Lung Flower – Effigy

Gruppo di culto, musica per pochi, ma esperienza da vivere chiudendo gli occhi e ritrovandoci legati ad un totem con stregoni che agitano feticci davanti ai nostri occhi prima di darci la morte.

Si sa poco di questo quartetto canadese, quanto basta però per farvi conoscere la sua musica, di ottima qualità e che raccoglie in se un po’ di quel metal rock americano che ha imperversato negli ultimi venticinque anni.

Loro sono i Lung Flower, si destreggiano da qualche anno nei locali di Vancouver con una musica che, personalmente, mi ricorda non poco quella della piovosa Seattle.
Attenzione però, non si parla di facili melodie post grunge o alternative rock, i Lung Flower sono una creatura psichedelica che attinge tanto dal grunge più nervoso e metallico dei primi Soundgarden e Alice in Chains, quanto dallo stoner/doom, facendolo rimbalzare come una pallina magica tra gli anni novanta e indietro fino al periodo settantiano.
I ritmi sono a tratti lentissimi e claustrofobici, le chitarre sature, ed il canto richiama lo spirito di Layne Staley, tornato per raccontarci la propria disperazione nell’affrontare l’aldilà.
I Black Sabbath aleggiano con il loro sound che rallenta gli energici strappi alternative metal, mentre la sensazione di viaggio lisergico e jam session fa di questo lavoro una chicca per gli amanti dell’alternative doom metal.
Il gruppo canadese arriva così al secondo album, successore di Under A Dying Sun, debutto sulla lunga distanza del 2012, seguito dall’ep Death On The Crowsnest, uscito tre anni fa, continuando imperterrito a stordire con questo notevole esempio di musica del destino drogata di hard rock ed alternative metal, tutto made in U.S.A.
Gruppo di culto, musica per pochi, ma esperienza da vivere chiudendo gli occhi e ritrovandoci legati ad un totem con stregoni che agitano feticci davanti ai nostri occhi prima di darci la morte.

TRACKLIST
1. Ascend
2. Death On The Crowsnest (Hwy 3)
3. Beyond Burnt Out
4. Stoned & Alone
5. Bottomfeeders
6. Effigy (…of Man)
7. (Bonus Track) Everything I Burn

LINE-UP
Marcus Salem – Rhythm Guitar
Kyle Arellano – Bass
Tyler Mayfield – Vocals
Jimmy Lanz- Drums

LUNG FLOWER – Facebook

Tre Chiodi – Murmure

Un album affascinante e sicuramente originale, ma complicato e difficile da’assimilare se non si riesce ad entrare in simbiosi con ciò che i Tre Chiodi vogliono descrivere: per questo c’è bisogno di tempo e della dovuta attenzione nell’ascolto.

Affascinante progetto alternativo, non solo musicalmente parlando, ma anche concettualmente per i temi trattati.

Nato nel 2014, il progetto Tre Chiodi è formato da Babu (batteria), Enrico (voce e chitarra) e Zilty (basso): il loro sound si manifesta urgente, dalla tensione palpabile mentre alternative rock, stoner e grunge nirvaniano si alleano per sommergerci di watts.
Il concept scelto per Murmure riguarda il corpo umano ed ognuno dei nove brani prende ispirazione da una sua parte in una pazza e quanto mai originale proposta.
Passati i primi ascolti e digeriti i testi, a tratti leggermente forzati nel voler essere originali a tutti i costi, rimane l’ottima parte strumentale, dove i Tre Chiodi giocano con il rock alternativo americano degli anni novanta, partendo dal grunge della piovosa Seattle, viaggiando tra il deserto della Sky Valley ed arrivando al noise newyorchese.
A livello lirico i brani sono dei monologhi tra il parlato ed il cantato, mentre la chitarra urla torturata dall’elettricità, il basso pulsa come il cuore affaticato di chi si è perso nel deserto e le pelli si strappano sotto i colpi inferti da Babu.
Cuore, bellissima, intensa ed attraversata da una vena psichedelica, è a mio avviso il punto più alto di questo intrigante ed intricato lavoro, nel quale il trio viene aiutato da ospiti che duettano con Enrico, come Mirko (8ful Strike) e Folake (Hit-Kunkle).
Murmure, che in latino indica il suono dei polmoni mentre respirano, è un album affascinante e sicuramente originale, ma complicato e difficile da assimilare se non si riesce ad entrare in simbiosi con ciò che i Tre Chiodi vogliono descrivere: per questo c’è bisogno di tempo e della dovuta attenzione nell’ascolto.

TRACKLIST
1.Trago
2.Lingua
3.Anche
4.Cuore
5.Denti
6.Vertebra
7.Orbite
8.Colon
9.Capelli

LINE-UP
Babu – Drums
Enrico – Vocals, Guitars
Zilty – Bass

TRE CHIODI – Facebook

TheBuckle – Labbrador

Labbrador piacerà a chi possiede una mente aperta e vuole ampliare i propri orizzonti musicali, senza lasciare nulla d’intentato, per lasciarsi possedere da ritmo che si fa logos molto potente.

Chitarra, voce e batteria, e tutti molto incazzati. Due sole persone ai comandi, che sono Andrea e Maxim insieme nei Unwelcome e nei Kessler.

La formula del super power duo calza alla perfezione, e il tappeto sonoro steso dai due è un hard stoner con tempistiche alla Queens Of The Stone Age, con un taglio molto noise nella costruzione dei banchi di melodie. Questa seconda prova del gruppo piacerà molto a chi ama la musica pesante fatta con cognizione e conoscenza musicale. Quest’ultima permette al duo di usare molti stili diversi per un unico risultato, arrivando ad un risultato notevole ed originale. Forte è anche l’impronta grunge, che si sente nella pesantezza e nella potenza di certi passaggi, perché gli anni novanta hanno lasciato un’eredità molto forte, e qui si sente tutta. Il dinamico duo sforna un disco che ha un ritmo incredibile dentro, come un ouroboros che si morde la coda in eterno, e fortunatamente è anche difficile scegliere un genere per questo gruppo. Si sale e si scende, si percorrono stretti corridoi e poi si cade in mare, per riprendere a correre senza fiato, insomma non ci si annoia mai. Tra le righe si possono sentire molte tradizioni di musica rumorosa, da quella americana a qualche reminiscenza di hard rock britannico, soprattutto in certi ritmi. Labbrador piacerà a chi possiede una mente aperta e vuole ampliare i propri orizzonti musicali, senza lasciare nulla d’intentato, per lasciarsi possedere da ritmo che si fa logos molto potente. Un disco labirintico.

TRACKLIST
1. Evil Sky
2. Goin’ Home
3. Hey You
4. Labbrador
5. Blind
6. Sixty-Two (Featuring Xabier Iriondo)
7. Think (Featuring Xabier Iriondo)
8. Perfect Black
9. Shemale (Featuring Xabier Iriondo)
10. On My Own
11. 12 Seconds

LINE UP
ANdREA
MaXIM

THEBUCKLE – Facebook

Evilgroove – Cosmosis

Cosmosis erutta dieci brani di hard groove rock, la voce alla Zakk Wilde accompagna ritmiche ipnotiche, chitarre piene tra scariche metalliche, atmosfere southern e grunge rock.

C’è né voluto di tempo, ma alla fine anche gli Evilgroove arrivano al traguardo del primo lavoro sulla lunga distanza grazie alla nostrana Atomic Stuff.

Attivi sotto il monicker di Sunburn dal 1997 in quel di Bologna, Daniele “Doc” Medici alla chitarra, Matteo “Matte” Frazzoni al basso e Luca “Fraz” Frazzoni alla voce, dopo un paio di demo nel 2005 cambiano il nome in Evilgroove, prendendo parte a varie compilation e tributi.
Il 2014 è l’anno dell’entrata in formazione del batterista Christian “Sepo” Rovatti , e un paio di anni dopo iniziano a lavorare a Cosmosis, album che ci fa tornare indietro fino ai primi anni novanta, tra metal e grunge, hard rock e groove metal tra Pantera e Black Label Society, insomma una goduria per gli amanti del rock americano con il quale abbiamo attraversato l’ultimo decennio del secolo scorso.
I primi anni novanta per molti sono stati un periodo di vacche magre per l’heavy metal, mentre il grunge, l’alternative ed il metal estremo seminavano per raccogliere i frutti artistici tra crossover, nuove tendenze e voglia di mettersi in gioco.
Con il successo della musica di Seattle il rock americano ha vissuto un periodo d’oro, non solo per merito delle truppe del grunge: Corrosion Of Conformity, Tool, Black Label Society sono realtà che poco hanno a che fare con le note create nella piovosa città dello stato di Washington, ma è indubbia l’importanza dei loro album per il metal/rock di quel periodo.
Oggi, chi segue le vicende intorno al rock raccoglie i frutti di quella semina, anche e soprattutto per merito della scena underground colma di band che, ispirate dal suono di quello splendido periodo, creano lavori intensi e sopra la media.
E gli Evilgroove, con Cosmosis, fungono da perfetto esempio, proponendo un lavoro che trae ispirazione dai gruppi di cui si accennava in precedenza, dunque non un lavoro che brilla per originalità (ma chi di questi tempi, suonando hard rock chi può vantarsene?), bensì un ottimo album hard rock/metal con tutti i crismi per soddisfare gli amanti dei suoni americani.
Cosmosis erutta dieci brani di hard groove rock, la voce alla Zakk Wilde accompagna ritmiche ipnotiche, chitarre piene tra scariche metalliche panteriane, atmosfere southern tra Corrosion Of Conformity e Black Label Society e grunge più vicino ai Soundgarden che ai Nirvana, tanto per ribadire che qui si fa hard rock, alternativo quanto si vuole ma con i piedi ben piantati nel genere.
I brani meriterebbero tutti una menzione ma, oltre a ricordarvi le portentose Locusta, I The Wicked e Soul River, vi invito semplicemente a far vostro Cosmosis senza indugi.

TRACKLIST
01. Turn Your Head
02. Lucusta
03. Space Totem
04. I, The Wicked
05. Kick The Can
06. Physalia
07. Voodoo Dawn
08. Soul River
09. What I Mean
10. Cosmosis

LINE-UP
Daniele “DOC ” Medici – Guitar
Matteo “MATTE” Frazzoni – Bass
Luca “FRAZ” Frazzoni – Vocals
Christian Rovatti – Drums

EVILGROOVE – Facebook

Alma Irata – Deliverance

Non è solamente la nostalgia che vive in queste note, ma una forza che è rimasta silente per troppo tempo, ovvero quella del rock pesante e pensante.

Disco assai folgorante, con un suono anni novanta davvero speciale.

Nella mia ignoranza mi ricordano i Ritmo Tribale, più grunge e con il cantato in inglese, ma con la stessa forza di impatto. Si torna positivamente indietro di venti anni con gli Alma Irata, un gruppo italiano che spicca per originalità in un momento di tanti buoni cloni. Questi romani hanno una forza ed un’impronta davvero unica. Il loro suono è potente eppure ha la capacità di sgusciare via come il migliore grunge, andando a scavarsi un proprio corso dove scorrere impetuosamente. Alle spalle hanno solamente un ep, Errore Di Sistema, coprodotto dall’italoamericano Ray Sperlonga, per poi approdare a questo disco davvero intenso e suggestivo. Gli Alma Irata ci riportano a quella dimensione di rock pesante con le canzoni composte in maniera intelligente, con vari livelli sia sonori che lirici, e con testi che parlano del nostro quotidiano inferno. L’impressione è quella di trovarsi di fronte ad un ottimo disco e ad un gruppo che se continuerà la sua maturazione diventerà qualcosa di davvero speciale. Non è solamente la nostalgia che vive in queste note, ma una forza che è rimasta silente per troppo tempo, ovvero quella del rock pesante e pensante.
Un disco davvero affascinante.

TRACKLIST
1.Colac
2.Minimum Wage
3.Crushed Bones
4.Between Two Lines
5.Three Steps to Evil
6.Perfect Lips
7.Viper Tongue
8.The Ship

LINE-UP
Sander – voce, chitarra
Mau – chitarra
Massi – voce, basso
Santos . batteria

ALMA IRATA – Facebook

Søndag – Bright Things

I Søndag hanno un suono riconoscibile, anche grazie alla presenza di due chitarre con otto corde, e quindi accordature molto ribassate che danno un tono più corposo al tutto.

Band di Piacenza che fa un rock metal di gran lunga migliore di molti analoghi e decantati gruppi di oltreoceano.

La loro prima apparizione musicale è di quest’anno, con un omonimo ep di tre tracce, promosso dal videoclip No. Il gruppo non è debuttante, poiché è stato fondato sulle ceneri degli Edema, che avevano già una discreta esperienza. Il loro suono è molto americano, attingendo alla fonte sempre viva del metal rock, ma i Søndag dalla loro hanno una composizione superiore ed molto talento, e tutto ciò fa in maniera che il disco scorra molto bene, veloce e preciso, gustoso e pulsante. Certamente a tutto ciò ha giovato la registrazione ed il missaggio di Riccardo Demarosi, valorizzato dalla masterizzazione di Alan Douches negli States, uno che ha avuto fra le mani gruppi del calibro di Converge, Swans, Mastodon ed altri. I Søndag hanno un suono riconoscibile, anche grazie alla presenza di due chitarre con otto corde, e quindi accordature molto ribassate che danno un tono più corposo al tutto. Questo accorgimento riesce a dare un tocco decisivo, perché i Søndag portano il rock metal ad un livello più alto, ascoltare per credere.
Il gruppo piacentino mette in musica la cronaca dei giorni difficili e la voglia di vederne di più luminosi, con forza e con talento.

TRACKLIST
1. Sweet
2. Back In Town
3. Polite Rebel
4. Viper
5. Wax
6. Bright Things
7. Leftover
8. Spitfire
9. Time Has Come

LINE-UP
Marcello Lega – Guitars
Riccardo Lovati – Drums
Marco Benedetti – Guitars
Riccardo Demarosi – Voice, Bass

SONDAG – Facebook

Widow Queen – A Matter Of Time

Tutto viene esposto con una maturità sorprendente, conquistando al primo ascolto, mentre echi post grunge continuano a giocare con il metal alternativo

Mi sono trovato recentemente davanti ad una delle tante deliranti affermazioni (fatta da un musicista) secondo cui il grunge avrebbe distrutto il rock ‘n’ roll ed il metal, assurdità che negli anni novanta era prassi leggere sulla carta stampata dell’epoca.

Questa immane stupidata riesce sempre, anche a distanza di anni, a farmi arrabbiare non poco, anche perché chi ha vissuto l’ultimo decennio del millennio scorso sa che forse solo negli anni ottanta si è potuto godere di così tanto rock sui canali musicali e non solo.
Sono i primi anni novanta, da Seattle una bomba rock viene lanciata sul mondo, ed il grunge diventa in poco tempo il genere di punta del rock americano e del mercato mondiale.
Dopo la fiammata durata qualche anno, un’altra ondata di gruppi segue la strada tracciata dal Seattle sound, con l’alternative che ora regna incontrastato, ma questo scontro finisce in una alleanza che porta ad un rock ancora più malinconico, destabilizzato da umori alternativi e crossover, anche se i gruppi che fanno la voce grossa mantengono un legame forte con i loro predecessori: nasce così il post grunge genere che continua ancora oggi a deliziare il palato degli amanti del rock moderno made in U.S.A.
E di post grunge si parla per la musica creata dai napoletani Widow Queen, trio formato dai fratelli Pellegrino, Amedeo (voce e basso) e Rosario (chitarra), con il fondamentale contributo di Riccardo Bottone alle pelli.
La band, tramite la Volcano Records debutta sulla lunga distanza con A Matter Of Time, album maturo e ben congegnato che si muove tra i meandri del rock che ha fatto storia aldilà dell’Atlantico, tra grunge e alternative, potente ma con un’anima intimista che si avvicina alle produzioni a cavallo dei due millenni: più solari degli Staind ma molto più oscuri dei Nickelback, per esempio, con il metal a guidare la sei corde ed il groove a potenziare le parti più energiche.
Partono alla grande i Widow Queen, con una label in ascesa nel panorama rock/metal nazionale e la presenza di Mark Basile dei DGM sulla bellissima Watch Over Me, brano che (sarà un caso) si assume l’onere di presentare tutte le sfaccettature del sound del gruppo campano.
Momenti acustici dai tratti intimisti lasciano spazio ad esplosioni di metallo moderno e potente, ariosi arpeggi che non mancano di emozionalità fanno preludio all’entrata in campo della voce, perfetta e e dagli umori a tratti rabbiosi e drammatici, con il trio che infiamma l’ascolto creando atmosfere di rock alternativo che, nel piccolo capolavoro Moments, si avvicinano ai System Of A Down.
Tutto viene esposto con una maturità sorprendente, conquistando al primo ascolto, mentre echi post grunge continuano a giocare con il metal alternativo, con l’opener Faith e Before the Day Falls che non mancheranno di fare breccia nei cuori dei rockers con ancora almeno una camicia di flanella nell’armadio.
Ottimo lavoro in barba a chi ancora nel 2016 vuole costruire assurdi muri ed imprigionare le sette note, noi saremo sempre dalla parte della buona musica da qualunque genere essa provenga.

TRACKLIST
1.Faith
2.Truth
3.By Your Side
4.Alive
5.Watch Over Me (feat. Mark Basile)
6.Moments
7.Liar King
8.Oxygen
9.Before the Day Falls
10.What Else Remains

LINE-UP
Amedeo Pellegrino – Bass, guitars, voice
Rosario Pellegrino – Guitars, voice
Riccardo Bottone – Drums

WIDOW QUEEN – Facebook

Blind Marmots – Spore

Una mezza dozzina di brani intriganti, coinvolgenti, sufficientemente freschi e irriverenti il giusto per cogliere nel segno.

Ritroviamo i padovani Blind Marmots due anni dopo l‘ep d’esordio autointitolato: questo nuovo Spore è di poco più lungo ed arriva dopo diversi cambi di formazione che, alla fine, paiono aver dato dei buoni risultati.

La band fagocita, rumina e restituisce (meglio non sapere attraverso quale orifizio) svariate influenze che fanno capo al rock e al metal alternativo, lasciando sul terreno un melting pot di stoner, sludge, grunge, funky, psichedelia, che si rivela piuttosto organizzato nonostante l’ approccio scanzonato alla materia possa far temere, in prima battuta, il contrario.
Ne deriva così una mezza dozzina di brani intriganti, coinvolgenti, sufficientemente freschi e irriverenti il giusto per cogliere nel segno: i Blind Marmots manifestano apertamente il proprio atteggiamento ironico e pungente (in questo vedo una certa similitudine con gli alassini Carcharodon), a partire da testi che ci portano a spasso tra maniaci incendiari, marmotte, topolini, sbronze e conseguenti minzioni, ma ciò non impedisce loro di fare molto sul serio a livello musicale, visto che la mezz’oretta scarsa che ci vene offerta riesce a lasciare il segno specialmente nei primi tre brani, davvero eccellenti nella loro spontanea robustezza e molto più diretti rispetto a restanti, pervasi invece da un più accentuato mood psichedelico
Il potenziale per emergere c’è tutto, ma è chiaro quanto non sia semplice in un settore piuttosto frequentato e nel quale, al di là dello spingere in una direzione musicale piuttosto che in un’altra, il rischio è quello di restare confinati allo status di band divertente (e non c’è dubbio alcuno che il quartetto padovano lo sia), specie dal vivo.
Ma, immaginando che quest’obiettivo, peraltro ampiamente raggiunto, sia una delle priorità per i Blind Marmots, in attesa di risentirli all’opera magari su lunga distanza, non resta che unirci alla loro invocazione: Dio salvi la marmotta!

Tracklist:
1. Pyromaniac
2. God Save The Marmot
3. Mice In The Attic
4. The Hangover
5. Pissing
6. Storm

Line-up:
Carlo Titti – Lead Guitar
Ale “Teuvo” – Voice
Luca Cammariere – Drums
Pietro Gori – Bass

BLIND MARMOTS – Facebook

Circle – Meronia

Meronia è un disco davvero grande e bellissimo, dove ci si può perdere nelle mille soluzioni sonore dei Circle, che producono un gran caleidoscopio sonoro.

La missione principale della gloriosa Svart Records è di portare alla luce i tesori nascosti dell’underground finlandese, e Meronia dei Circle è uno dei più lucenti.

Questa ristampa del disco del 1994 vede la luce in un doppio vinile con bonus track e in un cd. Originariamente editi da Bad Vugum, un’etichetta finlandese con un interessante catalogo, i Circle sono un gruppo di una piccola città della Finlandia, Pori, origine condivisa con i Deep Turtle, che li proposero all’etichetta. I Circle fanno tutto quello che facevano le vostre band preferite degli anni novanta ed anche di più. Noise, shoegaze, improvvisazione, in una mirabile commistione sonora di America e Gran Bretagna. Meronia è un disco davvero grande e bellissimo, dove ci si può perdere nelle mille soluzioni sonore dei Circle, che producono un gran caleidoscopio sonoro. Il disco all’epoca fu apprezzato moltissimo sia dal sottobosco che dal mainstream e segnò un’importante evoluzione dell’underground finlandese. Fuori dalla patria ebbe meno eco, e questa è una sfortuna perché è un disco eccezionale, che non è consigliato solo agli amanti del suono anni novanta, ma anche a tutti quelli che cercano cose solide e nuove, perché ancora adesso Meronia è molto avanti rispetto alla media attuale. I Circle ci accompagnano per mano in una lunga escursione sul pianeta Meronia, e ciò provoca dipendenza e voglia di ascoltarlo cambiando l’ordine delle tracce, sentendo in ripetizione una traccia, un rumore, una nota che pare essere l’architrave del tutto. Tutte le canzoni potrebbero essere un singolo e due o tre canzoni prese a caso sarebbero degli ottimi 7”. Ogni pezzo ha dentro almeno uno o due generi diversi. Meronia è certamente figlio di un clima musicale difficilmente ripetibile, dove le commistioni diventavano naturali e si faceva il tutto con molta naturalezza e voglia di divertirsi. Il disco è davvero bello, intenso e fortunatamente lungo. I Circle son ancora in attività e fanno sempre grande musica, ma Meronia è oltre la grande musica, è Meronia.

TRACKLIST
1.Ed-Visio
2.Curwen
3.Wherever Particular People Congregate
4.Meronia
5.DNA
6.Hypto
6.Nude
7. Colere
8.Staalo
9.Kyberia
10.Gravion
11.Ferrous
12.Scoop
13.Merid
14.Espirites

LINE-UP
J. Jääskeläinen – guitar
P. Jääskeläinen – guitar
J. Lehtisalo – bass, vocals
M. Rättö – keyboards, vocals
T. Leppänen – drums
J. Westerlund – guitar, vocals

CIRCLE – Facebook

Earthset – In a State of Altered Unconsciousness

Un meraviglioso e inaspettato trattato della musica contemporanea, bolognese innanzi tutto e italiana infine.

Master Of Reality, dal primo istante non ci si confonde, soprattutto dal vero grigio che non solo dalla copertina trapela.

E’ una risolvibile equazione algebrica che spiega per lo più come affrontare un periodo dimesso, in cui nessuno più ha apparente interesse. Ottimo mixaggio, suoni curati e melodie coinvolgenti e non banali, che tra un onda e l’altra ricordano agli appassionati del genere post(-post) grunge i My Vitriol e i Biffy Cliro: The Absence Theory ne è un esempio, uno su 11, numero perfetto per concentrarsi sul singolo ascolto di ogni traccia. Le ballate Epiphany e Ouverture si traducono in veri e propri viaggi sonori che Valeria Ferro di Onda Rock riesce perfettamente a definire : (…)un disco lineare e flessibile, capace di scorrere fino al suo epilogo come un vertiginoso continuum.. Siamo infatti alla sincope iniziale di So What che dà quindi una spinta a rimbalzarci tra le pareti dei nostri stessi pensieri. E funziona!: chitarre sguainate si aprono e l’aria si rende anche più densa ed esotica con la seguente Skizofonia, ovvero 6 minuti circa di strumentali, con giusti tempi tra crescendo e spamnung . Gone ne è l’eco che si trasmuta in un ‘altra forma (e colore ) ancora; siamo tutti presi e contenti di vedere come anche questo grigiore sappia creare i suoi spazi di euforia pura!!
Astray è ancora un gioiellino che non perde il suo carattere (modalità vagamente Pearl Jam) visto che per un primo ascolto, ad un certo punto, le ultime tracce potrebbero diventare di difficile assimilazione. La tenerezza della dissonanza allo stato puro crea le necessarie vertigini e le chitarre ancora una volta ci suggeriscono la fatica . E’ una discesa/ascesa che fa felici tutti, fanatici o meno del genere, e il taglio o accento buckleyano forse rende tutto più dolce, almeno dall’aspetto con cui Circle Sea chiude un meraviglioso e inaspettato trattato della musica contemporanea, bolognese innanzi tutto e italiana infine. In attesa del prossimo Ep, già in lavorazione, intanto gustiamoci questo, impreziosito dall’artwork di Mauro Belfiore.

TRACKLIST
1.Ouverture
2.Drop
3.The Absence Theory
4.rEvolution of the Species
5.Epiphany
6.So What?!
7.Skizofonìa
8.Gone
9.A.S.T.R.A.Y.
10.Lovecraft
11.Circle Sea

LINE-UP
Luigi Varanese: basso, coro
Costantino Mazzoccoli : chitarra, coro
Emanuele Orsini: batteria
Ezio Romano: chitarra, voce

EARTHSET – Facebook

Tombeto Centrale – Il Silenzio della Collina

Se amate i suoni alternativi degli ultimi ventanni non potete ignorare questo lavoro.

Un’altra ottima band si affaccia sulla scena alternativa nostrana, i lucchesi Tombeto Centrale.

Il trio toscano, vincitore del Qua’rock contest, entrano nel roster della label di Gabriele Bellini, non prima di aver condiviso il palco con ottime realtà del rock/metal nazionale come Quintorigo, Zen Circus e Rebeldevil.
Il Silenzio della Collina è il loro primo lavoro, un album irruento, molto vario e piacevolmente metallico, là dove il gruppo lascia le redini del sound così che la propria musica possa esplodere in un crossover che riprende l’ultimo ventennio di rock, plasmandolo e facendolo proprio.
Luca Giannotti (chitarra e voce), con Riccardo Franchi alla batteria e Luca Franchi al basso, creano questo sound nervoso e adrenalinico, amalgamandolo a reminiscenze psichedeliche e nutrendosi di tensione rabbiosa ma positiva, nei brani che più spingono sull’acceleratore.
Rigorosamente cantato in italiano e supportato da testi ispirati, disperati ed a tratti intimisti, Il Silenzio della Collina, non lascia molte indicazioni sulla strada intrapresa dal gruppo, che varia atmosfere e sfumature ad ogni brano, regalandoci una raccolta d canzoni che alternano rock elettrizzato da cascate di watt, a più dolci ed armoniose ballate.
Ne sentirete delle belle inoltrandovi nel mondo dei Tombeto Centrale, dal crossover metal dei Jane’s Addiction, al grunge dei Nirvana, fino ai ritmi nervosi dei Red Hot Chili Peppers, ed al prog moderno, psichedelico ed alternativo dei Tool, ma il cantato in lingua madre ed un entusiasmo che conquista anche l’ascoltatore più intransigente, fanno dell’album un ottimo prodotto, fresco e maturo.
Se amate i suoni alternativi degli ultimi vent’anni non potete ignorare questo lavoro che ha nelle bellissime Social Network, Il Venditore di Tappeti e Viandante, i picchi qualitativi di una raccolta di canzoni davvero ispirate.
Assolutamente buona la prima.

TRACKLIST
1.Fa# economico
2.Social network
3.Fiori, Serpenti
4.Il venditore di tappeti
5.Mr. beaver
6.Desiderio semplice
7.Viandante (sul mare di nebbia)
8.L’altra
9.Scrooge MD
10.Il silenzio della collina

LINE-UP
Luca Giannotti-chitarra e voce
Riccardo Franchi-batteria
Luca Franchi-basso

TOMBETO CENTRALE – Facebook

Fall Has Come – Time To Reborn

Il sound che riempe di melodie rock Time To Reborn è quanto di più american style troverete in giro, specialmente se guardate al sound alternativo

Dovete sapere che il sottoscritto ha un amico ai piedi del Vesuvio che non manca di farlo partecipe delle nuove realtà del panorama rock alternativo nazionale, tutte dall’alta qualità e pronte per il salto verso un mondo dove finalmente la loro musica possa avere i meritati consensi.

Attenzione, non parlo di successo ma di consensi, perché il nostro paese purtroppo è avaro, specialmente quando si parla di rock, della minima attenzione verso band e album come questo notevole Time To Reborn, debutto dei casertani Fall Has Come, appena tornati, in questa prima metà dell’anno da un’esaltante turnè in compagnia dei rockers Hangarvain, freschi di stampa di quel monumento all’hard rock che risulta il loro secondo lavoro Freaks, in territorio spagnolo.
Il trio campano è formato dal bravissimo singer Enrico Bellotta e qui mi fermo un’attimo: il bassista casertano è dotato di una voce dall’appeal stratosferico, la sua performance è quanto di meglio mi sia capitato di sentire nel genere, colma di feeling, radiofonica, e dotata di una personalità che si fatica a trovare anche nelle migliori band statunitensi.
Sì,  perché il sound che riempe di melodie rock Time To Reborn è quanto di più american style troverete in giro, specialmente se guardate al sound alternativo, ed alle riminiscenze del primo decennio del nuovo millennio, quello passato alla storia come alternative rock e post grunge.
Accompagnato dai due chitarristi Raffaele Giacobbone e Enrico Pascarella che compongono la line up dei Fall has Come, il singer con la sua performance regala emozioni a non finire, ciliegina sulla torta di un lavoro intenso e maturo, melodico ma dall’animo rock, alternativo forse, sicuramente conturbante e colmo di hit pregevoli.
Non credo di essere smentito se dichiaro che l’opener Cover The Sun, la semiballad I Will, l’hard rock oriented Burn Up To River, l’intimista Remember, la graffiante Urban Chaos ( con quegli accordi southern ad inizio brano che ci spingono a forza nell’America sudista dei fratellini Hangarvain) e la favolosa title track, sono bombe rock dall’alto tasso esplosivo e, in un mondo migliore, non solo musicalmente, vere mine vaganti di classifiche radiofoniche lasciate a bombardare le orecchie di migliaia di ragazzi sulle spiaggie assolate, dall’Italia alla California.
Qualcuno vi parlerà di gruppi famosi ed ora persi nel dimenticatoio del music biz, per cercare in qualche maniera di spiegarvi di che pasta è fatto questo bellissimo lavoro, io mi astengo da inutili paragoni e vi lascio alle note di Time To Reborn, debutto di questa fenomenale band tutta italiana.
P.S : fate molta attenzione perché Time To Reborn è come una droga, non potrete più farne a meno.

TRACKLIST
1. Cover the Sun
2. I Will
3. Swallow my Tears
4. Hidden Life of Dreams
5. Burn Up to River
6. Forsaken World
7. Remember
8. Start To Be Free
9. Urban Chaos
10. Time To Reborn
11. Wherever (Bonus Track)

LINE-UP
Enrico Bellotta – ocals, bass
Raffaele Giacobbone – guitars
Enrico Pascarella – guitars

FALL HAS COME – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=O8R1FNgr3WY

Artic Fire – Lower And Louder

Buon esordio di questa band portoghese dedita al credo nirvaniano ed ai suoni di Seattle.

Il grunge: molti negli anni novanta tacciarono il genere come la morte del metal, incolpandolo di chissà quali torti, mentre invece fu una benedizione per tutto il circuito musicale gravitante intorno a quel mondo.

Infatti, mai come nei primi anni novanta i media diedero spazio al rock, trascinati dalla moda grunge che, chiariamolo subito, con la musica aveva poco a che fare, ed i giovani kids di tutto il mondo sulla scia di Nirvana, Soundgarden e compagnia di Seattle ebbero l’opportunità di conoscere le band storiche (molte di queste chiaramente metal) a cui i nuovi eroi del rock si ispiravano.
Come in tutti i periodi d’oro di un genere, a livello di popolarità, anche nel grunge, accanto alle band che segnarono un epoca, uscirono sul mercato anche realtà che durarono lo spazio di un album, tranciate sul nascere dalla morte di Kurt Cobain e dalla definitiva caduta di tutto il movimento.
Come al solito rimangono i grandi, le band e gli artisti che da ottimi interpreti si trasformano in icone e miti continuando a sfornare ottima musica aldilà delle mode e di ciò che “tira” in quel preciso momento.
Nell’underground poi, chi continua a suonare il rock degli anni novanta sono molti, tra cui questo trio portoghese proveniente dalla capitale, all’esordio discografico con un buon esempio di rock alternativo, o grunge come preferite chiamarlo, molto nirvaniano e riconducibile ai primi passi delle band più famose del suono di Seattle.
Lower And Louder, senza far gridare al miracolo, si compone di cinque brani devoti al credo di Cobain e soci, inserendo qua e là atmosfere stoner, in linea con i suoni del momento.
Ne esce uno stile musicale che, pur fortemente debitore nei confronti della band di “Nevermind” e “In Utero”, possiede comunque una sua vita propria di cui specialmente le due ottime Take Me All The Way e Two, poste in chiusura, sono gli esempi migliori.
Gli Artic Fire, formati da Pedro (chitarra e voce), Alex (basso) e Alexia (batteria), ci consegnano un buon Ep, carico di quegli elementi che fecero il botto vent’anni fa e che ancora oggi, con buona pace dei detrattori, continuano ad arrivare a noi tramite ottimi seguaci che ne hanno colto l’eredità.

Tracklist:
1.Running
2.Prozac Addict
3.Give Me A Cancer
4.Take Me All The Way
5.Two

Line-up:
Pedro – Guitars, Vocals
Alex – Bass
Alexia – Drums

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