Lords Of Salem – Hell Over Salem

Hell Over Salem è consigliato agli amanti dell’horror metal, del gothic rock e dell’hard rock a stelle e strisce, e rappresenta per la band una partenza con il botto, a cui si spera faccia seguito al più presto un nuovo lavoro sulla lunga distanza.

Nel mondo dell’underground metallico la sorpresa è sempre dietro l’angolo ed un ep arrivato in mezzo a tante proposte più importanti, può diventare un piacevole incontro con una nuova band.

Succede con i Lords Of Salem, band tedesca che lancia sul mercato questa bomba di quattro brani intitolata Hell Over Salem, un perfetto ed irresistibile mix tra Danzig, Motley Crue e Rob Zombie.
I quattro brani non risparmiano potenza, attitudine rock’n’roll e sfumature dark alternative, con il vocalist Postel a guidare il quartetto di zombie apocalittici come un novello Glenn Danzig.
L’opener Monster Girl ci invita al sabba consumato sul Sunset Boulevard, la title track è un brano horror metal dal taglio moderno, Zombie Monkey Woman e Rock ‘n’ Roll Machine danno il la alla trasformazione degli astanti in un gruppo di vampiri famelici che faranno incetta di sangue al ritmo di Hell Over Salem, come in un remake di Dal Tramonto all’Alba.
Accompagnato da una bellissima copertina e da una produzione assolutamente professionale, Hell Over Salem è consigliato agli amanti dell’horror metal, del gothic rock e dell’hard rock a stelle e strisce, e rappresenta per la band una partenza con il botto, a cui si spera faccia seguito al più presto un nuovo lavoro sulla lunga distanza.

Tracklist
01. Monster Girl
02. Hell Over Salem
03. Zombie Monkey Woman
04. Rock ‘N’ Roll Machine

Line-up
Postel – Vocals
Arian – Guitars
Marple – Bass
Alex – Drums

LORDS OF SALEM – Facebook

The Awakening – Chasm

Chasm non è un album che farà epoca ma è anche molto più di un semplice ascolto gradevole: le coordinate essenziali del gothic rock vengono riproposte senza ritrosia e in maniera del tutto competente.

Chasm segna il ritorno dei The Awakening, band del prolifico musicista e produttore sudafricano Ashton Nyte, oggi di stanza in California.

L’impressione derivante dal primo ascolto di quest’album è strana, nel senso che per chiunque abbia amato band come Sisters Of Mercy, Fields Of The Nephilim e The Mission imbattersi nei i primi arpeggi di Other Ghosts e nella voce profonda di Ashton si rivela una sorta di ritorno a casa, che lascia però alla fine di questo primo passaggio un velo di perplessità dovuto soprattutto all’apparentemente eccessiva leggerezza ed orecchiabilità dei brani.
Gli ascolti successivi diventano quindi necessari per far sì che queste dieci canzoni penetrino al di sotto dell’epidermide lasciando le opportune cicatrici. Ashton ha tutta l’esperienza che serve per rimodulare la propria voce ed adattarla a tutte le opportune sfumature del sound proposto: più profondo, tra McCoy e Eldritch, nei brani maggiormente ruvidi ed inquieti, più suadente ed evocativo in quota Murphy-Hussey allorché i brani si fanno più ariosi e melodici.
Del resto, Nyte possiede le necessarie credenziali per permettersi tali riferimenti senza apparire solo un eccellente copista, alla luce delle innumerevoli e importanti collaborazioni che vanta nel corso dell sua ventennale carriera, costellata da una abbondante doppia cifra di album usciti a suo nome o come The Awakening.
Chasm non è un album che farà epoca ma è anche molto più di un semplice ascolto gradevole: le coordinate essenziali del gothic rock vengono riproposte senza ritrosia e in maniera così competente da annullare qualsiasi cattivo pensiero relativo alla possibile obsolescenza di queste sonorità.
Ecco quindi il ritorno a casa di cui si parlava all’inizio, tanto più gradito quando l’artista in questione non è solo bravo e brillante nel proprio ambito, ma è anche lodevolmente in prima linea da anni per combattere qualsiasi discriminazione di genere, per cui, almeno per quanto mi riguarda, il piacere nell’ascoltare bellissime canzoni come Shore, About You, Raphael Awake, Gave up the Ghost e Hear Me non può che risultare rafforzato

Tracklist:
1. Other Ghosts
2. Shore
3. About You
4. Raphael Awake
5. Back To Wonderland
6. Gave up the Ghost
7. Savage Freedom
8. A Minor Incision
9. Hear Me
10. Shadows In The Dark

Line-up:
Ashton Nyte

THE AWAKENING – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=NG1y-5i__Gw

The Cascades – Phoenix

I The Cascades regalano tredici brani davvero gradevoli e ben costruiti, per un risultato finale che non può esser imprescindibile per la sua marcata derivatività ma che resta decisamente pregevole ed oltremodo ben accetto da parte di noi “diversamente giovani”.

Molti tra quelli un po’ meno giovani che, a cavallo tra gli ani ottanta e novanta, si sono beati delle sonorità gotiche che diedero una meritata fama ai Sisters Of Mercy prima e poi ai The Mission, sono inevitabilmente attratti reunion estemporanee, concerti o nuove uscite dagli esiti contraddittori che vedono ancora all’opera antichi eroi come Andrew Eldritch o Wayne Hussey.

A colmare la voglia di riascoltare qualcosa di simile, ma in una verse più attuale, arrivano i tedeschi The Cacasdes, band tutt’altro che composta da giovanotti imberbi, visto che la sua nascita è avvenuta sempre in quei formidabili anni anche se la trentennale carriera è stata molto meno fortunata rispetto a quella dei mostri sacri citati.
Dopo un lungo silenzio il gruppo guidato da Markus Wild ritorna con un lavoro di inediti che si rivela un vero godimento per chi, ai tempi, consumò le proprie copie viniliche di First And Last And Always e Gods’ Own Medicine; da questi questi indizi si può facilmente dedurre che Phoenix potrà avere tuti i pregi di questo mondo fuorché l’originalità ma, sinceramente, non ce ne può importare di meno.
Brani come Dark Daughter’s Diary e Phase 4 entrano sottopelle a grande velocità e fanno precipitare la memoria in un immaginario fatto di personaggi nero vestiti sempre affascinanti e carismatici, anche se a qualcuno oggi potrebbero apparire irrimediabilmente obsoleti.
Essendo un album uscito nel 2018, Phoenix non si nutre esclusivamente di quelle più antiche pulsioni, ma si aggiorna anche alle derive che il gothic sound ha preso in questi tempi, acquisendo il più lascivo incedere melodico dei The 69 Eyes (The World Is Yours) ma anche le asprezze che coincidono soprattutto con gli episodi in lingua madre (Ihr Werdet Sein), senza dimenticare di omaggiare una band formidabile, pur se avulsa da tale contesto, come gli Hüsker Dü coverizzandone in maniera eccellente il brano Diane.
In definitiva, i The Cascades regalano tredici brani davvero gradevoli e ben costruiti, per un risultato finale che non può esser imprescindibile per la sua marcata derivatività ma che resta decisamente pregevole ed oltremodo ben accetto da parte di noi “diversamente giovani”.

Tracklist:
01. Avalanche
02. Blood Is Thicker Than Blonds
03. Dark Daughter’s Diary
04. Phase 4
05. Station No. E
06. Phoenix
07. Behind The Curtain
08. This World Is Yours
09. Superstar
10. Ihr Werdet Sein
11. Zeros And Ones
12. Diane (Hüsker Dü cover)
13. Für F.

Line-up:
M. W. Wild – Vocals
Morientes daSilva – Guitars
Markus Müller – Keyboards / Programming

THE CASCADES – Facebook

Oberon – Aeon Chaser

La grandezza di Oberon risiede nel suo trattare argomenti di grande profondità, rivestendoli di una struttura musicale sicuramente ricercata ma nel contempo alla portata di un pubblico più ampio, proprio in virtù idi un afflato melodico che costituisce l’asse portante di un sound sempre ricco ed originale.

Dopo qualche anno è un vero piacere ritrovare Oberon, il quale mi incantò nel 2014 con il suo Dream Awakening, album che ne segnava il ritorno sulle scene dopo un lunghissimo silenzio.

Il musicista norvegese oggi si ripresenta dopo aver reso il suo antico progetto solista una band vera e propria, ed il risultato che ne scaturisce è un lavoro che se, da un lato, smarrisce in parte quella magia che ne ammantava il predecessore, d’altro canto acquista uno spessore più rock, con diverse divagazioni nel gothic di matrice novantiana, ovviamente in una versione riveduta, corretta ed arricchita dal talento di Bard Titlestad.
Quella che ne consegue è sempre e comunque una prova di livello sublime, grazie ad un lotto di brani affascinanti, vari e ricchi di intuizioni melodiche nei momenti più soffusi, coinvolgenti allorché il passo assume ritmi più spediti.
Inutile dire che almeno per gusto personale la preferenza va a canzoni di cristallina bellezza come To Live To Die, Worlds Apart, Lost Souls, in cui elementi neo folk si mescolano sapientemente a pulsioni cantautorali dalle reminiscenze buckleyane, andando a comporre un magnifico quadro.
Che dire poi della splendida Laniakea, in odore di progressive con il suo fluido lavoro chitarristico, della travolgente Walk In Twilight, della gotica perfezione di The Secret Fire, altri punti di forza di un album ricco dal punto di vista musicale e come sempre profondo anche a livello lirico, visto che per Bard la musica è sempre stata anche (se non soprattutto) il veicolo per esprimere le proprie elaborate convinzioni filosofiche.
Nelle note di accompagnamento si afferma che Oberon vede l’arte come un progetto sciamanico, ma la cosa che più sorprende è che tale obiettivo venga perseguito tramite una forma musicale tutt’altro che ostica o fatta da interminabili composizioni ritualistiche; la grandezza di Bard risiede nel suo trattare argomenti di grande profondità, rivestendoli di una struttura musicale sicuramente ricercata ma nel contempo alla portata di un pubblico più ampio, proprio in virtù idi un afflato melodico che costituisce l’asse portante di un sound sempre ricco ed originale.

Tracklist:
1.Omega
2.Walk In Twilight
3.To Live To Die
4.Black Aura
5.The Secret Fire
6.Worlds Apart
7.Laniakea
8.Surrender
9.Lost Souls
10.Brother Of The Order
11.Magus Of The Dunes

Line-up:
Bard Oberon: vocals, guitars, bass, keyboards, percussion
James F.: guitars
Jan Petter Sketting: guitars, percussion
Tory J. Raugstad: drums

OBERON – Facebook

Martyr Lucifer – Gazing at the Flocks

Gazing at the Flocks è un album che merita un’attenzione diversa da quelle che molto spesso viene rivolta nei confronti di estemporanei progetti paralleli; Martyr Lucifer, nonostante il monicker faccia riferimento al singolo musicista, ha tutte le sembianze della band vera e propria e come tale va considerata, con tutte le positività che la cosa implica.

Gazing at the Flocks è il terzo full length marchiato Martyr Lucifer, progetto dell’omonimo leader degli Hortus Animae.

Come avevamo già visto in passato, qui non si rinvengono tracce di black metal bensì un sound maturo e molto curato, a cavallo tra dark wave e gothic con più di una digressione alternative; anche per questo motivo l’album scorre in maniera piuttosto lineare e gradevole, senza necessitare di diversi ascolti per apprezzare i buoni spunti melodici ed i chorus disseminati al suo interno.
Ecco, forse questa ingannevole sensazione di leggerezza può costituire il solo limite di un’opera ben costruita e che vede protagonisti, oltre al musicista romagnolo con il suo timbro profondo e molto adatto al genere, la vocalist ucraina Leìt, l’arcinoto Adrian Erlandsson alla batteria e l’ottimo ungherese Nagaarum alla chitarra, oltra a Simone Mularoni a fornire il proprio contributo in sala d’incisione non solo al di là del vetro ma anche al basso.
Il risultato è quindi oltremodo soddisfacente, tanto più dopo aver constatato che, in effetti, ad ogni successivo passaggio nel lettore molti brani rivelano interessanti sfumature sfuggite al primo approccio; se, da una parte, non ci troviamo di fronte ad un’opera epocale, va dato atto a Martyr Lucifer d’aver assemblato un lavoro privo di particolari punti deboli ma, semmai, con diversi picchi rappresentati dalla suadente Benighted & Begotten (notevole il duetto vocale) e le centrali Feeders, aka Heterotrophy / Saprotrophy e Leda and the Swan Pt. 1; resta, alla fine l’impressione d’aver ascoltato musica di qualità, collocabile senz’altro nella scia delle band guida del genere (Tiamat, The 69 Eyes) ma anche, a tratti, del Peter Murphy solista, il che è indicativo di un’oscurità diffusa che avvolge Gazing at the Flocks conferendogli un’aura a suo modo differente rispetto ai modelli citati.
In buona sostanza Gazing at the Flocks è un album che merita un’attenzione diversa da quelle che molto spesso viene rivolta nei confronti di estemporanei progetti paralleli; Martyr Lucifer, nonostante il monicker faccia riferimento al singolo musicista, ha tutte le sembianze della band vera e propria e come tale va considerata, con tutte le positività che la cosa implica.

Tracklist:
1. Veins of Sand Pt. 1
2. Veins of Sand Pt. 2
3. Bloodwaters
4. Feeders, aka Heterotrophy / Saprotrophy
5. Leda and the Swan Pt. 1
6. Leda and the Swan Pt. 2
7. Wolf of the Gods
8. Somebody Super Like You
9. Benighted & Begotten
10. Spiderqueen
11. Flocks
12. Halkyónē’s Legacy, aka The Song of Empty Heavens

Line-up
Martyr Lucifer – vocals, synth, programming
Leìt – vocals
Adrian Erlandsson – drums
Nagaarum – guitars
Simone Mularoni – bass (session)

MARTYR LUCIFER – Facebook

Mindwalker – Burning Past

Burning Past è una piacevole sorpresa in arrivo da uno dei paesi del Sudamerica meno conosciuti in ambito metal/rock, e se amate il genere il consiglio è quello di non perdervelo.

Hard rock melodico di classe attraversato da una vena gotica e romantica per una raccolta di brani piacevolmente raffinati racchiusi in una quarantina di minuti.

Loro sono i Mindwalker, progetto del musicista peruviano Daniel Roman (Battlerage / Valkiria) e Burning Past è il secondo lavoro sulla lunga distanza dopo l’esordio licenziato un paio di anni fa (Walking Alone).
Accompagnato dal singer Chris Clancy (Mutiny Within/Wearing Scars) Roman crea un sound molto intrigante, sempre in bilico tra la decadenza romantica del gothic/dark moderno e l’hard rock melodico, con il vocalist che interpreta le tracce con il dovuto trasporto, e le tastiere che ricamano tappeti musicali su cui poggia tutta la struttura del sound.
Burning Past non rinuncia alla giusta dose di grinta hard & heavy, la chitarra tiene le ritmiche alte, specialmente nei brani più grintosi, anche se l’eleganza del songwriting fa dell’album un ottimo esempio di rock melodico.
Street Of Dust apre le danze entrando subito nel vivo, con tastiere e chitarra in evidenza così come l’ottima interpretazione di Clancy che fanno di Burned To A Crisp e Heart Of Stone piccoli gioielli gothic rock, nei quali le raffinate melodie fanno la differenza.
Cercando di trovare degli utili paragoni per i lettori, direi che siamo al cospetto di un sound che unisce le parti meno progressive dei Nightingale di Dan Swano con gli Him e i Sentenced più melodici (Chains Of Fear).
Burning Past è una piacevole sorpresa in arrivo da uno dei paesi del Sudamerica meno conosciuti in ambito metal/rock, e se amate il genere il consiglio è quello di non perdervelo.

Tracklist
1.Street Of Dust
2.Fearlessly
3.Burned To A Crisp
4.Mad World
5.Heart Of Stone
6.Puppeteers
7.I Can´t Breathe
8.Signs
9.Chains Of Fear
10.Nothing There

Line-up
Daniel Roman – Composed , recorded , mixed and mastered
Chris Clancy – Vocals
Mike Lukanz – Drums

MINDWALKER – Facebook

The Creptter Children – Asleep With Your Devil

Asleep With Your Devil ci presenta una manciata di brani piacevoli: la band appare più a suo agio quando indurisce i suoni, e questa è la strada da seguire in previsione di un futuro full length per viaggiare sicura tra le notturne vie del gothic metal.

I The Creppter Children sono un duo proveniente da Melbourne, attivo dal 2006 e con un full length all’attivo uscito tre anni dopo (Possessed), formato dalla cantante Iballa Chantelle e da Nator Creppter, chitarrista alle prese anche con synth e batteria programmata.

Asleep With Your Devil è il loro nuovo lavoro in formato ep, composto da cinque brani di rock melodico dalle tinte dark, con accenni al gothic metal da balera, pregno di chorus ruffiani e qualche nota chitarristica che, ogni tanto, assume posizioni più metalliche rispetto al trend dei brani presenti.
Sintetico e liquido in molti frangenti, il sound dei The Creppter Children pesca dal movimento gotico con un tocco alternative di matrice statunitense, specialmente quando i toni si fanno leggermente più duri (Killer, Watching You).
Il resto viaggia con il pilota automatico, Iballa Chantelle a tratti signora dark dai toni lascivi lascia la sua sensuale impronta nella conclusiva Watching You, il brano più riuscito di questo mini cd, con ritmiche e synth che strizzano l’occhio al black metal sinfonico per poi tornare su lidi più moderni e cool.
Asleep With Your Devil ci presenta quindi una manciata di brani piacevoli: la band appare più a suo agio quando indurisce i suoni, e questa è la strada da seguire in previsione di un futuro full length per viaggiare sicura tra le notturne vie del gothic metal.

Tracklist
1.Asleep With Your Devil
2.Crazy
3.It’s A Game
4.Killer
5.Watching You

Line-up
Iballa Chantelle – Vocals
Nator Creppter – Guitars, Synth, Drums programming

THE CREPTTER CHILDREN – Facebook

This Void Inside – My Second Birth/My Only Death

Se siete amanti del gothic metal come dal più tradizionale dark rock, My Second Birth/My Only Death risulta un album molto suggestivo, in grado di mantenere un’alta qualità per tutta la sua durata e conseguentemente l’attenzione di chi ascolta.

Il dark rock ha sempre mantenuto un orgoglioso distacco dalle sonorità e dall’approccio metal almeno per tutti gli anni ottanta, più vicino per molti aspetti alla new wave.

Poi con l’arrivo dell’ultimo decennio del vecchio millennio, il successo del gothic metal ed i riferimenti alle band storiche del genere (i più gettonati sono Depeche Mode e Sisters Of Mercy) da parte di molte band metal, ha portato ad una più stretta vicinanza tra le sonorità notturne che vanno per la maggiore come dark, gothic e symphonic metal.
I romani This Void Inside fanno parte di quelle band che hanno sviluppato il proprio suono rimanendo legati ad un approccio più classico al genere, anche se non possono certo essere considerati un gruppo vintage così come neppure prettamente metal.
Gothic dark rock, quindi, dall’alto appeal e dalle ottime melodie, messe in risalto dalla sempre presente componente elettronica che rende il sound assolutamente perfetto per i club mitteleuropei, e di conseguenza dal respiro internazionale.
La band nasce nel 2003 come one man band dell’ex frontman dei My Sixth Shadow, Dave Shadow, in seguito trasformatasi in un gruppo a tutti gli effetti: My Second Birth/My Only Death è il secondo lavoro in uscita per Agoge Records, successore del debutto intitolato Dust uscito ormai dieci anni fa.
I This Void Inside sono fprmati da appunto Dave Shadow (voce, synth e programming), Saji Connor (basso), Frank Marrelli e Alberto Sempreboni (chitarre) e Simone “Some” Gerbasi (batteria), all’album hanno contribuito in veste di ospiti su di un brano, Max Aguzzi (Dragonhammer) e Diego Reali (ex DGM, Hevidence), mentre la produzione è stata affidata al boss della label Gianmarco Bellumori.
L’album è un ottimo esempio di gothic dark rock, tra tradizione e moderni spunti avvicinabili al metal, specialmente nei suoni delle chitarre a tratti granitici, mentre le splendide linee vocali, i cori e i refrain dall’appeal considerevole aiutano il fluido scorrere delle note romantico/notturne create dal gruppo; i brani sono caratterizzati da atmosfere che si insinuano nella testa, fluide ed eleganti, tra parti sintetiche e altre più rock creando la giusta alternanza tra le sfumature principali che animano il sound di brani come Relegate My Past, Trapped in a Daze, Losing My Angel e la teatrale The Artist and the Muse (dove compare un recitato in lingua madre).
Se siete amanti del gothic metal come dal più tradizionale dark rock, My Second Birth/My Only Death risulta un album molto suggestivo, in grado di mantenere un’alta qualità per tutta la sua durata e conseguentemente l’attenzione di chi ascolta: le band di riferimento che escono allo scoperto tra le trame del disco dipendono molto dal background di ognuno di voi, non resta che scoprirle senza indugi.

Tracklist
01. My Second Birth / My Only Death (Intro)
02. Betrayer MMXVIII
03. Relegate My Past
04. Memories’ Dust
05. Trapped In A Daze
06. Here I Am
07. Another Fucking Love Song
08. Losing My Angel
09. Meteora
10. Ocean Of Tears
11. All I Want Is U
12. Break Those Chains
13. The Artist And The Muse (Bonus Track)
14. Downtrodden (Bonus Track)

Line-up
Dave Shadow – Vocals,synths & programming
Saji Connor – Bass and backing vocals
Frank Marrelli – Lead guitars
Alberto Sempreboni – Rhythm guitars
Simone “Some” Gerbasi – Drums

THIS VOID INSIDE – Facebook

Roterfeld – Hamlet At Sunset

Consigliato agli amanti del gothic dark più melodico, l’album è destinato a ripetere il successo del suo predecessore, almeno tra chi è frequentatore abituale della vita notturna nei club mitteleuropei, da sempre molto ricettivi quando si parla di queste sonorità.

Dopo il discreto successo del primo album Blood Diamond Romance, torna con un nuovo lavoro il vocalist austriaco Aaron Roterfeld.

Il gruppo a cui dà il proprio nome vede alla chitarra Marc Filler e alla batteria Andre Schwarz: il sound prodotto è un buon esempio di gothic dark rock ispirato dai gruppi ottantiani, ma con un tocco moderno ed alternativo.
Molto vario e melodico, Hamlet At Sunset è composto da una raccolta di brani dall’appeal elevato, specialmente se siete legati al genere: cantate sia in inglese che in tedesco, le tracce presenti riescono sicuramente a soddisfare tanto i fans dei Sisters Of Mercy come quelli degli Him.
Aaron Roterfeld è in possesso di una voce calda e molto vicina a quella di Ville Valo, ergendosi a protagonista di un album che alterna dinamiche tracce di rock alternativo dal feeling romanticamente ombroso a brani gotici e dark.
Raffinato e melodico, Hamlet At Sunset lascia che sia l’atmosfera notturna e malinconica il leit motiv che accompagna canzoni come No Friend Of Mine, I Want More o King Of This Land, anche se è tutto l’album a mostrare un songwriting lineare e dall’approccio immediato.
A tratti il groove risveglia l’anima moderna, alter ego di un’attitudine dark rock espressa con eleganza dal singer austriaco, mattatore indiscusso di questo lavoro.
Consigliato agli amanti del gothic dark più melodico, l’album è destinato a ripetere il successo del suo predecessore, almeno tra chi è frequentatore abituale della vita notturna nei club mitteleuropei, da sempre molto ricettivi quando si parla di queste sonorità.

Tracklist
1. No Friend Of Mine
2. Bring Your Own Star To Life
3. I Want More
4. Flieg
5. Black Blood
6. King Of This Land
7. Sea Of Stones
8. Father And Son
9. Great New Life (Reborn)
10. You Are The One I’d Spend All My Money

Line-up
Aaron Roterfeld – Vocals
Andre Schwarz – Drums
Marc Filler – Guitars

ROTERFELD – Facebook

The Damned – Evil Spirits

Evil Spirits è comunque una buona prova per un gruppo che difficilmente sbaglia disco, anche se i vecchi Damned erano tutt’altra cosa.

Nuovo capitolo di una delle carriere più lunghe e tenaci della storia del punk rock.

Secondo molti i The Damned furono i primi a pubblicare un singolo ed un disco punk rock nonché i primi ad andare in tour negli States. Come si può facilmente intuire la questione è più complicata, ma questa non è la sede adatta per dirimerla. I The Damned sono stati invece sicuramente il primo gruppo punk rock ad introdurre forti elementi gothic nella loro opera. Evil Spirits è la loro prima apparizione su disco dal 2008, quando pubblicarono So, Who’ S Paranoid, e ha visto la luce grazie alla raccolta fondi dei fans: si tratta di un lavoro pop gothic, molto inglese nella sua essenza, ovvero con melodie e atmosfere quasi alla Smiths e con il cantato di Vanian che è, come sempre, una delle cose migliori dei Damned. Il confronto con i dischi passati è impossibile da fare, perché i Damned prima erano un’altra cosa, e comunque anche questo disco è qualitativamente buono. Un po’ come per l’ultimo disco dei The Adicts, i suoni fin troppo curati e i volumi contenuti non riescono a rendere quella magia degli anni passati, anche se l’intelaiatura è presente. Il disco è scorrevole, l’organo di Monty Oxymoron fa un grandissimo lavoro, anzi è forse l’attore protagonista, però si sente che i The Damned portano a casa il risultato perché sono un gruppo che ha molto talento e mestiere, che contrappongono alla mancanza di idee. E allora si buttano sulla melodia, che certamente non è mai mancata, e grazie a questa si salvano. Ci sono canzoni migliori delle altre, e forse se la durata media delle stesse fosse minore il discorso sarebbe più compatto. Evil Spirits è comunque una buona prova, per un gruppo che difficilmente sbaglia disco, anche se, come detto,  i vecchi Damned erano tutt’altra cosa.

Tracklist
01. Standing On The Edge Of Tomorrow
02. Devil In Disguise
03. We’re So Nice
04. Look Left
05. Evil Spirits
06. Shadow Evocation
07. Sonar Deceit
08. Procrastination
09. Daily Liar
10. I Don’t Care

Line-up
David Vanian – Vocals
Captain Sensible – Guitar
Monty Oxy Moron – Keyboard
Pinch – Drums
Paul Gray – Bass

THE DAMNED – Facerbook

Nox Interna – A Minor Road

A Minor Road dice ancora poco sui Nox Interna odierni, se non il fatto d’esser in presenza di un musicista dal buon potenziale che deve trovare ancora la sua forma d’espressione ideale e più completa.

Nox Interna è il nome del progetto gothic rock del musicista spagnolo Richy Nox, di stanza però da diversi anni a Berlino.

Il sound offerto in questo ep contenente tre brani e del tutto in linea con le aspettative del genere, con un’offerta che si colloca nella scia di band ben note sul suolo tedesco come Mono Inc., quindi dal buon impatto melodico ed una spruzzata di ruvidezza inferta da qualche riff più deciso, anche se a livello di influenze vengono citati tra gli altri i Sisters Of Mercy dei quali, francamente, non è che se ne rivengano soverchie tracce oggi, a differenza dei lavori precedenti nei quali il sound appariva molto più cupo e screziato di pulsioni industriali.
La title track è senz’altro gradevole ma non esalta, molto meglio allora Doom Generation, più accattivante e varia e dalle maggiori chances di fare breccia negli ascoltatori.
Il terzo brano è la stracoverizzata Entre Dos Tierras degli Heroes del Silencio, brano che si ascolta sempre volentieri e che Richy Nox ripropone in versione più ritmata, senza ovviamente sfigurare nella parte cantata potendolo interpretare in lingua madre.
A Minor Road dice ancora poco sui Nox Interna odierni, se non il fatto d’esser in presenza di un musicista dal buon potenziale che deve trovare ancora la sua forma d’espressione ideale e più completa.

Tracklist:
1. A Minor Road
2. Doomed Generation
3. Entre Dos Tierras

Line-up:
Richy Nox

NOX INTERNA – Facebook

Blut – Inside My Mind Part II

Inside My Mind Part II è una passeggiata tra le vie illuminate dalla fredda luce dei lampioni di una città oscura e decadente, trasformata da una mente malata in una città di creature bizzarre, un sorta di circo gotico presentato con estrema cura dal suo inventore e presentatore, Alessandro Schümperlin.

Questa creatura industrial/gothic chiamata Blut è il progetto del musicista Alessandro Schümperlin, che licenzia il suo secondo lavoro intitolato Inside My Mind Part II.

Quando ho letto Blut, la mia mente è andata agli Atrocity ed alla loro famosa opera dal concept vampiresco uscita nel 1994, ma di altra natura risulta questo lavoro, orchestrato su una base elettronica, campionamenti ed altre diavolerie per un risultato che tutto sommato può soddisfare gli amanti dei suoni sintetici, anche se il gruppo non manca di variare il sound e teatralizzare l’approccio.
Impreziosito dalla voce femminile della bravissima Marika Valli degli Eternal Silence, l’album si avvale di una buona alternanza di atmosfere dark, con qualche accenno alla new wave anni ottanta, (Depeche Mode) e da ombrose tinte gotiche, lasciando che il tappeto sintetico sia sempre l’assoluto protagonista.
Inside My Mind Part II risulta così una passeggiata tra le vie illuminate dalla fredda luce dei lampioni di una città tetra e decadente, trasformata da una mente malata in una città di creature freaks, un circo gotico presentato con estrema cura dal suo inventore e presentatore, Alessandro Schümperlin.
Intorno si aggirano personaggi e suoni che fanno da contorno alla voce del leader, mentre ci prende per mano e ci accompagna in un oscuro locale dove suonano dance anni ottanta ed elettronica tedesca.
L’album arriva alla fine senza grossi picchi ma neanche particolari cadute, riuscendo a non far perdere l’attenzione in chi ascolta, tra accenni ai soliti Rammstein quando la sei corde alza la voce.
Se la musica elettronica ed il gothic/dark fanno parte dei vostri abituali ascolti, Inside My Mind Part II potrebbe rivelarsi una sorpresa, altrimenti rivolgete le vostre attenzioni altrove, perchè My Naked Soul (splendida) e gli altri brani che compongono l’opera non fanno per voi.

Tracklist
1.Double Trouple
2.Reduplicative
3.Jerusalem Calls Me
4.A Matter of Choice
5.Kesswill 25-07-1875
6.Sigmun Freud ist mein Nachbar
7.Wind Ego
8.My Naked Soul
9.Folly of Two
10.Ekbom
11.Jerusalem Calls Me extended version

Line-up
Alessandro Schümperlin – voice, programming, backing voice, producer and (de)composer
Marika Vanni – Voice and backing vocals
Valentina Carlone – Dancer and performes
Fabio Attacco – Bass, backing vocals
Andrea “Ceppo” Faglia – Guitars
Alessandro Boraso – Drums

BLUT – Facebook

Ode In Black – Seeds Of Chaos

L’album si lascia ascoltare con un certo agio, lasciando una sensazione gradevole ma dalla durata nel tempo effimera come l’esistenza di una farfalla.

Non vi siete ancora rassegnati del tutto all’uscita di scena dei Sentenced e del loro personale approccio melodico e malinconico al gothic rock/metal ? Se vi accontentate dei surrogati potrebbe essere allora il caso di dare un ascolto al primo full length degli Ode In Black.

Seeds Of Chaos è il frutto finale di un percorso che ha preso il via all’inizio del decennio da parte di questa band (manco a dirlo) finlandese, la quale prende come riferimento la creatura che fu di Vile Laihiala e soci, ne ammorbidisce talvolta l’impatto guardando agli altri connazionali Him e The 69 Eyes e dal mix non può che venirne fuori un lavoro gradevole, orecchiabile ma ovviamente dalla ridottissima personalità.
Questo avviene non solo quando l’adesione ai modelli citati è pressoché totale (l’opener Fountain Of Grief parla chiaro al riguardo), ma anche nei momenti in cui gli Ode In Black provano a distaccarsene, mettendo in scena sia un brano piuttosto intenso per il suo crescendo come The Mirror, sia una più insipida Burden, con un chorus simil Ten che sembra appiccicato a forza, la sensazione d’avere già sentito qualcosa di molto simile chissà dove e quando è tangibile.
Il risultato di tutto questo è un album che si lascia ascoltare con un certo agio, lasciando una sensazione gradevole ma dalla durata nel tempo effimera come l’esistenza di una farfalla: se nel tirare le somme i brani migliori dell’album sono quelli che sembrano degli outtakes di The Cold White Light e The Funeral Album (Fountain Of Grief e Lullaby For The Innocent) è evidente come gli Ode In Black difficilmente potranno essere ricordati per la loro personalità.
Va detto che la band, comunque, prova ogni tanto ad immettere nel proprio sound iniezioni di più tradizionale hard rock e, quando ciò avviene in maniera più fluida, i risultati non sono affatto disprezzabili (la title track e Burn The Candle From Both Ends) lasciando aperta una strada che, pur essendo già stata calpestata da altre centinaia di band, non costringerebbe l’ascoltatore a fare dei paragoni con uno specifico gruppo storico nei riguardi del quale il confronto non può che risultare impari.

Tracklist:
1. Fountain Of Grief
2. The Sea In Which We Drown
3. Goodbye
4. Seeds Of Chaos
5. The Mirror
6. Burden
7. The Lone Wolf
8. Burn The Candle From Both Ends
9. Devil’s Kin
10. Of A Thousand Lies
11. Lullaby For The Innocent

Line-up:
Pasi Mäenpää – vocals
Iiro Saarinen – guitars & backing vocals
Juhani Saarinen – lead guitar
Ville Puustinen – bass
Taisto Ristivirta – drums

ODE IN BLACK – Facebook

Cradle Of Haze – Sirenen

Musica della notte, oscura e melanconica, linfa e sangue per i vampiri da club mitteleuropei, ma ottimo anche per chi normalmente predilige ascolti più cool come il gothic metal.

Tornano dopo quattro anni i Cradle Of Haze, duo tedesco attivo da quasi vent’anni e con una discografia che conta altri dieci full length.

Sirenen è dunque l’undicesimo album di questa dark gothic band che segue la tradizione del genere radicata nel loro paese, cantato rigorosamente in lingua madre e completato da una versione remix, inclusa nella confezioni, di sette dei quattordici brani proposti da Thorsten Eligehausen e Anni Meier.
L’album si ascolta piacevolmente, i brani sotto l’aspetto melodico sono ottimi, le ritmiche seguono la marzialità del sound dei Rammstein ma senza toccare assolutamente lidi metallici e rimanendo ancorato piuttosto alle oscure trame dark rock che al sottoscritto hanno in più di una occasione ricordato i Lacrimosa di Tilo Wolf.
Molto dark rock, sfumature gotiche ed elettronica presa in prestito dalla new wave ottantiana è ciò che contiene Sirenen, con il vocione di Eligehausen reso ancor più aspro dalla lingua tedesca, mentre tappeti di synth e ottime aperture chitarristiche rendono l’ascolto vario e dall’ottimo appeal.
Siamo nel più puro sound della notte e dall’opener e primo singolo Alphatier si entra nel mondo delle luci soffuse, degli indumenti in lattice e delle lascive tentazioni, mentre i brani si susseguono e si arriva in fondo alzando il volume sempre più.
Per chi ha vissuto senza paraocchi gli anni d’oro del dark rock, Sirenen è un ottimo ritorno alle atmosfere che hanno influenzato non poco il gothic metal odierno, ovviamente sotto una forma più liquida dove l’elettronica ha un’importanza fondamentale.
Musica della notte, oscura e melanconica, linfa e sangue per i vampiri da club mitteleuropei, ma ottimo anche per chi normalmente predilige ascolti più cool come appunto il gothic metal.

Tracklist
1. Kinder der Nacht
2. Alphatier
3. Kein Ideal
4. Sternenlicht
5. Ohne dich
6. Sirenen
7. Lied 07
8. Vagabunden
9. Seine Sicht
10. Seid ihr bereit
11. Kellerspiele
12. Lobotomie
13. Du schmeckst so gut
14. Hannahs Song

Remix Edition:
1. Kinder der Nacht (Narcotic Elements Remix)
2. Alphatier (Narcotic Elements Remix)
3. Kein Ideal (Narcotic Elements Remix)
4. Sternenlicht (Narcotic Elements Remix)
5. Sirenen (Narcotic Elements Remix)
6. Kellerspiele (Narcotic Elements Remix)
7. Du schmeckst so gut (Narcotic Elements Remix)

Line-up
Thorsten Eligehausen – All music, lyrics, instruments, vocals
Anni Meier – Backing vocals

Special guest: Marc Vanderberg (guitar solo on Hannahs Song)

CRADLE OF HAZE – Facebook

The Fright – Canto V

Canto V è un disco che non riesce smuovere l’ascoltatore a livello emotivo, risultando perfetto ad un livello superficiale ma rivelandosi, alla lunga, privo della necessaria profondità.

Recentemente ho avuto modo di parlare di ottimi dischi catalogabili in quel settore, in verità abbastanza sfaccettato, definibile post punk / dark wave, prima grazie all’interpretazione più eterea e, a tratti, intimista dei Soror Dolorosa e, successivamente, con il robusto e goticheggiante incedere dei magnifici Grave Pleasures.

Tocca oggi ai tedeschi The Fright mettersi alla prova in tale ambito con Canto V, che richiama nel titolo sia un’ispirazione lirica dantesca sia la progressione numerica di quello che, infatti, è il loro quinto full length.
Qui l’orientamento è sì verso sonorità dark ma ampiamente contaminate da un’anima hard rock, tanto che il più delle volte la proporzione tra gli ingredienti base appare tranquillamente invertita.
L’opener Bonfire rimanda in maniera evidente ai The Cult e come partenza non sarebbe affatto male, visto che il brano si imprime nella memoria in maniera abbastanza convincente: da lì in poi però si susseguono tracce che si muovono in maniera ondivaga tra Him, Sentenced e The 69 Eyes, con ampie aperture melodiche ed un’orecchiabilità che troppe volte sconfina in un’insostenibile leggerezza, senza che i The Fright possiedano a sufficienza la sensualità dei primi, il background metal dei secondi e l’indole gotica dei terzi, e la stessa Oblivion è una potenziale hit che però sembra provenire dalla discografia più recente della band di Jirky, coincidente appunto con una fase che ha visto prevalere la forma sulla sostanza.
Il risultato che ne consegue è un disco che non riesce smuovere l’ascoltatore a livello emotivo, risultando perfetto ad un livello superficiale ma rivelandosi, alla lunga, privo della necessaria profondità.
Del resto non può essere neppure un caso il fatto stesso che il brano più convincente, alla fine, sia In Sicherheit, cover della punk band tedesca Fliehende Stürme, alla quale anche l’utilizzo della lingua madre dona quell’aura decadente che purtroppo latita nel resto del lavoro.
Nonostante Canto V sia fondamentalmente indirizzato ai fruitori abituali di musica dark, ritengo che invece possa trovare maggiori favori in chi, amando l’hard rock, potrà goderne una versione dai toni più cupi: detto ciò, il nuovo lavoro dei The Fright non può essere definito brutto, ma chi predilige nella musica un’oscurità tangibile e non patinata, ricercando un rapporto di empatia emotiva con i musicisti, finirà per rivolgersi altrove.

Tracklist:
1. Bonfire
2. No One
3. Wander Alone
4. Love Is Gone
5. Fade Away
6. Oblivion
7. Leave
8. Drowned In Red
9. Century Without A Name
10. In Sicherheit

Line-up:
Lon Fright – Vocals
Kain – Bass
Kane – Guitar
Danny – Guitar
Luke Seven – Drums

THE FRIGHT – Facebook

Nexus – The Taint

I Nexus spaziano tra il rock alternativo dalle atmosfere dark, non rinnegando le proprie influenze che vanno dai più famosi Depeche Mode fino alle nuove leve del rock dai tenui colori oscuri come HIM o Deathstars, mentre la carta d’identità tricolore si può intuire da un uso vagamente progressivo dei tasti d’avorio.

Debutto su Agoge Records per i gothic metallers Nexus, band nata per volere del cantante e chitarrista Vlad Voicu e del bassista Tony Di Marzio.

Con l’aiuto in studio di Gianmarco Bellumori, responsabile della label, licenziano questo primo album sulla lunga distanza intitolato The Taint, un gothic album pregno di sfumature elettroniche che hanno poco dell’industrial e tanto della new wave risalente agli anni ottanta, ovviamente trasportata in un contesto dove le chitarre graffiano e le ritmiche mantengono quel tocco groove che fa tanto cool di questi tempi.
Ne esce un lavoro dal buon appeal, magari mancante ancora di quel quid che fa di una buona canzone un potenziale hit, ma le premesse per un futuro roseo nel panorama dark gothic ci sono tutte.
I Nexus spaziano tra il rock alternativo dalle atmosfere dark, non rinnegando le proprie influenze che vanno dai più famosi Depeche Mode fino alle nuove leve del rock dai tenui colori oscuri come HIM o Deathstars, mentre la carta d’identità tricolore si può intuire da un uso vagamente progressivo dei tasti d’avorio.
L’album mantiene la stessa marcia per tutta la sua durata, scalando e ripartendo in quarta (qualitativamente parlando) con Funeral Pyre, N.B.N e la notevole Scrying Mirror.
Una buona partenza per i Nexus, band da seguire se siete amanti del dark/gothic metal di inizio millennio.

Tracklist
1.Solitude
2.Cancer
3.Funeral Pyre
4.Crimson Wine
5.Stillborn
6.N.B.N
7.Scrying Mirror
8.Close Your Eyes
9.To Silence Your Demons

Line-up
Vlad Voicu – lead vocals, studio guitars & programming
Tony Di Marzio – bass and backing vocals
Il Diverso – synth/keyboards & programming
Diego Aureli – live guitars
Daniele Di Gasbarro – live drums

NEXUS – Facebook

The Black Capes – All These Monsters

All These Monsters è un album che scorre via abbastanza liscio, decisamente orecchiabile e ben costruito, ma l’utilizzo stesso di quest’ultimo termine è emblematico di quanto il tutto appaia molto più pianificato che spontaneo.

Chi apprezza sonorità gothic/rock credo che stia attendendo da un pezzo qualcuno in grado di rievocare i fasti del passato: in epoca relativamente recente ci sono riusciti i The 69 Eyes, salvo perdere progressivamente in efficacia dopo i primi 2-3 notevoli lavori.

Ci provano oggi i greci The Black Capes, i quali alla band finlandese si rifanno in maniera abbastanza evidente aggiungendovi un approccio leggermente più robusto e provando talvolta ad attingere, a seconda delle sfumature scelte, da miti del passato come Type 0 Negative, The Cult e, aggiungerei, anche Sentenced.
L’operazione non fallisce ma neppure riesce al 100%, nel senso che All These Monsters è un album che scorre via abbastanza liscio, decisamente orecchiabile e ben costruito, ma l’utilizzo stesso di quest’ultimo termine è emblematico di quanto il tutto appaia molto più pianificato che spontaneo.
Qualche potenziale hit si palesa tra la decina di brani offerti dal gruppo ateniese (Purple Heart, We Will Never Die) facendo battere il piede con convinzione, ma personalmente prediligo la vena doom di Wolf Child o quella più hard rock della title track.
All These Monsters è suonato e prodotto con tutti i crismi e ben interpretato da un vocalist sufficientemente versatile come Alexander S Wamp, bravo nell’alternare un timbro più ruvido al quello più canonico in quota Jirky/Steele, ma sussistono forti dubbi sulla capacità dell’album di restare nel lettore per più di un paio di ascolti; inoltre, fermo restando che sul genere gli spazi di manovra per differenziarsi dai propri modelli non sono moltissimi, i The Black Capes, almeno per ora, paiono saltabeccare tra una e l’altra fonte di ispirazione mettendoci poco o nulla di proprio, e forse è proprio questo lo snodo sul quale dovranno lavorare maggiormennte in futuro.

Tracklist:
1.The Invite
2.Sarah The Witch
3.Wolf Child
4.Purple Heart
5.Now Rise
6.The Black Capes
7.New Life
8.We Will Never Die
9.All These Monsters
10.The Withdrawal

Line-up:
Alexander S Wamp – Vocals
Thanos Jan – Guitar
Irene Ketikidi – Guitar
Chris Rusty – Bass
Christos Grekas – Drums

Dimitri Stathakopoulos – Keys

THE BLACK CAPES – Facebook

Diesanera – Crumbs

Crumbs è un lavoro ispirato e vario, dove ci si confronta con un gruppo che ha trovato un’alchimia perfetta tra le sue varie influenze, senza mai ripetersi, variando e giocando con le atmosfere care all’alternative gothic rock.

I Diesanera con il loro debutto passeggiano tra le strade del gothic/dark rock e, come in un ombroso labirinto, si perdono tra le molte ispirazioni, ritornando sulla via oscura non prima di aver creato Crumbs.

E Crumbs non deluderà chi di notte si aggira per i vicoli di città decadenti, fuori dagli schemi di generazioni mordi e fuggi, solitarie creature della notte affamate di poesie gotiche.
Il gruppo nasce un paio di anni fa per volere di Valerio Voliani (ex singer di Icycore, Absolute Priority e Motus Tenebrae) e Ilario Danti (ex chitarrista dei Death SS e Madness Of Sorrows), raggiunti nel frattempo dal chitarrista Yuri Giannotti, da Matt Langella al basso e da Alessio Toti alle pelli.
La firma per l’etichetta napoletana Volcano Records & Promotions e l’uscita di Crumbs in questa assolata estate non sono che l’ottima partenza per il gruppo toscano che si inserisce di prepotenza tra le migliori novità in ambito gothic/dark, almeno per quanto riguarda la scena underground dello stivale.
L’album si presenta come un riuscito riassunto di quello che il genere ha regalato in questi anni, elaborato in modo personale così da trovare subito una propria identità, partendo dal dark rock classico, passando per le trame gotiche in uso nelle notti a cavallo dei due millenni per trovare nell’alternative rock il modo per firmare in calce questo lotto di brani con il monicker Diesanera.
Volian.i singer che non ha nulla da invidiare ai vampiri che si sono succeduti come icone del genere, ma che sa dare ai brani la giusta interpretazione, passando dai toni baritonali di Pete Steele a quelli più cool di Jirki 69, varia il suo canto arrivando a toccare lidi modern rock, mentre la band passa agevolmente tra tracce gotiche e notturne ad altre più dirette e metal.
Ne esce, come detto, un lavoro ispirato e vario, dove ci si confronta con un gruppo che ha trovato un’alchimia perfetta tra le sue varie influenze, senza mai ripetersi, variando e giocando con le atmosfere care all’alternative gothic rock, passando per le trame dell’opener Mad Man,del singolo Pills Of Lies, della sensuale Ghosts, del capolavoro The Last Funeral, della superba The Mission ed arrivando alla cover di Such A Shame dei Talk Talk, a conferma dell’amore per la new wave ottantiana dei protagonisti.
Un debutto affascinante che non passerà sicuramente inosservato tra le creature della notte e di chi si nutre del sangue che sgorga dalle note di Type 0 Negative, The 69 Eyes, Sisters Of Mercy, Secret Discovery e Poisonblack.  Dark/ Gothic 8.20

Tracklist
1 Mad Man
2 My Lonely Hell
3 Pills Of Lies
4 Ghosts
5 DiesAnEra
6 The Spell
7 Sadness
8 The Last Funeral
9 S.I.R.I.A.
10 The Mission
11 In The Name Of God
12 Such A Shame

Line-up
Valerio Voliani – vocals
Ilario Danti – guitars
Yuri Giannotti – guitars
Matt Langella – bass
Alessio Toti – drums

DIESANERA – Facebook

Ecnephias – The Sad Wonder Of The Sun

Oscuri, melodici e atmosferici come mai era accaduto prima: questi sono gli Ecnephias del 2017, fieri portabandiera di un’identità “mediterranea” in ambito rock e metal, ai quali non viene mai meno quella peculiarità  che è caratteristica solo delle band di categoria superiore.

Ogni volta che gli Ecnephias pubblicano un nuovo album, nel mio caso l’attesa dell’estimatore della prima ora è contrastata dalla necessità di scrivere quali impressioni mi abbia destato e, avendo a che fare con una band che innegabilmente non ha mai fatto uscire un disco stilisticamente contiguo a quello precedente, è sempre difficile immaginare cosa attendersi.

Ormai da tempo, con una cadenza biennale, Mancan e soci offrono lavori di grande spessore qualitativo, partendo dal dirompente Inferno (2011), passando per il più estremo Necrogod (2013) per giungere al più darkeggiante album omonimo del 2015.
Personalmente ritenevo che le sonorità presenti in quell’ultimo lavoro rappresentassero stilisticamente le colonne d’Ercole per la band lucana, immaginando che si trattasse del punto più lontano dal metal entro il quale si potesse spingere: The Sad Wonder Of The Sun smentisce puntualmente questa mia congettura, rappresentando al contrario il veleggiare libero di musicisti scevri da condizionamenti stilistici di sorta verso territori finora inesplorati.
Per capire cosa intendo può essere utile partire dalla quinta traccia Nouvelle Orleans, dove si viene accolti da accenni di reggae che sono lontani anni luce dalle asprezze di Necrogod (per non parlare del black/death/doom, per quanto di volta in volta cangiante, di Dominium Noctis e Ways Of Descention) ma che, paradossalmente, non vanno ad intaccare il trademark Ecnephias; peraltro, questo brano non rappresenta neppure il massimo scostamento rispetto ad un’ipotetica strada maestra metallica, visto che la conclusiva You è un ottimo episodio di rock quasi radiofonico, con una chitarra che si erge a protagonista più che in altri frangenti.
Detto delle tracce più emblematiche del nuovo corso, l’album si rivela una raccolta di nove canzoni senz’altro fruibili, almeno se raffrontate con quelle contenute nel precedente lavoro, ma ciò non deve assumere un significato negativo rappresentando, piuttosto, una forma di evoluzione anche rischiosa, in quanto non è detto che possa trovare unanimi consensi, specie da chi considera i primi due album del decennio i più significativi della carriera degli Ecnephias.
La verità è che la musica dei potentini, in tutte le sue vesti possibili, si rivela sempre un veleno che insinua lentamente e che, dopo ogni passaggio nel lettore, acquisisce spessore e fa salire nell’ascoltatore la consapevolezza d’essersi imbattuto nell’ennesimo album di grande spessore.
E allora, quel pizzico di smarrimento iniziale nel rinvenire i retaggi del passato solo nei rari passaggi in growl di un Mancan sempre più cantante ed interprete, nel senso più completo del termine, svanisce al cospetto dei chorus ficcanti che ogni canzone riserva, con menzione d’onore nella prima parte per Gitana e Povo de Santo, e nella seconda metà per Quimbanda e Maldiluna, nelle quali il cantato in italiano torna a lasciare il segno, assieme ad un’ispirazione melodica che, nel primo caso, è asservita ad una ritmica più incalzante e nel secondo, invece, va a toccare il punto più alto del disco per evocatività ed afflato poetico, nonostante accattivanti spunti elettronici possano inizialmente trarre in inganno.
Gli agganci alla produzione passata comunque non mancano, specialmente con la magnifica Sad Summer Night, traccia che riconduce ai momenti più emotivamente intensi di Inferno, e lo stesso in parte vale per l’altrettanto oscura A Stranger.
The Sad Wonder Of The Sun è un album elegante e ricco di atmosfere e melodie vincenti,  che deve essere ascoltato senza alcun pregiudizio, cosa che del resto è da sempre è il modo giusto per approcciarsi con la musica degli Ecnephias: in questo caso, però, non si può parlare di un balzo in avanti rispetto al precedente lavoro omonimo, bensì, metaforicamente, del salto in corsa da un treno all’altro per finire su un binario che potrebbe condurre verso nuovi ed inaspettati scenari futuri, facendo ritenere al momento improbabile una possibile inversione di marcia.
Oscuri, melodici e atmosferici come mai era accaduto prima: questi sono gli Ecnephias del 2017, fieri portabandiera di un’identità “mediterranea” in ambito rock e metal, ai quali non viene mai meno quella peculiarità che è caratteristica solo delle band di categoria superiore.

Tracklist:
1. Gitana
2. Povo De Santo
3. Sad Summer Night
4. The Lamp
5. Nouvelle Orleans
6. A Stranger
7. Quimbanda
8. Maldiluna
9. You

Line-up:
Mancan: Vocals, Guitars
Nikko: Guitars
Khorne: Bass
Sicarius: Keyboards and piano
Demil: Drums

Female voice on song 2 and 7 by Raffaella Cangero (LA JANARA)

ECNEPHIAS – Facebook

Scars Of Tears – Just Dust

Nel genere Just Dust è un lavoro riuscito, abbastanza personale nel rievocare un sound inflazionato e per questo meritevole di interesse da parte dei fans del genere.

Periodo di ottime proposte in arrivo dalla Sliptrick Records alle quali si aggiungono i gothic metallers greci Scars Of Tears, con il loro nuovo e secondo lavoro Just Dust, successore del debutto omonimo licenziato tre anni fa, che offre un alternative gothic/dark metal sulla scia dei nostrani Lacuna Coil, anche se la band greca a tratti risulta più estrema del gruppo italiano.

Ottimo l’uso delle voci, che si alternano come di moda in questo periodo tra voce femminile, growl e clean, variando quel tanto che basta l’atmosfera dei brani che si mantengono su di una buona qualòità.
In un genere inflazionato come quello suonato dalla band di Kastoria , le melodie ed il songwriting fanno tutta la differenza del mondo ed infatti Just Dust risulta un album composto da buone canzoni, melodiche, metalliche ma ruffiane il giusto per farsi apprezzare da chi mastica con frequenza queste sonorità.
Just Dust parte forte con un paio di brani potenti e metallici come la title track e Darkest Hour, il growl rabbioso si scontra con l’ ottima voce femminile, molto rock e che ricorda la nostra Cristina Scabbia, ma con il passare del tempo il sound da alternativamente metallico si sposta su coordinate elettro dark, fino al brano più intenso dell’album, la ballad Love And Soul, sinfonica ed evocativa.
Si torna ad alternare metal alternativo moderno e gothic metal nelle restanti canzoni, che portano l’album verso la fine, confermandone la buona riuscita nel suo complesso.
Nel genere Just Dust è un lavoro riuscito, abbastanza personale nel rievocare un sound piuttosto battuto di questi tempi e per questo meritevole di interesse da parte dei fans del genere.

TRACKLIST

1.Just Dust
2.Darkest Hour
3.Infeasible
4.Slayer
5.Icefall
6.Love and Soul
7.Wait
8.Here and Now
9.Need to Flight
10.We Are the Same
11.Endless Sky
12.Ashes of a Draw

LINE-UP

Petros Nikolaou – Guitars
Salagiannis Thanasis – Bass
Chris Polizos – Drums
Charitini Anastasiadou – Vocals
Babis Stefanidis – Vocals

SCARS OF TEARS – Facebook