Hadal – Painful Shadow

Chi si fosse perso un disco di tale spessore al momento della sua uscita ha tutto il tempo (e la convenienza) per rimediare, lasciandosi conquistare da una serie di splendide canzoni, a cavallo tra gothic/doom e rock/metal alternativo.

Ci ritroviamo a parlare con una certo ritardo, rispetto alla sua uscita, del secondo full length degli Hadal, Painful Shadow, uscito per la Sliptrick Records nello scorso mese di marzo.

Poco male, visto che la buona musica non va mai in prescrizione e l’occasione per averne una copia ci è stata fornita dalla partecipazione della band triestina al Doom Heart Fest dell’11 novembre, del quale abbiamo reso ampiamente conto nei giorni scorsi.
Intanto va detto che l’interpretazione del doom da parte degli Hadal è piuttosto originale, non tanto per la ricerca di improbabili sperimentazioni, quanto per la riuscita commistione con sonorità riconducibili al miglior rock alternativo, con un occhio di riguardo alla storica scena di Seattle: un qualcosa già fatto ottimamente quest’anno anche dai croati Old Night, ma partendo da una base prossima al doom tradizionale anziché dal gothic/death doom, nelle corde invece della geograficamente vicina band giuliana.
Ciò che ne scaturisce è un lotto di canzoni che stupiscono per freschezza ed orecchiabilità, pur senza apparire mai scontate, tanto che la title track, scelta anche per essere abbinata ad un video, non è neppure il brano in assoluto più fruibile, ma a convincere è lo spessore complessivo di un album che, come c’è stato modo di constatare direttamente, si rivela penetrante anche nella sua riproposizione dal vivo.
Il gruppo triestino ci tiene, del resto, a rimarcare quanto il proprio sound sia frutto della confluenza di vari stili musicali che, uniti in maniera davvero magistrale, vanno a formare il tessuto sonoro di Painful Shadow: grazie a questo, i dieci brani più intro appaiono tutti saldamente legati tra loro nonostante le diverse sfumature conferiscano a ciascuno di essi una decisa identità.
Senza voler sminuire l’ottimo lavoro dei restanti componenti della band, tutti musicisti di grande esperienza ed in quanto tali perfettamente a loro agio in ogni frangente, per la riuscita del lavoro si rvela determinante la prestazione vocale di Alberto Esposito, davvero bravo ed espressivo con il growl ma soprattutto con una voce pulita profonda, versatile e all’altezza della situazione anche in sede live, cosa tutt’altro che scontata (chi ha visto di recente i Paradise Lost dal vivo purtroppo sa a cosa mi riferisco).
A proposito, detto che a livello di influenze gli appena citati maestri di Halifax hanno sicuramente un certo peso, la bravura degli Hadal sta nel non focalizzarsi su un punto di riferimento specifico, così che nel loro sound non è difficile riscontrare dosi sapienti di tutto il meglio che il rock ed il metal dalle venature più cupe e romantiche hanno offerto negli ultimi decenni (Moonspell, Type 0 Negative, Septic Flesh epoca Revolution DNA, ma anche Alice In Chains e Pearl Jam per il versante grunge e tracce di Disturbed ed Alter Bridge per quanto riguarda l’alternative rock/metal).
Insomma, chi si fosse perso (come noi) un disco di tale spessore al momento della sua uscita ha tutto il tempo (e la convenienza) per rimediare, lasciandosi conquistare da una serie di canzoni tra le quali si fa davvero fatica a trovarne una che spicchi con decisione sul resto del lotto: obbligato a scegliere opto, oltre che per la già citata title track, per Slow Violence, traccia molto robusta ma dal chorus intriso di una certa malinconia, per Nocturnal, che fin dal titolo, simile a quello di una dei brani più famosi della band lusitana, mostra graditi riferimenti ai Moonspell, e per Illusion, che fa convivere un lavoro chitarristico dal grande potenziale evocativo con un chorus legittimamente figlio del metal più moderno.
Painful Shadow è un album che ha tutte le caratteristiche per aprirsi ad un pubblico ben più ampio di quello dei soli appassionati di doom, in virtù di una grande freschezza e di una serie di canzoni che si imprimono con un certo agio nella memoria senza che venga mai sacrificata la loro profondità: in sintesi, la definizione di un’opera pressoché priva di punti deboli.

Tracklist:

1. Intro
2. Painful Shadow
3. The Shape of Lies
4. Dying Fall
5. Slow Violence
6. Illusion
7. Vox Arcana
8. Nocturnal
9. Land of Grief
10. Black Flowers
11. White Shade

Line-up
Teo – Bass
Franco – Guitars (lead)
Max – Guitars (rhythm)
Daniele – Drums
Alberto – Vocals

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