Ankor – Beyond the Silence of These Years

La proposta degli Ankor è oltremodo immatura, poco personale e piena di melodie facili quel tanto da rapire adolescenti, non certo alternative rockers di vecchia data.

Ecco un album che teoricamente potrebbe far impazzire sfilze di ragazzini alternativi: un sound alternative rock con qualche spunto core, una serie di brani dall’appeal perfetto per non uscire dal lettore dello smartphone, momenti di scream vocals in contrasto con la vocina da lolita che fa il buono ed il cattivo tempo e la cover di un brano dei Linkin Park (Numb) uscito come video tanto per ribadire l’alto grado di ruffianeria dei catalani Ankor.

Il quartetto è diviso in egual misura tra la parte femminile e quella maschile, attivo dal 2003 e con una buona discografia alle spalle che conta tre full length ed una manciata di lavori minori, fino ad arrivare a questo Beyond the Silence of These Years che sinceramente lascia l’amaro in bocca.
Intendiamoci, non c’è niente che non funzioni in questo lavoro, ma la proposta degli Ankor è oltremodo immatura, poco personale e piena di melodie facili quel tanto da rapire adolescenti, non certo alternative rockers di vecchia data.
Quindi sappiate che Beyond the Silence of These Years è un lavoro composto da una serie di brani che sembrano usciti da qualche pubblicità per articoli da ragazzini, skateboard sotto i piedi e lacrimuccia rabbiosa che cade da sguardi da finti duri.
Poco, insomma per smuovere, l’interesse degli amanti del genere, anche se qualche traccia presenta buone melodie e Shhh… (I’m Not Gonna Lose It) ribadisce l’amore del gruppo per i Linkin Park del compianto Chester Bennington.
Troppo poco, ma forse abbastanza per riuscire a far breccia tra gli adolescenti iberici.

Tracklist
1.The Monster I Am
2.Love Is Not Forever
3.Lost Soul
4.Nana
5.Shhh… (I’m Not Gonna Lose It)
6.Kiss Me Goodnight
7.From Marbles to Cocaine
8.The Legend of Charles the Giant
9.Endless Road
10.Unique & Equal
11.Interstellar

Line-up
Jessie Williams – Vocals/Screams
David Romeu – Guitar/Vocals
Fito Martínez – Guitar/Insane vocals
Ra Tache – Drums/Keys

ANKOR – Facebook

Waterdrop – Waterdrop ep

I brani sono piacevoli e hanno un tocco raffinato che induce a pensare di essere al cospetto di musicisti giovani ma attenti a quello che è successo nel rock da un trentina d’anni a questa parte.

Partiamo da un considerazione importante, che poi è il fulcro e giudizio di questo articolo: il primo ep omonimo dei Waterdrop è un bel lavoro, curato nei minimi dettagli, con un copertina bellissima e composto da sei brani alternative rock che guardano al passato ma rappresentano il presente con uno sguardo al futuro per questi giovani musicisti in arrivo dalla provincia di Brescia.

Il quartetto lombardo, che nel frattempo ha sostituito il cantante Nicola Bergamo con Claudio Trinca, si diletta in un rock alternativo smosso da fremiti elettrici e da liquidi tappeti elettronici, due facce della stessa medaglia o per meglio dire della stessa anima, oscura ma aperta alla speranza, elegantemente tragica nel suo alternare chitarre pregne di sofferte sfumature moderne ed appunto alternative, senza mai dare l’impressione di andare oltre, mantenendo la parte elettronica e l’aspetto melodico in bella mostra.
I brani sono piacevoli e hanno un tocco raffinato che induce a pensare di essere al cospetto di musicisti giovani ma attenti a quello che è successo nel rock da un trentina d’anni a questa parte, con la new wave parte integrante del sound di Triumph e Insane (i primi due singoli) ma soprattutto delle notevoli My Addiction e Chemistry, appunto un buon mix di new wave e alternative rock alla Linkin Park.
Un buon inizio per il gruppo bresciano, è presto per dire dove potranno arrivare ma la strada è quella giusta anche se impervia.

Tracklist
1. Drift Away
2. My Addiction
3. Triumph
4. What’s Meant To Be
5. Chemistry
6. Insane

Line-up
Nicola Bergamo – Vocals
Alessandro Bussi – Guitar
Nicolas Pelleri – Bass
Francesco Bassi – Drums

WATERDROP – Facebook

Otherwise – Sleeping Lions

Sleeping Lions è un album dalle potenzialità enormi, l’opera della vita per gli statunitensi Otherwise, staremo a vedere se bastera per arrivare in cima alle preferenze dei rockers dai gusti mainstream.

Riusciranno gli Otherwise a far saltare il banco dell’alternative metal mondiale con questo candelotto di nitroglicerina che, ad ogni brano, esplode e distrugge lasciando solo vittime tra i rockers che bazzicano sul pianeta in questo inizio millennio?

La risposta arriverà con il tempo, vero è che con Sleeping Lions la Century Media piazza sul mercato un esempio di metal alternativo sorprendentemente accattivante, suonato e prodotto come meglio non si potrebbe e sostenuto da una raccolta di canzoni che non lasciano scampo, una più riuscita dell’altra, almeno se pensiamo all’hard rock ed al metal in uso nei circuiti mainstream.
Sleeping Lions arriva come un tornado metallico a rivalutare una scena internazionale in affanno, ancora alla ricerca del gruppo da un milione di dollari, ed è clamoroso come questo arrivi da un gruppo con più di dieci anni sulle spalle ed una manciata di lavori alle spalle.
Il gruppo di Las Vegas se ne esce con l’album della vita, la classica opera dove tutto funziona perfettamente, dall’alternanza tra il fervore metallico e le ruffiane soluzioni dell’alternative rock, che in Sleeping Lions sanno tanto di hard, duro come un’incudine e poco di rock, melodicamente moderno con qualche ispirazione numetal in ritmiche dal sapore groove, ed il singer Adrian Patrick che non sbaglia una strofa o un chorus, risultando l’asso nella manica della band.
Asso pigliatutto, accattivante e grintoso, dall’appeal straordinario che  offre ai giovani rockers mondiali una prestazione scintillante, mentre Ryan Patrick (chitarra/voce), Tony Carboney (basso/voce) e Brian Medeiros (batteria) prendono in mano la scena con soluzioni efficaci, tanta voglia di far male ed un stato di grazia per melodie che non lasciano scampo.
Niente di nuovo, questo è bene chiarirlo, perché gli Otherwise si muovono agevolmente tra il metal/rock statunitense degli ultimi anni, un po’ Alter Bridge, un po’ Linkin Park e tanto hard rock, anche se l’elevata qualità di canzoni come l’opener Angry Heart, l’esplosiva title track o Close To The Gods (Nickelback e U2 uniti sotto la bandiera dell’hard rock) seguite dalle altre nove fialette di nitroglicerina sballottate ed inevitabilmente esplose tre le mani del gruppo, fanno di Sleeping Lions un album dalle potenzialità enormi: staremo a vedere se basterà per arrivare in cima alle preferenze dei rockers dai gusti mainstream.

Tracklist
01. Angry Heart
02. Sleeping Lions
03. Suffer
04. Nothing To Me
05. Weapons
06. Crocodile Tears
07. Close To The Gods
08. Dead In The Air
09. Beautiful Monster
10. Blame
11. Bloodline Lullaby
12..Won’t Stop (bonus track)

Line-up
Adrian Patrick – lead vocals
Ryan Patrick – guitar/vocals
Tony Carboney – bass/vocals
Brian Medeiros – drums

OTHERWISE – Facebook

Bug – O’Brien Shape

Il ponte che unisce la musica rock degli anni settanta, attraversa il decennio successivo e tocca territori novantiani, è ben saldo nella musica dei Bug, autori di un lavoro che lascia presagire ottime potenzialità oltre ad un’originalità di idee che spaziano dal progressive all’alternative.

Si continua ad incontrare ottima musica rock alternativa nella scena underground dello stivale, magari poco seguita o molte volte del tutto ignorata dagli ascoltatori ma indubbiamente foriera di opere di valore.

Noi che di musica underground scritta ne abbiamo fatto una missione, cerchiamo di farvi partecipi dei movimenti musicali che si muovono nel sottobosco italiano ed internazionale, stupendoci ogni volta dell’alta qualità della musica rock creata specialmente sul nostro territorio.
Uscito da un po’ ma arrivato a MetalEyes IYE solo ora, vi presentiamo il primo lavoro dei Bug, quintetto lombardo nato tre anni dalle menti di Jacopo Rossi (chitarra) e Patrick Pilastro (batteria), raggiunti in seguito da Andrea Boccaruso (chitarra, voce), Giorgio Delodovici (voce) e Mattia Gadda (basso).
O’Brien Shape è il loro primo album in versione ep, sei brani per mezzora circa attraversati da umori che vanno dal grunge di Seattle al rock degli anni settanta, per tornare poi all’alternative in una congiunzione di suoni più vicini di quello che molti possano credere.
Quindi il ponte che che unisce la musica rock degli anni settanta, attraversa il decennio successivo e tocca territori novantiani, è ben saldo nella musica dei Bug, autori di un lavoro che lascia presagire ottime potenzialità oltre ad un’originalità di idee che porta a brani come The Tide e O’Brien Shape, tra Pearl Jam e Pink Floyd, mentre gli Alice In Chains dopo la cura Bug passano dall’essere la band più metal della scena grunge (specialmente nei primi due lavori) ad una camaleontica realtà progressiva.
Twice sposta le turbolenze progressive sui Pearl Jam, mentre le ritmiche si muovono tra il funky ed il crossover tipico di metà anni novanta.
Il suono è perfetto, l’album è curato nei minimi dettagli e il gruppo dimostra di saperci fare sia con il songwriting che con i ferri del mestiere, motivo in più per fermarvi, voltarvi all’indietro e cercare O’Brien Shape, non ve ne pentirete.

Tracklist
1.March of the Worms
2.The Tide
3.Chain Stemmed
4.O’ Brien Shape
5.Twice
6.This Flood

Line-up
Patrick Pilastro – Drums
Giorgio Delodovici – Vocals
Jacopo Rossi – Guitars
Andrea Boccarusso – Guitars, Vocals
Mattia Gadda – Bass

BUG – Facebook

Paratra – Genesis

Genesis si rivela nel complesso un’opera intrigante, con alcuni brani killer (in versione elettronica) e un sound che dal vivo dovrebbe risultare ancor più trascinante.

Negli ultimi tempi dell’India abbiamo imparato a conoscere una scena metal molto viva, con una notevole propensione per i generi più estremi, nei quali si sono messe in luce numerose band di assoluto spessore.

Tra queste vanno annoverati sicuramente gli autori di un potente thrash/groove come i Systemhouse 33, il cui vocalist Samron Jude lo ritroviamo alle prese con questo particolare progetto denominato Paratra.
Imbracciata la chitarra e consorziatosi con il suonatore di sitar Akshat Deora, Jude ha realizzato all’inizio dell’anno questo doppio album che presenta i brani nella duplice versione elettronica e rock: il tutto è sicuramente intrigante e pare riscuotere un buon successo da quelle parti, anche in sede live, in virtù di un sound piuttosto trascinante e che appare efficace in entrambe le vesti offerte.
Detto ciò, personalmente prediligo il disco elettronico, perché l’incedere del sitar si lega maggiormente ai ritmi più incalzanti, mentre il suo inserimento appare a volte più forzato all’interno di brani connotati per lo più da una struttura alternative rock.
Oltre al gusto personale, si tratta anche di una maggiore peculiarità che spicca nel primo dei due casi: infatti, i brani elettronici mantengono ugualmente la loro connotazione rock, andando a creare così un ibrido nel quale il suono del sitar fa davvero la differenza, cosa che non avviene nel secondo disco che appare, sostanzialmente, il lavoro di una rock band con un ospite dedito a quello strumento.
Infine, proprio per la natura delle sonorità elettroniche, si rivelano sostanzialmente più efficaci i brani strumentali, questo benché Siddharth Basrur sia decisamente un buon vocalist; comunque sia, Genesis si rivela nel complesso un’opera intrigante, con alcuni brani killer (in versione elettronica) come Leap, Duality e Now Or Never e un sound che dal vivo dovrebbe risultare ancor più trascinante.
In sintesi, Genesis mostra più di un motivo di interesse anche se, chiuso questo primo esperimento, forse per i Paratra sarebbe più opportuno optare per l’una o l’altra opzione, e su quale sia la più opportuna tra le due mi sono già ampiamente espresso.

Tracklist:
1. Leap (Electronic)
2. Inferno (Electronic)
3. Waves of Time (Electronic)
4. Will Power (Electronic)
5. Duality (Electronic)
6. Now or Never (Electronic)
7. Home (Electronic)
8. Other Side (Electronic)
9. Leap (Rock)
10. Inferno (Rock)
11. Waves of Time (Rock)
12. Will Power (Rock)
13. Duality (Rock)
14. Introspection (Rock)
15. Now or Never (Rock)
16. Home (Rock)
17. Other side (Rock)

Line-up:
Samron Jude – Guitar
Akshat Deora – Sitar
Siddharth Basrur – Vocals

PARATRA – Facebook

Fractal Reverb – Quattro

Il sound di canzoni dirette e melodiche, colme di umori noise e fortemente indie rock sottolinea la volontà del gruppo di arrivare all’ascoltatore in modo diretto, pur mantenendo un ricercato lavoro ritmico ed armonico.

E’ tempo che i gruppi di cui vi avevamo parlato in passato tornino con nuovi lavori, chi magari deludendo non rispettando le aspettative personali di chi scrive, molti fortunatamente confermando tutto il buono che i precedenti lavori avevano messo in risalto.

I lombardi Fractal Reverb, si ripresentano sul mercato underground con un nuovo lavoro in formato ep di quattro brani che porta importanti novità rispetto a Songs to Overcome the Ego Mind, full length licenziato un paio di anni fa e che si presentava come un’opera monumentale di rock alternativo, poco adatta all’ascolto distratto ma che indubbiamente aveva nelle sua dimensioni eccessive il maggiore difetto, anche se metteva in risalto le ottime potenzialità del gruppo.
Carolina Locatelli (basso e voce) e Davide Trombetta (chitarra) tornano dunque con non poche novità insite nel nuovo Quattro, che ci presenta i due nuovi entrati nella formazione, il chitarrista Riccardo Burlini ed Alessandro Pinotti che prende il posto di Denny Cavalloni dietro alle pelli.
Abbandonato l’idioma inglese, i Fractal Reverb si ripresentano con un titolo che prende ispirazione dal numero delle canzoni che compongono l’ep e dalla nuova line up, con il non poco importante inserimento di una seconda chitarra che arricchisce il sound dei nostri, oggi meno scarno ed essenziale, con sfumature melodiche più accentuate anche se la band taglia definitivamente il cordone ombelicale che la legava al grunge per prendere una propria strada dagli orizzonti indie ed alternative molto marcati.
Quattro risulta così una nuova partenza per i Fractal Reverb: il sound di canzoni dirette e melodiche, colme di umori noise e fortemente indie rock, come l’opener Divampa o la splendida Frastuono, sottolineano la volontà del gruppo di arrivare all’ascoltatore in modo diretto, pur mantenendo un ricercato lavoro ritmico ed armonico che ne dimostra la raggiunta maturità.

Tracklist
1. Divampa
2. Attonito
3. Frastuono
4. Pioggia e sole

Line-up
Carolina Locatelli – basso, voce
Davide Trombetta – chitarra
Riccardo Burlini – chitarra
Alessandro Pinotti – batteria

FRACTAL REVERB – Facebook

Lost Dogs Laughter – Out Of Space

Out Of Space è un album vario e piacevole, con una sua spiccata personalità prendendo ispirazione dalla tradizione a stelle e strisce per portarla con rinnovato entusiasmo nel nuovo millennio.

L’alternative rock italiano si avvale di un’ altra band, i Lost Dogs Laughter, trio romano al debutto con Out Of Space, facendo del rock americano il proprio credo cercando di risultare il più personale possibile.

Matt Bandini (chitarra e voce) fondatore della band e Luk La Grande (basso), sono stati raggiunti in questi anni da una manciata di batteristi, ma in questo esordio sentirete picchiare sulle pelli le bacchette di Andrea Vettor.
Un altro batterista in line up (Gianluca) nel presente del gruppo romano ed un debutto che si colloca nell’alternative rock dalle reminiscenze riscontrabili negli anni novanta, quindi influenze che vanno dall’hard rock di Seattle, a sferzate punk ed atmosfere post rock progressive che donano al sound un elegante, e quanto mai maturo, prog style che fanno di Out Of Space un ascolto affascinante.
Ritmiche che nascono dalle jam di Sonic Youth con l’aiuto di Corgan e dei suoi Smashing Pumpkins, chitarre che lasciano in bocca quel gusto d’acciaio del metal moderno e buone trame melodiche, fanno di Out Of Space un album vario e piacevole, con una sua spiccata personalità che si evince da brani come Honestly, Words Unknown e la title track, esempi di un sound che prende ispirazione dalla tradizione a stelle e strisce per portarla con rinnovato entusiasmo nel nuovo millennio.

Tracklist
1. Sweeter Reaction
2. Honestly
3. Go Away
4. Words Unknown
5. Fade (September 1993)
6. Fallen Angel
7. Am I?
8. Out Of Space
9. The Forgetful

Line-up
Matt Bandini – Chitarra, Voce
Luk La Grande – Basso
Andrea Vettor – Batteria

LOST DOGS LAUGHTER – Facebook

One Eyed Jack – What’m I Getting High On?

Il trio lombardo non si nasconde certo dietro ad un dito, ti sbatte in faccia le proprie influenze e come se fossimo tutti trasportati in un locale della Seattle sfatta di rock ed eroina, ci consegna un valido tributo ad una delle scene musicali più importanti del secolo scorso.

Echi di Bleach e Nevermind, lasciati al caldo sole del deserto della Sky Valley, formano un sound massiccio e profondo, mentre il tempo si ferma e con una brusca inversione a U ci riporta ai primi anni novanta e alle perturbazioni musicali che, come la pioggia, fanno di Seattle una delle città più cupe del mondo.

Ma siamo nel 2017 e nel Nord Italia, precisamente nel bresciano dove si aggirano da qualche anno gli One Eyed Jack, tornati dopo un primo album autoprodotto con questo macigno di hard rock americano dalle ispirazioni grunge/stoner intitolato What’m I Getting High On?, licenziato dalla Fontana Indie Label 1933.
Il trio lombardo non si nasconde certo dietro ad un dito, ti sbatte in faccia le proprie influenze e come se fossimo tutti trasportati in un locale della Seattle sfatta di rock ed eroina, ci consegna un valido tributo ad una delle scene musicali più importanti del secolo scorso.
Ovviamente gli One Eyed Jack ci mettono del loro, che consiste nello stonerizzare il tutto con un basso grasso che al calore cola di liquido vischioso, presente come i riff potenti della sei corde ed il cantato malato, nervoso ma a tratti rilassato prima di esplodere in rabbiosi chorus di scuola Cobain.
Primetime, The Edge Of The Soul, l’atmosfera tirata dal basso che pulsa di Washyall, l’urgenza punk di Shitting Blood, e una presa live che non mancherà di fare vittime dall’alto di un palco fanno di What’m I Getting High On? un lavoro diretto e che ben fotografa l’influenza dei gruppi di Seattle sul rock del nuovo millennio.
L’album potrà risultare magari poco originale ma non ci sono certamente dubbi sul suo impatto.

Tracklist
1. Primetime
2. Little Junior Finally Grew A Beard
3. Soon Back Home
4. Shitting Blood
5. Sgrunt
6. The Edge of the Soul
7. Daily Abuse
8. Drama Shit
9. Washyall
10. Dog Fight

Line-up
Daniele – chitarre e voci
Giampietro – bassi
Dariored – batterie

ONE EYED JACK – Facebook

Closet Disco Queen – Sexy Audio Deviance for Punk Bums

Dopo il debut album omonimo del 2015, i Closet Disco Queen tornano in pista con questo nuovo lavoro che certo non può rendere giustizia alle loro capacità in soli tre brani.

Sexy Audio Deviance for Punk Bums è un EP di sole tre canzoni, di puro prog-rock sperimentale carico di influenze di vari generi.

I Closet Disco Queen sono un duo di recente formazione composto dal chitarrista Jonathan Nido e dal batterista Luc Hess, decisi a creare un progetto insieme. Dopo il debut album omonimo del 2015, tornano in pista con questo nuovo lavoro che certo non può rendere giustizia alle loro capacità in soli tre brani. La opening track Ninjaune inizia con l’atmosfera tipica dell’ambient (che potrebbe fuorviare gli ascoltatori) per poi crescere gradualmente d’intensità e volume dando spazio ad un più rude e rozzo metal, per poi calare di nuovo nel finale. Si passa poi a El Moustachito, secondo brano dall’intro quasi punkeggiante, che continua con uno stoner influenzato da chitarre heavy che non dà modo all’ascoltatore di annoiarsi. A chiudere l’EP, il brano Délicieux che ci trasporta nelle atmosfere di settantiana memoria, un mix di blues e hard rock con influenze tipiche del prog che rende giustizia all’intero lavoro, rivelandosi una degna conclusione. Nel complesso, i Closet Disco Queen si sono costruiti un’ottima base di lancio creando qualcosa di nuovo, un prog di stampo “antico” ma proiettato nel futuro grazie ad influenze che attingono dal moderno. Il duo è perfettamente amalgamato ed in sintonia, e riesce a creare un ibrido che spazia da atmosfere tipiche del rock anni ’70 ad un più rude metal con caratteristiche dell’heavy, e non solo. Insomma, una band della quale sentiremo ancora parlare.

Tracklist
1. Ninjaune
2. El Moustachito
3. Délicieux

Line-up
Luc Hess – Drums
Jona Nido – Guitar

CLOSET DISCO QUEEN – Facebook

She Was Nothing – Reboot

L’album scorre via in maniera assolutamente gradevole, ben prodotto e ricco di brani orecchiabili, ma nel contempo è afflitto da una “leggerezza” che rischia di far perdere alla band molti degli estimatori dal background metallico.

Secondo album per i milanesi She Was Nothing, a 5 anni di distanza da Dancing Through Shadows, lavoro che ebbe una buona accoglienza all’epoca con la sua abbastanza audace mistura tra elementi metal ed elettronici.

Reboot, come suggerisce il titolo, sembra resettare in parte quanto fatto in passato, intanto “ripulendo” il sound quasi del tutto della componente metal, fatto salvo qualche riff disseminato in maniera omeopatica nei brani; il risultato è un album che scorre via in maniera assolutamente gradevole, ben prodotto e ricco di brani orecchiabili, ma nel contempo afflitto da una “leggerezza” che rischia di far perdere alla band molti degli estimatori dal background metallico.
Before It’s Too Late – Pt. I è, se vogliamo, emblematica del nuovo corso, con i suoi rimandi ai Linkin Park, trattandosi di una canzone appena sporcata da una vena rock e focalizzata su un chorus di immediato impatto, ma destinato a dissolversi come una bella ma effimera bolla di sapone; molto meglio, allora, Can’t Stop These Things, leggermente più robusta e vicina al sound di una band di notevole spessore artistico come furono gli AFI di inizio millennio.
La tendenza è, comunque, quella di proporre un rock talvolta spruzzato di dub ed elettronica (che sono i momenti in cui le cose tutto sommato funzionano meglio, come nella buona B.S.O.D.), in grado di catturare l’attenzione con una manciata di potenziali hit (la già citata opener, Man VS Beast, Cocoon), spingendosi su lidi abbastanza lontani da quelli di chi si nutre del rock e metal di matrice underground.
Reboot non è affatto un brutto disco, visto che consente di passare una cinquantina di minuti abbastanza spensierati, ma il suo problema è che, con tali caratteristiche, difficilmente potrà rendersi appetibile a chi è abituato ad altre sonorità

Tracklist:
1. Before It’s Too Late – Pt. I
2. Can’t Stop These Things
3. The Hunt
4. Digging Under Your Skin
5. Man VS Beast
6. Brick After Brick
7. Before It’s Too Late – Pt. II
8. Back to Sleep
9. B.S.O.D.
10. Another Day, Another Way
11. Cocoon
12. Reboot

Line-up:
Augusto Boido – Bass, Guitars
Claudio Lobuono – Vocals
Davide Malanchin – Drums
Leonardo Musumeci – Keyboards

SHE WAS NOTHING – Facebook

In A Testube – Immigration Anthems

Un album che si fa ascoltare, perfetto da inserire nel supporto mp3 della vostra automobile, melodico e non troppo metallico per essere gradito anche da chi il rock lo ascolta ogni tanto.

Non solo in America e nel Regno Unito si suona rock alternativo di una certa qualità: in ogni paese e specialmente in Europa il genere è suonato e seguito e nell’underground nascono tutti i giorni gruppi dediti ai suoni alternativi.

In Italia, per esempio, il genere può vantare una scena florida cresciuta negli ultimi anni, ma anche in Grecia non si scherza e gli In A Testube dimostrano i buoni propositi dell’underground di quel paese che ancora lotta per riprendersi da una devastante crisi economica.
Il gruppo proveniente da Salonicco, con Immigration Anthems cerca di uscire da quei  confini supportato dalla Dream Records con quest’ora di rock moderno, dall’ottimo appeal e con una manciata di brani che in altri tempi e, forse con altri natali da parte della band, avrebbero potuto fare il botto.
Auguriamo il meglio al quartetto di rocker che ha forse l’unico difetto di allungare un po’ troppo la vita di un album che, con una ventina di minuti in meno, sarebbe stato perfetto per sfondare tra gli amanti di un genere facile da assorbire ma altrettanto da dimenticare e per questo, perfetto quando risulta il più diretto possibile.
Tra i brani si segnalano il singolo C.I.C.O, la darkwave Limitless, Lucky Thirteen e la finalmente dura e grintosa Flying Away, canzoni ricche di sfumature elettroniche a delineare molto del sound di questo Immigration Anthems e la voce che rimane sempre al giusto livello di guardia, con appeale quel pizzico di ruffianeria obbligatoria se si vuole sfondare.
Dunque dimenticate Korn, Nine Inch Nails e System Of A Down, come scritto nella biografia del gruppo, e concentrate le vostre attenzioni si un sound più vicino ai Linkin Park e alla seconda generazione dei gruppi alternativi d’oltreoceano.
Un album che si fa ascoltare, perfetto da inserire nel supporto mp3 della vostra automobile, melodico e non troppo metallico per essere gradito anche da chi il rock lo ascolta ogni tanto.

TRACKLIST
1.Believe
2.In The End
3.C.I.C.O
4.Hey Lilly
5.CLOC
6.Limitless
7.Together As Two
8.Lucky Thirteen
9.Many Things
10.Flying Away
11.Digital Eyes
12.Slipping Away
13.Mythu

LINE-UP
Dennis Konstantinidis
Petros Kabanis
Panos Papadopoulos
Konstantinos Mentesidis

IN A TESTUBE – Facebook

Outrider – Foundations

Quarantadue minuti persi nel sound che, partendo dagli anni del rock di Seattle, si avvicina al nuovo millennio passando per il post grunge, raccogliendo nel suo peregrinare un tocco di southern metal, e giuntovi, si trasforma in un’oliata macchina hard rock.

Ennesimo ottimo esempio di hard rock moderno, tra citazione novantiane e retaggi dagli anni settanta, il tutto inglobato in un sound hard & heavy perfetto per chi stravede per i gruppi statunitensi usciti negli ultimi vent’anni o giù di lì.

In Italia la scena hard rock non manca certo di gruppi sul pezzo, tutti con una forte personalità e che spaziano tra l’hard rock più classico e melodico o quello più aggressivo, groovy ed oscuro, cool in questi primi decenni del nuovo millennio.
Gli Outrider sono un gruppo proveniente da Monza e dintorni, nascono nel 2008 e con solo un ep alle spalle si presentano in questa seconda parte dell’anno sotto i tentacoli della piovra Sleaszy Rider  con questo riuscito debutto dal titolo Foundations, prodotto ai Magnitude Recording Studio di Seregno da Marco D’Andrea, chitarrista dei magnifici Planethard.
E allora ecco che la musica del gruppo può finalmente colpire nel segno, con questi quarantadue minuti persi nel sound che, partendo dagli anni del rock di Seattle, si avvicina al nuovo millennio passando per il post grunge, raccogliendo nel suo peregrinare un tocco di southern metal, e giuntovi, si trasforma in un’oliata macchina hard rock., di quello senza fronzoli con dosi misurate alla perfezione di groove, essenziale per far breccia nei rocker moderni.
Foundations non ha un brano trainante, risulta più un insieme di umori che la band ci scarica sotto forma di watt e ritmiche grasse, mentre Alberto Zampolli interpreta con tono aggressivo ma senza tralasciare parti melodiche l’ottimo hard rock suonato dai suoi compagni d’avventura.
Le due chitarre (Roberto Gatti e Andrea Fossati), il basso corposo di Davide Rovelli e le pelli torturate da Federico Sala formano un muro sonoro di hard rock, con qualche rara ruvidezza metallica, ma sempre intriso dell’attitudine i estrazione statunitense.
I gruppi che hanno ispirato il sound di Foundations vanno ricercati proprio aldilà dell’oceano, mentre The Void apre le danze, A Tale From The Land la segue, così come le altre canzoni, rivelandosi tutte di ottima fattura tra grinta e melodia, e consigliate agli amanti del genere che apprezzano Alter Bridge, Soundgarden e Black Stone Cherry.

TRACKLIST
01 – The Void
02 – Sideways
03 – A Tale From The Land
04 – Get Out
05 – Stronger Than Before
06 – Down
07 – Empty Shell Of Me
08 – Kimberly
09 – Brutal Games
10 – Raindrops

LINE-UP
Alberto Zampolli – Vocals
Roberto Gatti – Guitars
Andrea Fossati – Guitars
Davide Rovelli – Bass, Backing Vocals
Federico Sala – Drums

OUTRIDER – Facebook

Pigeon Lake – Barriers Fall

Barriers Fall è un gioiellino di genere, lontano dalla rabbia sincopata e molte volte adolescenziale del metalcore da classifica, e vicino alle anime travagliate che si aggirano nella la scena musicale moderna.

Rock alternativo, progressivo e melanconicamente dark, attraversato da umori metallici moderni che squarciano lo spartito, mentre l’oscurità lascia il posto a una rabbiosa disperazione.

Il quartetto norvegese chiamato Pigeon Lake torna dopo tre anni dal primo full length, Tales Of a Madman, con questa raccolta di brani, sofferti e maturi, intimisti ed atmosfericamente depressivi che formano Barriers Fall, album elegante ed intenso.
Il gruppo ha nella voce del singer Christopher Schackt il suo punto di forza, dal tono non comune e molto interpretativo, che dona ai brani un’intensità ed uno spessore che si tocca con mano, mentre il sound si rivolge agli alternative rockers amanti delle sfumature dark, progressivamente moderne.
Barriers Fall mantiene un atmosfera intrisa di depressiva malinconia, mentre la musica alterna parti grintose vicine al metal moderno a liquide atmosfere dark, passando agevolmente da un’interminabile tonalità di colori che si mantengono sul grigio per arrivare al buio totale del nero.
Un gruppo maturo che delle proprie ispirazioni si nutre, mantenendo un approccio personale ad un genere che ormai non è più una novità, ma che come in questo caso sa regalare ottima musica alternativa.
Un album da ascoltare con la dovuta calma, dandogli la possibilità di farci partecipi dei suoi umori, mentre le splendide linee vocali dell’opener Ragnarock e di Lyra ci introducono nel mondo dei Pigeon Lake e la rabbiosa parte metallica fa capolino tra le note di A Familiar Problem e Perfect Place. le tracce più estreme di questo intenso lavoro.
Consigliato agli amanti del rock/metal alternativo dalle tinte dark, Barriers Fall è un gioiellino di genere, lontano dalla rabbia sincopata e molte volte adolescenziale del metalcore da classifica, e vicino alle anime travagliate che si aggirano nella la scena musicale moderna.

TRACKLIST
1.Ragnarok
2.Lyra
3.Barriers fall
4.The Futility of You
5.Hide and Seek
6.Sunder
7.A Familiar Problem
8.Perfect Place
9.Let’s Pretend

LINE-UP
Christopher Schackt – Vocals/Guitar
Magnus Engemoen – Lead Guitar
Haakon Bechholm – Bass Guitar
Jonas Rønningen – Drums

http://www.facebook.com/PigeonLakeMusic

Starsick System – Lies, Hope & Other Stories

Niente di più e niente di meno che belle canzoni di quel rock dato per morto troppe volte, ma assolutamente in buona salute ed in formissima è quello che troviamo tra i solchi di questo nuovo lavoro targato Starsick System.

Questo è il rock’n’roll del nuovo millennio, che si nutre del meglio che la musica alternative ha regalato in questi anni e l’accompagna con un buon bicchiere di hard rock, come un Chianti d’annata …

Questo scrivevo un paio d’anni fa, quando feci la conoscenza dei nostrani Starsick System in occasione dell’uscita del loro bellissimo debutto, Daydreamin’.
Sono passati due anni, nel frattempo il quartetto di Pordenone ha calcato instancabilmente i palchi di mezza nazione ,con la chicca di aprire per i Black Label Society di Zakk Wilde, facendo sbattere teste e natiche a colpi di rock’n’roll moderno, alternativo ma legato con un filo invisibile alla tradizione a stelle e strisce.
Lies, Hope & Other Stories conferma e valorizza gli sforzi di questa macchina da guerra rock tutta italiana e chi, incuriosito dal primo lavoro si avvicinerà a questa nuova raccolta di brani, troverà una band sul pezzo, matura, perfetta in ogni sua componente e soprattutto in grado di competere con act più famosi ma non per questo migliori dei quattro moschettieri dell’alternative rock tricolore.
Hard rock, post grunge e street metal, la ricetta è sempre la stessa per un piatto di leccornie musicali di cui abbuffarsi ancora una volta, con i quattro musicisti al loro posto (Sandron, Donati, Bidin, Battain) per una formazione vincente che non si cambia ma risulta ancora più legata e coesa.
Moderno rock’n’roll, niente di più e niente di meno che belle canzoni di quel rock dato per morto troppe volte, ma assolutamente in buona salute ed in formissima è quello che troviamo tra i solchi di questo nuovo lavoro targato Starsick System., con Sandron vocalist dall’appeal straordinario, una perturbazione rock che fa danni su una serie di brani irresistibili come I’m Hurricane, che dopo l’intro apre le danze a suon di hard rock dal riff sudista, mentre Bulletproof e Sinner completano il trittico iniziale, un temporale estivo, fulmineo e devastante che si abbatte sulle nostre teste.
Lampi e tuoni, ritmiche al limite del metal, chitarre torturate, melodie che entrano in testa al primo ascolto e chorus da cantare, saltando nelle pozzanghere lasciate dall’improvvisa tempesta, mentre Scars e Perfect Lies rompono l’atmosfera rilassata delle super ballatone post, southern grunge come Everything And More e Hope.
Questa estate guardatevi in giro, i quattro rockers non mancheranno di portare il loro nuovo lavoro in una dimensione live che risulta la vera casa per la band e per la sua musica … e ci sarà da divertirsi, parola di MetalEyes.

TRACKLIST
1.Nebulus
2.I’M the Hurricane
3.Bulletproof
4.Sinner
5.The Promise
6.Scars
7.Everything and More
8.Come one, Come All
9.Perfect Lie
10.Hope
11.You Know My Name

LINE-UP
Marco Sandron – Vocals, Guitars
David Donati – Guitars
Ivan Moni Bidin – Drums
Valeria Battain – Bass

STARSICK SYSTEM – Facebook

Lightyears – Erase

Cinque brani di rock alternativo in cui il metal è presente, così come un approccio dark wave formando così un sound elegante ma nervoso, raffinato ma piacevolmente elettrico e solo a tratti suggestivamente estremo.

Rock, in una parola tutta la musica degli ultimi sessant’anni e che in tutti questi anni ha cambiato pelle centinaia di volte, adattandosi ai tempi, alla cultura e diciamolo, alle mode, mentre i decenni passano e chi di rock vive ascolta il suo evolversi ma anche la sua natura primaria.

Tempi, questi, di rock che denominato alternativo, tempi dove il suo figlio più ribelle (il metal) lo ha portato verso nuovi orizzonti accompagnato in questo suo viaggio appena intrapreso nel nuovo millennio, con molti dei sottogeneri che hanno segnato i decenni passati.
I Lightyears sono un quintetto nostrano, arrivano da Ferrara ed Erase è il loro debutto in formato ep, licenziato dalla Wormholedeath/The Orchard su licenza esclusiva di Too Loud Records: cinque brani di rock alternativo in cui il metal è presente così come un approccio dark wave e che vanno a formare un sound elegante ma nervoso, raffinato (anche per l’ottima voce della singer) ma piacevolmente elettrico e solo a tratti suggestivamente estremo.
Ed Erase vive la sua cangiante atmosfera con la consapevolezza di essere composto da buone canzoni rock, con l’energia e l’impatto di un sound che dal metal acquista l’energia e dall’alternative rock le melodie neanche troppo nascoste nell’opener Say It, come nel singolo Show Me, In A Bitter Taste o nell’ultima e metallica Sticks & Stones.
Un buon inizio, cinque ottimi brani che sono un punto di partenza per il gruppo ferrarese che suona un rock con tutte le sue ispirazioni ed influenze: sta a voi farlo vostro, ma un ascolto i Lightyears se lo meritano.

TRACKLIST
1. Say It
2. The Story
3. Show Me
4. A Bitter Taste
5. Sticks & Stones feat. Chuck Ford

LIGHTYEARS – Facebook

Les Discrets – Prédateurs

Prédateurs si va a collocare in una sorta di terra di mezzo, dove la rinuncia alle passate sonorità non ha portato con altrettanta decisione all’approdo verso un sound maggiormente definito, facendo ragionevolmente pensare che possa trattarsi di un passo interlocutorio

Sono già passati cinque anni dall’uscita di Ariettes Oubliees, anche se a livello temporale non sembra, visto che i Les Discrets hanno comunque continuato a lanciare frequenti segnali, pur se concretizzati a livello discografico dall’uscita del solo Live At Roadburn nel 2015 e del singolo Virée Nocturne la scorsa estate.

Questo periodo appare, invece, molto più lungo alla luce delle novità riscontrabili in questo lavoro che prende le distanze, in maniera abbastanza evidente, rispetto a quanto fatto in precedenza dalla creatura musicale partorita dalla mente di Fursy Teyssier.
Se almeno fino al disco precedente, pur trattandosi di una semplificazione forse anche superficiale, non era del tutto azzardato considerare i Les Discrets come autori di una sorta di versione alleggerita dello shoegaze degli Alcest, realtà con la quale esiste da sempre un legame a doppio filo, con Prédateurs il musicista transalpino ha imboccato con risultati alterni una strada il cui possibile approdo è tutto da definire, potendo risultare un’intrigante forma di trip hop (emblematico appunto il brano Virée Nocturne) ma anche un pop intimista e spruzzato di elettronica, indubbiamente di buona qualità esecutiva ed altrettanta pulizia sonora, ma in diversi momenti piuttosto inoffensivo.
In effetti, il rischio più grande che corre Teyssier (come sempre accompagnato nella sua avventura da Audrey Hadorn), con questa sua svolta, è quello di non incidere come dovrebbe/potrebbe, pur proponendo un lavoro di indiscutibile perizia e gradevolezza; la totale assenza di qualsivoglia accelerazione o cambio di ritmo rende oggettivamente difficile esprimere qualcosa che vada oltre un blando apprezzamento da parte dell’ascoltatore.
Forse Teyssier aveva voluto lanciare un indizio, definendo la musica dell’album come cinematografica e, alla luce di diversi ascolti, viene proprio da pensare che la musica contenuta in Prédateurs potrebbe risultare più efficace se abbinata alle immagini di una pellicola ambientata nello scenario decadente di una periferia parigina, immortalata nelle sue ore notturne.
Definire brutto questo lavoro non sarebbe né giusto né corretto, perché l’artista francese ha perlomeno il merito di non aver voluto ripercorrere, con il pilota automatico inserito, la stessa strada che gli aveva regalato un certo successo al’inizio del decennio e, come già detto, la gradevolezza di certi passaggi depone a favore delle sue doti di compositore.
Resta il fatto che Prédateurs si va a collocare in una sorta di terra di mezzo, dove la rinuncia alle passate sonorità non ha portato con altrettanta decisione all’approdo verso un sound maggiormente definito, facendo ragionevolmente pensare che possa trattarsi di un passo interlocutorio, anche se forse dopo un quinquennio sarebbe stato lecito attendersi qualcosa di differente.
Poi, quando si ascoltano canzoni come la già edita Virée Nocturne, Le Reproche o Rue Octavio Mey, appare palese quale sia il talento e la sensibilità artistica di cui dispone Fursy Teyssier, e forse anche per questo è difficile non restare parzialmente delusi e perplessi di fronte a quest’ultima fatica targata Les Discrets.

Tracklist:
1.Prédateurs
2.Virée Nocturne
3.Les Amis De Minuit
4.Vanishing Beauties
5.Fleur Des Murailles
6.Le Reproche
7.Les Jours D’Or
8.Rue Octavio Mey
9.The Scent Of Spring (Moonraker)
10.Lyon – Paris 7h34

Line up:
Audrey Hadorn – Vocals & Lyrics
Fursy Teyssier – Guitars, bass, vocals, visuals

LES DISCRETS – Facebook

The Match – Just Burn

Just Burn non è un affatto brutto lavoro, ma gli manca a mio parere quell’idea di forma canzone che diventa fondamentale anche quando si opta per lo stile musicale irrequieto ed originale offerto dai The Match.

I The Match sono un duo composto da Francesco Gallo e Ivan Mercurio, rispettivamente basso/voce e batteria, attivi da quattro anni ed ora all’esordio con l’album Just Burm.

Un sound strutturato solo su strumenti ritmici non può che risultare un concentrato di cambi di tempo, sfuriate alternative che fanno capo al funky, ancor prima del rock, e questo rende senz’altro originale la proposta del gruppo.
Chiaramente il rock alternativo proposto non può che fare riferimento ai gruppi che, nel proprio DNA, hanno ben consolidati generi che con il rock hanno poco a che fare, ma è pur vero che in generale i nove brani presenti in Just Burn funzionano, almeno ad un primo ascolto, quando il fattore sorpresa fa il suo sporco lavoro.
Con il passare del tempo scema la sorpresa ed anche l’attenzione, perché le tracce tendono ad assomigliarsi un po’ troppo, coinvolgendo l’ascoltatore solo a sprazzi.
La cover di Firestarter dei Prodigy, Danger e Earthz (il brano più metal del lotto) sono i brani più coinvolgenti di un lavoro consigliato agli amanti dei Primus e dei Red Hot Chili Peppers, nascosti da un attitudine punk rock e dal lavoro del basso, tecnicamente notevole così come quello delle bacchette sulle pelli.
Just Burn non è affatto un brutto lavoro, ma gli manca a mio parere quell’idea di forma canzone che diventa fondamentale anche quando si opta per lo stile musicale irrequieto ed originale offerto dai The Match.

TRACKLIST
1. Beast
2. Firestarter
3. Aflame
4. K-22
5. Danger
6. Shinobu
7. Earthz
8. San Francisco
9. Neh

LINE-UP
Francesco “The GrooVster” Gallo – Bass, Vocals
Ivan “Pattùman” Mercurio – Drums, backing vocals

THE MATCH – Facebook

Del Norte – Teenage Mutant Ninja Failures

Teenage Mutant Ninja Failures si rivela un album fresco e graffiante, consigliato ai rockers dagli ascolti alternativi di matrice novantiana

Gli anni novanta non sono stati solo il decennio del grunge, infatti il rock americano in quel decennio ha avuto esponenti di un’ importanza epocale per lo sviluppo di un certo tipo di sonorità, uscite dai primi posti delle classifiche ma assolutamente in grado di influenzare generazioni di rockers in ogni parte del mondo.

Parliamo per esempio di Sonic Youth e Dinosaur Jr, con i primi all’assalto con il loro punk/noise e J Mascis a farci partecipi di un rock di provincia, malinconicamente alternativo, ma meno irruento; se a queste due band aggiungiamo il sound dei primi Smashing Pumpkins (Siamese Dream), siamo molto vicini al rock dei nostrani Del Norte, trio di Pesaro che, all’esordio con Teenage Mutant Ninja Failures, convince con sei brani potenti, irriverenti e aggressivi.
Badano al sodo i Del Norte, infatti l’attacco dell’opener Chun-Li è di quelli che lascia il segno, dritto per dritto il gruppo spara una serie di colpi che non si esauriscono alla prima traccia, e con Faceless arriva la prima bomba dalle reminiscenze Sonic Youth.
Leggermente più ariosa ed armonica On The Basement, mentre Billy Corgan jamma con i Sonic Youth in Pa Pa Pa! e la conclusiva Space Coyote si veste di rock ‘n’ roll energizzato da una vena punk rock.
Gianfranco Gabbani (voce, chitarra), Luca Follega (basso) e Gianluca Fucci (batteria) formano un gruppo molto interessante e Teenage Mutant Ninja Failures si rivela un album fresco e graffiante, consigliato ai rockers dagli ascolti alternativi di matrice novantiana.

TRACKLIST
1.Chun-Li
2.Faceless
3.Old Boy
4.On The Basement
5.Pa Pa Pa!
6.Space Coyote

LINE-UP
Gianfranco Gabbani – Chitarra, Voce
Luca Follega – Basso
Gianluca Fucci – Batteria

DEL NORTE – Facebook

Three Horns – Jackie

Un lotto di brani da spararsi senza remore, una botta di vita a tutto volume, mentre il caldo ci soffoca e l’impianto dell’aria condizionata ci ha salutato da un pezzo, cosi che mai come ora la nostra pianura si trasforma in un deserto aldilà dell’oceano.

Tra citazioni del Grande Lebowsky, una partita a bowling, ed una Voghera trasportata nell’inferno del deserto americano (ma anche in quei luoghi d’estate il caldo non scherza), i Three Horns ci consegnano un altro lavoro di stoner hard rock, genere che in Italia sta regalando grosse soddisfazioni nella scena underground.

Il gruppo formato da Alessio Bertucci (chitarra e voce), Mic Roma (basso e voce) e Simone Gabrieli (batteria) se ne esce con un album, Jackie, formato da una serie di brani irriverenti, dallo spirito punk e rock’n’roll che si impossessa dell’hard rock stonato, classicamente americano e perso nel deserto o nelle pianure infuocate del nord Italia.
Diretto come un pugno in pieno volto preso in una rissa da bar, Jackie lascia ad altri jam psichedeliche per incontrare il grunge, l’alternative rock dei primi anni novanta ed il rock’n’roll appesantito da potenti dosi di ritmiche stonerizzate e varie, come se Kurt Cobain avesse lasciato le parti ritmiche di Nervermind nelle mani di Les Claypool.
L’irriverenza punk fa il resto, consegnandoci mezz’ora di rock adrenalinico, un sound live che si evince da una produzione essenziale ma perfettamente in linea con l’idea di rock del gruppo di Voghera, che piazza una serie di colpi come California, brano che apre l’album, la successiva Evil Dead, Michigan e Fight Velasquez.
Un lotto di brani da spararsi senza remore, una botta di vita a tutto volume, mentre il caldo ci soffoca e l’impianto dell’aria condizionata ci ha salutato da un pezzo, cosi che mai come ora la nostra pianura si trasforma in un deserto aldilà dell’oceano.

TRACKLIST
1.California
2.Evil Dead
3.Jackie
4.Half Life
5.Michigan
6.Fight Velasquez
7.The balland of the lonley man

LINE-UP
Alessio Bertucci – lead vocals and backing vocals, electric and acoustic guitar, synth,dobro,banjo, keyboards,percussions, glockenspiel
Michele Romagnese – lead vocals and backing vocals, bass, megabass, percussions
Simone Gabrieli – Drums,percussions

THREE HORNS – Facebook

Left Sun – Left Sun

Un sound alternativo che attraversa un ventennio di musica rock tra il grunge di Seattle, una musica aperta a molte soluzioni e dalle atmosfere cangianti che formano un album molto interessante.

Dalla sempre attiva Ethereal Sounds Works arriva questo quartetto di Porto, del quale poco si sa se none che è formato da Flavio Silva (voce e chitarra), Eduardo Oliveira (basso), Artur Jorge (batteria) e Rui Salvador (chitarra solista), ma senz’altro autore di un buon rock metal alternativo.

Quello dei Left Sun è un sound alternativo che attraversa un ventennio di musica rock tra il grunge di Seattle, una musica aperta a molte soluzioni e dalle atmosfere cangianti che formano un album molto interessante.
Quello dei Soundgarden più introspettivi è un paragone calzante, anche per effetto della voce di Silva, che tende a prendere vie melodiche care al Cornell solista, mentre l’elettricità moderata delle sei corde porta a saliscendi emozionali come nei gruppi metal/prog odierni, tra Porcupine Tree e Pain Of Salvation.
Incuriositi? Il gruppo dimostra di saperci fare con queste ispirazioni scomode, visto il valore artistico dei gruppi citati, ma ne esce bene e con un lotto di brani che sanno intrattenere, emozionanti a tratti, aggressivi in altri, introspettivi e malinconici in molte occasioni.
Dopo la lunga opener che funge da intro all’album, Left Sun entra nel vivo con Another Earth e Blaze, due delle tracce cardine di questo lavoro assieme alla più ritmicamente pesante Return Interlude.
A Silva e compagni piace girovagare per lo spartito dei gruppi progressivi alla Porcupine Tree, mentre il grunge fa capolino come parte hard rock del sound di questo ottimo debutto.
Non so quanto sia di facile reperibilità ma se siete amanti del genere Left Sun può rivelarsi una piacevole sorpresa.

TRACKLIST
1.Water Under The Bridge
2.Another Earth
3.Blaze
4:59
4.Skyrim
5.Shifting Sideways
6.Feel
7.Return Interlude
8.Time Reversal
9.Concealed Needs
10.Elysian Hope

LINE-UP
Flávio Silva – Guitars, Vocals
Rui Salvador – Guitars
Eduardo Oliveira – Bass
Artur Jorge – Drums

LEFT SUN – Facebook