Bed Of A Nun – Waiting For A Visit

Profondo e maturo, scritto da musicisti di indubbia esperienza e talento, Waiting For A Visit lascia che le emozioni ci invadano

Arrivano all’esordio tramite Pure Rock Records, costola della label tedesca Pure Steel dedicata al rock, i Bed Of A Nun, creatura di quel genio musicale che è Günter Maier, ex chitarrista e leader degli Stygma IV prima e Crimson Cult poi, accompagnato in questa poetica avventura da Lem Enzinger ex Schubert e No Bros alla voce, Peter Bachmayer alle pelli e Alex Hilzensauer al basso.

Dimenticatevi il metallo progressivo dei clamorosi Stygma IV o il sound doom classico dei Crimson Cult, la nuova identità del chitarrista sposta le coordinate della sua musica verso lidi rock, molto poetici e melanconici, interpretati dal tono sofferto e cantautorale del singer, per un viaggio nella mente di un malato, solo con il suo dolore, i ricordi e la prossima vicinanza alla morte.
Trame acustiche che riempiono di suoni intimisti e tragici i brani, l’elettricità della sei corde che entra, con dolcezza nel sound altrimenti drammaticamente lieve del disco, sono le caratteristiche principali di quest’opera, che ha momenti davvero intensi, d’autore, molto emozionali nella sua tristezza di fondo.
A tratti la rabbia per quello che non è stato prende il sopravvento e ne escono song dal taglio rock velatamente progressivo (la bellissima Downstairs) e si esprime in tutta la sua potenzialità l’enorme talento di Maier, questa volta solo ed esclusivamente al servizio dei brani di Waiting For A Visit.
Ancora Deathless While, altro brano dall’elevata elettricità che scaturisce in ritmi sincopati, ed aperture melodiche spazzate via dal solos heavy di Maier, ma rimangono episodi di un lavoro che poggia le sue fondamenta sulla romantica poesia che, le trame acustiche e l’interpretazione vocale sono le indiscusse protagoniste, regalando tragiche perle come Rebel Boy, Autumn Train e The Last Song, terzetto dall’alto potenziale melanconico e chiusura di un album animato da sentimenti ed emozioni, al quale l’uomo magari non dà peso nel corso della propria vita, ma con cui prima o poi ci si deve confrontare.
Profondo e maturo, scritto da musicisti di indubbia esperienza e talento, Waiting For A Visit lascia che le emozioni ci invadano: un album che propone musica atmosfericamente forte, ancora più intensa proprio per la capacità di far male rimanendo legata a suoni acustici, ma dall’impatto emozionale di un carro armato.
Dove compare il chitarrista austriaco c’è sempre grande musica, bentornato Günter.

TRACKLIST
1. frozen
2. Jesus on a bicycle
3. Howl
4. face in the clouds
5. what is…
6. downstairs
7. marble beauty
8. deathless while
9. bullet thoughts
10. rebel boy
11. autumn train
12. the last song

LINE-UP
Günter Maier – guitars
Lem Enzinger – vocals
Peter Bachmayer – drums
Alex Hilzensauer – bass

BED OF A NUN – Facebook

Slivovitz – All You Can Eat

In questa civiltà fatta di tanto a poco o di poco a tanto, il valore delle cose si è perso, come negli all you can eat che ormai riempono ogni luogo di questa nostra nazione.

Eppure qualcosa di valoroso e di tenace c’è ancora, soprattutto nella musica. Ad esempio questo disco degli Slivovitz, ensemble napoletano di gran valore. Nati nel 2001 sono il collettore per molti tipi di musica, dal free jazz, al prog più moderno, addirittura qualcosa di easy listening. Il tutto composto e suonato con grande sagacia e bravura, in totale controllo nell’esplorazione di anfratti conosciuti all’interno delle nostre ovvie esistenze. Ascoltandoli, ed ognuno nella musica può e deve sentirci ciò che più gli aggrada o gli pare, mi fanno venire in mente un incrocio tra Indukti, Ozric Tentacles e il free jazz. Insomma, situazioni nuove e musica che ti porta dove non sai e sarà bellissimo. I partenopei incidono per la newyorkese Moonjune Records, una Tzadik molto più malleabile e varia. All You Can Eat è molto bello e davvero free da tante cose, libero di essere ascoltato e gustato.
Il disco è stato stampato grazie ad una raccolta fondi su Musicraiser.

TRACKLIST
1. Persian Night
2. Mani In Faccia
3. Yahtzee
4. Passannante
5. Barotrauma
6. Hangover
7. Currywuster
8. Oblio

LINE-UP
PIETRO SANTANGELO: tenor & alto sax
MARCELLO GIANNINI: electric & acoustic guitars
RICCARDO VILLARI: acoustic and electric violin
CIRO RICCARDI: trumpet
DEREK DI PERRI: harmonica
VINCENZO LAMAGNA: bass guitar
SALVATORE RAINONE: drums

SLIVOVITZ – Facebook

Lucid Recess – Alive And Aware

Siamo in territori cari al moderno rock alternativo, mantenendo però un mood progressivo, come capita in molte delle band uscite negli ultimi tempi e che prendono spunto dalle opere di Tool e dei gruppi alternative più maturi

L’India non è solo paese di metal estremo o classico, ma nell’underground, vivono e si generano realtà musicali che si dedicano ad ogni genere di cui si può vantare il metal/rock e infatti ecco che, a portare alta la bandiera dell’alternative ci pensano i bravissimi Lucid Recess, band di Guwahati al secondo lavoro, che segue il debutto Engraved Invitation di cinque anni fa.

Il trio è composto dai fratelli Barooa, Amitabh voce e basso e Siddharth alla sei corde e responsabile di registrazione, mixaggio e masterizzazione di questo Alive And Aware.
Completa la line up il batterista Partha Boro,per una band che risulta un’autentica sorpresa, dall’alto di un songwriting ispirato e maturo, dal sound che mantiene per tutta la sua durata un approccio molto intimista ed elegante, non mancando di elettrizzare con buone sfuriate che si avvicina al metal.
Siamo in territori cari al moderno rock alternativo, mantenendo però un mood progressivo, come capita in molte delle band uscite negli ultimi tempi e che prendono spunto dalle opere di Tool e dei gruppi alternative più maturi (gli indimenticabili Creed, per esempio, o gli A Perfect Circle) creando musica che, con calma e il dovuto tempo per essere assimilata, lascia la piacevole sensazione di essere al cospetto di un gruppo di buon spessore.
Si può scrivere di tutto su questo lavoro, ma è indiscutibile la voglia dei Lucid Recess di uscire da spartiti banali, per un approccio intellettuale alla materia, i brani, anche nei momenti leggermente più metallici, mantengono quel quid di progressiva eleganza che affascina, accompagnati dall’interpretazione al microfono di Amitabh molto sentita, senza strafare, ma artisticamente perfetta.
Gli strumenti in mano ai musicisti indiani, si trasformano nelle calde voci di sirene ammaliatrici e veniamo così ipnotizzati per un’oretta di musica sognante, sempre in bilico tra l’urgenza del rock alternativo e le atmosfere dilatate del rock progressivo, in un viaggio musicale dove non mancano le sorprese, senza però uscire dai binari del genere suonato.
Non mancherà di piacere questo lavoro ai rockers moderni, magari lascerà qualcosa indietro per i fans del classico prog, ancorati allo scoglio che li lega a vecchi dinosauri settantiani, ma brani come The Clock That Is Us, Metamorphosis, Island e la conclusiva suite Sphere of Nothingness, dimostrano come il gruppo, riesce nell’intento di rispecchiare il rock moderno, staccato da cordoni ombelicali ormai obsoleti, creando musica non solo suonata bene, ma che emoziona … provateli, meritano.

TRACKLIST
1. Dead Deep End
2. The Clock That Is Us
3. Wireless Junkies
4. Madness
5. Metamorphosis
6. You May Have Everything
7. Time Walk
8. What Made This Burn
9. Island
10. Changes Are Sold
11. Sphere of Nothingness

LINE-UP
Amitabh Barooa – Vocals, Bass
Siddharth Barooa – Guitars, Backing Vocals
Partha Boro – Drums, Percussion

LUCID RECESS – Facebook

Ape Machine – Coalition Of The Unwilling

La produzione è sontuosa e tutto funziona alla perfezione, e il quartetto di Portland ci regala la sua migliore prova.

Suono potente e psichedelico totalmente calato negli anni settanta, eseguito con grande passione e talento. Ma se ci fermasse a questo piano sarebbe fare un’ingiustizia agli Ape Machine.

La loro musica è fortemente anni settanta ma è rielaborata da un gusto moderno che la arricchisce ancora di più. La psichedelia pesante la fa da padrone in Coalition Of The Unwilling, insieme ad uno stile compositivo di ampio respiro che rende questo disco un piccolo gioiello per gli amanti di certe sonorità che vengono da lontano ma che non si sono mai perdute.
Negli Ape Machine convivono elementi dei Clutch con scatti alla Mastodon, e schitarrate più pro, il tutto in salsa psych.
La produzione è sontuosa e tutto funziona alla perfezione, e il quartetto di Portland ci regala la sua migliore prova.
Disco da meditazione psichedelica.

TRACKLIST
1. Crushed From Within
2. Disband
3. Give What You Get
4. Under This Face
5. Ape’N’Stein
6. Never My Way

LINE-UP
Caleb Heinze – Vocals
Ian Watts – Guitar
Brian True – Bass
Damon De La Paz – Drums

APE MACHINE – Facebook

Isaak – Sermonize

Sermonize è l’avanguardia della Genova Pesante e lo sarà per un bel pezzo.

Tornano impetuosamente gli Isaak, gran gruppo genovese di stoner rock e tanto altro.

Sermonize è a partire dalla fantastica copertina di Richey Beckett un disco potente e fresco, con un fortissimo gusto di southern. Personalmente quando ascolto gli Isaak mi sembra che siano stati fra i pochissimi gruppi che abbiano recepito pienamente la lezione dei Kyuss, ovvero rendono benissimo la sensazione di deserto che era nella musica degli americani. Infatti questo disco ha un groove desertico e caldo che lo rende speciale. Di gruppi stoner o dintorni ve ne sono moltissimi, ma la sensazione di movimento e di compattezza che hanno questi genovesi lo hanno in pochi. La loro musica compie evoluzioni melodiche immersa nella calda sabbia del deserto e quando meno te lo aspetti scatta fuori dalla sua tana per azzannarti alla gola, ed ucciderti dolcemente. Già il disco di debutto era stato ottimo, ed ancora prima i Gandhi’s Gunn, la loro incarnazione pre Isaak, erano passi avanti. Sermonize porta il discorso ad uno se non due livelli superiori, sia per la composizione diventata più dura e personale, che per l’esecuzione più intensa che mai.
Gli Isaak hanno acquistato malizia e scaltrezza, riuscendo a rendere il disco un fortino senza punti deboli, dove tutti fanno il loro compito alla perfezione suonando uno stoner rock che in Italia non fa nessuno e che avrà sicuramente molta eco anche all’estero, visti anche i numerosi concerti fuori dai nostri confini che hanno fatto.
Sermonize colpisce a fondo e come un’endorfina ne vorresti ancora ed ancora.
Melodie e compattezza, sono questi i punti di forza del disco, che si può ascoltare su livelli differenti, ponendo l’accento su di un giro di chitarra o su una rullata particolare, se non sulla gran voce di Giovanni Boeddu in costante crescita . Da registrare l’entrata nel gruppo di Gabriele Carta al basso al posto di Massimo “ Maso “ Perasso, l’uomo Taxi Driver che proprio insieme agli Isaak fa parte di quel gruppo di persone che hanno fatto tanto per la Genova pesante, portando grandi gruppi e proponendo ottima musica in maniera accessibile a tutti.
Sermonize è l’avanguardia della Genova pesante e lo sarà per un bel pezzo.

TRACKLIST
1 – Whore Horse
2 – The Peak
3 – Fountainhead
4 – Almonds & Glasses
5 – Soar
6 – Showdown
7 – Yeah (Kyuss)
8 – Lucifer’s Road (White Ash)
9 – Lesson n.1
10 – The Frown Reloaded
11 – The Phil’s Theorem
12 – Sermonize

LINE-UP
Giacomo H Boeddu :Vocals
Andrea Tabbì De Bernardi : Drums / Vocals
Francesco Raimondi : Guitars
Gabriele Carta : Bass

ISAAK – Facebook

Blind Marmots – Blind Marmots

Il disco omonimo dei Blind Marmots potrebbe piacere agli amanti di vari generi, ma soprattutto a chi vuole divertirsi ascoltando musica che non appesantisce.

Nella vita bisognerebbe , almeno in teoria, prendere una decisione e schierarsi.

I Blind Marmots lo hanno fatto con decisione : fanno musica pesante e rumorosa, si drogano bevono e soprattutto sono molto autoironici. I ragazzi in questione sono veterani della scena alternativa padovana, e come loro stessi affermano erano partiti per suonare stoner rock e hard rock anni 70, poi gli abusi hanno preso il potere ed il tutto è diventato CrossStoner…
Cosa sarebbe lo crosS toner ? E’ un miscuglio di stoner, sludge, noise, grunge e qualcos’altro, suonato veloce e senza generi inibitori.
Sia quel che sia è la musica che fanno i Blind Marmots, ed è molto divertente e piacevole.
Nonostante molti cambi di formazione, e diverse vicissitudini i nostri sono arrivati a pubblicare questo primo disco, mettendolo in download gratuito sul loro bandcamp .
Come valore aggiunto i nostri sono molto auto ironici e ciò si riflette sui testi, che sono divertenti come la musica e soprattutto c’è aria di spensieratezza, e non è poco.
Il disco omonimo dei Blind Marmots inoltre potrebbe piacere agli amanti di vari generi, ma soprattutto a chi vuole divertirsi ascoltando musica che non appesantisce.
Un buon debutto.

TRACKLIST
1.LETHAL CYCLE OF THE MARMOT
2.TE SACO LA MIERDA
3.DESPISE
4.EAT THE MAGGOTS
5.INSIDE THE WOOD
6.KILL YOUR PARENTS
7.KALEIDOSOUP – MADCHILDREN

LINE-UP
carlo toffano – lead guitar
thomas corelli – guitar
ale “teuvo” segantin – voice
luca campagnaro – drums
pietro gori – bass guitar

BLIND MARMOTS – Facebook

Celeb Car Crash – ¡Mucha Lucha!

Singolo apripista del nuovo album per i Celeb Car Crash.

Singolo apripista del futuro secondo album per l’alternative rock band nostrana Celeb Car Crash, segnalatasi nel 2013 con il debutto “Ambush!”, uscito nel 2013 e che molto bene fu accolto dagli addetti ai lavori.

Fresco di firma per la Sliptrick Records e reduce da un tour che li ha visti di spalla ai grandi Lacuna Coil, il quartetto sforna tre brani rock molto belli, che pescano tanto dal post grunge quanto dal rock alternativo di questi ultimi anni, rendendo così l’attesa per il nuovo parto ancora più interessante.
L’America è al centro del songwriting ed uno squisito gusto per ritmiche mai scontate porta il gruppo ad uscire prepotentemente dall’affollato mondo dell’underground rock grazie ad un sound ispirato, impreziosito dalla performance dell’ottimo cantante Nicola Briganti e ad un rock che graffia pur conservando un’eleganza di fondo.
Because I’m Sad è il singolo, una rock song che parte semiacustica per poi esplodere in elettricità , dall’ottimo appeal e costruita per piacere senza scendere nel patetico rock da classifica.
Segue Next Summer, trascinata da un riff hard rock e molto Alter Bridge nel refrain anche se la mia preferita resta ¡Adiós Talossa! (tututu) , ottima canzone aperta dal suono delle trombe, che si trasforma in un brano tra Nirvana e Foo Fighters, con le ritmiche e le atmosfere che cambiano tra elettricità ed una tristezza di fondo, solo stemperata dai cori ariosi e dall’ottimo ritornello.
Band interessante, i Celeb Car Crash mostrano un songwriting davvero ispirato, anche se tre tracce sono ancora poche per trarre conclusioni definitive;, non ci resta che aspettare l’arrivo del nuovo lavoro che, viste le premesse, non dovrebbe deludere gli appassionati dell’alternative rock.

Tracklist:
1.Because I’m sad
2.Next Summer
3.¡Adiós Talossa! (tututu)

Line-up:
Nicola Briganti – Voce, Chitarra
Carlo Alberto Morini – Chitarra
Simone Benati – Basso
Michelangelo Naldini – Batteria

CELEB CAR CRASH – Facebook

Helfir – Still Bleeding

Per chi ama le sonorità oggi simboleggiate dai vari Moss, Patterson e dai fratelli Cavanagh, Still Bleeding è un album assolutamente imperdibile.

Non è così frequente riscontrare una perfetta corrispondenza tra le influenze dichiarate da un musicista e ciò che confluisce poi nei suoi dischi: tutto questo accade, invece, in occasione dell’ esordio un veste solista del salentino Luca Mazzotta con il suo progetto Helfir.

Nella relativa pagina Facebook si fa riferimento ad Antimatter, Anathema, Katatonia, Porcupine Tree e Alternative 4, ed effettivamente in Still Bleeding Mazzotta prima assimila, per poi amalgamare mirabilmente, quanto prodotto da tutte queste magnifiche band.
Indubbiamente, in percentuale è l’impronta fornita da Mick Moss quella che si manifesta in maniera più evidente, ma Luca ha il grande merito di non limitarsi ad una citazione sbiadita o didascalica, mettendoci invece del proprio a livello compositivo e presentando un lotto di brani pressoché inattaccabile.
Certo, del musicista inglese manca l’inconfondibile timbro che da solo rende speciale qualsiasi canzone, ma l’interpretazione di Mazzotta è ugualmente efficace e, soprattutto, capace di toccare le giuste corde disseminando l’album di momenti dal grande spessore emotivo, anche in virtù di un eccellente lavoro chitarristico.
Se vogliamo dirla tutta, due tra le band che Luca colloca tra i propri numi tutelari, sto parlando di Porcupine Tree (e dello stesso Wilson solista) e Katatonia, da diverso tempo non riescono a produrre lavori coinvolgenti come questo magnifico esordio targato Helfir.
Un disco da godersi immergendosi in toto nelle sue note che non tradiscono mai, con l’unica punta di opacità riscontrabile nel sentore folk di Dresses Of Pain; nient’altro che il classico pelo nell’uovo di un disco che meraviglia ed avvince con la bellezza non comune di My Blood, Alone, Black Flame, decisamente all’altezza degli Antimatter e degli Alternative 4 più ispirati, e di Night And Deceit, splendido brano dai suoni più robusti e dal flavour dark, per certi versi accostabile agli ultimi The Foreshadowing, che chiude nel migliore dei modi l’ispirato lavoro di questo bravissimo musicista nostrano.
Per chi ama le sonorità oggi simboleggiate dai vari Moss, Patterson e dai fratelli Cavanagh, Still Bleeding è un album assolutamente imperdibile.

Tracklist:
1.Oracle
2.My Blood
3.In The Circle
4.Alone
5.Dresses Of Pain
6.Black Flame
7.Portrait Of A Sun
8.Where Are You Now?
9.Night And Deceit

Line-up:
Luca Mazzotta – Vocals, Guitars, Bass, Keyboarrds, Drums Programming

HELFIR – Facebook

Artic Fire – Lower And Louder

Buon esordio di questa band portoghese dedita al credo nirvaniano ed ai suoni di Seattle.

Il grunge: molti negli anni novanta tacciarono il genere come la morte del metal, incolpandolo di chissà quali torti, mentre invece fu una benedizione per tutto il circuito musicale gravitante intorno a quel mondo.

Infatti, mai come nei primi anni novanta i media diedero spazio al rock, trascinati dalla moda grunge che, chiariamolo subito, con la musica aveva poco a che fare, ed i giovani kids di tutto il mondo sulla scia di Nirvana, Soundgarden e compagnia di Seattle ebbero l’opportunità di conoscere le band storiche (molte di queste chiaramente metal) a cui i nuovi eroi del rock si ispiravano.
Come in tutti i periodi d’oro di un genere, a livello di popolarità, anche nel grunge, accanto alle band che segnarono un epoca, uscirono sul mercato anche realtà che durarono lo spazio di un album, tranciate sul nascere dalla morte di Kurt Cobain e dalla definitiva caduta di tutto il movimento.
Come al solito rimangono i grandi, le band e gli artisti che da ottimi interpreti si trasformano in icone e miti continuando a sfornare ottima musica aldilà delle mode e di ciò che “tira” in quel preciso momento.
Nell’underground poi, chi continua a suonare il rock degli anni novanta sono molti, tra cui questo trio portoghese proveniente dalla capitale, all’esordio discografico con un buon esempio di rock alternativo, o grunge come preferite chiamarlo, molto nirvaniano e riconducibile ai primi passi delle band più famose del suono di Seattle.
Lower And Louder, senza far gridare al miracolo, si compone di cinque brani devoti al credo di Cobain e soci, inserendo qua e là atmosfere stoner, in linea con i suoni del momento.
Ne esce uno stile musicale che, pur fortemente debitore nei confronti della band di “Nevermind” e “In Utero”, possiede comunque una sua vita propria di cui specialmente le due ottime Take Me All The Way e Two, poste in chiusura, sono gli esempi migliori.
Gli Artic Fire, formati da Pedro (chitarra e voce), Alex (basso) e Alexia (batteria), ci consegnano un buon Ep, carico di quegli elementi che fecero il botto vent’anni fa e che ancora oggi, con buona pace dei detrattori, continuano ad arrivare a noi tramite ottimi seguaci che ne hanno colto l’eredità.

Tracklist:
1.Running
2.Prozac Addict
3.Give Me A Cancer
4.Take Me All The Way
5.Two

Line-up:
Pedro – Guitars, Vocals
Alex – Bass
Alexia – Drums

ARTIC FIRE – Facebook

Dogmate – Hate

Tutto da ascoltare il debutto dei romani Dogmate, un metal/stoner colmo di groove dall’ottimo impatto.

L’etichetta romana Agoge Records licenzia il debutto dei suoi concittadini Dogmate, band che strappa applausi a scena aperta con questo fottutissimo Hate, lavoro che sprizza groove da tutti i pori, con una riuscitissima amalgama di suoni stoner e grunge violentati da mazzate al limite del thrash; metallico il giusto per piacere non solo a chi è più orientato a suoni hard rock “alternativi”, l’album consta di dieci brani dal tiro pazzesco, suonati con un piglio da band navigata dai quattro musicisti.

I Dogmate nascono nel 2012 e ne fanno parte Ivan Perres (Ivn) alla batteria, che con l’aiuto di Roberto Fasciani (Jeff) al basso compone una sezione ritmica potentissima, Stefano Nuccetelli (Sk)che, alla sei corde, dichiara guerra con un chitarrismo che passa inesorabilmente molto vicino all’approccio degli axeman statunitensi del genere (Zakk Wylde ma anche il compianto Dimebag Darrell) ed il vocalist Massimiliano Curto (Mad Curtis), interprete doc per la musica della band con la sua tonalità sporca, a metà strada tra il citato Zakk e Pepper Keenan, ex-Corrosion of Conformity.
Si comincia con Buried Alive ed il gruppo ci va giù pesante, la sezione ritmica tiene il passo con bordate stoner belle grasse che si accentuano nei brani dove il sound si velocizza, strizzando l’occhio al metal panterizzato (Inflated Psychotic). Nel corso dell’album sono molteplici le band alle quali i Dogmate fanno riferimento, ma rimane a mio parere (e qui sta il bello) ad aleggiare su Hate il fantasma dei Corrosion of Conformity, sia quelli più hardcore degli esordi (“Technocracy”), sia nella veste alternativa del capolavoro “Blind”, per arrivare infine allo stoner da “Deliverance” ai giorni nostri; in più i nostri aggiungono riff panteriani ed elementi pescati dalla musica di Seattle per un risultato che a tratti ho trovato esaltante.
In questo esordio i Dogmate risultano una band compatta, i loro brani che non lasciano respiro ed affondano il colpo ad ogni passaggio e nella loro totalità spiccano la bellissime Witness of the Shamelessness, Hunter’s Mind, Mesmerizing Truth e la ballad conclusiva Black Swan, nella quale il vocalist lascia le consuete tonalità per avvicinarsi al Chris Cornell solista dell’intimista e maturo “Song Book”.
Disco da avere e da ascoltare, ennesima prova che ormai la differenza tra le nostre band underground e quelle del sogno americano si è ridotta al minimo.

Track list.
1. Buried Alive
2. Inflated Psychotic
3. Witness of the Shamelessness
4. Stripped & Cold
5. Dark in the Eyes
6. Me-Stakes
7. Hunter’s Mind
8. Mesmerizing Truth
9. World War III
10. Black Swan

Line-up:
Massimiliano “Mad Curtis” Curto – Voce
Stefano “Sk” Nuccetelli – Chitarra
Roberto “Jeff” Fasciani – Basso
Ivan “Ivn” Perres – Batteria

DOGMATE – Facebook

Hangarvain – Best Ride Horse

Esordio bomba per i napoletani Hangarvain con il loro Best Ride Horse, hard rock zeppo di influenze southern e post grunge.

Comincio ad avere un’età, e botte di vita come questo disco lasciano il segno su un vecchio sognatore metal/rocker come me che, per non farsi mancare nulla, deve anche spiegare le sensazioni provate nell’ascoltare una decina di canzoni che ti entrano nelle vene e cominciano a circolare nell’organismo: la pressione si alza, le tempie sembrano esplodere ed è quasi impossibile rimanere seduti e insomma, tutto questo quando non si è più dei ragazzini può anche far male …

La Red Cat immette sul mercato questa bomba sonora dei napoletani Hangarvain, dal titolo Best Ride Horse, dieci brani nei quali  l’hard rock americano ricamato di fantastiche sfumature southern ed il post grunge si incontrano e, amoreggiando, danno alla luce una creatura perfetta, una raccolta di hit da infilare nell’autoradio del vostro “cinquefette” (beh siamo in Italia, non scordiamolo) e partire liberi, dalla Valtellina alla Sicilia, trasformando le vie della nostra penisola nelle infinite super strade americane. Sergio Toledo Mosca è il fantastico cantore di tanta meraviglia, voce dal tiro micidiale che diventa malinconicamente southern nelle splendide ballad che profumano di Lynyrd Skynyrd, strappando più di una lacrima al vecchio di cui sopra. Alessandro Liccardo, alla sei corde, è invece colpevole di far saltare le coronarie a suon di riff su riff stracolmi di groove, per poi tornare ad imbastire accordi acustici al limite del roots; Alessandro Stellano al basso e Andrea Stipa alle pelli sono la gettata di cemento su cui è costruito il sound degli Hangarvain, una sezione ritmica tostissima, piena, sempre presente e aiutata da una produzione da top band ad opera dello sesso chitarrista. Dai primi due pezzi (Through the space and time e Get on) si intuisce subito che l’album non farà prigionieri, con due bordate hard rock trasudanti groove, con quel quid post grunge (su tutti i Creed) che piacerà anche ai più giovani, ma a mio parere sono le ballad a fare la differenza e la prima di queste è già un capolavoro (Turning back on my way). Free bird e Knock back doors tornano su ritmi sostenuti ma più vicini alla frontiera americana, mentre Way to salvation è l’ennesima buona ballad; Hesitation sorprende per l’uso della doppia voce, una creediana e l’altra che sembra provenire direttamente dai primi anni settanta, prima che Father to shoes ci avvolga nel più confortevole spirito southern: un brano capolavoro con inizio acustico e la chitarra che prende per mano il pezzo con riff da applausi a scena aperta. Last time e la conclusiva A life for Rock’n’roll mettono la parola fine a un disco di assoluta eccellenza, da far ascoltare e riascoltare a chi ci chiede perché amiamo tanto il rock: Best Ride Horse è la migliore risposta.

Tracklist:
1.Through the space and time
2.Get on
3.Turning back on my way
4.Free bird 5.Knock back doors
6.Way to salvation
7.Hesitation
8.Father shoes
9.Last time
10.A life for rock’n’roll

Line-up:
Sergio Toledo Mosca – Vocals
Alessandro Liccardo – Guitars,Backing Vocals
Alessandro Stellano – Bass, Backing Vocals
Andrea Stipa – Drums

The Sunburst – Tear Off The Darkness

Gran bel disco l’esordio dei savonesi The Sunburst, il meglio dell’ultimo ventennio di hard rock alternativo tutto in un unico album.

Questo è il classico album che, se registrato da una band americana, farebbe sfracelli occupando anche le copertine della stampa specializzata, quella con le copertine lucide e le recensioni da tre righe, ma, purtroppo per loro, i The Sunburst sono liguri (Savona) e allora, pur avendo concepito un gran disco d’esordio, sono destinati a lottare e non mollare mai.

Il loro Tear Off The Darkness è un album di hard rock alternativo nel quale le influenze del passato si sentono chiaramente pur risultando un disco moderno, fresco, suonato benissimo, cantato ancora meglio, che non ha (appunto) nulla da invidiare ai pur ottimi prodotti che giungono dagli States. Curiosi? Bene, allora fare un passo indietro è doveroso per conoscerli meglio: la band nasce nel 2012 da un idea della coppia Davide Crisafulli (cantante e chitarra ritmica) e Luca Pileri (chitarra solista), ai qiuali si aggiunge la sezione ritmica composta da Stefano Ravera alla batteria e, in questo 2014, Francesco Glielmi al basso. In quello stesso anno, con la prima line-up, registrano un Ep ai Nadir Studios di Tommy Talamanca ottenendo recensioni positive, facendo diverse date dal vivo e, dopo uno stop di qualche mese, i The Sunburst riprendono la strada che porta a Tear Off The Darkness. L’inizio dell’album è da ovazione, con Follow Me che riempie la stanza con un riff corposo ed un ritornello cantabile già al primo ascolto, talmente è bello e memorizzabile; scopriamo così che alla band piace andare giù pesante, grazie ad assoli melodici e accelerazioni ritmiche non così distanti dal metal, con Davide che si conferma un signor cantante: la sua voce bella e carismatica affascina e rapisce, e siamo solo alla prima traccia. Infatti arrivano Something Real e la stupenda The Flow, dal riffone alla Black Label Society a farci ormai innamorare di questo bellissimo lavoro; si continua a viaggiare su territori di eccellenza con Be Yourself, con le chitarre ora all’unisono, ora con parti soliste melodiche ad ergersi a protagoniste del brano, altro potenziale singolo, così come Left Behind. Gli Alter Bridge sono forse il riferimento che ad un primo ascolto più di altri escono maggiormente allo scoperto, soprattutto a mio parere l’uso della voce di Davide, dallo stile più metallico come accade nella band americana, ma è un po’ tutta la scena degli ultimi vent’anni ad essere assimilata dai nostri. Louder Than Love, il disco più bello dei Soundgarden, è tutto nel riff di Rising, conclusiva e stupenda song che inizia come e meglio di Hands All Over, picco di quel magnifico lavoro, per poi virare su umori più personali con un rallentamento a metà brano ed una sfuriata conclusiva con la quale tutta la band si congeda alla grande. Prodotto benissimo, l’album è stato registrato ai Greenfog Studios di Mattia Cominotto a Genova per poi essere masterizzato e mixato ad Imperia negli Ithil World Studios da Giovanni Nebbia. Mai avuto dubbi sulle qualità delle nostre band quando si tratta di rock alternativo ma un lavoro come questo, assieme a quello degli Swallow My Pride recensito ultimamente, dimostrano ancora una volta che in Italia ci sono tutte le potenzialità per giocarsela alla pari con il resto del panorama musicale internazionale, basta volerlo e supportare una scena che lo merita.

Tracklist:
1.Follow me
2.Something real
3.The flow
4.Be yourself
5.Left behind
6.Unforgiven
7.Another day
8.Rising

Line-up:
Davide Crisafulli – Voce,Chitarra ritmica
Luca Pileri – Chitarra solista
Stefano Ravera – Batteria
Francesco Glielmi – Basso

THE SUNBURST – Facebook