Deepshade – Soul Divider

I Deepshade esibiscono un sound personale, riescono nella non facile impresa di risultare a loro modo originali, pur lasciando che all’ascolto dell’album le loro ispirazioni facciano capolino dalle pareti del tunnel dai mille colori in cui si entra appena si preme il tasto play.

Psych rock, alternative metal ed hard rock stoner, un mix letale di cui si compone il sound di Soul Divider, nuovo full length dei rockers britannici Deepshade.

Licenziato dalla Wormholedeath, label che è una garanzia di qualità per gli amanti del metal e del rock in tutte le loro molteplici rivisitazioni, l’album è un tunnel di luci caleidoscopiche dove una volta entrati ci si perde, confusi ed ipnotizzati dalla musica che segue un fiume di colori travolgente.
Facile perdersi, ma più difficile tornare in sé, dopo il bombardamento ritmico che il trio ha in serbo per l’ascoltatore rapito da un sound a tratti claustrofobico che ha le sue radici nel rock anni settanta, modernizzato e reso potente da iniezioni di psych/stoner letale come il morso di un velenosissimo rettile.
Soul Divider non dà tregua, parte in sordina ma acquista subito forza, drogato di stoner bruciato dal sole della Sky Valley, mellifluo e lascivo come una bella ragazza in trip, mentre si muove al ritmo fluido ed ipnotico del rock psichedelico (Lonley Man) o tellurico e squassante come il miglior alternative metal anni novanta (Sad Sun, Gangzua).
I Deepshade esibiscono un sound personale, riescono nella non facile impresa di risultare a loro modo originali, pur lasciando che all’ascolto dell’album le loro ispirazioni (Kyuss, Nirvana, Black Sabbath, Queens Of The Stone Age, The Doors) facciano capolino dalle pareti del tunnel dai mille colori in cui si entra appena si preme il tasto play.

Tracklist
1.Airwaves
2.City Burns
3.Burning Up
4.Arches Of Innocence
5.Sad Sun (radio edit)
6.Lonley Man
7.Soul Divider
8.MaryLand
9.Monster
10.Ganzua

Line-up
David Rybka – Vocal, Guitar
Tommy Doherty – Bass
Chris Oldfield – Drums

https://www.facebook.com/deepshadeuk/

https://youtu.be/4zvp0QVJB80

Stone Machine Electric – Darkness Dimensions Disillusion

Un disco che è l’esatto opposto di commerciabilità, con il suo tracciato onirico e di musica senza fissa dimora che regala notevole piacere all’ascoltatore.

Gli Stone Machine Electric sono un duo texano dall’approccio poco convenzionale alla musica, creando sonorità molto eteree che portano l’ascoltatore molto in alto.

I due sono qui al nono lavoro in studio, dando prova di una gioiosa bulimia musicale che li porta a giocare con gli strumenti e a trovare sempre nuove melodie, molto minimali ma assai ricche di chitarra e batteria. Come è facile da notare frequentando i lidi della musica alternativa, i duo chitarra e batteria abbondano, specialmente in ambito heavy blues, ma quelli validi non sono molti. Gli Stone Machine Electric risiedono decisamente nei gruppi validi, avendo un tocco che tocca molti generi senza mai andare a fossilizzarsi, ricercando sempre la distorsione perfetta, il giro di chitarra e batteria che ti piove addosso, in quelle jam che si spostano veloci come nuvole ventose in cielo, senza mai lasciare il tempo di trovare una coordinata musicale e di genere. Fughe, stop e riprese, il tutto per un lavoro intenso che non lascia mai nulla al caso, creativo e stimolante senza essere onanistico come altre produzioni di questo genere. Il tutto è irrobustito da una dose costante di psichedelia pesante che potenzia l’opera dei Stone Machine Electric. Un disco che è l’esatto opposto di commerciabilità, con il suo tracciato onirico e di musica senza fissa dimora che regala notevole piacere all’ascoltatore. La loro produzione è fitta, e questo episodio non è forse il migliore, ma è sicuramente una summa molto precisa di cosa sia questa band texana.

Tracklist
1.Sum of Man
2.SAND
3.Circle
4.Purgatory
Line-up
Dub – Guitar/Vocals
Kitchens – Drums/Vocals/Theremin

https://www.facebook.com/StoneMachineElectric/

Veuve – Fathom

Raramente si ascolta un gruppo stoner con questa profondità, con questa capacità di cogliere qualche aspetto della realtà o del sogno in ogni canzone

I Veuve sono un trio di Pordenone attivo dal 2014 che suona un’interessante miscela di stoner, fuzz e space rock.

Quello che colpisce maggiormente in questo disco è la diversità dei suoni e la versatilità del gruppo, e soprattutto le piacevolissime melodie che si alternano a pezzi più pesanti. Fathom non ha un approccio solo, contiene molte cose che unite danno l’unicità dei Veuve, quel tono particolare che altri gruppi non possiedono. Con l’ascolto si possono cogliere le impalcature sonore che vi sono allestite, non vi è nulla lasciato al caso, la costruzione va avanti progressivamente ed in maniera incessante. Nonostante facciano un genere davvero abusato come lo stoner, i Veuve riescono ad essere molto originali, rivolgendosi a ciò che sta oltre il cielo e non a quello che sta sotto. Qui dimora un notevole senso di libertà, un sano escapismo che ci porta lontano da una vita che sta stretta, e grazie all’immaginazione e a un disco come Fathom si può andare lontano senza muoversi. I Veuve sono uno di quei gruppi che lavora incessantemente alla propria musica e lo si può ascoltare benissimo qui, dove tutto è curato fin nei minimi particolari. Raramente si ascolta un gruppo stoner con questa profondità, con questa capacità di cogliere qualche aspetto della realtà o del sogno in ogni canzone. Molto forte è anche il senso di melanconia, intesa come profonda comprensione della nostra limitatezza, che è infatti rappresentata dalla loro parte post rock, molto presente in canzoni come Following, un piccolo capolavoro. Diciamo che i Veuve potevano scegliere per una via più facile, magari facendo uno stoner più rapace, ma sicuramente non è il loro modo di agire, e quindi confezionano un disco profondo ed interessante, che copre molti lati della luna. Da ascoltare con molta attenzione.

Tracklist
1.Radars Are High
2.Taste Of Mud
3.Following
4.Death Of The Cosmonaut
5.Low In The Air
6.The Unseen
7.Into The Smoke

Line-up
Riccardo Quattrin – bass & vocals
Stefano Crovato – guitar
Andrea Carlin – drums

https://www.facebook.com/veuveband/

Directo – … Al Infierno

…Al Infierno è quello che vuole essere, una corsa verso le regioni a sud del paradiso, una perdizione sonora per fans dello stoner, dell’hard rock e del metal più stradaiolo, ed è un disco piacevole ed un ottimo inizio discografico per un gruppo che ha cose da dire ma soprattutto da suonare.

Ascoltare i Directo è come trovare o ritrovare dei compagni di vizi che si credevano perduti, qualcuno che capisce le fiammate che a volte ci ardono dentro senza rimedio e che le hanno messe in musica.

I Directo nascono a Città di Castello provincia di Perugia nel 2010, fondati da ragazzi che amano le sonorità di Black Sabbath e Kyuss, ed infatti i loro concerti si basavano agli inizi sulla discografia del gruppo desertico. Questo …Al Infierno è il loro esordio ed è un disco che contiene uno stoner desert con molte influenze diverse di grande qualità, e che rilascia molte emozioni mai scontate; ascoltandolo si viene trasportati in un luogo molto caldo e con gente non proprio raccomandabile, le chitarre disegnano riff fumosi e sabbiosi, la sezione ritmica spinge in maniera lussuriosa come dei lombi, e la voce è molto adeguata a questo tipo di musica. Nel mondo ci sono moltissimi gruppi simili ai Directo, ma pochi hanno una loro impronta originale, che qui invece è molto marcata e ne rappresenta la natura più profonda. Ascoltando il disco ci si accorge che alla fine questo loro suono così affascinante si può annoverare sotto la dicitura blues, sì questo potrebbe essere blues del deserto, perché il deserto non è per forza quello popolato da scorpioni e bestie varie, ma anche qualsiasi delle nostre provincie italiane, dove non succede mai nulla ma in realtà solo il brutto accade, e dove ci sono forze che ti spingono a fare musica più forte e i Directo ne sono una dimostrazione molto forte.
… Al Infierno è quello che vuole essere, una corsa verso le regioni a sud del paradiso, una perdizione sonora per fans dello stoner, dell’hard rock e del metal più stradaiolo, ed è un disco piacevole ed un ottimo inizio per un gruppo che ha cose da dire ma soprattutto da suonare.

Tracklist
1. Enter The Darkness Gate
2. Electric Phoenix
3. Immortal King
4. Planet’s Dying. Pt.1 (Empty Oceans)
5. Planet’s Dying. Pt.2 (Burning Metal)
6. Bitches, Whorses and Other Furnishings
7. Satan Is A Friend Of Mine
8. Memories Of A Dead Star

Line-up
Zyus (Igor Laurenzi) – Voice
Rado (Simone Radicchi) – Lead Guitar
Bechi (Alberto Rubechi) – Rhythm Guitar
Gaglia (Gabriele Gagliardini) – Bass
Razzola (Stefano Razzolini) – Additional Bass
Bracco (Giacomo Bracchini) – Drums

DIRECTO – Facebook

Wendigo – Wasteland Stories

Questo primo full length lascia intravedere buone potenzialità, anche se la band deve assolutamente trovare il bandolo della matassa del proprio sound, puntando su quello che sa fare meglio, suonare stoner metal.

I Wendigo sono un gruppo tedesco fondato nel 2012 la cui discografia ha inizio con la pubblicazione dell’ep Initiation nel 2016, mentre questo nuovo lavoro vede la band cimentarsi per la prima volta su lunga distanza.

Il sound del gruppo miscela una manciata di generi che vanno dall’heavy metal, all’hard rock, passando con buona disinvoltura tra atmosfere doom classiche ed altre più moderne e stoner.
L’opener The Man With No Home risulta un buon sunto di quanto scritto, con il quintetto che nell’arco di quattro minuti passa da un genere all’altro, forzando un po’ troppo sugli evidenti cambi di atmosfere imposte dai generi.
Le cose prendono una strada lineare nei due brani successivi dove l’hard rock venato di stoner metal prende il comando del sound, risultando sicuramente più convincente.
Anche la voce del singer Jorg Theilen sembra più a suo agio quando le note scorrono sulle strade impolverate e scaldate dal sole del deserto, mentre fatica quando deve prendere note alte imposte da refrain di stampo heavy metal.
Il cuore di Wasteland Stories, rappresentato dalle due parti di The Lonesome Gold Digger, tocca addirittura momenti estremi con uno scream che irrompe su atmosfere doom, accentuate in Iron Brew, brano di matrice Count Raven.
Questo primo full length lascia intravedere buone potenzialità, anche se la band deve assolutamente trovare il bandolo della matassa del proprio sound, puntando su quello che sa fare meglio, suonare stoner metal.

Tracklist
1. The Man With No Home
2. Desert Rider
3. Back In The Woods
4. Dagon
5. The Lonesome Gold Digger Pt. I
6. The Lonesome Gold Digger Pt. II
7. Iron Brew
8. Staff of Agony
9. Mother Road

Line-up
Jorg Theilen – Vocals
Eric Post – Guitars
Jan Ole Moller – Guitars, Vocals
Lennard Viertel – Bass, B.Vocals
Steffen Freesemann – Drums

WENDIGO – Facebook

Geezer – Spiral Fires

Tradizione americana ma anche tanto altro per una band che possiede un groove piacevole e che ben si sposa con la forma dell’uscita discografica dell’ep, attraverso il quale riesce a comporre musica notevole senza dispersioni, facendo concentrare l’ascoltatore sul risultato.

Il trio statunitense Geezer è uno di quei gruppi che ad ogni nuova pubblicazione alza lo standard del proprio genere, in questo caso lo stoner con forti influenze blues e psych.

In questo nuovo ep la band fa quello che le riesce meglio, ovvero musica pesante con un groove importante. La miscela sonica dei Geezer raccoglie vari elementi dagli ultimi cinquant’anni di musica psichedelica americana, a partire dalle visioni sonore degli anni sessanta e settanta, arrivando ad un certo doom degli anni ottanta, scarno e molto vicino al blues. Tutto ciò ed altro ancora lo possiamo ritrovare in questo disco, che nasconde molte sorprese. Spiral Fires ha degli uncini che vi trascineranno lontano, le distorsioni sono tutte al loro posto e hanno un gran bell’effetto sulle nostre menti assetate di viaggi psichedelici. Non a caso questo disco esce per Kozmik Artifactz, un’etichetta che ha sempre prodotto psichedelia pesante in molte declinazioni diverse. Rispetto all’ultimo disco del 2017, Psycchoriffadelia, le atmosfere sono simili ma c’è una presenza inferiore della componente blues, anche se mantengono sempre una struttura musicale fortemente debitrice al suono del delta del Mississipi. Le frequenze dei Geezer non appartengono tutte a questa dimensione e vi porteranno oltre i vostri sensi. Nell’ambito underground i Geezer rappresentano una sicurezza, un gruppo che non sbaglia mai un disco, essendo animati da sincera passione per la musica ma anche baciati da una capacità di composizione non comune. Tradizione americana ma anche tanto altro per una band che possiede un groove piacevole e che ben si sposa con la forma dell’uscita discografica dell’ep, attraverso il quale riesce a comporre musica notevole senza dispersioni, facendo concentrare l’ascoltatore sul risultato.

Tracklist
1.Spiral Fires Part 1
2.Spiral Fires Part 2
3.Darkworld
4.Charley Reefer

Line-up
Richie
Turco
Pat

GEEZER – Facebook

Kvinna – This is Türborock

Ascoltando i Kvinna non si compie una mera operazione nostalgica, ma si entra nel suono molto caldo di un gruppo che fa vedere come si può fare ottimo rock punk veloce e dalle diverse influenze.

Dalla Germania arriva un disco che si aspettava da anni, il cui spirito è perfettamente racchiuso nel titolo: This Is Turborock.

Il suono è dalle parti degli Zeke, dei Glucifer e degli Hellacopters, anche se il tutto è rielaborato in maniera molto personale. Il debutto dei tedeschi Kvinna è un qualcosa che mancava da tempo, ovvero un bel disco di rock contaminato dal punk, veloce e con venature stoner, e c’è anche una bella dose di affascinante pop. I Kvinna non sono un gruppo comune e lo dimostrano fin dalle prime note. Il loro suono non è un attacco sonoro alla Zeke, anche se riprende qualcosa del gruppo americano, così come estrae elementi dal suono degli Hellacopters senza però attenersi fedelmente. Il trio è molto ben bilanciato e il disco è una continua scoperta, suona al contempo molto americano ma anche europeo, con melodie inusuali e molto piacevoli. I Kvinna sono una di quelle band che sa stupire sempre, con la fondamentale caratteristica di non essere mai ovvia né scontata. Tutto l’album si fa ascoltare molto volentieri e anzi, si preme nuovamente play molto volentieri per rivivere il tutto. La chitarra compie un gran lavoro, la voce è molto particolare ed esce dai canoni di questo genere ibrido, mentre la sezione ritmica è assolutamente adeguata. Ascoltando i Kvinna non si compie una mera operazione nostalgica, ma si entra nel suono molto caldo di un gruppo che fa vedere come si può fare ottimo rock punk veloce e dalle diverse influenze. Il trio ha assorbito i molti e disparati ascolti e ne ha saputo trarre un buon disco, piacevole e con un certa profondità, senza essere fuori tempo massimo: anzi, può rivitalizzare un sottogenere molto piacevole, ma che negli ultimi anni ha mostrato un certo fiato corto. Non alzate il piede dall’acceleratore.

Tracklist
1.Desert Wytch
2.War Machine
3.Nitefighter
4.Flat Tyre
5.Space Vampyres
6.She-Wolves on Fyre
7.The Angry 45
8.Demon Road
9.Gammal Kvinna
10.Full Moon Ryders

Line-up
Thünderwolf
Grïzzly
Spÿder

KVINNA – Facebook

Brutofuzz – Every Drop

A parte le definizioni che lasciano sempre davvero il tempo che trovano, e forse anche meno, i Brutofuzz sono un gruppo come pochi, diretto, potente e molto particolare.

Un trio di ragazzi come noi non più giovanissimi, che fanno un ottimo noise rock distorto e dalla notevole creatività, con ogni canzone che racchiude elementi notevoli.

Questo ep porta con sé una storia particolare, dato che originariamente era nato come lavoro strumentale a nome Sun@9 e intitolato Italian Breakfast, e che un’etichetta americana di nome M.W.A.I.A. voleva pubblicare a nome Brutofuzz. Ciò diede l’occasione al gruppo di riarrangiare i pezzi per metterci la voce, e bisogna dire che il risultato è molto buono, e pure che gli americani ci avevano visto lungo. Il gruppo era rimasto inattivo dal 2014 al 2017 per gravi problemi di salute di uno dei ragazzi, problema fortunatamente risolto, e torna con questo ep che gli garantisce un bel posto al sole. Ci sono tante cose qui dentro, dal noise allo stoner, a partenze alla Rage Against The Machine quando meno te lo aspetti e tanto altro, ma soprattutto una maniera di fare musica mai ovvia e scontata. Si sente molto chiaro lo spirito di Les Claypool, ovvero tecnica musicale, lavoro in saletta e suonare senza escludere un labor limae successivo. Every Drop è un flusso di coscienza musicale, un correre e saltare senza mai fermarsi, rinnovando una tradizione italiana del tutto particolare, che si potrebbe riassumere con free rock molto rumoroso. A parte le definizioni che lasciano sempre davvero il tempo che trovano, e forse anche meno, i Brutofuzz sono un gruppo come pochi, diretto, potente e molto particolare. Purtroppo sono stati tre anni fuori dai giochi, ma questo ep servirà a riportarli nella mischia perché tirano colpi non da poco. Prima della loro pausa forzata (che denota anche dei valori perché piuttosto si ferma tutto se un membro della famiglia ha dei problemi) si stavano creando il loro meritato e giusto spazio sia su disco che dal vivo, ma ora sono tornati meglio di prima.

Tracklist
1. Toy Man
2. Celebrate
3. Orgasmic Cosmo
4. Mask Of Hate
5. Burning On My Skin

Line-up
Luca “barbadrum” Stocco – batteria
Federico “brutobass” Leo – basso
Federico “fuzzfaith” Lorigiola – chitarra

BRUTOFUZZ – Facebook

Clouds Taste Satanic – Evil Eye

Evil Eye è molto vicino ad essere una sinfonia di rock pesante, con tanta psichedelia interpretata in maniera differente rispetto alla normale concezione, per un risultato al di fuori del comune.

I Clouds Taste Satanic sono uno dei migliori gruppi stoner psych in giro, non hanno mai sbagliato una canzone e con questo disco sanciscono la loro netta superiorità musicale.

Riff oceanici di sangue infetto travolgono comitive di non morti che partono per una crociata con direzione l’inferno. Questi newyorchesi hanno un suono unico che si sviluppa nei meandri di canzoni lunghe alle quali non si può resistere. Per questo ultimo lavoro, che sarà come annunciato il primo dei due loro dischi che usciranno nel 2019, hanno confezionato due canzoni di venti minuti circa l’una, una per ogni lato del vinile, per una magia nera che non lascerà scampo. Ogni riff ha una vita a sé stante, ed il gruppo trova sempre una soluzione sonora, uno svolgimento di un passaggio altresì difficile con naturalezza e gran classe. Scrivere di musica non è facile, e se si trattano i Clouds Taste Satanic è ancora più difficile, perché su Evil Eye ci si potrebbe scrivere un libro. Questo è un disco che contiene dolore, morte, estasi e tanti viaggi, ha un suo peso corporeo e fisico ma al contempo fa volare lontano, facendo dimenticare tutto ciò che ci sta intorno. Musicalmente è qualcosa vicino ad una sinfonia di rock pesante, con tanta psichedelia interpretata in maniera differente rispetto alla normale concezione per un risultato al di fuori del comune. Non è difficile capire perché i Clouds Taste Satanic godano di una grandissima reputazione underground, sono uno di quei gruppi che compiono un’evoluzione continua e di alta qualità proponendo un qualcosa di unico ed originale. Fare due pezzi di oltre venti minuti con dentro mille mondi, tenendo sempre alta la tensione e l’attenzione dell’ascoltatore può riuscire a pochi, e si tratta di musica pura, senza parole. Già dai primi riff di Evil Eye veniamo portati in una dimensione molto diversa dalla nostra, dove possiamo aspettarci di tutto, cosa che infatti accade. Evil Eye è uscito il 30 aprile, la notte di Valpurga, data di inizio dell’estate esoterica e cara ai satanisti. E non ci potrebbe essere colonna sonora migliore di questa. Il prossimo disco sarà fuori per Halloween 2019.

Tracklist
1.Evil Eye
2.Pagan Worship

Line-up
Steve Scavuzzo
Sean Bay
Greg Acampora
Brian Bauhs

CLOUDS TASTE SATANIC – Facebook

A Violet Pine – Again

Again è un album minimale, a suo modo diretto e pervaso da lunghe jam strumentali tramite le quali la mente viaggia tra l’umidità della notte e l’impatto del sole sulla sabbia del deserto: un esperienza uditiva consigliata agli amanti dei suoni post rock e stoner.

Post grunge, rock, leggere distorsioni che si fanno spazio tra suoni desertici ed oscure palpitazioni notturne, sono le caratteristiche principali dei brani che compongono Again, terzo album dei rockers pugliesi A Violet Pine.

Sono passati quattro anni dal precedente lavoro e la band, ora composta da Giuseppe Procida (voce e chitarra), Francesco Yacopo Bizzoca (basso) e Paolo Ormas (batteria e tastiere) torna con un lavoro notturno, strumentale, sempre impossessato da quel demone stoner-gaze che ha sempre contraddistinto la musica del gruppo.
Un album che si inoltra senza paura nel rock dell’ultimo decennio del secolo scorso, immagazzinando influenze ed ispirazioni che vanno oltre i soliti nomi (tanto si ascolta dei seminali The God Machine del capolavoro Scenes From The Second Storey), pur tenendo ben presente nello spartito attimi di rock bagnato dalla pioggia di Seattle.
Un album notturno si diceva, atmosfere plumbee, umide anche se in lontananza il vento del deserto arriva a riscaldare brani come Run Dog Run! o la parte finale di Where Boys Steal Candles.
Again è un album minimale, a suo modo diretto e pervaso da lunghe jam strumentali tramite le quali la mente viaggia tra l’umidità della notte e l’impatto del sole sulla sabbia del deserto: un esperienza uditiva consigliata agli amanti dei suoni post rock e stoner.

Tracklist
01. Interstellar Love
02. Run Dog, Run!
03. Again
04. When Boys Steal Candles
05. Black Lips
06. Monster
07. Z00

Line-up
Giuseppe Procida – vocal, guitar
Francesco Yacopo Bizzoca – bass guitar
Paolo Ormas – drums, synth

A VIOLET PINE – Facebook

Elevators To The Grateful Sky – Nude

La band, in questo nuovo lavoro, torna alle sonorità che avevano caratterizzato il debutto, lasciando in parte lo spirito garage che aveva animato lo splendido Cape Yawn per un viaggio che dal deserto porta la band ancora una volta nelle strade della piovosa Seattle.

Sono passati cinque anni dal bellissimo debutto Cloud Eye e tre dal capolavoro Cape Yawn e il viaggio degli Elevators To The Grateful Sky nel rock degli ultimi trent’anni del secolo scorso continua con questo terzo album intitolato Nude.

Con un contratto nuovo di zecca con la label greca Sound-Effects Records, ed accompagnato dallo splendido artwork realizzato come sempre dal frontman Sandro di Girolamo, i rockers parlermitani tornano con un questi nuovi undici brani che confermano il loro status di spicco nella scena underground in ambito stoner/psych rock.
D’altronde i componenti della band hanno sempre dedicato il loro talento a più di un genere, passando con disinvoltura dal metal estremo al rock ed alle sue tante sfaccettature dimostrando di saper convincere sia come Elevators To The Grateful Sky che nelle altre incarnazioni Sergeant Hamster, Haemophagus, Undead Creep e Cavernicular, tanto per nominare quelle di cui nel tempo ci siamo occupati e che puntellano una delle scene più interessanti del nostro paese.
La band, in questo nuovo lavoro, torna alle sonorità che avevano caratterizzato il debutto, lasciando in parte lo spirito garage che aveva animato lo splendido Cape Yawn per un viaggio che dal deserto porta la band ancora una volta nelle strade della piovosa Seattle.
Ovviamente la parte psichedelica e stoner è ben presente nei vari brani che compongono Nude, con l’opener Addaura che come un trip sale, stonata e psichedelica e di matrice settantiana.
Il quartetto prepara il campo per quello che sarà l’album più vario scritto fino ad oggi, con una serie di ispirazioni ed atmosfere che vanno dagli anni sessanta ai novanta, trent’anni di rock e hard rock catapultati in un’opera che affascina e tiene incollati alle cuffie dalla prima all’ultima nota.
Beggars Can’t Be Choosers, Insects In Amber, lo stoner/doom di Flowerian, Song For July, In Your Hands (che ricorda non poco gli Alice In Chains), mostrano un gruppo dall’approccio più diretto rispetto al passato.
Manca in questo lavoro il brano da jam session come poteva essere la title track dell’album precedente, ma il suo fagocitare ispirazioni che vanno dai The Beatles agli Alice In Chains, dai Kyuss ai Nirvana, dai Black Sabbath ai Cathedral per restituirle sotto forma di un sound personale ed ormai riconoscibilissimo, contribuisce a rendere Nude un altro straordinario lavoro targato Elevators To The Grateful Sky.

Tracklist
1.Addaura
2.Beggars Can’t Be Choosers
3.Like A Seashell
4.Nude
5.Insects In Amber
6.Night’s Out
7.Flowerian
8.Drowned Dragness
9.Song For July
10.In Your Hands
11.The Trembling Watermoon

Line-up
Sandro di Girolamo – vocals and percussion
Giorgio Trombino – guitars, bass, alto saxophone, congas, keyboards, alternate lead vocals
Giuseppe Ferrara – rhythm guitars
Giulio Scavuzzo – drums, darbouka, tambourine, percussion and alternate lead vocals

ELEVATORS TO THE GRATEFUL SKY – Facebook

The Worst Horse – The Illusionist

Un lavoro riuscito ed estremamente godibile per gli amanti dei suoni stoner/groove metal.

Dall’immaginario horror e dai fumetti di Dylan Dog (l’indagatore dell’incubo) nasce il concept dietro a The Illusionist, primo lavoro su lunga distanza dei rockers milanesi The Worst Horse.

Il quartetto nasce per volere del cantante David Podestà e del chitarrista Omar Bosis , a cui si aggiungono in seguito il batterista Francesco Galimberti e recentemente il bassista Riccardo Crespi.
The Illusionist racconta di una società sempre più malvagia e crudele con i deboli, mentre l’indagatore dell’incubo e l’illusionista si danno battaglia tra le trame di molte delle canzoni che competano un lavoro di hard rock che si nutre di varie ispirazioni ed influenze.
Dal blues sporcato di stoner rock, al rock duro vero e proprio, dal rock’n’roll al southern metal paludoso e viscido della scena di New Orleans, The Illusionist non manca di prendere per il colletto e sbattervi contro il muro a colpi di rock che si potenzia di iniezioni groove metal.
Sono tre quarti d’ora intensi e sanguigni quelli offerti dal gruppo milanese, le chitarre sature, la voce graffiante e bagnata da Jack Daniels d’annata si riveste di blues mentre la caccia all’illusionista si fa intensa tra le note di Tricky Spooky, il rock blues di Circles, Leather Face, il rock’nroll di Grimorium e la conclusiva It.
Registrato con l’aiuto di Gabriel Pignata al basso (Destrage) e la chitarra di Luca Princiotta (Doro Pesch, Blaze Bayley), ospite in It, l’album risulta un lavoro riuscito ed estremamente godibile per gli amanti dei suoni stoner/groove metal.

Tracklist
01. Tricky Spooky
02. 313 Pesos
03. The Illusionist
04. Circles
05. Leather Face
06. Grimorium
07. XIII
08. Blind Halley
09. Elevator To Hell
10. It

Line-up
David Podestà – Vocals
Omar Bosis – Guitars
Francesco Galimberti – Drums
Riccardo Crespi – Bass

THE WORST HORSE – Facebook

Warp – Warp

Diverse ma ancora più estreme rispetto a quelle americane, le aree desertiche del loro paese hanno ispirato non poco questo trio israeliano che dimostra notevole competenza in fatto di psichedelia, stoner ed heavy doom.

Questa macchina macina riff chiamata Warp proviene da Tel Aviv e debutta con questa mezzora di stordente e psichedelico lavoro omonimo.

Diverse ma ancora più estreme rispetto a quelle americane, le aree desertiche del loro paese hanno ispirato non poco i tre musicisti israeliani che corrispondono a Itai Alzaradel (chitarra e voce), Sefi Akrish (basso e voce) e Mor Harpazi (basso e voce), un trio che dimostra notevole competenza in fatto di psichedelia, stoner ed heavy doom con questa jam di mezzora divisa in otto brani potenti, drogati ed ispirati tanto dall’heavy rock settantiano, quanto dallo stoner/doom anni novanta.
Il riff viene rimesso sul trono del rock dagli Warp, stordente come i raggi del sole che scaldano la sabbia del deserto, accompagnato da liquide parti jammate dove psych e hard rock si fondono tra le rocce arroventate tra le quali stanno in agguato serpi e scorpioni micidiali in attesa del passaggio delle loro vittime.
Licenziato in cd dalla Reality Rehab Records ed in seguito nella versione in vinile dalla Nasoni Records, Warp ci fa viaggiare tra illusioni ottiche in cui appaiono oasi di musica fuori dal tempo, tra atmosfere dilatate, solos incisivi e blues sporco di hard rock stonato a caratterizzare brani come l’opener Wretched, Gone Man, Out Of My Life e la conclusiva Enter The Void.
Sleep, Orange Goblin, Radio Moscow sono i primi nomi che sovvengono tra gli indistinti miraggi che appariranno dopo le troppe ore trascorse al sole.

Tracklist
1.Wretched
2.Into My Life
3.Gone Man
4.”Confusion Will Be My Epitaph” Will Be My Epitaph
5.Intoxication
6.Out Of My Life
7.Hey Littly Rich Boy II
8.Enter The Void

Line-up
Itai Alzaradel – Lead Guitar, Vocals
Sefi Akrish – Bass Guitar, Vocals
Mor Harpazi – Drums, Vocals

Acajou – Under The Skin

Questo lavoro è la dimostrazione che talento, sicurezza e possibilità di non dover dimostrare nulla possono portare a fare ottime cose, e Under The Skin è una di quelle piccole che rendono migliore la vita.

Tornano dopo molti anni i padovani Acajou, con il loro secondo disco Under The Skin.

Il gruppo fu incluso nella mitica raccolta Stone Deaf Forever, in compagnia di The Atomic Bitchwax, Beaver, Ufomammut, Spirit Caravan, Unida ed altri. Nati a cavallo dell’epoca grunge con quella stoner, i padovani sono tornati e sono molto meglio di prima. Il loro disco di esordio era un quattro pezzi del 1998 intitolato Hidden From All Eyes ed era piuttosto stoner grunge, mentre quello attuale è un lavoro maturo a basi di blues, rock, grunge, funky e tanta classe. Si rimane sinceramente stupiti dalla fluidità e dalla quieta bellezza di un disco composto e suonato in totale libertà. Ascoltando Under The Skin i suoni caldi, sinuosi e potenti degli Acajou in breve tempo conquisteranno l’ascoltatore che in seguito non ne potrà più fare a meno. Davvero peculiare un ritorno dopo così tanto tempo di un gruppo che ha suonato ere musicali fa, e per di più di così grande impatto poi. Definire un genere è difficile per questo album, perché si spazia in molti lidi musicali, ma si può dire che il sentimento generale sia blues rock, e c’è anche del ritmo funky in una miscela che raramente troviamo alle nostre latitudini. Questo lavoro è la dimostrazione che talento, sicurezza e possibilità di non dover dimostrare nulla possono portare a fare ottime cose, e Under The Skin è una di quelle piccole che rendono migliore la vita. La voce di Marco Tamburini scalda il cuore e lo scartavetra un po’, con il suo timbro blues ma adatto anche a molto altro. Un disco molto piacevole da ascoltare, che libera l’anima e predispone bene senza negare che la vita sia un casino, ma se mettiamo i piedi per terra qualcosa sarà.

Tracklist
01 La Ferrari
02 We’ve Never Met
03 Old Home Boy
04 Under The Skin
05 In The Waves
06 Sometimes
07 Jeez (in The Mood For Love)
08 Dim Noise

Line-up
Filippo Ferrarretto – basso
Nicola Tomas Moro – chitarra
Simone Ruffato – batteria
Marco Tamburini – voce e synth

ACAJOU – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=EhdIePuVll8)

Prehistoric Pigs – Dai

Ascoltare per godere dovrebbe essere scontato ma non lo è affatto in questi tempi plastici, e Dai è un massaggio per orecchie e mente, un luogo dove si sta bene per davvero.

Piacevolissimo terzo disco di questo trio composto da due fratelli ed un cugino che, con molta semplicità, suonano da anni musica strumentale dal potente potere evocativo.

I Prehistoric Pigs possono sembrare un gruppo come tanti, ma appena si mette su il disco si ascoltano cose per nulla comuni. Il loro nucleo musicale è uno stoner psych strumentale con una forte influenza desert. Il trio fa sostanzialmente musica libera da schemi ed è un gran piacere da ascoltare. Slegati da ogni laccio di appartenenza ad una qualche scena musicale i Prehistoric Pigs vagano liberi e compongono bellissimi racconti di viaggio musicale e non solo. Nella loro proposta sonora ci sono molte reminiscenze hendrixiane e della psichedelia anni sessanta e settanta, con il fondamentale tocco del krautrock che è uno strato importantissimo. Ma poi che importa dei generi quando si è lanciati nello spazio a folle velocità ? Una delle cose che impressiona maggiormente di questo gruppo è la totale naturalezza delle loro composizioni, tutto ciò che succede dentro queste canzoni è bello e godibile, non ci sono pezzi noiosi, e anche gli assoli di chitarra sono piacevoli e nel contesto di totale libertà. Il viaggio è composto da musica caleidoscopica ma al contempo con quella ruvidezza e pesantezza che piace davvero molto. Tutto ciò è frutto del grande lavoro che compie il trio, con un basso notevolissimo, la chitarra che ricama senza mai fermarsi ed una batteria che compie evoluzioni su evoluzioni, e tutti contribuiscono a rendere pazzesco il tutto. Di gruppi strumentali in giro ce ne sono, ma nessuno ha questa scioltezza, questa esatta consequenzialità di scelte sonore e questa godibilità sonora. L’unico difetto di questo disco è che dovrebbe essere un doppio, e pure un triplo, ma se mettete la ripetizione passerete delle belle ore in compagnia di questo trio. Ascoltare per godere dovrebbe essere scontato ma non lo è affatto in questi tempi plastici, e Dai è un massaggio per orecchie e mente, un luogo dove si sta bene per davvero.

Tracklist
1 Hasenjio
2 Pest
3 Geppetto M24
4 Soft-Shell Grab
5 No Means No

PREHISTORIC PIGS – Facebook

Speechtones – Step

Step è un primo passo, una fondazione di un nuovo mostro sonoro che nasce non a caso in Sardinia, una terra molto fertile per l’underground di qualità.

Dalla Sardegna esordio assoluto per gli Speechtones, un gruppo che fa musica diretta e di sostanza, scegliendo come generi lo stoner, l’heavy rock e sua maestà il desert, tutto in maniera ben fatta e coerente.

Ascoltare la loro prima prova, in download libero sul loro bandcamp, oltre a far scoprire un nuovo valido gruppo underground riesce a regalare bei momenti a chi si vuol lasciare rapire da un suono che è meglio lasciar fluire ad alto volume. In questo gruppo sardo convivono diverse anime e i generi cambiano con facilità, anche grazie al talento compositivo e alla freschezza musicale e mentale. La produzione può essere ampiamente migliorata, ma questo ep Step è la pietra miliare di una strada ancora in costruzione, dato che il lavoro è stato registrato con il primo batterista che non è più in formazione. I tre pezzi possono sembrare pochi, ma illustrano molto bene ciò che è e ciò che potrebbe diventare questo gruppo. Come tante band al proprio esordio le idee sono giustamente tante e spingono tutte per uscire fuori. Il risultato sono tre canzoni, tre appunti di ciò che è e di ciò che sarà. Perché questo gruppo è solido e andrà avanti. La psichedelia è presente in forme diverse, ma sicuramente gli Speechtones non la interpretano nella concezione classica del termine, anche se hanno dei bei momenti stupefacenti soprattutto nel primo pezzo, che è anche quello di maggior respiro dato che supera gli otto minuti. La coppia di canzoni rimanente è più breve e mette in luce altre peculiarità della band, come la capacità di usare lo stoner e il desert rock anche se in realtà lo stile parte da questi assiomi ma è una miscela originale e in totale divenire. Step è un primo passo, una fondazione di un nuovo mostro sonoro che nasce non a caso in Sardinia, una terra molto fertile per l’underground di qualità.

Tracklist
1.Popular Express
2.Sharks and Dogs
3.Speechless

SPEECHTONES – Facebook

Dzjenghis Khan – Dzjenghis Khan

Verrete catapultati nel suono degli anni sessanta e settanta, specialmente quello americano che fondeva la psichedelia con il rock duro e che ha dato vita a grandissimi gruppi come i Grand Funk Railroad, Hawkwind, e tanti altri.

Necessaria e doverosa ristampa da parte della Heavy Psych Sounds del debutto dei Dzjenghis Khan, uno dei gruppi di psichedelia pesante che hanno impressionato maggiormente negli ultimi anni.

Il trio da San Francisco uscì con questo debutto per l’olandese Motorwolf nel 2007, e riuscì subito a catturare l’attenzione di molti ascoltatori e della critica. Il perché lo scoprirete ascoltando questa ristampa, se già non li conoscete, e verrete catapultati nel suono degli anni sessanta e settanta, specialmente quello americano che fondeva la psichedelia con il rock duro, e che ha dato vita a grandissimi gruppi come i Grand Funk Railroad, Hawkwind, e tanti altri. Qui troverete quelle bellissime atmosfere cariche di tensione e di indolenza tipica dei giovani drogati che vagano in cerca di sangue ed emozioni a basso costo. Le dieci tracce sono tutte fantastiche, non esiste un momento di noia, anche gli assoli di chitarra danno gioia. I testi sono una delle cose migliori di questo gruppo, che gioca con intelligenza ed ironia con i vostri peni e con certi bicchieri di whiskey. Purtroppo non si sa molto di questo gruppo, ma solo che è nato nel 1977, e non ha pubblicato nulla fino al 2007, ma non c’è problema dato che i tre membri sono immortali. Inoltre da quando sono emigrati da San Francisco a Den Haag, ridente cittadina olandese sempre sul mare come Frisco, se ne sono perse le tracce. La musica invece rimane ed è bellissima, una commistione di acid, psych e fuzz, uno stoner a bassa frequenza che fa vibrare come qualcosa dei migliori Blue Cheer, anzi anche meglio. I pezzi sono tutti figli amatissimi di impetuose jam che in un’altra dimensione si sono intrecciate e stanno suonando tutte assieme. Il disco è bellissimo, e grazie a questa ristampa lo possiamo gustare di nuovo, anche se come tutte le cose belle ha il rovescio della medaglia : durante le registrazioni si sono perse le tracce del loro ingegnere del suono Hans Koolstra, che dopo aver mormorato qualcosa sui canali di uscita è scomparso.

Tracklist
1 Snake Bite
2 The Widow
3 No Time For Love
4 Avenue A
5 Against The Wall
6 Black Saint
7 End Of The Line
8 Rosie
9 Sister Dorien

Line-up
Jinx
Binks
Spence

DZJENGHIS KHAN – Facebook

600000 Mountains – Mister Sartorius

Rispetto alla maggior parte dei gruppi stoner i catanesi hanno un gran bel tiro naturale e, soprattutto, riescono ad andare molto in profondità grazie a ruvide melodie che escono da distorsioni dall’incedere influenzato dal prog.

Dal fertile sottobosco musicale catanese arriva l’ep autoprodotto di esordio dei 600000 Mountains, un gruppo che fa uno stoner molto acido e ben strutturato.

Una breve descrizione del loro suono è quella scritta sopra, ma se si ascoltano i primi tre pezzi di questo ep di esordio si possono trovare molte altre cose. Rispetto alla maggior parte dei gruppi stoner i catanesi hanno un gran bel tiro naturale e, soprattutto, riescono ad andare molto in profondità grazie a ruvide melodie che escono da distorsioni dall’incedere influenzato dal prog. I 600000 Mountains non cantano, ma sarebbe forse superfluo o magari lo faranno in futuro, sicuramente con questo disco non annoiano, perché la musica interamente strumentale non è affatto tediosa come dicono molti, ma è più difficile da offrire in termini di qualità. A volte i testi nascondono imbarazzanti vuoti creativi, perché se suoni bene, hai le idee chiare in testa e viaggi lontano come qui non v’è bisogno di favellare. I tre pezzi sono tutti di ampio respiro, con il secondo che oltrepassa gli otto minuti, e hanno uno sviluppo molto ben congegnato, come fossero viaggi che accompagnano l’ascoltatore là dove le nubi toccano oltre il cielo, verso lo spazio. I punti di riferimento sono più o meno gli stessi della maggioranza dei gruppi di questo genere, ovvero Kyuss, Karma To Burn e ovviamente i Tool, soprattutto per quanto riguarda la composizione. Ascoltare questi tre pezzi è molto gratificante e rende bene l’idea di un trio che ha molte qualità e possiede altrettanto talento nel creare certe atmosfere che piacciono a chi ama la musica come fuga, ed è sempre bello ascoltare cosa nasce nelle salette e nei garages della penisola. Un buon esordio che fa presagire un futuro radioso e fumoso.

Tracklist
1. Take Care and Survive
2. Omelette Man
3. Horse Suplex

Line-up
Simone Pellegriti -guitar
Guido Testa – bass
Giorgio Rosalia – drums

600000 MOUNTAINS – Facebook

Autori Vari – Marijuanaut Vol.V

In Italia, ormai da anni, nella musica pesante ci sono delle cose notevoli, è un flusso che scorre e che si deve ascoltare con attenzione, perché nasce dalla vera indipendenza e dalla passione.

Puntuale come la morte e la buona musica, ecco arrivare al termine del 2018, come da cinque anni a questa parte, la raccolta del meglio del sotterraneo italiano negli ambiti stoner doom e sperimentale, con la compilation della webzine Doomabbestia.

Quest’ultima è una delle migliori espressioni di giornalismo musicale fatte da appassionati per amanti di questi generi. Doomabbestia è il frutto di divertimento, perché quando si trattano le cose che si amano si fanno meglio, ma anche di sacrificio, perché non essendo professionisti si deve sacrificare qualche ambito della nostra vita per poter rincorrere la musica. Da anni questo spazio di critica e di proposta musicale è quanto di meglio un amante delle sonorità heavy in quota psichedelica possa trovare e questa bellissima raccolta in download libero ne è la testimonianza più lampante. Ascoltando gli episodi precedenti si aveva una fotografia molto precisa e puntuale della scena underground italiana per quanto riguarda i sottogeneri che vanno dallo stoner al doom, passando per lo psych ed il fuzz ed andando oltre. Questo quinto episodio incarna la grande qualità di quelli precedenti, ma li supera perché qui ci sono gruppi davvero notevoli, che ci fanno ascoltare come in Italia ci sia una vibrazione che è presente in molte cantine e garage, e che dà vita a qualcosa di assolutamente originale e vibrante. Non si vuole nominare un gruppo in particolare, sia perché sono tutti eccezionali, sia perché questa raccolta può essere ascoltata come un album classico, dato che c’è un filo conduttore comune a tutte le tracce che è quello della creatività e della bravura. Si spazia tantissimo in questa raccolta che è attesa con ansia ogni fine anno dagli appassionati di musica pesante e pensante, e con ragione, poiché qui ce n’è per tutte le inclinazioni. In Italia, ormai da anni, in tale ambito emergono cose notevoli, è un flusso che scorre e che si deve ascoltare con attenzione, perché nasce dalla vera indipendenza e dalla passione. Il meglio delle uscite italiane di musica pesante secondo i ragazzi di Doomabbestia, e non finisce qui per cui, come dicono loro, alzate il volume e accendetene una.

Tracklist
1.Greenthumb – The Black Court
2.Mr Bison – Sacred Deal
3.LORØ – Last Gone
4.Sabbia – Manichini
5.Messa – Leah
6.The Turin Horse – The Light That Failed
7.Killer Boogie – Escape From Reality
8.John Malkovitch! – Nadir
9.Go!Zilla – Peeling Clouds
10.Tons – Sailin’ the Seas of Buddha Cheese
11.Suum – Black Mist
12.Haunted – Mourning Sun
13.Organ – Aidel
14.Satori Junk – The Golden Dwarf
15.Sherpa – Descent of Inanna to the Underworld

DOOMMABESTIA – Facebook

Kotiomkin – Lo Albicocco al Curaro Decameron 666

Le fondamenta di questo suono sono le colonne sonore dei film italiani minori degli anni sessanta, settanta e ottanta, film innovativi e dalle grandi soundtrack, nelle quali l’avanguardia musicale poteva mostrarsi nuda e senza remore, regalando molte gioie.

Nuovo disco di questo duo italiano che confeziona splendide colonne sonore di film immaginari.

Il gruppo nasce da un’idea di Ezio P. Zender nel 2012 e ha già pubblicato Maciste Nell’Inferno Dei Morti Viventi – Peplum Holocaust e Squartami Tutta – Black Emanuelle Goes To Hell: i titoli dicono molto ma la questione è ancora meglio. La musica di questo duo è un qualcosa di inedito per molte orecchie, un viaggio di synth e chitarra, inframezzato da estratti da questi film immaginari. In pratica come se fosse una jam adattata alle immagini, questa musica che ora si attarda ora si slancia impetuosa è qualcosa che scorre senza mai ripetersi per tutto il corso del disco. Le idee dei Kotiomkin sono molteplici e tutte buone, l’ascoltatore non sa mai cosa lo aspetta, e il viaggio sonoro è molto bello. Le fondamenta di questo suono sono le colonne sonore dei film italiani minori degli anni sessanta, settanta e ottanta, film innovativi e dalle grandi soundtrack, nelle quali l’avanguardia musicale poteva mostrarsi nuda e senza remore, regalando molte gioie. Per la prima volta nella sua carriera il gruppo abbandona le chitarre per fare il tutto con i synth e la batteria. Il suono è molto fresco e ha un forte sapore di improvvisazione jazzistica, un andare oltre la forma canzone rompendo molti schemi in nome di un’avanguardia che è soprattutto mentale. La fisicità e il sesso sono qui onnipresenti, legandosi al dimonio che guida le azioni di donne e falli sventurati, e anche questo è reso benissimo ed in maniera molto fantasiosa. Una suora suicida, un padre che non si arrende, un demonio e tanto altro per una storia avvelenata come un albicocco al curaro. Qui i generi musicali si sovrappongono, dal noise al lounge satanico, stoner, prog e tanto altro, per un qualcosa di davvero originale ed unico. Non costa molto vendere l’anima ai Kotiomkin, ne ricaverete solo grande godimento.

Tracklist
Lo Lato A
I. Fatal Commestio
II. Sexy Averno
III. Metti lo Diavolo Ne Lo Convento

Lo Lato B
IV. Vilan Chesserton
V. Satanasso “Protettore” Delle Donne

Line-up
Enzo P. Zeder – Bass & Analogic Synthesizers
Gianni Narcisi – Drums

KOTIOMKIN – Facebook