioranza delle produzioni attuali. Il suono di Arctos è un possente monolite che al suo interno nasconde una miriade di stanze e cunicoli, dove gli Unison Thoery ci conducono per farci sentire il gelido soffio della potenza del loro suono. Il progetto Unison Theory ha subito diversi stop, dovuti ai purtroppo frequenti problemi di line up, ma Arctos è la migliore risposta a tutto ciò. Ci sono molti gruppi che sono simili ma pochi possiedono la loro capacità compositiva e quell’impronta sonora che hanno solamente i migliori. Ascoltando Arctos si comprende subito che siamo di fronte ad una band molto particolare e peculiare, che ha dalla sua davvero tanti pregi: nella loro musica si sente la vera passione per il metal e una continua ricerca sonora in questo ambito, che sta dando molti frutti. Un debutto davvero azzeccato e molto ma molto potente. Gli Unison Theory sono un gruppo che sta andando in una direzione ben precisa e che farà la gioia di molti.

TRACKLIST
1. DeepEye
2. Omega feat. Rafael Trujillo (Obscura)
3. Arrigetch: The Devil’s Passage
4. Project Shockwave feat. Tommaso Riccardi (Fleshgod Apocalypse)
5. Grendel
6. Level IV
7. Polar Sentinel
8. The Price Of Eternity

LINE-UP
Alexander Startsev – screams
Omar Mohamed – guitars
Simone Tempesta – drums

Marco Mastrobuono – bass guest

UNISON THEORY – Facebook

Peter Grusel und die Unheimlichen – Peter Grusel und die Unheimlichen

Un album che esalta, violento e rabbioso, puro metallo estremo moderno che, come una diga che cede, rovescia una devastante ondata di groove distruttivo e senza soluzione di continuità.

Certo che mi viene da ridere quando leggo di certi scienziati della carta stampata che non perdono l’occasione di attaccare l’underground, come se fosse un fastidioso effetto collaterale, sapendo benissimo che senza il sottobosco metallico i primi a fare le valigie e tornare dai propri cari (come si dice dalle mie parti) sarebbero proprio loro.

A darmi la carica in questo calda e drammatica fine estate 2016, tanto da partire al contrattacco, è questa fenomenale band tedesca, dal nome che riprende un famoso programma per bambini della tv tedesca, con tutti i componenti del gruppo che assumono il nome di Peter Grusel, così da evidenziare il mood sarcastico della band, ma che quando parte con l’opener Piss Christ è un attimo rendersi conto che non scherzano affatto.
Modern death metal irrobustito da bordate di groove, una produzione esplosiva e un’attitudine hardcore che si schianta a trecento orari contro un muro di brutal death, questo risulta il primo danno ai padiglioni auricolari che i Peter Grusel und die Unheimlichen arrecano con il primo ed omonimo album, un massacro di violenza estrema convogliata in un sound che udite, udite ha nell’appeal il suo strepitoso punto forte.
Infatti i brani che compongono l’album oltre ad essere una lezione di groove, hanno nell’assimilazione istantanea la loro maggiore dote: i cinque Peter Grusel con in testa una sezione ritmica da manicomio ed un vocalist stratosferico nel suo rabbioso growl, tengono sotto tiro l’ascoltatore con i cannoni, pronti a far fuoco dal primo all’ultimo secondo dell’album.
Immaginatevi i Soil di Scars in versione brutal, o i Pantera con la fissa per il death metal e più o meno avrete un’idea di che cosa vi aspetta all’ascolto delle varie e tonanti Crawling The Shitpipe, Abbatoir, Cast Away e Scumfuck.
Un album che esalta, violento e rabbioso, puro metallo estremo moderno che, come una diga che cede rovescia una devastante ondata di groove distruttivo e senza soluzione di continuità, bellissimo.

TRACKLIST
1. Piss Christ
2. Broke
3. Crawling The Shitpipe
4. Jeffrey
5. Cast Away
6. Abattoir
7. Waste Of Skin
8. Junkie
9. The Vulture
10. Scumfuck
11. Slaughtering Sheep
12. Abattoir (live)

LINE-UP
Peter Grusel – Vocals
Peter Grusel – Guitars
Peter Grusel – Guitars
Peter Grusel – Bass
Peter Grusel – Drums

PETER GRUSEL UND DIE UNHEIMLICHEN – Facebook

Underdamped System – Phantom Pain

Un gigante elettrico che travolge a colpi di groove metal e che farà fumare i vostri impianti stereo dal primo all’ultimo brano.

La Polonia nel mondo del metal non è solo terra foriera di sonorità death/black, come in tutti i paesi del mondo le varie scene pullulano di realtà dalle più svariate influenze.

A confermare ciò la Metal Scrap licenzia il debutto di questi Underdamped System, al debutto con questo devastante e monolitico Phantom Pain.
Groove metal, industrial, melodie psichedeliche e disturrbanti compongono il sound del gruppo di Częstochowa, nato nel 2008 ed arrivato solo ora al traguardo del primo full length.
Il quintetto si nutre di queste sonorità con un approccio senza compromessi li colloca perfettamente tra i Pantera ed il sound di Meshuggah e gruppi affini.
Una bella mazzata direte voi, ed infatti Phantom Pain urla la sua rabbia contro il decadimento del genere umano a colpi di metallo cadenzato, pura lava dal groove pesantissimo, un bombardamento di note rese ancora più estreme da destabilizzanti esplosioni di riff secchi, una vena industriale che nelle ritmiche si trasforma in rotolanti pezzi di granito psichedelici, continuando il suo incedere verso la distruzione totale di menti travolte e spogliate da ogni certezza.
Le urla belluine di stampo hardcore convincono, in questo lavoro ci si aggira tra le periferie grigie di una Polonia rabbiosa, povera e lasciata allo sbando, la rabbia viene convogliata ed amplificata da tremende esplosioni di metallo che scintilla sbattuto in faccia ad un sistema nemico dell’uomo comune, sempre più belva assetata di sangue, bestia che fagocita vite lasciate a marcire tra i casermoni e strade lacerate dal disfacimento.
Un pesantissimo monolite che si abbatterà sulle vostre teste, una raccolta di brani dove tutto viene amplificato da un sound dall’enorme mole, un gigante elettrico che travolge a colpi di groove metal e che farà fumare i vostri impianti stereo dal primo all’ultimo brano.
Potenzialmente siamo al cospetto di un gruppo che nel genere saprà farsi valere; le band storiche sono ancora lontane, ma gli Underdamped System accorceranno sicuramente il gap, va solo dato loro il tempo.

TRACKLIST
1. Phantom
2. Prophecy
3. Abyssus
4. Legacy
5. Coffin (Lid Encryption)
6. Device
7. Wrath
8. Exile
9. Pain

LINE-UP
David – drums
Jaca – guitar
Marcin – guitar
Radek – bass
Kamil – vocals

UNDERDAMPED SYSTEM – Facebook

Grizzlyman – Grizzlyman

Le peculiarità dei Grizzlyman sono potenza, precisione e la fusione di un ottimo groove sonoro, con la capacità di bilanciare momenti più pesanti ad altri più melodici

Debutto per un gruppo svedese che gioca già ad un livello superiore, anche per la varietà del passato musicale dei componenti.

Questi ultimi provengono da gruppi underground svedesi come 12 Gauge Dead, Prowess e il gruppo hardcore Damage. Uniti questi gusti diversi il risultato è un ottimo ep di esordio di stoner, un tocco di sludge e tanta carica, con molte idee diverse dentro, da momenti che possono ricordare gli Earthtone9 a cose più simili a sfoghi stoner. Questi tre pezzi sono un’ottima introduzione ad una carriera che sembra molto promettente. Le peculiarità dei Grizzlyman sono potenza, precisione e la fusione di un ottimo groove sonoro, con la capacità di bilanciare momenti più pesanti ad altri più melodici, con belle melodie e fughe notevoli. Il gruppo inglese si cimenta in sinfonie di musica pesante, con grande gusto e capacità, avendo il passo dei fuoriclasse. La produzione è ottima, e mette in risalto al meglio le capacità di un grande gruppo. L’ep è una delle prime tre uscite della Third I Rex, nuova etichetta di Watford, da seguire assolutamente anche nelle prossime occasioni, che saranno assai interessanti. Un grande inizio, per scoprire il nostro lato animale.

TRACKLIST
1.Adrift
2.Last King
3.Beneath/Rebirth

LINE-UP
Joel Ekman – Bass/Vocals
Christopher Davis – Guitar/Vocals
Emanuel Enbäre – Drums

GRIZZLYMAN – Facebook

Harvest – Omnivorous

Il gruppo riesce a coinvolgere per mezzo di una carica esplosiva dal buon impatto, anche se si può certamente migliorare, visto le buone potenzialità ed i piccoli difetti riscontrabili di norma in un’opera prima.

Nel nostro girovagare tra le scene metalliche mondiali giungiamo a Panama e, nella capitale, incontriamo i deathsters Harvest.

Omnivorous è un ep di sei brani più intro, che segue la tradizione estrema aggiungendo tonnellate di groove ed un’urgenza hardcore, specialmente nel growl ed in qualche riff.
La principale influenza del gruppo centroamericano sono i primi Sepultura, ma la band si muove con sufficente disinvoltura tra varie correnti senza perdere un grammo nell’impatto pesantissimo che le chitarre sature di groove imprimono al sound.
Un sound che implode, mai troppo veloce ma sofferto e cadenzato , una rabbia che si muove tra le sonorità estreme del death metal classico e la travolgente monolicità dei suoni estremi moderni, colpendo al volto con forza micidiale.
Non varia di molto l’atmosfera delle tracce, tutte pesantissime mentre scorrono nel vostro lettore una più roboante dell’altra con Hellraiser e la title track (la prima dal mood apocalittico, la seconda più varia e sostenuta dagli interventi di una clean vocal) che risultano quelle più interessanti dell’intera raccolta.
Non male come inizio, il gruppo sa tenere alta la tensione e la rabbia sprigionata avvolge Omnivorous in un’aura di drammaticità congeniata a dovere per descrivere il caos che ci circonda in questo nuovo millennio.
Il gruppo riesce a coinvolgere per mezzo di una carica esplosiva dal buon impatto, anche se si può certamente migliorare, visto le buone potenzialità ed i piccoli difetti riscontrabili di norma in un’opera prima.
La band per il futuro potrebbe riservare qualche sorpresa, magari con una sterzata decisa verso sonorità moderne che potrebbe essere opportuna, vista la buona riuscita dei brani che più si avvicinano al sound proposto dalle groove metal band odierne.

TRACKLIST
1. Intro (Wicked Beauty)
2. Lavinia
3. Medusoide
4. King of Nothing
5. Hellraiser
6. Omnivorous
7. Letchworth Hell

LINE-UP
Jocelyn Amado – Drums
Jaime “Ricky” Moreno – Guitars
Ernesto Gómez – Vocals

HARVEST – Facebook

Dead Earth Politics – Men Become Gods

Perfetto esempio di metal classico supportato da ritmiche dal groove modernissimo, il sound dei texani Dead Earth Politics risulta originale e alquanto convincente.

E da una decina d’anni che i Dead Earth Politics girano per gli States a far danni: la band di Austin, infatti, nasce nel 2005 per esordire in seguito con l’ep “Mark The Resistance”.

Era il 2008, e due anni dopo il gruppo licenziò il suo primo ed unico full length dal titolo “The Weight Of Poseidon”, seguito lo scorso anno dal secondo ep “The Queen of Steel”.
Con l’anno nuovo la band continua il suo ottimo lavoro, dando alle stampe l’ennesimo mini, questo bellissimo Men Become Gods, confermando l’ottima vena compositiva e l’originalità di un sound che pesca a piene mani dalla tradizione americana, per quanto riguarda il groove metal, e da quella europea amalgamandolo con straordinarie parti e solos di metal classico direttamente dalla NWOBHM e dalla vergine di ferro.
Quattro brani pregevoli, lunghi abbastanza per arrivare ad una ventina di minuti di durata complessiva, nei quali il gruppo statunitense dà sfoggio di tutte le sue capacità compositive e tecniche, così che, fin dall’opener Casting Stones veniamo travolti da ritmiche colme di groove, tra il metal moderno di band come i Lamb Of God, elementi classici portati dalla straordinaria macchina macina riff e assoli delle due asce (Tim Driscoll e Aaron Canady) ed una straordinaria predisposizione tutta americana per il southern epic metal, tra Corrosion of Conformity e Molly Hatchett (Ice & Fire), dualismo che si evince anche dalla copertina dall’illustrazione epica e le scritte moderne.
Ven Scott è un vocalist eccellente, che si trova a suo agio nelle parti dove con grinta e qualche accenno al growl segue le atmosfere più moderne dei brani, ma è dotato pure di un’estensione da vocalist metal di razza (Crimson Dichotomy); la ritmica sprizza groove potentissimo, pura lava incandescente che raffreddandosi crea un monolite pesantissimo su cui è strutturato il sound dei Dead Earth Politics (Will Little al basso e Mason Evans alle pelli).
Una band così deve assolutamente regalarci un full length al più presto: la musica dei nostri a tratti esalta, ed è un vero peccato che tutto finisca in così poco tempo.
Ed allora seguiamoli e aspettiamo fiduciosi perché con brani di questo livello e il doppio del minutaggio il risultato sarebbe clamoroso.

Tracklist:
1. Casting Stones
2. Men Become Gods
3. Ice & Fire
4. Crimson Dichotomy

Line-up:
Will Little – Bass
Mason Evans – Drums
Tim “TIMMEH!!” Driscoll – Guitars
Ven Scott – Vocals
Aaron Canady – Guitars

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Sinatras – Six Sexy Songs

Sei brani di death metal contaminato da sferragliante hard’n’roll e ipervitaminizzato da ritmiche grondanti groove

Riuniti sotto la bandiera del death’n’roll, cinque musicisti nostrani assemblati dal chitarrista Emanuele Zilio (Strange Corner) debuttano con questo ottimo ep , disponibile gratuitamente in download sul sito del gruppo.

Sei brani di death metal contaminato da sferragliante hard’n’roll e ipervitaminizzato da ritmiche grondanti groove, trascinante e sacrificato sull’altare del puro massacro on stage.
La band nostrana, con l’esperienza accumulata dai protagonisti, da parecchi anni sulla scena metallica, sa come far sanguinare strumenti e padiglioni auricolari: il loro metal estremo diverte e sconquassa, macinando riff su riff, tra tradizione death ed un’attitudine rock’n’roll che deborda dalle canzoni come un fiume di note, rompendo gli argini sotto un’alluvione di watt e invade e trascinando con sé i fan di queste sonorità i quali, per salvarsi, dovranno compiere un’impresa.
Le ritmiche colme di groove, molto cool di questi tempi, sono l’arma in più del combo che, sommato al death dei maestri Entombed dell’epocale “Wolverine Blues” e a un sound panterizzato e a tratti stonerizzato, rendono brani come Contamination, Sunshine e The Game assolutamente devastanti.
Sulla ottima Franck Is Back compare qualche accenno core nei suoni di chitarra e nel ritornello, mente il resto delle tracce sballotta l’ascoltatore tra il death scandinavo ed il metal statunitense.
La band a livello tecnico non offre il fianco a critiche, partendo dall’ottima prova del singer Fla, sul pezzo sia nel growl sia nelle clean vocals comunque sempre robuste e di impatto; la sezione ritmica si dimostra un motore a pieni giri (Lispio al basso e Jenny B. alle pelli) ed enorme risulta il lavoro delle due asce (Minkio e Lele), tra ritmiche forsennate e solos di dirompente impatto hard & heavy .
L’ep, immesso sul mercato per sondare il terreno prima di un futuro full length, dimostra tutte le ottime potenzialità della band nostrana, dunque l’ascolto è consigliato agli amanti del genere; il download gratuito è una mossa azzeccata da parte del gruppo, quindi, senza indugi, fatevi travolgere da questi sei brani sexy, non ve ne pentirete.

Tracklist:
1. Contamination
2. Frank Is Back
3. Sunshine
4. The Game
5. W.A.F.S.
6. All Or Nothing

Line-up:
Lele Sinatra – Chitarra
Fla Sinatra – Voce
Lispio Sinatra – Basso
Minkio Sinatra – Chitarra
Jenny B. Sinatra – Batteria

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Dogmate – Hate

Tutto da ascoltare il debutto dei romani Dogmate, un metal/stoner colmo di groove dall’ottimo impatto.

L’etichetta romana Agoge Records licenzia il debutto dei suoi concittadini Dogmate, band che strappa applausi a scena aperta con questo fottutissimo Hate, lavoro che sprizza groove da tutti i pori, con una riuscitissima amalgama di suoni stoner e grunge violentati da mazzate al limite del thrash; metallico il giusto per piacere non solo a chi è più orientato a suoni hard rock “alternativi”, l’album consta di dieci brani dal tiro pazzesco, suonati con un piglio da band navigata dai quattro musicisti.

I Dogmate nascono nel 2012 e ne fanno parte Ivan Perres (Ivn) alla batteria, che con l’aiuto di Roberto Fasciani (Jeff) al basso compone una sezione ritmica potentissima, Stefano Nuccetelli (Sk)che, alla sei corde, dichiara guerra con un chitarrismo che passa inesorabilmente molto vicino all’approccio degli axeman statunitensi del genere (Zakk Wylde ma anche il compianto Dimebag Darrell) ed il vocalist Massimiliano Curto (Mad Curtis), interprete doc per la musica della band con la sua tonalità sporca, a metà strada tra il citato Zakk e Pepper Keenan, ex-Corrosion of Conformity.
Si comincia con Buried Alive ed il gruppo ci va giù pesante, la sezione ritmica tiene il passo con bordate stoner belle grasse che si accentuano nei brani dove il sound si velocizza, strizzando l’occhio al metal panterizzato (Inflated Psychotic). Nel corso dell’album sono molteplici le band alle quali i Dogmate fanno riferimento, ma rimane a mio parere (e qui sta il bello) ad aleggiare su Hate il fantasma dei Corrosion of Conformity, sia quelli più hardcore degli esordi (“Technocracy”), sia nella veste alternativa del capolavoro “Blind”, per arrivare infine allo stoner da “Deliverance” ai giorni nostri; in più i nostri aggiungono riff panteriani ed elementi pescati dalla musica di Seattle per un risultato che a tratti ho trovato esaltante.
In questo esordio i Dogmate risultano una band compatta, i loro brani che non lasciano respiro ed affondano il colpo ad ogni passaggio e nella loro totalità spiccano la bellissime Witness of the Shamelessness, Hunter’s Mind, Mesmerizing Truth e la ballad conclusiva Black Swan, nella quale il vocalist lascia le consuete tonalità per avvicinarsi al Chris Cornell solista dell’intimista e maturo “Song Book”.
Disco da avere e da ascoltare, ennesima prova che ormai la differenza tra le nostre band underground e quelle del sogno americano si è ridotta al minimo.

Track list.
1. Buried Alive
2. Inflated Psychotic
3. Witness of the Shamelessness
4. Stripped & Cold
5. Dark in the Eyes
6. Me-Stakes
7. Hunter’s Mind
8. Mesmerizing Truth
9. World War III
10. Black Swan

Line-up:
Massimiliano “Mad Curtis” Curto – Voce
Stefano “Sk” Nuccetelli – Chitarra
Roberto “Jeff” Fasciani – Basso
Ivan “Ivn” Perres – Batteria

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